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Autore: Huilen4victory    07/11/2020    2 recensioni
La storia di Seokjin e Namjoon, come si sono incontrati, le difficoltà che hanno attraversato, come si sono quasi persi e come infine si sono ritrovati, anche se lontanissimi dal punto di partenza.
“Signora Kim, Signor Kim, vostro figlio Kim Namjoon è l’anima gemella dell’erede dei Kim, Kim Seokjin.”
Improvvisamente tutti gli sguardi dei presenti si concentrarono su di lui. Namjoon si sentì di nuovo come quella volta in cui aveva rotto senza volere la tazza preferita di sua madre. A quel punto, si disse, tanto valeva mangiare qualcosa. Si infilò un cornetto in bocca per evitare di urlare.
La sua vita, lo sapeva, era sul punto di cambiare ma non sapeva se questa volta avrebbe gradito la svolta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Seokjin/ Jin, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Namjoon non amava ritornare con la mente a quel periodo.

Il tempo gli aveva insegnato a concentrarsi sulle cose buone piuttosto che soffermarsi su quelle cattive, soprattutto quelle che non poteva cambiare, eppure, anche se aveva cercato di vivere tenendo fede a questo proposito, lasciarsi andare sarebbe sempre stata una cosa difficile da fare.

Dopotutto, come dimenticare un simile dolore.

Il cuore non emette alcun suono quando si spezza, ma lo si può sentire distintamente sbriciolarsi sotto la cassa toracica.

Namjoon lo aveva provato quel fatidico pomeriggio, lo aveva sentito sgretolarsi pezzo per pezzo alle parole di Seokjin.

Era rimasto congelato nella stessa posizione per lunghi attimi anche ben dopo che il discorso di Seokjin era finito. Il suo cervello stava disperatamente cercando di rielaborare quanto appena accaduto. Quando la gravità del tutto infine lo colpì, il suo cuore in frantumi divenne l'ultimo dei suoi problemi. Non quando a fargli male era, tutto.

Allora si ritrovò a correre come se la sua vita dipendesse da quanto velocemente lo faceva. Probabilmente nella frenesia di uscire dal bar, aveva strattonato la porta con troppa violenza perché adesso il braccio gli faceva un male cane.

Non gli importava. Continuò a correre.

Sapeva che, razionalmente, la scelta più saggia sarebbe stata chiamare villa Kim e farsi venire a prendere, ma era sicuro si trovassero a loro volta in un gran casino. Comunque non pensava che avrebbe avuto la pazienza di aspettare. No, aveva bisogno di correre. Sembrava l'unica cosa che avesse senso fare in quel momento. Quindi corse e non si fermò fino a che non raggiunse la fermata dell'autobus dove si era appena fermato uno.

Non controllò neppure se fosse quello giusto, ma ci si lanciò dentro sperando per il meglio. Afferrò una sbarra e vi si tenne stretto, troppo nervoso per convincersi a sedersi anche se le sue gambe tremavano per lo sforzo e la paura. Guardando il display sopra la porta d'ingresso constatò che almeno la fortuna, per quella piccola cosa, era dalla sua visto che l'autobus si stava muovendo nella direzione giusta.

Sentì il telefono vibrare nello zaino dove l'aveva ficcato durante la sua fuga dal bar. Non poteva fregargliene di meno. Non aveva il cuore, la testa e nemmeno la volontà di rispondere al telefono, soprattutto perché sapeva che non poteva essere Jin.

Seokjin era sempre stato dannatamente bravo a portare a termine i suoi compiti senza sbavature. E questo probabilmente voleva essere il suo capolavoro, l'unico piano che mai si sarebbe permesso di rovinare . Quindi sì, se conosceva bene Seokjin (anche se evidentemente non a fondo quanto aveva creduto) probabilmente si era assicurato di non lasciare spazio ad errori. Niente tracce e nessun indizio.

No.

Non pensarci, adesso. Non pensarci ancora.

Namjoon strinse forte gli occhi, mentre ripeteva queste parole nella sua testa nel tentativo di non perdere se stesso e recuperare lucidità.

Per prima cosa, doveva tornare alla villa, valutare la situazione, raccogliere informazioni e trovare i mezzi per ribaltare la situazione.

Scosse la testa mentre si rendeva conto di come Seokjin fosse riuscito a tramare alle sue spalle senza che lui se ne fosse reso conto per chissà quanto tempo.

Tutto quel silenzio e sguardi fugaci. Namjoon era stato così fottutamente stupido.

Avrebbe dovuto sapere che quell'atteggiamento profumava di coscienza sporca che cercava di placare se stessa. Quindi Seokjin aveva sorriso in tono di scusa e allo stesso tempo aveva lavorato per rescindere i legami che li univano.

Anche se il maggiore si fosse dato la pena di immaginare la confusione che avrebbe creato, aveva comunque ritenuto che le sue azioni valessero lo stesso la pena.

Namjoon aveva voglia di urlare.

Si sentiva come...

Si morse duramente il labbro inferiore per cercare di soffocare la sua frustrazione mentre contava silenziosamente i secondi che passavano.

Alla fine, dopo quello che parve il più lungo viaggio della sua vita, arrivò alla fermata più vicina alla sua destinazione. Le porte automatiche si erano solo schiuse ma Namjoon si era già lanciato fuori.

Avrebbe voluto correre per le ultime centinaia di metri che gli erano rimaste, ma appena ebbe svoltato l'angolo alla fine della strada, scoprì che sarebbe stato difficile andare oltre.

Una fila di giornalisti era accalcata al cancello principale e cercava di sbirciare all'interno.

Namjoon a stento si trattenne dall'imprecare.

Avrebbe dovuto aspettarselo. Non si era mai visto un erede consolare che si dimetteva. Era successo solo una volta in due secoli e questo solo perché il console era gravemente malato.

Tornò sui suoi passi mentre rifletteva sulle sue opzioni. Il cancello principale non era percorribile ma, fortunatamente per lui, era sgattaiolato fuori dalla villa dalla porta sul retro per mesi. Quindi, se sapeva come uscire, sapeva come entrare.

Tuttavia non andò così liscia come aveva sperato. Da un lato gli riuscì di scavalcare tutti i giornalisti, dall'altro fu individuato subito dalla sicurezza della villa.

A differenza di lui (avrebbe voluto avere il tempo di agire indisturbato e trovare risposte da solo prima di essere scoperto), erano piuttosto contenti di averlo trovato. Lo trascinarono al sicuro e lontano da occhi indiscreti. Naturalmente, nessuno si degnò di ascoltarlo.

La villa era piena di guardie del corpo e personale consolare e tutti - tutti - apparivano sull'orlo di una crisi di nervi. Non c'era traccia di alcun membro della famiglia.

Namjoon si sentì ancora più perso. Non si era aspettato di trovare uno scenario normale, ma neppure tutta quella folla che gli rendeva impossibile indagare per conto suo.

Improvvisamente riconobbe un volto familiare in quel mare di estranei.

"Signorina Choi! Ho bisogno di parlare con.."

"Grazie al cielo ti hanno trovato!" lo interruppe lei. Namjoon avrebbe voluto ribattere che no, non l'avevano trovato affatto, si era consegnato. Non gli venne data l'opportunità di aprire bocca. "Scortate Namjoon nella sua stanza come ha detto il console Kim", aggiunse subito dopo, non permettendogli di fare un passo nella sua direzione.

Namjoon cercò di protestare, ma fu chiaro come il sole che nessuno li non solo aveva a cuore la sua persona, ma aveva intenzione alcuna di prenderlo in considerazione. Se prima la sua opinione aveva contato molto poco, adesso valeva meno di niente. Fu allora che allo smarrimento si aggiunse la disperazione e Namjoon decise di contrattaccare.

“Non ho bisogno di essere scortato da nessuna parte. Devo parlare con il console Kim! Adesso!"

Fu un tentativo inutile. Le guardie del corpo lo presero per le braccia e lo trascinarono come un peso morto nella sua stanza. Namjoon provò a liberarsi, spingendo e dimenandosi, ma aveva solo diciassette anni e quelli invece erano uomini adulti. Fu trascinato nella sua stanza senza difficoltà e venne chiuso dentro per buona misura.

Era stato reclutato in quella famiglia malvagia a causa del suo cervello, eppure tutti in quella casa sin dal primo giorno, si erano sforzati di farlo sentire impotente e ignorante.

Non sarebbe dovuto tornare, sarebbe dovuto andare a casa di Yoongi. Non conoscendolo bene, i Kim ci avrebbero messo più tempo a trovarlo Sarebbe dovuto andare da Yoongi e da lì provare a contattare Seokjin o, meglio ancora, provare a contattare Hyosang.

Hyosang sicuramente sapeva cosa diavolo stava succedendo.

In un impeto di cieca speranza, prese il telefono e digitò il numero di Hyosang. Ma proprio mentre stava per premere il pulsante di chiamata, notò che non c'era rete.

Avevano isolato la casa.

Non poteva contattare nessuno, né Hyosang, né Yoongi, nemmeno la sua famiglia. Lo avevano cercato e avevano fallito per questo motivo erano così sollevati di vederlo. Non per la sua sicurezza o per interrogarlo su Seokjin. Ma per poterlo zittire e proteggere se stessi. La famiglia Kim veniva prima di tutto.

Era sbagliato da qualsiasi punto di vista lo si volesse guardare. Eppure era stato fatto.

E davvero, Namjoon si chiese mentre si raggomitolava su se stesso sul freddo pavimento, come poteva incolpare Seokjin di aver cercato per se una via d'uscita? Anche se aveva significato lasciarlo indietro?

Perché era quello che aveva fatto Seokjin, no? Non si era solo chiamato fuori, ma aveva rinunciato senza esitazioni a tutti i privilegi e i doveri che il titolo di console portava con sé.

Namjoon non poté fare a meno di chiedersi, chiedersi con terrore, se quella non fosse un'ammissione delle sue peggiori paure ed incubi. Se era stato così facile per Seokjin rinunciare a tutto, rinunciare a Namjoon, forse il motivo era nell'algoritmo come aveva sospettato sin da quel maledetto giorno che il primo console Kim lo aveva portato al laboratorio.

Che, alla fine, Namjoon non era stato altro che uno strumento dell'avidità dei Kim e che Seokjin e Namjoon erano solo anime spaiate messe assieme per continuare a perpetrare quel bisogno.

Seppellì la testa tra le sue braccia, mentre la realtà si chiudeva su di lui.


 


 


 

"Namjoon, svegliati", chiamò una voce estranea.

Chi lo chiamava? Perché qualcuno lo chiamava? Era già in ritardo per le lezioni?

"Svegliati", chiamò di nuovo quella voce.

La voce suonava familiare ma non era Seokjin.

Gli avvenimenti del bar tornarono alla mente, costringendolo ad aprire gli occhi.

La luce lo feriva ma si sforzò di tenere gli occhi aperti e valutare la situazione. A giudicare dal candore e dall'odore di antisettico, si trovava nella piccola infermeria privata della villa e Namjoon per una volta di concesse il privilegio di imprecare ad alta voce. Se aveva commesso il grave errore di collassare, significava che aveva appena commesso il peccato di perdere tempo.

Allungò un braccio, cercando a tentoni sul tavolino vicino al letto i suoi occhiali.

Quando finalmente li indossò e fu in grado di mettere a fuoco, il volto di Kim Hyosang apparve chiaro davanti a lui.

Il suo viso appariva preoccupato e pallido. Namjoon non l'aveva mai visto così.

Aveva l'aspetto di qualcuno che portava il peso del mondo sulle proprie spalle. E anche così non si sentì per nulla solidale con lui

I Kim e la loro abitudine di essere solo portatori di cattive notizie. Hyosang non aveva nemmeno iniziato a parlare e Namjoon aveva già deciso che non voleva sentire qualunque cosa gli sarebbe uscita di bocca.

"Dov'è Seokjin?" Chiese anticipando l'altro. Probabilmente non avrebbe avuto una risposta diretta, ma cavolo se ci avrebbe provato lo stesso.

"Ciao Namjoon. Hai perso conoscenza per un po'. Come ti senti ora?"

“Come vuoi che stia? Una favola. Perciò fammi un favore, salta gli inutili preamboli e dimmi perché tu sei qui e non Seokjin. " Anni dopo Namjoon avrebbe ripensato a questa conversazione con orgoglio, per essere stato in grado di parlare così con la gola inaridita e un'emicrania furiosa che minacciava di spaccargli la testa a metà. Tuttavia, in quel frangente, non si sentì affatto orgoglioso. Ma fragile.

Hyosang sospirò.

"Non mi renderai le cose semplici, vero?"

"Dov'è Seokjin." Hyosang represse ennesimo sospiro ma poi, invece di rifiutarsi come Namjoon aveva temuto, si avvicinò e prese posto accanto al letto. Sembrava aver bisogno di sedersi per avere quella conversazione.

Namjoon non capiva perché mai Hyosang continuasse a temporeggiare in un momento così cruciale. Non era da Hyosang. Poi si ricordò che l'intera giornata dall'inizio alla fine era sembrata un'allucinazione completa e quindi si trattenne. Almeno finché Hyosang disse.

"Ma lo sai già, Namjoon."

Quando erano venuti a bussare alla porta di casa per scaricargli addosso la notizia che la sua vita stava per cambiare per sempre, Namjoon non aveva reagito. Li aveva seguiti, a malincuore, eppure li aveva seguiti. Quando lo avevano iscritto alla facoltà di economia senza chiedere il suo permesso, Namjoon aveva accettato il suo destino anche se aveva pianto il sogno di un futuro non più possibile. E quando il console Kim lo aveva trascinato al laboratorio e Namjoon aveva appreso la verità, anche se era sembrata la fine, comunque era andato avanti.

E infine si era reso conto, anche se decisamente in ritardo, che la sua disperazione e persino i sacrifici fatti avevano poco a che fare con il senso del dovere e molto di più con Seokjin e la loro vita insieme. Tutti i passi che aveva fatto acquisivano un valore solo se anche lui vi era compreso. Lui era ciò che lo aveva mantenuto sano di mente e con i piedi per terra. La fottuta ragione per cui il sole faceva capolino da dietro le nuvole.

Quindi, alla luce di ciò, perdere la brocca era più che giustificato.

"Lo so? Lo so! L'unica cosa che so è quello che io e il resto della popolazione abbiamo visto in diretta nazionale. L'unica cosa che so è che oggi mi sono svegliato come qualsiasi altro giorno solo per scoprire che Seokjin aveva deciso di ammutinarsi e senza nemmeno preoccuparsi di lasciarmi un cazzo di memo. Quindi caro cugino, che cazzo sta succedendo perché è ovvio che, non lo so!"

Namjoon ora era in piedi, a quanto pareva nel mezzo della sua invettiva si era alzato dal letto e ora torreggiava su Hyosang, il quale appariva se possibile ancora più pallido sebbene ancora troppo composto per i suoi gusti.

"Seokjin si è dimesso, Namjoon."

"Meraviglioso. Questa è l'unica cosa che abbiamo appena stabilito. Io e gli altri milioni di abitanti di questo paese,” disse con sarcasmo, senza preoccuparsi di quanto aggressivo suonasse il suo tono.

"No, non capisci. Si è dimesso dalla carica. Non è più l'erede e non diventerà mai un primo console. Ti rendi conto di cosa significa per questa famiglia? Senza altri figli o figlie in grado di svolgere il ruolo, il titolo deve passare al candidato più vicino per linea di sangue se la casa Kim non vuole perdere il titolo dopo un secolo di tradizione. Il che significa che il nuovo erede è ... "

"Tu,” rispose Namjoon con un tono tombale.

Hyosang aveva ragione. Queste cose le sapeva già. Ma allora perché Hyosang voleva ribadire l'ovvio. Distolse lo sguardo da lui, incapace di guardarlo oltre.

"Quasi. Mio padre, come fratello minore, è il prossimo in linea di successione, ma sì, il titolo verrà trasferito al mio ramo famigliare, il che significa che alla fine sarò io a ereditarlo."

Namjoon fu sorpreso di sentire amarezza e non trionfo nella voce di Hyosang e questo più di qualunque altra cosa fu ciò che lo convinse a guardarlo di nuovo in faccia.

"Dovrei essere io quello più arrabbiato tra i due perché le conseguenze di questo piano fanno male a te, ma rovinano me. Non vedi? Non riesci davvero a capire? Seokjin si è dimesso e così facendo ha intrappolato l'uno e liberato l'altro. Da oggi non sei più un Kim, Namjoon. Questo è quello che ero venuto a dirti.”

"Che cosa?" Namjoon esclamò improvvisamente preda delle vertigini. Allungò una mano per afferrare la testiera del letto. Non poteva permettersi di svenire di nuovo, aveva bisogno di rimanere lucido ed elaborare perché tra i suoi pensieri più angosciosi mai un'ipotesi quale Hyosang gli stava ventilando si era affacciata.

Seokjin si era dimesso. Aveva rinunciato al suo titolo ma il suo atto non era stata una ribellione dettata dall'impulso del momento, vi era uno schema dietro, un obiettivo finale che a Namjoon era sfuggito. Ma se Hyosang stava dicendo la verità, allora gli avvenimenti di quel giorno aveva un'interpretazione diversa.

"Ti ha liberato Namjoon," ripeté Hyosang.

Paura.

All'improvviso una paura annegante si insinuò dentro di lui. Era stupido, il più stupido di tutti. Quando la gente avrebbe capito che il suo QI era solo un numero alto scritto su un foglio ma nel concreto un inutile fardello.?

Avevano sottovalutato Seokjin, il primo console, Hyosang, lui stesso. Avevano tutti sottovalutato Seokjin. Nessuno aveva sospettato che il buon perfetto ubbidiente Seokjin gli avrebbe fregati tutti.

Eppure ora poteva immaginare, quasi vedere Seokjin in piedi vicino alla finestra di camera sua, ad osservare pensoso il mondo esterno mentre progettava la sua prossima mossa.

A come aveva deciso di dare il suo titolo a suo zio che per via di tale regalo sarebbe stata la persona più interessata a saperlo introvabile. A come, per tenere suo padre fuori dai giochi, ciò fosse fondamentale.

"Dov'è Seokjin?" Chiese di nuovo Namjoon ma il tono non era più battagliero. Ma sconfitto. Un sussurro.

Una supplica disperata.

"Non lo so,” sentenziò Hyosang. Namjoon chiuse i pugni così stretti, nel tentativo di dominarsi, che le sue unghie gli conficcarono fino a tagliare la pelle del palmo interno.

"L'unica persona che lo sa, è mio padre, e dubito che lo dirà mai ad anima vivente."

Namjoon tremava, per la rabbia, per la furia, non lo sapeva. Sentì le mani di Hyosang sulle sue spalle mentre lo scuoteva, e non con scortesia.

“Devi capire, Seokjin sa troppo. Restare sarebbe stato pericoloso per lui. L'unico modo per sistemare tutto in fretta è che lui stia alla larga e permetta alle persone di dimenticarlo ".

"Ma non voglio dimenticarlo! Come ha potuto pensare che lo volessi? Come ha potuto pensare che fosse possibile?”

Perché, perché? Seokjin era sempre stato la persona altruista, la brava persona, tra i due. Seokjin era...

"Mi sono innamorato di te la prima volta che ti ho incontrato."

Seokjin si era dichiarato e Namjoon non aveva capito l'effettiva estensione di quelle parole o forse lo aveva fatto, ma aveva pensato fosse una dichiarazione a voler dividere una vita insieme, e non che Seokjin si sarebbe seppellito in modo che Namjoon potesse scappare indenne.

Che diavolo era accaduto nella testa di Seokjin perché lui pensasse che questo fosse qualcosa con cui Namjoon avrebbe potuto convivere?

Convincersi che Namjoon sarebbe stato meglio da solo.

Prese un paio di respiri profondi e contò mentalmente fino a che le sue spalle non si rilassarono e il suo respiro divenne uniforme, e lui apparisse calmo abbastanza perché Hyosang non lo credesse una minaccia.

Nel momento in cui Hyosang abbassò la guardia e distolse lo sguardo da lui, Namjoon si lanciò verso la porta, l'aprì e la richiuse dietro di sé con un giro di mandata, allontanandosi poi con calma inquietante e sordo alle urla del suo ormai ex cugino.

Con quella stessa calma irreale, iniziò a camminare. Una volta arrivato al piano terra, passò davanti ad alcune guardie le quali, pacificate dal suo fare tranquillo, non fecero nulla per fermarlo.

C'era così tanto staff che andava e veniva da ogni stanza che nessuno parve accorgersi del suo passaggio, nemmeno quando si intrufolò negli appartamenti privati del primo console. Non quando il nuovo erede e padre di Hyosang si trovava in quel momento in piedi in mezzo al soggiorno a complottare con il suo team.

Namjoon passò indisturbato e solo quando infine giunse nel corridoio giusto, diede un'accelerata ai suoi passi.

A riempire il corridoio tuttavia non vi era nessuno se non i passi di Namjoon che calpestava. Dopo tutto l'uomo oltre quella porta in fondo al corridoio, l'uomo più potente della nazione, non era altro che una nave alla deriva destinata ad affondare.

Namjoon avrebbe riso di gioia se non fosse stato che alla discesa di quell'uomo era legata anche la sua sofferenza.

La porta era innaturalmente socchiusa, Namjoon ne scorse il profilo anche da lontano. Un uomo in piedi vicino alla finestra con un bicchiere che puzzava di alcol.

Namjoon spalancò la porta senza esitazioni e questa si aprì violentemente, il legno che andava a sbattere cacofonicamente contro il muro.

Ebbe il piacere di vedere gli occhi arrossati del primo console Kim spalancarsi per la sorpresa e per un momento, per un glorioso momento, riusci a scorgere l'uomo patetico che aveva sempre così disperatamente cercato di mascherare e che in realtà era. Durò troppo poco e ben presto la maschera si ricompose nel volto della persona che aveva giocato con le vite di tutti per tutti gli anni del suo governo.

“Tu cosa ci fai qui?"

Marciò verso di lui, un adolescente contro un adulto grande e potente, e gli si gettò addosso, afferrandolo per il colletto della sua costosa camicia.

"Non osare mai dimenticare che lui sarà sempre migliore di te!” Riuscì a gridargli in faccia prima che le guardie del corpo, probabilmente già allertate dallo schianto della porta, entrassero e lo placassero.

Il suo corpo protestò di dolore allo sbattere contro il pavimento, e la sua pelle nuda bruciò quando lo strisciarono sulla moquette. Fu anche peggio quando lo sollevarono con mala grazia come se fosse un sacco di spazzatura.

“Lo voglio fuori di qui! Adesso!" Gridò il primo console alle guardie del corpo.

“Spero che tu marcisca all'inferno!" Namjoon ribatté con tutto il suo disgusto mentre veniva trascinato fuori. La faccia rossa e patetica del console Kim mentre gridava ordini sarebbe stata per sempre l'ultimo ricordo che Namjoon avrebbe avuto di lui. E sarebbe stato contento in futuro di ricordarlo nella sua piccolezza e non nel suo trionfo.

Questa volta quando lo rinchiusero in camera sua, lo spinsero senza neppure curarsi di dove sarebbe atterrato. Namjoon si sentì vagamente soddisfatto del trattamento perché era era la prova della sua uscita di scena ed anche del fatto che non era più un Kim.

Il suo senso di vittoria ebbe vita breve e pagato a caro prezzo.

Seokjin se ne era andato e nessuno gli avrebbe mai detto come trovarlo.

Da quando i loro cammini si erano incrociati, una parte di lui aveva sempre desiderato che le circostanze per cui questo era avvenuto fossero state diverse. Eppure gli ci era voluto tempo, troppo, per capire che non era la persona che lamentava ma il sistema che tramava dietro di lui.

Era troppo tardi ormai.

Aveva invidiato coloro che non erano vincolati dal destino e dai doveri che questo imponeva, vedendo nella loro assenza di vincoli il vero senso di libertà.

Avrebbe dovuto sapere, avrebbe dovuto sapere, quanto fosse invece solitario il cammino di chi era stato lasciato in disparte.

Ed ora era solo.

Come il numero zero che aveva sempre desiderato essere.

Per la prima volta Namjoon si permise di piangere.


 


 


 

Avevano rimandato Namjoon a casa dei suoi genitori come se fosse un pacco giunto all'indirizzo sbagliato, il giorno subito dopo il confronto col primo console Kim.

Sua madre l'aveva bombardato di domande non appena aveva varcato la soglia di casa mentre suo padre si era affrettato a chiudere la porta dietro di sé come temesse che un orda di paparazzi fosse al seguito del figlio(non sarebbero venuti. I Kim si erano assicurati di mettere il nome di Namjoon in damnatio memoriae).

Non aveva nessuna risposta per i suoi genitori. Era tornato con nient'altro che un grande buco profondo dove una volta c'era il suo cuore.

Era stato facile, quasi logico allora, indietreggiare. Schiacciato dal peso di una libertà vuota e priva di uno scopo, Namjoon si lasciò andare alla deriva senza alcuna direzione.

Così non reagì quando ricevette la comunicazione di essere stato espulso dalla facoltà di economia e nemmeno quando in tv trasmisero la notizia del nuovo erede dei Kim.

Era svuotato, come solo qualcuno fatto non di sostanza ma dell'eco di ricordi passati, poteva essere.

Stava sprecando l'opportunità che Seokjin aveva lottato così tanto per dargli?

Cento volte, sì. Ma Seokjin lo aveva sopravvalutato, lo aveva creduto più forte e distaccato di quello che era. Aveva creduto Namjoon meno coinvolto e certamente non innamorato.

O almeno così pensava Namjoon perché non poteva credere che Seokjin potesse essere così volutamente crudele da sradicare se stesso dalla sua vita, sapendo dei suoi sentimenti.

E di chi pensi che sia colpa? Non gliel'hai mai detto, patetica imitazione di un essere umano, suggerì il suo cervello.

"Non ti capisco,” fu invece l'opinione onesta e molto diretta del suo migliore amico. Min Yoongi avrebbe sempre agito prima e solo poi chiesto scusa.

Namjoon sospirò.

Aveva già saputo che questa era una causa persa, che non avrebbe ricevuto alcun tipo di sollievo nel confessare il suo stato d'animo all'unica persona sul pianeta che avrebbe dato il suo braccio sinistro, per poter atterrare nelle stesse circostanze che Namjoon aveva adesso.

Eppure Yoongi era il suo migliore amico e avevano condiviso i segreti più imbarazzanti e orribili. Aveva bisogno di aprirsi con lui o avrebbe finito per perdere quel po' di sanità mentale che gli rimaneva.

"Voglio dire. Hai l'opportunità del secolo, Joon. Penso che nessuno in tutta la storia della Repubblica avesse mai avuto un'opportunità più dorate della tua. Sei libero! Sei libero di perseguire i tuoi sogni e di impegnarti con chi vuoi, oppure con nessuno se preferisci, perché sei protetto dallo status stampato sulla tua carta d'identità e nessuno sospetterà mai la tua storia. Ancora meglio, dato che una volta eri un Kim loro faranno per sempre del loro meglio per far dimenticare la tua esistenza al mondo, rendendoti intoccabile.

Hai sofferto come un cane per tutto questo tempo, l'ho visto io e l'ha visto anche Seokjin. E lui era lì con te mentre assisteva al tuo crollo e sapendo di essere l'unico ad avere il potere di cambiare le cose, l'ha fatto. Vi ha liberati entrambi. Ora potete vivere le vostre vite senza che vi dobbiate preoccupare della società, della famiglia o di qualunque altra cosa. Forse ora ti sentirai ferito dal modo in cui ha fatto accadere le cose, ma, nella sua scortesia, ha fatto un favore a entrambi. Ha fermato la farsa è andato oltre quella verità che tutti si premurano di farci digerire e se ne è andato per riuscire a farti fuggire a tua volta.”

Un pesante silenzio seguì il discorso appassionato di Yoongi, e una parte di Namjoon avrebbe davvero voluto essere d'accordo con lui. La sua vita sarebbe stata decisamente più semplice. Ma non poteva. Quelle parole per lui non avevano alcun senso.

"Immagino," iniziò con un tono rassegnato, "che siamo d'accordo sul fatto che tu non possa capire,” disse Namjoon fissando le sue mani per non dover guardare il volto accigliato di Yoongi. Sapeva che le sue sopracciglia dovevano essersi aggrottate per il fastidio e l'indignazione, anche senza dover alzare la testa per controllare.

Da quando Namjoon si era chiuso al mondo, non gli era rimasto altro che sdraiarsi a guardare il soffitto e rivivere i suoi ricordi ancora e ancora nel silenzio della sua stanza. E quando non ce la faceva più, raccoglieva le poche energie che aveva, e andava a visitare Yoongi - quando quest'ultimo era disponibile. Era stato così anche per quel giorno, Yoongi gli aveva aperto la porta, lo aveva fatto accomodare sul divano e insieme avevano guardato la tv per ore.

La sua famiglia era preoccupata per lui e anche se il nuovo scenario era infine a loro chiaro, non erano sicuri di cosa ne sarebbe stato del loro figlio d'ora in avanti. Namjoon sospettava che sua madre nutrisse ancora la speranza che, dopo che il clamore si fosse acquietato, Seokjin sarebbe venuto a prenderlo.

Namjoon non aveva avuto il coraggio di distruggere la sua piccola bolla di illusioni.

"Odiavo quella vita, su questo hai ragione. Mi consumava dall'interno pezzo per pezzo. Eppure anche così, anche così mi sarei trascinato avanti. E non per un qualche malato senso del dovere, ma semplicemente, e ridicolmente, perché amavo la persona che avevo al mio fianco. Sono innamorato di Seokjin. Ecco, l'ho detto e non so nemmeno perché avevo così paura di dirlo ad alta voce. O meglio, so benissimo perché avevo paura e non gioca certo a mio favore perché è la prova della mia arroganza e del mio ego. Ho trascurato Seokjin solo per dimostrare qualcosa. A chi? Alla società? A me stesso? Qualunque cosa fosse, sono stato uno stupido. Libertà dici. Preferirei essere incatenato a quella vita ma assieme a lui piuttosto che trovarmi qui, senza."

Immaginava che, dopo quelle parole, l'imprecazione di Yoongi fosse da aspettarsi.

Namjoon non sussultò nemmeno, era diventato particolarmente immune a qualsiasi tipo di reazione ma non poteva negare la sua delusione nel trovare Yoongi lo stesso di sempre. Ciò che li aveva uniti non era stato solo la musica, ma l'odio comune per le anime gemelle e il sistema. E sapeva che ai suoi occhi, lui appariva come un traditore, ma non ce l'aveva con lui perché conosceva i particolari del suo caso ancora meglio di Yoongi stesso.

Era divertente constatare come quella stanza contenesse non uno, ma ben due numeri due due infelici, quando il mondo continuava a dire che un tale fatto fosse impossibile.

"Scusami,” aggiunse Yoongi cercando mettere una pezza alla sua onesta reazione. "Non capisco è vero e so che le separazioni sono sempre orribili a prescindere. Datti più tempo, Joon. Concediti una fottuta possibilità, non puoi sapere cosa può portarti il futuro. Potresti un giorno superare tutto questo e allora ti sentirai grato di aver tenuto duro ora. Provaci almeno, ”concluse Yoongi in tono accorato.

Namjoon si chiese se Yoongi non stesse cercando di convincere se stesso più che lui perchè le sue parole erano intrise di un profondo disperato bisogno di credere che Namjoon fosse recuperabile. Perché così poteva esserlo anche lui.

La sua confessione d'amore, fu invece ignorata completamente.

Namjoon non rispose, non disse nulla perché cosa altro c'era da aggiungere? Non c'era soluzione, e una parte di lui desiderava che la convinzione di Yoongi fosse anche la sua.

Forse avrebbe davvero potuto fare un passo dopo l'altro e allontanarsi dal buco profondo in cui era caduto. Forse avrebbe davvero potuto onorare l'ultimo desiderio di Seokjin e farne la sua eredità.

E poiché era un vagabondo che aveva perso il senso dell'orientamento, seguì ciò che Yoongi gli aveva suggerito e per le settimane successive ci provò.

Sembrava che Yoongi si fosse assunto la responsabilità di condurre Namjoon fuori dal suo torpore e farlo tornare alla normalità. Nonostante i suoi impegni e la sua carriera in ascesa trovava lo stesso il tempo per lui. Senza di lui non avrebbe saputo cosa fare dei suoi giorni e Namjoon gli era grato.

Piano piano le cose iniziarono a mettersi in moto.

Non si era ancora iscritto a nessun nuovo corso ma aveva iniziato ad aiutare al pub. I suoi genitori non erano esattamente entusiasti perché consideravano il luogo di dubbia reputazione, ma teneva Namjoon fuori di casa e occupato, e così tenevano per se le proprie critiche.

Probabilmente ritenevano la cosa temporanea. Namjoon non era più in grado di dire cosa era transitorio e cosa non lo era.

Lavorava sodo però. Gli piaceva aiutare il proprietario ad organizzare gli eventi e ancor di più occuparsi degli artisti che venivano a suonare.

Si ci stava provando, proprio come aveva suggerito Yoongi.

Tuttavia, le vibrazioni del luogo non erano sufficienti per ispirarlo musicalmente. Il nuovo taccuino che sua madre gli aveva comprato giaceva ancora sulla scrivania, intatto. Era buffo constatare che finchè era vissuto sotto il tetto dei Kim la voglia di scrivere era stata tale che si era sentito scoppiare, ed ora invece che era fuori dalla gabbia, il suo genio creativo era muto.

La verità era che non scriveva perché non aveva più nulla da dire.

Passò un altro mese e le cose rimasero immutate. Se Seokjin avesse veramente programmato di tornare da lui, ora sarebbe stato il momento giusto perché l'unica cosa di cui la stampa parlava era il nuovo erede..

Si erano già dimenticati di Kim Seokjin e il suo compagno.

Seokjin non venne.

Namjoon seppe allora che non sarebbe mai venuto.

Fu allora che le cose iniziarono a prendere una brutta piega.

Namjoon smise di andare alla deriva ed iniziò ad affondare.

Iniziò a passare sempre più tempo al pub. Spesso rimaneva lì anche quando tutti gli artisti se ne erano andati e quando il bar chiudeva, andava a cercare qualche altro locale aperto da qualche altra parte, finché non tornava inebriato e su di giri ma soprattutto dimentico di ogni cosa il che era il suo obbiettivo.

Quando i suoi genitori lo rimproverarono e provarono a limitargli le uscite come se fosse ancora un bambino (ma non lo era forse? Non si stava comportando come il più stupido dei mocciosi?), finì col trasferirsi da Yoongi.

Sapeva che Yoongi non era entusiasta di averlo in casa quasi sempre ubriaco e neanche lui era particolarmente orgoglioso di questo sviluppo ne di approfittare di Yoongi in quel modo, ma la verità era che Namjoon non aveva nessun altro posto dove andare perché il luogo che era solito chiamare casa aveva da tempo smesso di esserlo.

“Devi smetterla di fare questo a te stesso. Ti ha lasciato Joon, ha preso questa decisione per entrambi ed è andato avanti senza di te.”

Namjoon che giaceva su un materassino gonfiabile sul pavimento accanto al letto del suo amico, non si mosse ne diede segno di averlo sentito.

"Eri qualcuno prima di lui, quindi dimmi perché diamine non puoi tornare a essere quel qualcuno?" Yoongi continuò nella sua filippica. Sembrava arrabbiato, frustrato e molte altre cose. Namjoon si chiese vagamente come Yoongi potesse credere che lui fosse abbastanza lucido da capire le sue parole, figuriamoci rispondere in modo coerente, ma forse era quello il trucco. Yoongi non voleva risposte, aveva bisogno di esprimere la sua incredulità.

Namjoon comunque ci provò.

"Sono cambiato. Mi ha cambiato.”

Per un istante pensò che quelle parole erano state sufficienti a zittire Yoongi, non si aspettava di certo di vedere il suo amico letteralmente saltargli addosso, e scuoterlo per il bavero della sua maglietta sporca.

“Se qualcosa è cambiato, può cambiare di nuovo, no? Joon sei tu quello intelligente tra noi due, se fai un passo avanti puoi anche farne due indietro! " Namjoon avrebbe voluto dirgli che anche se le persone tornavano indietro sui loro passi non voleva dire che ciò fosse possibile in circostanze immutate. Non era sufficiente indossare gli stessi abiti, vivere gli stessi spazi e fare le stesse cose. Namjoon non poteva tornare ad essere qualcuno che non esisteva più.

Non era più la stessa persona che aveva lasciato per la prima volta la casa dei suoi genitori e non lo sarebbe mai più stato. E, in un certo senso, non voleva tornare al suo vecchio sé stesso. Anche se era stato di certo meno infelice e confuso, Namjoon sapeva che la persona che era allora viveva in una bolla fatta di orgoglio e stupide credenze. Aveva imparato il vero significato di sacrificio, generosità e altruismo solo sotto il tetto dei Kim. E non avrebbe scambiato quella lezione per nulla al mondo, non avrebbe scambiato chi glielo aveva insegnato per nulla al mondo.

Per quanto intelligente fosse stato Seokjin ad orchestrare tutto, era stato stupido a pensare che fosse possibile per Namjoon sostituirlo.

"Non puoi invertire un'evoluzione, Yoongi,” Namjoon sentenziò guardando Yoongi dritto negli occhi nonostante la nausea.

Yoongi mollò subito la presa come scottato, lasciando che Namjoon ricadesse sul suo materasso. I contorni della realtà stavano tremando e se non fosse stato così intossicato Namjoon avrebbe voluto provare a dire qualcos'altro, elaborare meglio perché aveva l'impressione distorta di aver appena peggiorato le cose ma invece sentì le palpebre incredibilmente pesanti finchè non gli riuscì più di tenerle aperte.

Si svegliò diverse ore dopo o potevano essere settimane a giudicare da come si sentiva, la testa che gli martellava, insopportabilmente assetato e con vestiti sporchi e appiccicosi.

Aprì la bottiglia d'acqua che Yoongi gli aveva lasciato accanto al cuscino e la buttò giù d'un fiato, cercando di riguadagnare una parvenza di umanità. Proprio in quel momento dei passi echeggiarono nel corridoio vicino e infine Yoongi si materializzò sulla soglia.

"Sei sveglio. Fantastico. Allora puoi dare il benvenuto al tuo ospite. Ti sta aspettando in cucina,” disse girando sui tacchi senza fornirgli altra spiegazione.

Namjoon non aveva nemmeno la forza di protestare, figuriamoci di opporsi. Si chiese se uno dei membri della sua famiglia fosse venuto a prenderlo e questo lo spronò ad alzarsi. Andò rapidamente in bagno per lavarsi il viso, usando quel poco tempo a disposizione per inventarsi delle scuse o una storia che giustificasse il suo stato. Una rapida occhiata allo specchio gli disse subito che nulla avrebbe potuto salvarlo, così si trascinò in cucina senza ulteriori preamboli.

Tuttavia, quando entrò nella piccola cucina di Yoongi vi trovò l'ultima persona che si sarebbe mai aspettato.

"Che cazzo ci fai qui?" Namjoon gracchiò in modo così sgraziato che persino Yoongi molto più abituato di lui a imprecare, ebbe un fremito. Chiedere come era stato trovato era inutile visti i mezzi di cui disponeva questa persona.

"Hai una pessima cera," decise invece di rispondere l'altro.

All'improvviso Namjoon sentì come se non fosse stato abbastanza scortese.

"Se sei venuto qui per criticare, quella è la porta,” disse cacciandolo via come se quella fosse casa sua. Era scortese nei confronti di Yoongi forse ma non aveva il tempo e neppure la voglia di affrontare Kim Hyosang. Non da sobrio e meno che meno ora con i postumi da sbornia.

“Scusa, hai ragione. Ultimamente non so nemmeno più cosa sto facendo, figuriamoci cosa mi esce dalla bocca. Il fatto è che quando mi trovo di fronte a persone con cui non devo mentire costantemente, finisco col parlare senza filtri. Andrò dritto al punto allora prima di mettere ulteriormente alla prova la tua pazienza. Ho qualcosa di importante da dirti ed anche se sono l'ultima persona dopo la mia famiglia con cui vuoi parlare, fidati quando ti dico che questo lo vuoi proprio sentire,” disse Hyosang come un fiume in piena.

Era strano vedere Kim Hyosang inciampare sulle sue stesse parole, ma una parte di Namjoon sapeva che la nuova vita non doveva essere facile per il suo ex cugino. Eppure non era incline a essere conciliante e neppure a provare pietà. Ai suoi occhi, Hyosang ormai era la famiglia Kim.

"Sentiamo allora," concesse Namjoon, alla fine. Lanciò un'occhiata a Yoongi che, capendo all'istante, uscì dalla sua cucina per dare loro una parvenza di privacy. Namjoon sentì un altro impeto di gratitudine nei suoi confronti.

Una volta che il suo migliore amico gli ebbe lasciati da soli, Namjoon fece cenno a Hyosang di sedersi e si sedette a sua volta. Poi quando furono entrambi uno di fronte all'altro, Hyosang sganciò la bomba.

"Non riesco a trovare Seokjin."

Namjoon per un momento fu troppo scioccato per reagire. Non pensava che il suo ex cugino avrebbe davvero provato a cercarlo, considerando quanto una tale azione era praticamente una dichiarazione di guerra contro il suo stesso padre. Ma a quanto pareva Hyosang lo aveva fatto. Una seconda ondata di shock, più forte della prima, lo colpì quando si rese conto che non aveva mai considerato l'opzione di essere lui stesso a provarci.

Lo shock tuttavia si trasformò ben presto in dolore quando comprese che la persona con più possibilità di successo aveva fallito.

“Hai provato a cercarlo. Pur essendo in linea di successione?" Chiese Namjoon, decidendo di esprimere il primo dei suoi shock. Non voleva soffermarsi sul proprio dolore se prima non aveva confermato che quanto diceva Hyosang era la verità.

“Prima di tutto, non sono il nuovo erede quello è il mio caro padre. In secondo luogo, ovviamente, ho cercato di trovare Seokjin. Non sei l'unica persona che gli vuole bene, sai. Ammetto comunque che parte della mia determinazione derivava principalmente dal mio desiderio di rimettere le cose a posto. Non ho mai chiesto di essere l'erede, ero più che felice di lasciare il pasticcio nelle mani di Seokjin. Quindi lo volevo indietro per ragioni molto egoistiche, ma almeno ho provato.” Fece una pausa per un momento come se sapesse che Namjoon stava soppesando le sue parole e volesse dargli il tempo di digerire ciò che stava dicendo. Namjoon però non sapeva ancora cosa farsene di tale informazione e così annuì, invitando l'altro a continuare.

“Ho iniziato a cercarlo non appena era chiaro che mio padre non mi avrebbe mai rivelato nulla, quindi praticamente lo stesso giorno in cui ti hanno cacciato. Sapevo di dover scavare molto, ma anche se era un compito difficile e pericoloso, i Kim sono maestri quando si tratta di seppellire le loro verità, non l'ho mai creduto impossibile. Una ricerca per nome era totalmente inutile naturalmente. Il suo nome non solo è comune ma chi mi assicurava che non avesse deciso di vivere sotto una falsa identità? Quindi il mio colpo migliore era tentare di hackerare il sistema della nostra famiglia e seguire i soldi. Sapevo che se fossi riuscito a mettere le mani sui dati bancari e trovare la transazione di denaro dal conto dei Kim a quello di Seokjin, allora lo avrei trovato. Come puoi immaginare i Kim fanno molte transazioni quotidiane e trovare quelle giuste sarebbe stata una seccatura, ma ero fiducioso perché ritenevo che la parte più difficile sarebbe stata violare il sistema senza essere scoperto. Sono riuscito nel mio hackeraggio, eppure anche dopo aver analizzato centinaia e centinaia di voci, era chiaro che non c'era alcuna filo da seguire. Non ho trovato niente. Assolutamente niente. Nulla di strano che potesse nascondere uno scopo diverso, nessun prelievo di contanti da qualche posto insolito, e dubito che Seokjin si sia servito di qualche conto losco. Sono arrivato quindi all'unica spaventosa ma logica conclusione. Non c'è traccia di denaro semplicemente perché non c'è mai stato un trasferimento di denaro a favore di Seokjin.”

Un silenzio pesante seguì quella dichiarazione, e a Namjoon era rimasto almeno un minimo di lucidità per collegare i punti e capire cosa stava implicando Hyosang, ma dirlo ad alta voce, dirlo ad alta voce sarebbe stato come - essere investito da un camion.

"Per favore. Dimmi che questo non significa quello che penso significhi. Dimmi che non è andato là fuori con nient'altro che se stesso. "

Hyosang sorrise. Mesto.

“Seokjin è uscito con nient'altro che una valigia piena di vestiti e quello che era rimasto nel suo portafoglio. Nessun denaro dei Kim, nemmeno l'eredità che gli spettava come membro della famiglia l'ha seguito nella sua partenza. È la fuori da qualche parte. Solo."

Namjoon avvertì ogni muscolo irrigidirsi finché tutto il suo corpo non divenne un doloroso blocco di ghiaccio.

Dopodiché esplose.

Si alzò così bruscamente da rovesciare la sedia e ben presto si trovò a camminare avanti e indietro nella piccola cucina mentre il suo cervello correva a una velocità così folle da dargli la nausea.

“Avrei dovuto aspettarmelo. Tipico di Jin hyung saltare dalla scogliera più alta senza paracadute tranne il suo duro lavoro e la fragile speranza per il meglio. Che diavolo stava pensando quando ha creduto che fosse una buona idea? Voleva così tanto uscire dalla famiglia da bruciare tutto sull'altare della libertà o pensava davvero che la sua disgrazia, in cambio della mia vecchia vita, ne valesse la pena?"

Namjoon avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto ridurre tutto in piccoli pezzi fino a quando non fosse rimasto più nulla della realtà attuale.

“Trovalo, Namjoon. L'unica persona che sa dov'è, è mio padre ma a me non lo dirà mai. Sa che userei quell'informazione per riportare Seokjin in famiglia e rovinare i suoi piani. Ma se sei tu a chiederglielo, se trovi la leva per costringerlo ad aprirsi, potrebbe svelartelo perché sa che se non te ne frega niente dei giochi di potere della nostra famiglia. Vorresti Seokjin e basta. Quindi per favore, Namjoon, ti prego trovalo. Per il suo bene quanto per il tuo."

Namjoon si fermò a metà strada, affondando le dita nella massa sporca di capelli per la frustrazione, prima di emettere un ringhio come una bestia ferita presa a calci nella parte che fa più male. Ma poi si calmò, tornò sui suoi passi, riprese la sedia e ci si sedette sopra. Prese una boccata d'aria e dopo un lungo minuto disse.

“Io ... ho molte cose a cui pensare. Grazie per essere venuto qui e per avermelo fatto sapere, ma ora... se non ti dispiace ho bisogno che te ne vada,” esortò Namjoon all'improvviso.

Se Hyosang fu deluso dalla sua reazione, fece del suo meglio per mascherarlo. Si limitò ad annuire e, senza aggiungere altro, si alzò ed uscì dalla cucina. Namjoon lo sentì chiedere scusa al proprietario per l'improvvisata. Poi la porta principale si aprì e si richiuse e un silenzio pesante scese sulla casa.

Fu di breve durata, presto i passi di Yoongi si spostarono dalla porta principale alla cucina e poi apparve di fronte a Namjoon, le braccia incrociate e un'espressione vuota in viso.

"Cosa hai intenzione di fare Joon-ah?" Chiese con un finto tono disinteressato. Namjoon ridacchiò leggermente.

"Ho bisogno di fare una doccia. Prenderò in prestito una maglietta pulita se ti va bene e poi torno a casa. Grazie, Yoongi per avermi ospitato qui,” disse glissando sulla sua domanda.. Non si aspettava davvero una risposta, ma quando era già alla porta del bagno, sentì il sospiro di resa di Yoongi.

In qualche modo quel suono era il segnale di un nuovo cambio di passo.

Un'ora dopo era di nuovo a casa dei suoi genitori, accettando i rimproveri che si meritava. Non disse molto però, non credeva ne sarebbe stato grado per un po', non finchè non gli fosse riuscito di dipanare la matassa caotica di pensieri che aveva in testa. Quindi con il tono più di scuse che gli riuscì di padroneggiare, chiese semplicemente di ritirarsi nella sua stanza per riposare.

Rimase lì per tre giorni di fila.

Ne uscì solo per mangiare e per i bisogni primari. Ad ogni modo anche se aveva bisogno dell'isolamento, ci teneva a prendere parte a tutti i pranzi in famiglia e si assicurava di rimanere li abbastanza a lungo per aiutare sua madre a sparecchiare e lavare i piatti, come per scusarsi del suo comportamento asociale.

Come aveva detto a Hyosang, aveva bisogno di tempo per pensare. Per riflettere.

Perché i passi successivi richiedevano tutto il suo acume ed erano i passi più cruciali che avesse o avrebbe mai fatto in tutta la sua vita.

Rimase nella sua stanza, a pensare, a sezionare, a tramare, a rielaborare ogni possibilità finché infine il piano prese consistenza. Arrivò persino a stilare un elenco di azioni che teneva con se nella tasca dei pantaloni, un promemoria per tenere sotto controllo il suo programma e spuntare i passaggi che superava man mano che procedeva.

Era maniacale. Era anche quanto più vivo si fosse sentito da quando era stato cacciato da villa Kim.

Il quarto giorno, Namjoon uscì dalla sua stanza lavato e vestito di tutto punto con degli abiti che finalmente profumavano di pulito. In qualche modo, sembrava un uomo nuovo.

Si sentiva nuovo. Era ancora friabile ma si sentiva anche più concreto di quanto non lo fosse stato per mesi. Forse anni. Come qualcuno che era riuscito a incollare i pezzi di se stesso e ricomporli per uno scopo

Era stato imperdonabile. Aveva lasciato che troppo tempo andasse sprecato, ma per fortuna ora finalmente stava per porre rimedio a questa mancanza. Eccome se mi avrebbe posto rimedio.

"Mamma, vado all'università per sistemare la mia situazione. Sarò di ritorno per pranzo ", annunciò Namjoon a colazione facendo quasi sussultare tutti nelle loro tazze di caffè. Dopo un veloce ma ricco pasto, prese il suo zaino, vi infilò dentro il portafoglio e i documenti e si diresse alla fermata dell'autobus con stampato in volto il primo sorriso da quando era tornato.

Cercare di districare la sua situazione accademica non fu facile, ma ben presto scoprì che non solo i documenti sebbene secretati esistevano ancora, ma che il duro lavoro che la famiglia Kim gli aveva fatto fare non era andato del tutto sprecato. Nonostante non fosse più un erede Kim, i suoi record accademici erano ancora innegabilmente impressionanti, nome di famiglia prestigioso o meno. Tuttavia, cambiare corso non sarebbe stato veloce e nemmeno augurabile viste le circostanze ma se teneva duro un altro anno sarebbe riuscito a sia a finire sia seguire il corso che gli era sempre interessato. Scoprì anche che la famiglia Kim aveva corretto i suoi documenti con il suo effettivo anno di nascita una soluzione efficace per confondere le acque nel caso qualcuno si fosse degnato di indagare.

Riordinare le cose con l'università gli portò via gran parte della mattinata e così decise di tornare a casa come aveva promesso alla sua famiglia.

Approfittò del tempo che gli restava per mandare un messaggio a Yoongi e spiegargli cosa aveva in mente. Per poter fare domanda presso il dipartimento che voleva frequentare, aveva bisogno del punto di vista imparziale del suo primo mentore musicale. Yoongi acconsentì di aiutarlo e Namjoon fu contento di essere riuscito in un giorno a spuntare tante voci dalla sua lista.

Era sicuramente un buon inizio, ma neanche la metà di quello che doveva fare per coprire tutti i passaggi fino alla sua destinazione finale.

Un punto importante del suo programma era trovare un nuovo lavoro. Il lavoro al pub, a parte la sua flessibilità e la sua indubbia atmosfera interessante, non faceva bene alla sua salute. Era meglio se da quel momento in poi del pub visitasse solo il palco e non il bar.

Nel pomeriggio andò a parlare con il proprietario che non fu molto sorpreso dalle dimissioni di Namjoon e con suo sollievo, nemmeno turbato. Gli suggerì persino alcuni buoni posti in cui provare a chiedere un lavoro.

Anche con queste indicazioni, gli ci vollero diverse settimane per trovare un lavoro part-time che gli permettesse di sostenersi durante i suoi studi. Era stato particolarmente entusiasta di spuntare quella voce dalla sua lista delle cose da fare visto quanto tempo gli ci era voluto, ma anche così sapeva che accontentarsi del primo lavoro che gli capitava non sarebbe servito al suo scopo.

Durante quel paio di settimane, non era rimasto comunque improduttivo.

Aveva dovuto lavorare sul suo portfolio per presentarsi al comitato di ammissione per essere accettato e così si era trovato in strane ore del giorno almeno tre giorni alla settimana, spalla a spalla con Yoongi a cercare di salvare ciò che poteva essere salvato del suo vecchio lavoro e trovare nuovi testi per vecchi brani.

"Lo stai facendo, non è vero?" Chiese Yoongi all'improvviso nel mezzo della loro sessione.

"Non so di cosa stai parlando," disse Namjoon, cercando di fare lo gnorri.

In qualche modo era riluttante a dare voce ai suoi piani perché aveva paura che dirli ad alta voce li avrebbe resi meno realizzabili.

"Non provare a svicolare. So cosa stai cercando di fare. Le pareti del mio appartamento sono piuttosto sottili,” insistette Yoongi, irritato. "Avevi una possibilità Namjoon e l'hai gettata al vento."

"No, non ce l'avevo. Avevo solo le briciole della scelta di qualcun altro. Questa volta invece è una mia scelta e se anche andasse in malora, rimarrebbe comunque qualcosa che ho voluto io, qualcosa per cui ho lavorato e forse il mio cuore rimarrà a pezzi per sempre, ma almeno saprei di averci provato fino alla fine. "

Yoongi non disse altro in merito e così Namjoon pensò che l'argomento fosse stato messo definitivamente da parte.

Eppure, quando ormai Namjoon era sulla soglia pronto per tornare a casa Yoongi lo guardò e disse.

"A volte non so se sei solo stupido o pazzo."

"C'è chi lo chiamerebbe amore,” Namjoon rispose con un sorriso sulle labbra prima di uscire dall'appartamento di Yoongi.


 


 


 


 

Col passare dei giorni le voci nella sua lista furono progressivamente cancellate fino a quando ne rimasero solo due e non per niente erano anche i punti più importanti del suo piano.

Il loro successo, o fallimento, avrebbe fatto la differenza tra felicità e disperazione. Avrebbe determinato il corso della sua vita.

Ecco perché Namjoon si prese un paio di giorni per se stesso: aveva bisogno di prepararsi mentalmente e psicologicamente prima di lanciarsi nel vuoto.

Si disse che aveva fatto bene i compiti e che tutto il tempo passato con i Kim a tenere discorsi pubblici e a bluffare per restare a galla, doveva infine servirgli a qualcosa.

E sebbene gli avesse procurato imbarazzo provare il discorso davanti allo specchio, sapeva che non poteva permettersi di tralasciare alcun dettaglio, la posta in gioco era troppo alta.

I suoi sentimenti erano nulla in confronto a riuscire.

L'aver costruito un piano gli aveva ridato uno scopo, e il lavorare per raggiungerlo gli aveva dato speranza. Alla luce della sua lucidità ritrovata, Namjoon non riusciva a perdonarsi le settimane – i mesi - di debolezza. Ed ora viveva nel terrore dei danni che il suo immobilismo poteva aver causato.

Questi e molti altri pensieri gli passavano per la testa e in qualche modo per quanto difficili da digerire, rassicuravano anche la sua convinzione. Il terzo giorno dopo il suo ritiro, dopo aver ripassato per ennesima volta il suo piano mentalmente e averlo trovato inattaccabile, infine si ritenne pronto. Pronto a chiudere il cerchio.

Chiamò Hyosang allora, e gli chiese quel favore che sapeva il suo ex cugino acquisito non poteva rifiutargli e da come fu pronto ad esaudirlo, Namjoon capì che forse c'era un Kim con ancora un cuore nella famiglia. Hyosang doveva infatti sapere che Namjoon non sarebbe mai riuscito a ripagarlo.

Fu così che Namjoon qualche giorno dopo si ritrovò a suonare il campanello di un'altra villa Kim. Hyosang stesso gli aprì la porta. Si guardarono negli occhi ma non dissero una parola, Namjoon si limitò a seguirlo dentro casa mentre cercava con tutto se stesso di apparire calmo e non come uno sull'orlo di un crollo emotivo.

Mentre si trascinava lungo i corridoi dietro Hyosang, non poté fare a meno di notare come quella casa fosse diventata simile in atmosfera alla dimora Kim in cui Namjoon aveva vissuto.

L'aria infatti era così densa e pesante che si poteva tagliare con un coltello. Non poté fare a meno di provare un pizzico di tristezza per come la situazione era cambiata. Quel posto era stato una specie di rifugio sicuro per lui e Seokjin, un posto dove potevano divertirsi lontano dall'occhio del console Kim.

I cambiamenti in quella famiglia venivano pagati a caro prezzo.

Quando finalmente arrivarono a destinazione, Hyosang si voltò e fissò Namjoon un ultima volta. C'era un augurio di buona fortuna e c'era anche del rimpianto nel suo sguardo. Non espresse nessuna di quelle cose, gli mise una mano sulla spalla e la strinse per appena un paio di secondi, prima di voltarsi e lasciarlo al suo destino.

Inalò profondamente. Questo non era nemmeno il passo più difficile, si disse prima di alzare la mano e bussare con decisione.

"Hyosang, sei tu? Entra!"

Namjoon non era affatto Hyosang, ma cos'era quel dettaglio davanti alla sua determinazione, quindi abbassò la maniglia e aprì la porta.

Fortunatamente per lui, il nuovo erede non si accorse del suo errore fino a che Namjoon non chiuse la porta dietro di sé e fatto un paio di passi all'interno. Il momento in cui alzò la testa dai documenti, era già troppo tardi per lui.

"Tu!" esclamò come se Namjoon fosse un criminale e non un parente nemmeno qualche settimana prima. "Come sei arrivato qui? Chiamo la sicurezza!"

Con uno scatto felino che sorprese anche se stesso Namjoon fece balzo in avanti e tirò forte il cavo del telefono staccandolo violentemente dalla presa. Il padre di Hyosang lo guardò scioccato. Namjoon tremava ma sapeva che era arrivato il suo momento.

"No, non lo farai. Perché se lo fai, ti lascerai scivolare tra le dita la possibilità di fermare ciò che ho programmato che accada se non ottengo ciò che voglio,” disse Namjoon con una padronanza di se e una sicurezza che non erano reali, si sarebbe quasi applaudito da solo per la sua performance (invece stava serrando la mascella così forte da farsi male).

Il padre di Hyosang si riprese dallo shock iniziale velocemente al sentire quelle parole. Guardò Namjoon con sospetto ma vi era abbastanza determinazione negli occhi Namjoon da rendere perfettamente reali e credibili le sue minacce. Namjoon intuì che il nuovo erede era incline a prenderlo sul serio o comunque che forse ascoltare quello che aveva da dire prima di chiamare la sicurezza non avrebbe fatto troppo male.

La sua mano ferma a mezz'aria ancora nell'atto di prendere la cornetta del telefono, tornò a giacere sulla scrivania.

"Non so se ti rendi conto di quanto sia pericoloso e controproducente per te, anzi chiunque, minacciare l'erede del titolo di console. Ma dato che una volta eri parte di questa famiglia ti concederò un minuto del mio tempo. Dopotutto sono ancora uno dei tuoi estimatori e dio solo sa quanto deplorevole sia che quel tuo cervello eccezionale vada sprecato. E' andata come doveva andare immagino. Ad ogni modo anche sapendo quanto sei intelligente, voglio proprio capire che cosa esattamente ti faccia credere di avere il diritto di parlarmi così a casa mia,” rispose l'uomo con cautela ma certo non con poca arroganza.

Da una prima impressione veloce, suonava meno subdolo di suo fratello maggiore, ma parlava comunque con il tono di chi è vissuto in cima alla catena alimentare sin da quando è al mondo e per questo crede di aver ragione di guardare tutti dall'alto in basso. Namjoon si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto perché il potere finisse per corromperlo definitivamente. Troppo poco probabilmente come del resto era accaduto a tutti i membri di quella schiatta maledetta.

Tranne Seokjin, ed era per questo che Seokjin aveva rinnegato se stesso.

"La famiglia Kim ha spostato mari e monti pur di avermi. Mi hanno trascinato qui prima del tempo, hanno falsificato i miei documenti e Dio solo sa cos'altro avete fatto per assicurarmi un posto nei vostri piani futuri. Perciò sono sicuro che quando Seokjin è venuto a negoziare la sua resa con te, non è stata soltanto una grande sorpresa, ma persino troppo bello per essere vero. L'erede che ti dà i regni dell'impero e non ti chiede nulla in cambio? Immagino sia stato il giorno più bello della tua vita."

"Ti sbagli, Namjoon," lo interruppe l'altro. In apparenza appariva composto seduto li sulla sua sedia, ma le sue spalle erano tese e tutto il suo atteggiamento era decisamente sulla difensiva. Anche lui come Namjoon stava bluffando.“Qualcosa Seokjin lo ha preteso, ma non per se stesso. È quel qualcosa che mi obbliga a non intervenire ora ed è sempre quel qualcosa che ti ha permesso di tornare pacificamente alla tua vecchia vita, senza che mio fratello maggiore potesse farci nulla."

"Non avevo ancora finito. E poi non ho nessuna voglia di parlare di come hai approfittato di Seokjin solo per soddisfare la tua avidità di potere. Come hai detto tu una volta ero anch'io un membro della famiglia e sono abituato ai vostri metodi.”

"Non ne ho approfittato, è lui che si è offerto. Dopodichè ha pensato bene di ricattarmi, proprio come stai cercando di fare tu ora. Il fatto è che in effetti lui alcune carte da giocare ce le aveva. Mentre dubito che tu possa dire lo stesso."

"Mi hai interrotto di nuovo," disse Namjoon stavolta tradendo un moto di nervosismo. Perchè mai i Kim sembravano trarre piacere dal dare aria alla propria bocca?

“Ho toccato per caso un nervo scoperto? Scommetto che muori dalla voglia di sapere cosa mi ha detto, cosa ha promesso e cosa ha chiesto. Quali parole pensi che abbia usato per comprare la sua uscita?”

Namjoon si era sbagliato. Quest'uomo era vile tanto quanto il fratello

"Cosa, all'improvviso il gatto ti ha mangiato la lingua?" il padre di Hyosang lo canzonò. La verità era che se c'era una cosa a cui Namjoon non era pronto, era sentire come era andata.

Non voleva ascoltare la storia, non voleva avere tatuate per sempre nella sua mente le immagini di come Seokjin aveva scambiato la sua ricchezza, il suo status, tutto quello che era e che aveva, solo per ottenere la libertà per entrambe. Non voleva sentire delle rinunce e dei terribili compromessi a cui era sceso per mantenere Namjoon al sicuro.

Questo pensiero più di ogni altro lo aveva perseguitato da quando Hyosang era andato a casa di Yoongi. Sapere che Seokjin era da qualche parte in quella grande città a cercare di sopravvivere da solo e senza l'aiuto di nessuno mentre Namjoon era rimasto a vegetare, e a sprecare il suo tempo a piangere il suo destino. Aveva osato lamentarsi del suo senso di abbandono quando era stato il suo atteggiamento, sin dall'inizio, quello che alla fine aveva contribuito a rendere dura la vita di Seokjin.

Per questo Namjoon avrebbe messo a posto le cose ad ogni costo. Trasse un profondo respiro, guardò dritto negli occhi lo scherzo di uomo che aveva davanti e, con tutta la convinzione che aveva e anche quella che non aveva, diede l'ultimo passo.

“Sono entrato nel sistema governativo,” iniziò Namjoon come se non avesse sentito neanche una parola delle insinuazione velenose di quella serpe. “Ho fatto la mia bella passeggiata nel server e sono riuscito a raccogliere, diciamo, alcuni documenti interessanti. No. Non i più incriminanti puoi stare tranquillo. Sei il proprietario della stampa nazionale e nessuna stazione televisiva o giornale li pubblicherebbe mai. Ho raccolto altri documenti i quali non hanno bisogno di arrivare al pubblico per potervi rovinare. Basterebbe inviarli a qualcuno più interessato, diciamo, tanto per citare un nome a caso, la famiglia Park? Diciamo il secondo console Park. Ecco se lui ricevesse questi documenti non si farebbe certo scrupoli ad usarli e radere al suolo più di due secoli di dominio della famiglia Kim.”

Con immensa soddisfazione, vide la paura farsi strada sul volto del padre di Hyosang. Era vicino. Aveva solo bisogno di stringere i denti e dargli un'ultima spintarella.

"Stai mentendo", cercò di ragionare il nuovo erede, scuotendo la testa in segno di diniego. “Il tuo account era stato cancellato il momento stesso che hai messo piede fuori dalla villa Kim. Anche quello di Seokjin. Non è possibile che tu abbia avuto accesso ... "

"Vero. Ma non ho usato né il mio né quello di Seokjin. Ho usato le credenziali della signora Choi." Il volto del padre di Hyosang era pallido come un fantasma. Namjoon sorrise, recitando la sua parte con ritrovata sicurezza.

“Ci avete sempre sottovalutato. Seokjin e me. E voi Kim vi siete sempre sopravvalutati. Siete stati voi a istruirmi sui protocolli di sicurezza, voi a darmi accesso alle vostre routine al vostro personale credendo di usarmi senza sapere che io imparavo e seminavo. Sapevate – sapevi - che conoscevo a memoria tutti gli account e le password di tutto lo staff e di tutti i membri della famiglia? Anche quelli di tuo figlio tra l'altro perché una volta lo ha usato davanti a me e come sai, ho solo bisogno di vedere le cose una volta per ricordarle. Credevi che fossi stupido? Non mi avete forse reso un membro della famiglia per via del mio quoziente intellettivo?" Le mani dell'uomo tornarono al telefono sulla scrivania anche se sapeva che non c'era linea. Namjoon lo vide cercare il suo cellulare e allora gli diede il colpo di grazia. "Non mi preoccuperei di chiamare il reparto IT se fossi in te. Hyosang usa il suo account anche dall'università e ho visto la signora Choi accedere al suo anche quando va al bar, quindi non c'è modo di sapere se sono stato io o loro ad accedere. Quindi, dati questi fatti, la domanda è: sei disposto a correre il rischio di credermi un bugiardo? E sapendo quanto sono intelligente, penseresti davvero che non ho un piano di riserva nel caso decidessi di arrestarmi ora? Inoltre, se mi succede qualcosa e Seokjin lo scopre, non credi allora che lui userebbe quelle carte che ti avevano convinto così bene a fare quello che lui ti chiedeva?"

L'uomo di fronte a lui strinse i pugni per la rabbia e Namjoon vide, lo lesse nel modo in cui i suoi occhi vagavano nervosamente sulla scrivania, come stava cercando disperatamente una via d'uscita, ma vide anche come quei pugni si aprirono e poi finalmente il suo corpo rilassarsi in segno di resa.

Eppure, quando alla fine disse le parole che aveva tanto voluto sentire, Namjoon dovette sforzarsi di mantenere la sua compostezza un po' più a lungo, solo un po' più a lungo, fino a quando non sarebbe stato in grado di precipitarsi fuori di lì e urlare a tutti gli dei e le divinità là quanto terrore aveva provato alla prospettiva di fallire e perdere tutto.

"Bene. Dimmi cosa vuoi. Negoziamo."

Namjoon inspirò, inghiottì i suoi sentimenti e con il suo ultimo scatto di fiducia, entrò, si sedette di fronte all'erede dei Kim e procedette finalmente a spuntare l'ultima voce del suo piano.

Solo quando uscì da casa Kim, Namjoon si rese conto dell'immensità di ciò che aveva fatto. Aveva appena costretto l'umo più potente del mondo a fare ciò che volevo solo con due bugie ben centrate e una faccia di bronzo che c'erano voluti tre giorni per rendere credibile. Namjoon schizzò via dalla villa alla velocità della luce e non si fermò finché non mise tra se stesso e i Kim dietro almeno un paio di chilometri, incurante delle proprie gambe indolenzite. Non avrebbe mai più calpestato suolo Kim. Mai più.


 


 


 


 

Per l'occasione Namjoon aveva voluto pulire e riorganizzare la sua camera da letto da cima a fondo. Iniziò con il liberare ogni cassetto e superficie da tonnellate di unitili fogli di carta e da pile disordinate di cd e libri che si erano accumulati negli anni.

Mentre riordinava questi ultimi, non poté fare a meno di avere un ricordo per ogni copertina che accarezzava.

Sperava di tornare e poter dare loro una casa ancora più bella.

Riorganizzare i suoi vestiti che giacevano in cumuli disordinati nel suo guardaroba si rivelò più complicato ma con molta pazienza e dopo molti improperi verso se stesso, riuscì a venirne a capo. Fece allora una scelta funzionali di abbinamenti sufficienti a duragli almeno una settimana ma che al tempo potessero stare senza occupare troppo spazio in un borsone e il resto lo lasciò in ordine a accuratamente appeso e rimesso via nel sul armadio in attesa, si sperava, di ricollocazione.

"Te ne stai andando,” Namjoon sapeva che nel momento in cui avrebbe alzato la testa i suoi occhi si sarebbero posati su un molto battagliero Min Yoongi.

"Te l'ha detto mamma?" Chiese Namjoon in tono casuale.

Non voleva salutare, non voleva addii semplicemente perché il suo non lo era. Quello che si accingeva a fare era solo la naturale progressione delle cose, la sua naturale progressione.

Namjoon aveva deciso, di sua volontà, quali sarebbero stati i suoi passi futuri e ora dunque era arrivato il momento di raccogliere.

Era spaventato? Si, ma a spaventarlo era quello che lasciava che quello a cui andava incontro. La sua amicizia con Yoongi era preziosa ma correva anche un filo teso al massimo e aveva paura che non avrebbe sopportato un altro colpo.

Namjoon sperava che muoversi verso fini opposti non significasse necessariamente essere strappati dalle loro radici comuni.

"Tua madre mi ha solo fatto entrare non mi ha detto nulla dei tuoi piani. Ma sei qui con una borsa piena di vestiti, la tua camera da letto è pulita e in queste settimane tu hai fatto e mosso più cose che da quando ti conosco. E se questo non fosse abbastanza un segnale, hai una tale aria di sollievo misto a determinazione, che non ci vuole un genio per capire che te ne stai andando. Volevi tenermelo nascosto?"

“Cercavo di evitare che tu mi prendessi a calci?" Namjoon ribatté in tono scherzoso.

Yoongi ridacchiò ma la sua risata era nervosa e le sue dita continuavano a tamburellare impaziente lungo i fianchi.

Arrabbiato non era la parola giusta per descrivere il suo migliore amico. Yoongi sembrava irritato. Sembrava per lo più triste.

"Non mi sto arruolando nell'esercito per combattere una guerra dalla quale non tornerò mai più, Yoongi. Sto solo agendo a modo mio, per una volta."

"Lo so. Ed è questo il motivo per cui è più difficile accettarlo.”

Namjoon per un attimo smise di ripiegare i vestiti e spinse il borsone da parte.

Se c'era una cosa, un rimpianto che avrebbe sempre portato con sé, era il dover tenere dentro di sé la verità e convivere col fatto che non avrebbe mai potuto condividerla. Ma Namjoon non poteva rischiare di dare una giustificazione alla tristezza che Yoongi causava a se stesso e agli altri e non poteva nemmeno rinunciare ai suoi piani solo per farlo sentire meglio. E anche se Namjoon avesse voluto, non avrebbe potuto fare nulla per salvarlo da se stesso.

"Ti manderò il mio indirizzo una volta che mi sarò sistemato. Ho affittato una piccola stanza nel caso ..." Namjoon non voleva nemmeno immaginare quell'eventualità, ma doveva. Non era più un bambino che fissava le stelle ed esprimeva un desiderio, ma un adulto che si stava facendo strada nel grande e pieno di insidie mondo, “nel caso le cose non vadano come spero.. Ma in ogni caso, non mi trasferisco in un altro paese, al massimo dall'altra parte della città."

"Allora ci vediamo tra una settimana?" Chiese Yoongi inarcando le sopracciglia scettico ma per fortuna non beffardo. Namjoon apprezzò profondamente la mancanza di sarcasmo. Annuì incerto su cosa dire. Yoongi mormorò qualcosa riguardo al controllare cosa stava preparando sua madre per cena e Namjoon lo lasciò andare, decidendo di restare ancora qualche attimo da solo.

Aveva odiato profondamente il sistema di assegnazione delle anime gemelle. L'introduzione non aveva contribuito per nulla a cambiare quel sentimento e per molto tempo aveva provato rabbia anche nei confronti della persona assegnatali. Si era risentito di Seokjin per essere non solo l'anima gemella che non aveva mai voluto incontrare, ma anche per essere chi era, un Kim, e quindi responsabile dell'annientamento dei suoi sogni.

Eppure in qualche modo anche se aveva odiato il suo nome e aveva odiato il modo in cui era venuto a far parte della sua vita, non gli era riuscito di odiare Jin e infine, dopo una lunga strada e neanche troppo tempo, aveva realizzato che ogni sogno che aveva mai sognato ammontava a zero se lui non c'era.

Seokjin poteva anche non essere la sua anima gemella, ma sarebbe sempre stata la persona di cui Namjoon si era innamorato. E questo cambiava tutto.

Forse quello che aveva fatto era inutile e forse lui si stava dirigendo verso il più epocale dei fallimenti, ma era pronto a fare un atto di fede e buttarcisi dentro. Questa volta almeno sarebbe stato perchè l'aveva scelto lui.


 


 

La mattina seguente Namjoon fu accolto da un cielo nuvoloso. Niente sole e niente pioggia e Namjoon pensò che fosse un segno. Era indefinito come il suo umore e incerto come il suo destino, un perfetto equilibrio tra angoscia e aspettativa.

Fece una doccia veloce, si vestì e senza poter sopportare di rimanere un secondo di più intrappolato dentro quattro mura senza sapere prese la sua borsa piena di vestiti e di speranze, e uscì dalla casa dei suoi genitori senza nemmeno fare colazione, senza nemmeno una parola, avendo ostinatamente deciso che non era un addio anche se in qualche modo lo era.

Nel bene e nel male. Il Namjoon che era cresciuto lì non sarebbe più esistito.

L'indirizzo che aveva ottenuto in modo così incredibile indicava una parte della città più suburbana che non aveva mai visitato. Doveva prendere una combinazione di autobus per arrivarci e anche se non si fidava affatto del suo senso dell'orientamento, si fidava del suo telefono e del fatto che lo avrebbe portato a destinazione.

Le sue membra si sentivano pesanti e intorpidite e la sua cassa toracica costretta, era felice quindi di avere un lungo tragitto e una scusa per rimanere seduto. Dubitava sarebbe stato in grado di mantenere un controllo sui suoi arti gelatinosi.

Era arrivato così lontano ma all'improvviso si sentiva piccolo e insicuro e non poté fare a meno di chiedersi se non avesse scommesso più di quanto potesse ragionevolmente aspettarsi e, man mano che la sua destinazione si avvicinava, i dubbi e le paure si fecero più pressanti.

E se Yoongi avesse avuto ragione. E se tutto quel casino fosse accaduto per una ragione e quella ragione era bruciare i ponti e lasciarlo andare? E se ... tutti i suoi sforzi si fossero rivelati inutili perché la verità era che Seokjin lo aveva lasciato andare solo per lasciarlo indietro.

Smettila subito Namjoon. ti è stata concessa la libertà. Te l'ha dato per usarla come desideri ed è quello che stai facendo.

Nonostante la crisi interiore a Namjoon rimase abbastanza presenza di spirito da accorgersi quando cambiare autobus e in qualche modo, anche se col cuore in tumulto, arrivò alla sua ultima fermata.

Restavano solo trecento metri da percorrere.

Cercò di calmare i suoi battiti e di sincronizzarli ai ritmo dei suoi passi - lo scricchiolio delle sue scarpe da ginnastica sull'asfalto stranamente rassicurante.

Si guardò intorno, cercando di distrarsi magari con la bellezza del paesaggio, ma non poté fare a meno di notare come quella parte della città, nonostante non sembrasse pericolosa, apparisse decisamente più modesta e più rovinata del suo quartiere.

Dalle case rattoppate e dalle vecchie auto parcheggiate lungo la corsia, era evidente che questo era un posto per persone che lavoravano molto duramente giorno per giorno con l'unico obbiettivo di arrivare a fine mese.

Voglio comprarti una casa, voglio comprati una macchina, voglio darti tutto ciò di cui potresti aver bisogno o desiderare, voglio essere in grado di portarti così in alto che anche una caduta non significherà il tuo crollo.

L'indirizzo che il padre di Hyosang gli aveva dato, portava a un vecchio edificio grigio proprio dietro l'angolo. Namjoon prese un grande respiro. Il cancello principale era aperto e quindi non doveva suonare nessun campanello, il che era una buona cosa considerando che dubitava che avrebbe mai trovato un nome familiare sull'interfono.

Non c'era l'ascensore quindi aveva quattro rampe di scale da percorrere. Almeno poteva fingere che il suo fiato corto fosse dovuto all'attività e al fatto di essere sull'orlo di una crisi di nervi.

Quando, finalmente, la porta giusta con il numero giusto gli apparve davanti, il cuore di Namjoon vacillò. Eccolo lì il suo obbiettivo. Tutte quelle settimane di duro lavoro erano servite a portarlo a quel preciso istante, in quell'esatto posto.

Tutti i suoi intrighi da quando Hyosang era andato a trovarlo nell'appartamento di Yoongi, erano stati solo per avere la possibilità di bussare alla porta di Seokjin.


 

 


 

"Voglio sapere dov'è Seokjin," dichiarò semplicemente Namjoon.

L'uomo lo guardò. Sconcertato. Come se non potesse credere che tra tutte le cose che Namjoon poteva estorcergli, lui gli avesse chiesto solo un indirizzo.

L'uomo scosse la sua testa in evidente stato di incredulità. A Namjoon non importava un cazzo di quella che era la sua opinione. Kim poteva crederlo un delirante o addirittura pazzo per quel che lo riguardava. Voleva solo sapere dove era Seokjin.

Sai almeno fino a che punto Seokjin si è spinto per assicurarsi che nessuno potesse trovarlo? E ora, stai facendo anche peggio solo per farmi annullare ciò che lui si è dato tanta pena di ottenere! "

Namjoon si morse l'interno della guancia, nervoso.

Non era quello il momento di esitare. Anche se Seokjin avesse venduto la sua anima per ottenere l'aiuto e il silenzio di quell'uomo, Namjoon non avrebbe lasciato che fosse l'unico a farlo.

Non lo so e neppure mi interessa. Dimmi solo dov'è e poi ti prometto che non vedrai mai più la mia faccia.”

Il padre di Hyosang aveva scritto l'indirizzo su un post-it che ora giaceva spiegazzato nella tasca posteriore dei suoi jeans. Era stata la sua ancora durante tutte le lunghe settimane che gli ci erano volute per mettere in ordine i suoi affari e avere un regime di vita abbastanza regolare, da convincere Seokjin a prendere almeno in considerazione l'idea di accoglierlo.

Namjoon non se la sarebbe mai sentita di venire a bussare alla sua porta con solo il cuore da offrire. Perché questo non sarebbe mai stato abbastanza per ripagare Seokjin di tutto ciò che gli aveva regalato senza chiedere nulla in cambio.

Percorse gli ultimi passi finchè non si trovò davanti alla porta e poi, inesorabilmente, allungò la mano e premette il campanello.

Per un lungo momento non successe niente. Poi udì il rumore di passi veloci venire dall'altra parte della porta e infine, distintamente come il suono di mille campane nel mezzo del deserto, giunse la voce di Seokjin.

"Un attimo, arrivo!"

Namjoon era stato uno sciocco. Come aveva potuto pensare di essere preparato a questo momento? Non lo era, non lo era, ma prima che il suo cervello potesse in qualche modo districarsi, la porta si spalancò.

Seokjin sembrava stanco, più magro e decisamente più logoro, ma i suoi occhi scintillavano ancora della stessa luce calda e la sua bellezza sempre in grado di fargli mancare i battiti.

Era ancora Seokjin. Era tutto ciò di cui Namjoon aveva bisogno. E lui ne aveva fatto a meno suo malgrado per troppo tempo.

"Che diavolo ci fai tu qui?" Chiese Seokjin trafelato, mentre il suo viso perdeva ogni traccia di calore. Stava stringendo il manico della porta così forte che Namjoon poteva vedere le sue nocche diventare bianche. Non aveva chiesto come stava, non aveva chiesto come Namjoon fosse riuscito a trovarlo.

Sembrava più importante, apparentemente vitale, sapere perché Namjoon era lì invece di essere da qualche altra parte a godersi la sua nuova libertà.

Namjoon spostò goffamente il peso da un piede all'altro perché come poteva spiegare tutto ciò che voleva dire e far in modo che Seokjin capisse?

Così optò per il semplice. Sperando che sarebbe stato sufficiente. Sperando che Seokjin l'avrebbe miracolosamente creduto.

"Penso che sia ovvio, hyung," disse Namjoon indicando la borsa ai suoi piedi e tentando un timido sorriso. "Sono qui per stare con te," il se mi vuoi, era fortemente implicito considerando come la sua voce tremò.

Diverse emozioni passarono sul viso di Seokjin e lui stava ancora tenendo la maniglia stretta e se l'avesse tenuta più stretta, l'avrebbe certamente rotta, ma almeno non chiuse la porta in faccia a Namjoon. Non disse nulla, sembrava incapace di elaborare e di raccapacitarsi della realtà del momento.

Namjoon dubitava e temeva, temeva e dubitava, ma anche così rimase lo stesso lì ad aspettare un segnale. Poi vide gli occhi di Seokjin farsi impossibilmente lucidi e le sue spalle tremare e allora Namjoon non riuscì più a trattenersi.

Forse Seokjin lo avrebbe cacciato o forse chi lo sa, forse ...

Fece un passo in avanti, gettò la sua borsa da qualche parte senza curarsi di dove atterrava, e abbracciò Seokjin d'impeto, lo tenne stretto a sé, come se non potesse credere di averlo lì solido tra le sue braccia quando era stato così vicino a perderlo per sempre.

"Non osare lasciarmi indietro mai più, Jin," mormorò Namjoon affondando il naso nei suoi capelli in un gesto di affetto. Inspirò a fondo, cercando di memorizzare il calore e il profumo. Tutto.

E poi, all'inizio esitante, ma poi più sicuro, Seokjin avvolse le braccia intorno al suo torso e ricambiò l'abbraccio, e quando le sue dita affondarono nei vestiti di Namjoon, questi capì che la corsa era finita per entrambe. Seokjin lo strinse a se altrettanto forte, ancorandosi a lui come se fosse l'unica cosa che gli stesse impedendo di rovinare a terra.

"Non farlo più," sussurrò Namjoon e non fu sorpreso di sentire anche i suoi occhi inumidirsi.

"Ok," fu la risposta acquosa di Seokjin.

“Siamo in questo insieme. Insieme."

"Lo sai, lui non è nemmeno la tua vera anima gemella. Eppure tutti e due siete così determinati a rovinare voi stessi per l'altro, da far impallidire ogni legame creato dall'algoritmo. Dovrebbe essere impossibile."

Namjoon ridacchiò allora. Quasi rise.

"Da quando abbiamo bisogno che ci venga detto di amare, per poter amare, signor Kim?" Rispose Namjoon, prima di alzarsi e uscire, e non tornare più indietro.


 


 


 


 

Epilogo


Il loro secondo appartamento era ancora piccolo ma decisamente più comodo di quello in cui avevano abitato prima. Erano stati due anni avventurosi quello trascorsi in quel piccolo appartamento con una sola camera da letto e una cucina che era anche un salotto, ma anche se non era stato il massimo, Namjoon si era comunque sentito a casa. Dopotutto, quelle quattro mura avevano visto il suo ricongiungimento con Seokjin ed erano state il primo luogo che li aveva visti insieme e liberi.

Ad ogni modo, dopo un anno e mezzo di duro lavoro, ora potevano finalmente permettersi qualcosa di meglio. Quindi eccoli li, a inscatolare le loro cose sotto l'attenta supervisione e imperdonabile guida di Seokjin.

Seokjin si era scusato per il suo nervosismo e pessimo umore già diverse volte, ma a dire il vero Namjoon trovava il suoi modi prepotenti piuttosto sexy. Scosse la testa, non era il momento per quel tipo di pensieri.

Si caricò di altre due scatole e scese le rampe di scale. Mentre fissava l'auto già mezzo stipata di cose, Namjoon fu colpito da quanto il suo mondo fosse cambiato nell'arco di così poco tempo.

Eppure il cambiamento non era sempre foriero di sventure come una volta era solito pensare.

Cambiare aveva significato finire la sua laurea in economia per esempio. Sebbene Namjoon fosse stato accettato nel dipartimento musicale, Seokjin concordava con Namjoon sul fatto che lo sforzo fatto da Namjoon come studente di Economia non dovesse essere vano. Siccome seguire i corsi di due facoltà avrebbe mangiato a Namjoon troppo tempo, quest'ultimo aveva pensato di rinunciare a uno dei due.

"No. Non voglio che rinunci a nulla. Può esserti utile in futuro", aveva insistito invece Seokjin anche se una tale scelta avrebbe tagliato le ore che Namjoon poteva lavorare e costretto Seokjin a provvedere per entrambe per un po'.

Era stato un altro muro da scalare, una scelta difficile da accettare, ma ne era valsa la pena. Seokjin aveva ragione, ora aveva un'arma che gli altri musicisti non avevano, e gli era valso un lavoro part-time più redditizio di quello che avrebbe potuto ottenere come mero studente del dipartimento di musica. Quando non aveva corsi e non doveva passare da Yoongi curava i conti di una piccola azienda, che era anche il motivo per cui avevano deciso di trasferirsi. Il viaggio andata e ritorno dal centro era troppo macchinoso.

Anche se questo avrebbe comportato un investimento iniziale, alla lunga Namjoon sarebbe stato in grado di togliere un po' di peso dalle spalle di Seokjin, ed era tutto ciò che si era augurato.

Avevano certamente ancora molta strada da fare, ma era un buon inizio.

“Concentrati sulle cose buone, Joon. Lascia quelle brutte al passato,” Seokjin diceva tutte le volte che Namjoon si era sentito stanco o abbattuto.

Namjoon allora si sforzava di sorridere e non era così difficile, davvero, quando avevi le braccia di Seokjin a tenerti stretto.

Il cambiamento aveva anche significato che Seokjin si sarebbe finalmente sbarazzato dei lavori peggiori, quelli che lo lasciavano dolorante e svuotato, e più di ogni altra cosa il cambiamento avrebbe significato più tempo per entrambi, per fare ciò che piaceva a loro, e scoprire cose e persone nuove. E soprattutto più tempo da trascorrere solo loro due.

Aveva ventun anni, appena legale per bere e per essere considerato formalmente un adulto, eppure Namjoon sapeva perfettamente che corso voleva che la sua vita prendesse.

Certo se si guardava da lontano e con un certo senso critico, sapeva che le cose non erano andate esattamente come aveva immaginato quando era più giovane.

Per dirne una, non avrebbe mai potuto immaginare quanto si sarebbe sentito devoto e quanto sarebbe stato innamorato della sua anima gemella. E nemmeno come si sarebbe sentito appagato e felice di appartenere a questa persona e di lavorare per costruire una vita insieme.

Era stata dura, e lo sarebbe stata ancora, e ci sarebbero voluti altri anni per lasciarsi alle spalle le lunghe ombre della famiglia Kim.

Eppure, anche se si era allontanato così tanto dai suoi sogni di bambino, era contento di essere arrivato proprio dove si trovava ora. Lontano, così lontano da dove erano partiti lui e Seokjin. Eppure insieme.

Sempre insieme.


 

Nda: grazie a tutti quelli che mi hanno seguito in questa avventura. Oggi sento come aver perso una grossa parte di me ma so già che presto nuove storie ne prenderanno il posto vuoto e con questo nuovo estusiasmo. Spero vi sia piacuta questa corsa sulle montagne russe. Un abbraccio


 


 


 

   
 
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