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Autore: theastwind    07/11/2020    1 recensioni
E' una storia d'amore e d'avventura tra Nami e... il Rosso.
Ambientata nel lasso temporale collocato prima che la ciurma entri nel Grande Blu.
Genere: Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Shanks il rosso
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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49 – Il sabato del villaggio
 
Shanks era distrutto: tornò in fretta alla nave, passò davanti ai suoi uomini correndo e si chiuse nella cabina che ora ospitava la sua ragazza.
Si buttò sul letto che da un po’ accoglieva le sue meravigliose curve e immerse il viso nel cuscino per aspirarne l’odore e, finalmente, riuscì a prendere sonno, confermando quello che aveva intuito già da un po’: che poteva dormire solo se l’aveva accanto a se.
 
Si svegliò dopo mezzogiorno, tranquillo e riposato.
Guardava il soffitto della sua cabina e ripensava alla notte precedente che l’aveva visto spezzarle il cuore e piangere con Helena esattamente come vent’anni prima.
Una notte si era addormentato come un sasso, facendo uno dei soliti incubi frequenti dopo la morte di sua madre e che lo lasciarono in pace solo a distanza di qualche anno.
Sentendolo piangere nel sonno, Helena l’aveva svegliato e costretto a raccontarle tutto, facendogli confessare anche quanto si sentisse solo: era sempre stato un bambino coccolato dalla sua dolcissima mamma, figlio unico, e per certi versi viziato, di una donna che aveva avuto una vita difficile.
L’aveva lasciato all’improvviso a quattordici anni e lui, che si faceva chiamare uomo già a cinque, era invece, e lo sapeva benissimo, un bambino che, in preda alla paura di restare solo, aveva sterminato una nave carica di pirati e si era spaventato a morte per quello che aveva fatto.
Poi se ne era andato a fare il pirata e dall’infanzia era passato direttamente all’età adulta: voleva avere una nave tutta sua, una ciurma di amici tutta sua, girare il mondo e conoscere gente, tanta gente da riempire quel maledetto vuoto che si portava dietro da quella sera.
Si era detto e ripetuto che stava bene da solo, così era libero di fare quel che voleva e di andare dove voleva; si gettava in battaglia come una furia tanto non aveva paura di niente e nessuno; era forte e determinato perché così i suoi uomini potevano contare su di lui ad occhi chiusi; era sempre pronto ad ascoltare e a ridere, a dare una mano a chi ne aveva bisogno e le cose che lo facevano incazzare si contavano sulle dita di una mano.
Si era costruito inattaccabile: il suo unico scopo era quello di non poter essere ferito nell’anima, di non dover più soffrire.
E ci era riuscito: era diventato un pirata famoso e temuto, un pirata di fama mondiale, uno dei più grandi, amato e rispettato dai suoi uomini, aveva girato tutti i mari, aveva anche un fan sfegatato (Rufy) che lo adorava, aveva amici sparsi in tutti i continenti e anni ed anni di risate e avventure: la sua vita gli piaceva da morire.
Le volte, da allora, in cui aveva sofferto veramente erano state pochissime.
Aveva perso un braccio e gli era dispiaciuto, per un attimo aveva pensato di essere finito come pirata… non era stato facile imparare a vivere senza una mano, a fare tutto con maggiori difficoltà, a guardarsi nello specchio e vedersi a metà, mutilato…
Però Rufy si era salvato e questo era ciò che contava di più… se avesse conservato il braccio senza riuscire a salvarlo, allora avrebbe sofferto davvero, avrebbe visto morire il suo amico per colpa di quel coglione di masnadiero che senz’altro era stato indigesto al mostro marino… Tutto sommato, quindi, il braccio era davvero poco se paragonato al dolore che avrebbe provato per la morte di quel tipo gommoso che si portava a spasso per i sette mari il suo adorato cappello di paglia.
Con le donne poi era sempre stato molto onesto, all’inizio di ogni storia aveva sempre chiarito la sua prospettiva: lui era un pirata e non voleva legami di sorta. Doveva viaggiare e girare, poteva morire da un momento all’altro e l’idea di fare il marito o, peggio, il padre lo faceva soffocare.
E ora che pensava di stare tranquillo, di aver trovato la formula dell’inattaccabilità e non poter più soffrire, il destino aveva giocato il jolly e gli aveva mandato quella splendida e intelligentissima ragazzina, dal carattere forte e deciso, dolce e sensibile, navigatrice, ladra e pirata, unica nel suo genere, che di guai sicuramente ne aveva passati tanti ed era, lo sapeva e per questo l’amava da impazzire, decisamente più matura di lui, forte come lui non sarebbe mai stato.
Lei si lasciava sfottere e maltrattare, baciare e toccare, lasciava che lui giocasse con i suoi sentimenti e si comportasse come quel bamboccio che era e continuava ad amarlo imperterrita, riuscendo anche a minacciare con un pugnale una donna che conosceva da poche ore per farle capire fin dove poteva spingersi e dove no.
Senza pensarci più di tanto, Nami aveva urlato a tutto il villaggio di Neshua che lui le apparteneva, era il suo Rosso…
E quel vuoto che sentiva dentro e l’opprimeva nei momenti di solitudine e, il che è lo stesso, di intensa confusione, immenso, silenzioso e spaventoso spariva, si dissolveva quando lei lo guardava con quei dolcissimi occhi nocciola e diventava una calda luce avvolgente quando gli era vicina, quando gli camminava accanto.
Lui che era convinto di non poter appartenere più a nessuno, che pensava di essere completamente libero, aveva trovato una diciottenne con più palle di tutta la sua ciurma messa insieme (come aveva intuito subito Helena), una ragazza dolce e cara, ma pronta a difendere la sua proprietà a morsi e coltellate: e lui era suo… suo e basta!
Non faceva che ripensare a quell’urlo che gli aveva fatto venire i capelli bianchi: il cuore gli era esploso nel petto, mandando in mille pezzi il guscio di acciaio in cui era avvolto e gli impediva di dipendere, di appoggiarsi e di farsi aiutare da qualcuno.
E quando lei aveva urlato “Shanks è mio!”, aveva urlato ciò che sapeva da quando la conosceva: lei gli aveva pestato il piede e lui si era innamorato seduta stante, lo aveva rapito alla solitudine e ora sapeva che, in effetti e nonostante tutti i suoi sforzi, loro stavano insieme da quando si erano parlati la prima volta.
Erano due, una coppia, una cosa sola.
Si faceva in quattro per trovare ciò che li divideva, li separava e invece erano uguali, conducevano la stessa vita, amavano le stesse cose, avevano sofferto tutt’e due e si volevano bene, un bene immenso, profondo e sincero che se ne fregava dell’età, della pirateria, della libertà, del Grande Blu, della morte e del dolore.
Le aveva fatto credere di essere stato con Helena per convincerla e convincersi che fosse solo una ragazzina, per negarle quella femminilità che gli offriva senza esitazione da quando lo conosceva: lei non aveva nessuna paura di legarsi a lui e rischiava anche di più visto che poteva restare incinta a diciotto anni…
E invece era lui ad aver paura di far l’amore con lei e di scoprire quello che già sapeva: che sarebbe stato talmente bello, talmente dolce, talmente unico, da impedirgli di condurre una vita simile a quella che viveva da vent’anni; sarebbe stata la svolta, quell’esperienza che avrebbe chiuso il cerchio tracciato dalla collega di sua madre in quella notte di ventitré anni prima in cui aveva perduto solo la verginità.
Per certi versi era rimasto un bambino frignone e pauroso, capace di affrontare da solo interi bastimenti carichi di filibustieri e uscirne vincitore, ma incapace di mettersi in gioco veramente, di amare incondizionatamente e in profondità e di rischiare, di nuovo, quel dolore immenso che si prova quando si perde qualcuno che è diventato parte di sé stessi.
E capiva che nel momento esatto in cui avrebbe deciso di stare con lei, avrebbe scelto di diventare uomo, un uomo vero, di cambiare di nuovo la sua vita, per sempre…
Avrebbe scelto anche di fare a meno di lei, sopportandone la mancanza: sarebbe tornata da Rufy che certamente non gliel’avrebbe lasciata per nulla al mondo e del resto lui non gliel’avrebbe chiesto…
Loro erano compagni.
 
Adesso si sentiva meglio.
Non aveva preso una decisione, ma ci capiva qualcosa in più e aveva fatto chiarezza dentro di sé.
Si alzò a malincuore da quel letto che sapeva di lei e si ricompose, guardandosi attorno e riconoscendo i segni della presenza femminile:
“Ma da quando ci sono le tendine agli oblò?”
 
Era pomeriggio inoltrato ed era di nuovo nella sua stanza, felice.
Si sentiva leggera e aveva voglia di cantare anche se il seno e la pancia gonfi le facevano ancora male ed era debole: certo, Shanks aveva baciato Helena davanti ai suoi occhi… però… le parole della bella mora l’avevano comunque rincuorata.
Quei due non erano innamorati e questo le bastava.
Restava solo da capire perché Shanks si fosse comportato in quel modo:
“Forse sono io che ho interpretato tutto nel peggiore dei modi perché – e ripensava alle parole di Helena - sono una mocciosa che pende dalle sue labbra: sono talmente innamorata di lui da vedere tutto nero… però pure lui è parecchio strano…” – si disse, ripensando al bacio che aveva dato alla sua amica.
Ma era davvero troppo felice, debole e dolorante per riuscire a trovare il bandolo in quella intricata matassa.
Si provò tutti gli abiti che aveva comprato e ci mise una lunga ora a scegliere quello che avrebbe indossato la sera: ci sarebbe stata una festicciola in paese con balli e canti, birra e sakè e quei casinisti di pirati non se la sarebbero persa per nulla al mondo.
Avrebbe indossato un abito nuovo, mutande nuove, scarpe nuove e sarebbe stata la ragazza più profumata e fresca del villaggio solo per lui anche se non sperava più di tanto di destare la sua attenzione:
“Figurati – pensò con una fitta – se quello mi caca… E se dirà qualcosa, sarà per prendermi per il culo…
 
Uscì dalla camera tutta contenta e carica di boccette di liquidi profumati e colorati per fare un bagno ristoratore: arrivò davanti alla porta e la trovò semichiusa…
Dall’interno provenivano rumori e bisbigli: si mise ad ascoltare attenta. Riconobbe la voce di Shanks che sospirava e gemeva:
“Fai piano… no… mi fai male! Ecco… brava…”
Smise di respirare in preda ad un orribile presentimento…
Si fece forza, aprì la porta e, completamente in apnea, entrò come un ninja senza fare il minimo rumore.
Trovò Shanks immerso nella vasca da bagno con l’acqua fino alla gola e la testa rilasciata all’indietro che subiva i trattamenti della sua piccola parrucchiera personale che aveva le stelline negli occhi con quella testa rossa e lucida finalmente alla portata dei suoi sessanta centimetri e poteva torturarlo a piacere.
Nella sua piccola e dolce testolina di apprendista parrucchiera, già stava immaginando di usare tutte le cremine e le lozioni per le sue bambole e si sentiva felicissima, ridacchiava tra sé e lisciava i capelli straordinari di quel signore che ogni tanto la inondava di schizzi, facendola divertire come una pazza.
Nami trasse un profondo respiro, uscì dal bagno senza fare rumore, riaccostò la porta, riprese le sue cose e tornò in camera, lasciandosi andare pesantemente sul letto senza respirare in preda alla debolezza post trauma, ascoltando i sordi battiti del suo cuore che finalmente aveva ricominciato a funzionare: chissà perché aveva pensato di trovare il suo Rosso e la mora insieme nella vasca da bagno.
Chiuse gli occhi e cominciò a ridere scaricando la tensione che si era impadronita di lei: rideva istericamente come chi ha visto il fondo dell’abisso in cui stava per cadere e l’aveva scampata per un pelo.
Poi sentì Helena che dalla cucina chiamava Giada per la merenda e i passettini per le scale della piccola che si precipitava dalla mamma.
Dopo un po’ di tempo, nel silenzio di quell’immenso casolare, avvertì il rumore dell’acqua, il frusciare di asciugamani e i passi del suo Rosso nel bagno a poca distanza da lei: in preda ai calori associava a quei suoni i movimenti del suo splendido capitano che aveva approfittato della pausa merenda della parrucchiera per svignarsela alla chetichella.
Si alzò, corse verso la porta bruciando dalla voglia di aprirla, precipitarsi in bagno e buttarsi nella vasca insieme a lui che non doveva essere ancora completamente vestito…
Lo sentì scendere in cortile.
 
Raggiunse il resto della ciurma in tutta calma e solo quando scese il buio: si era guardata e riguardata nello specchio trovandosi decisamente carina e comunque meglio delle settimane precedenti…
Aveva passato ben due ore a decidere se truccarsi o no, se indossare gioielli o no, se mettere i tacchi o no… tutto per andare incontro ai gusti del suo Rosso.
“Ma come cavolo gli piacciono le donne?” – si domandava in preda all’isterismo mentre cambiava look in continuazione.
Alla fine si scazzò, smadonnò per un po’ e si mise un bel completino con una minigonna sul celeste scuro e una canottiera bianca, legata dietro il collo che lasciava la schiena quasi completamente scoperta, mettendo in bella mostra tatuaggio e relativa cicatrice: si guardò e si trovò carina anche perché quella canottiera le ingrossava il seno così non doveva sentirsi una tavola da surf rispetto a quel tripudio di curve che era la bella Helena.
Calzò i sandali nuovi e si mise due gocce di profumo dietro le orecchie.
“Mi trucco o no?” – era il grande dilemma.
Rimase mezz’ora a guardarsi in preda al dubbio e alla fine optò per un leggerissimo velo di rossetto.
 
“OH – MIO - DIO…” – fu il commento di Jonathan, uno dei più giovani della ciurma, quando la vide avvicinarsi illuminata dalle lampade dei portici della casa di Helena.
Gli altri rimasero in silenzio e la mangiavano con gli occhi: finanche Ben sbuffava il fumo con impeto, tradendo una palpitazione irregolare del ventricolo sinistro, Lucky aveva quasi lasciato cadere il suo cosciotto e il mento e Yassop si domandava come diavolo faceva suo figlio a navigare con quella bellezza e ad essere ancora sano di mente…
Non cercò il suo Rosso: sapeva che si era già avviato con Helena al villaggio e aveva lasciato parte della sua ciurma ad aspettarla.
In un silenzio castigato, quei poveretti si avviarono per scortarla al villaggio mordendosi i calli nel pensare che, fin dall’inizio, il capitano aveva fatto capire loro che lei era sua…
 
Arrivarono che la festa era già nel vivo e molti si davano alle danze: fra questi Shanks e Helena facevano la loro figura divertendosi come vent’anni prima.
Helena era bellissima e risplendeva sotto la luce della luna e delle lampade colorate:
“Sei uno spettacolo – le disse Shanks – e sento già alcuni ronzii - aggiunse ridendo – Sono loro i calabroni, vero? – le chiese accennando verso un piccolo sciame di maschi a caccia - Mi stanno uccidendo con lo sguardo: credo che non ancora mi scaraventano da qualche parte giusto perché sono un pirata…”
Lei rideva emozionata e un po’ brilla: il suo caro amico le aveva fornito il propellente per abbattere anche le ultime inibizioni e, visto che c’era, le aveva tenuto compagnia… Erano abbastanza fatti.
Poi la strinse e le chiese nell’orecchio:
“Sto per avere una scarica di pugni in faccia… - e rideva – ce n’è uno veramente incazzato che mi guarda più truce degli altri: è lui il candidato con maggiori probabilità?”
“Già… ma un po’ di gelosia non guasta mai… - poi aggiunse maliziosa – strusciami!”
“Sì vabbè… sei sempre la solita… - rise lui – ma questi hanno una voglia esagerata di farmi la pelle… ci vado male… se mi danno un morso, mi avvelenano – e rideva – sono tutti grossi! Non ho speranze, spero solo che i ragazzi arrivino in fretta…” – e se la strusciò abbondantemente mentre il capo calabrone diventava viola.
“Ahia! – rise, nascondendo la faccia nei capelli di lei – mi sa che l’ho fatto incazzare nero… aiuto… Ben… – lo vide avvicinarsi minaccioso e temette la rissa – beh… piccola, t’ho fatta girare abbastanza!” – finì il giro e la consegnò fra le braccia del tipo che doveva essere parecchio innamorato, lo guardò, gli sorrise e gli fece un cenno d’intesa che voleva dire: “E’ tutta tua! Lavoratela!” 
 
Adesso stava a guardare quei due darci dentro e sorrideva contento di aver aiutato la sua amica, evitato la rissa e fatto felice quel tipo grande e grosso che doveva avere un cuore d’oro, tutto innamorato della bella mora.
Poi la sua attenzione fu attratta da un altro gruppo di giovani e meno giovani che, all’improvviso, si era alzato e, con sincronia, aveva puntato in direzione ovest come un branco di cani da caccia:
“Avranno visto qualche papera…” - continuò nel suo paragone venatorio e s’incuriosì vedendo che tra i puntatori c’erano anche i suoi con la bava alla bocca.
“È grave – pensava, restando seduto perché gli girava la testa – se anche Ben alza un sopracciglio: vuol dire che è scesa una dea tra noi…”  
Poi un fulmine:
“…Se c’è Ben…” – si alzò di scatto improvvisamente sobrio e lucido e la vide…
Era lei la dea.
Guardava ammirata le coppie che ballavano in mezzo ai tavoli disposti su due grosse file senza preoccuparsi degli sguardi degli astanti: cercava il suo Rosso con gli occhi.
La guardò e, se ancora possibile, si innamorò di nuovo e di più.
“OH - MIO - DIO…” – mormorò senza emettere un suono dalla gola secca, adocchiando la fanciulla più bella della festa e rendendosi conto che una fiumana di maschi le si stava avvicinando lenta, ma inesorabile…
Aveva già l’affanno e si precipitò verso di lei correndo come un pazzo, passando per le zone buie come un gatto e avvicinandosi furtivo da dietro raggiungendola.
Tutti gli altri lo guardarono storto, ma lui accennò un “No” con la testa fissandoli uno per uno con un’espressione molto simile a quella che aveva terrorizzato il mostro marino al villaggio di Rufy…
Le si avvicinò ancora di più alle spalle che guardava neanche fossero di cioccolata, sentendosi mancare: non la vedeva dalla mattina, quella mattina al mercato in cui aveva gridato con tutto il suo fiato che lui le apparteneva, era il suo Rosso e che era tranquillamente pronta ad ammazzare per lui.
E in un lampo ricordò quel bacio della sera precedente, i suoi occhi rossi e gonfi, la sua espressione addolorata mentre lui si affaccendava con la sua amica…
“E tu sei la mia mocciosa…” – si disse, guardandola innamorato perso. Si chinò su di lei, avvicinò la bocca al suo orecchio, avvertì il profumo e sorrise.
“Se stai aspettando – le sussurrò piano con il cuore in gola mentre lei trasaliva nel riconoscere la sua voce e s’irrigidiva, arrossendo – che qualche bel ragazzo inviti a ballare la mocciosa più brutta, tappa e grassa della festa, stai solo sprecando del tempo: non vedo missionari nelle vicinanze…” – e rise, facendola rabbrividire.
“Allora siamo in due – ribatté lei restando immobile, emozionata per la vicinanza del suo dolcissimo Rosso – non ci sono neanche le suore di carità a questa festa… – e aggiunse ridendo – però potresti provare con quelle simpatiche vecchine tue coetanee lì in fondo, quelle che fanno l’uncinetto… non dico di ballare, - affondò mentre oramai erano partiti tutt’e due - ma sono convinta che potresti insegnare loro tutto sul punto a croce…”
E ridevano presi l’uno dall’altra, vicini, felicissimi di sfottersi e di essere di nuovo insieme: sentivano i sussulti delle loro risate, i loro vestiti che si sfioravano e i rispettivi profumi, faticando molto per non cedere alla tentazione di lasciarsi andare…
“Dovresti essere a letto a quest’ora… - mormorò lui soffiandole leggermente nell’orecchio per farla rabbrividire, godendosi i suoi capelli sul viso – le mocciose devono dormire e poi domattina salpiamo…”
“Non potevo dormire… - ribatté lei – ti avrei lasciato solo visto che Giada è già a nanna da un po’: qualcuno dovrà pure sacrificarsi…” – mormorò cotta a puntino, appoggiando la guancia contro quella di lui che si sentì fluire tutto il sangue al cervello.
Le adocchiava golosamente collo, spalle e tatuaggio e si perdeva nei riflessi ambrati della sua pelle, sentendosi mancare: lei aveva la tachicardia e una immensa e dolcissima confusione in testa che le faceva venire le vertigini e perdere l’equilibrio.
Rimasero per un po’ a ridere felici, guancia a guancia mentre i loro cuori continuavano a festeggiare e le loro ossa a tremare.
“Oh… Shanks…” – le girava vorticosamente la testa e la passione la stordiva mentre si lasciava andare catturata dal calore del corpo di lui, dal suo profumo e dalla sua guancia barbuta.
“Non mi va di fare l’uncinetto – sussurrò lui all’improvviso e piano, cambiando tono, strofinando la guancia contro quella di lei – e mi sa che sono parecchio ubriaco, ma… - e aggiunse eccitato con la voce che tremava – mi piace il tuo vestito… mi piace il tuo profumo e voglio ballare con te…” – le disse baciandola e mordicchiandola ripetutamente, stringendola a se come aveva fatto in quel pomeriggio meraviglioso mentre lei sentiva la vita defluire dalla spina dorsale, veniva e sveniva addosso al suo Rosso.
   
 
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