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Autore: Keeper of Memories    08/11/2020    1 recensioni
Questa storia si sviluppa sessant'anni dopo la battaglia del sistema Sol dopo il finale "controllo" e ripercorre le vicende di tre personaggi, inizialmente slegati tra loro: Rebekha T'Soni, figlia di Liara e irruente cacciatrice asari, Edward Anderson, spettro e nipote del ben noto eroe umano, e Selius Victrilius, soldato turian ligio al dovere.
Una minaccia antica e ben nota farà incrociare le loro strade, una parola che ancora fa tremare di paura la Galassia: i razziatori.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Laboratori della Typhoon Tecnologies (bagni), Noveria, 2246 EC

Rebekha chiuse a chiave il cubicolo in cui si trovava e si liberò della sua armatura da guardia del corpo, rivelando un abbigliamento abbastanza inusuale: una calzamaglia aderente nera che copriva busto e arti, o così sembrava a prima vista a un occhio disattento. Con l’aiuto dei suoi poteri biotici, spiccò un salto, ringraziando che i cubicoli fossero alti fino al soffitto, ed ispezionò le pareti.
Individuò immediatamente ciò che stava cercando: i sensori, posizionati ad intervalli regolari lungo il condotto. Avrebbero rivelato la sua posizione non appena avesse provato a intrufolarsi lì in mezzo, probabilmente misurando la sua temperatura corporea, una misura di sicurezza comune nei laboratori di qualunque corporazione abbastanza grossa.

Rebekha era arrivata preparata ma, per sicurezza, decise comunque di fare una prova: prese un rotolo di carta igienica e lo fece passare lungo parte del condotto, prima con un semplice lancio, poi facendolo levitare con i suoi poteri biotici. Ridacchiò tra sé e sé quando notò che i sensori non si attivavano se la carta igienica era circondata dal suo campo biotico.
La spiegazione era piuttosto semplice: l’energia oscura che compone i campi biotici, è totalmente invisibile a qualunque tipo di sensore o apparato di rivelazione, rendendo invisibile così anche l’oggetto che racchiude. (1)

Confermate le sue ipotesi, indossò ciò che restava del suo insolito abbigliamento, un paio di guanti neri e un passamontagna dello stesso colore, fece un respiro profondo e circondò il suo corpo con uno spesso campo biotico. A causa dell’estensione e della concentrazione necessaria, nessuna asari riusciva a mantenere un campo del genere per più di quindici minuti, nemmeno le commando migliori, ma non con la tuta che indossava. Era un prototipo fornito alle cacciatrici per essere testato sul campo e, in teoria, lei non doveva nemmeno averlo con sé. Ma nessuno se ne sarebbe accorto, giusto?

Premette un punto specifico della manica e la calzamaglia nera s’illuminò di una tenue luce blu, rivelando delle minuscole venature che correvano lungo essa, contenenti piccole quantità di eezo che, percorso da corrente, assumeva quella colorazione. Con l’ausilio dell’eezo, lo sforzo per mantenere tale campo era molto minore e Rebekha poté entrare nel condotto con facilità, scivolandovi come se la gravità non esistesse, invisibile agli occhi di chiunque.

Nonostante l’equipaggiamento avanzato, Rebekha sapeva di doversi sbrigare, non poteva mantenere quel campo all’infinito. Dopo pochi minuti a velocità sostenuta, arrivò all’apertura successiva del condotto d’areazione, individuando sotto di lei Zerum che chiacchierava con Tasha, anche se forse “stordire con un sacco di chiacchiere” era la descrizione più adeguata. Proseguì oltre.

L’asari arrivò alla grata successiva, che le permetteva un’ampia visuale su un laboratorio. Non riuscì a vedere chiaramente cosa stessero studiando gli scienziati ma sentì due di loro chiacchierare, dei salarian dall’espressione decisamente preoccupata.
«Sono abbastanza sicuro che siano solo dicerie» disse il primo.
«Ah, sì? Hai più sentito nulla di Ishen?» chiese il secondo con aria preoccupata.
Rebekha aguzzò le orecchie. Un salarian scomparso era decisamente il tipo di informazione che stava cercando.
«No, ma per quel che ne sai potrebbe non voler farsi trovare.»
«Non essere ridicolo, abbiamo inizia questo lavoro tutti e tre insieme, perché dovrebbe sparire nel nulla così?»
«Come faccio a saperlo? Magari si è stufato delle tue chiacchiere!»
«Ti dico che gli è successo qualcosa e come lui anche a quell’hanar il mese scorso» sibilò il salarian preoccupato, abbassando di molto il tono di voce.
«Il signor Enort Umnora?» chiese una voce femminile fuori dal campo visivo di Rebekha. Entrambi i salarian si voltarono nella direzione da cui proveniva.
«Sono io» disse il salarian preoccupato.
«Il capo del dipartimento di ricerca vuole vederla.»
«Io, ehm, arrivo, mi dia un attimo» rispose, lanciando un’occhiata terrorizzata al collega. Rebekha lo osservò meglio, cercando di memorizzarne i tratti somatici, la pelle viola, i due corni tempestati da macchioline più scure, gli occhi leggermente più grandi della media della sua specie. Avrebbe contattato Quilla appena uscita da lì e chiesto di tenere d’occhio quell’Enort.
Quest’ultimo seguì la voce femminile, uscendo anch’esso dal campo visivo di Rebekha. L’asari imprecò tra sé e sé, scivolando ancora più rapida lungo il condotto, sperando di aver intuito bene la posizione del corridoio, attraverso i bivi e le diramazioni del sistema d’areazione.

Furono cinque minuti di panico quelli che seguirono, cinque minuti lunghi ore in cui Rebekha temeva seriamente di aver sbagliato strada, non era nemmeno più sicura di dove si trovasse, finchè Enort non riapparve. Il salarian era seduto su una poltrona scomoda, nell’ufficio ordinato e splendente di un volus grassoccio.
«Signor Umnora» iniziò il volus, cadenzando le frasi con il tipico ansimare della sua razza, causato dalla tuta ambientale in cui vivono, «ci dispiace informarla che stiamo ridimensionando il personale del laboratorio e, a causa della sua recente performance, siamo costretti a licenziarla dalla Typhoon Tecnologies.»
Il volto del salarian si rilassò un poco, quasi fosse sollevato dal sapere che non sarebbe stato rapito e torturato a morte dai suoi datori di lavoro, ma quel sollievo non rimase a lungo.
«Mi scusi, ma com’è possibile? Faccio parte di ben tre squadre, tutti e tre operative, non…»
«Capisco lo sconforto» lo interruppe il volus «per questo l’ho chiamata nel mio ufficio, per proporle delle alternative presso le nostre aziende partner.»
«Oh, ben!» rispose allegro il salarian «Quali sarebbero queste alternative?»
«La Takra Weaponry su Gellix, oppure la Aminos&Co su Erinle.» (2)
«Scelgo la Aminos! Le mie ricerche non hanno molto a che fare con gli armamenti krogan, dopotutto.»
«Eccellente. Predisporrò la documentazione per il suo trasferimento.»
Rebekha decise di aver sentito abbastanza. Era passata almeno mezz’ora da quando si era intrufolata nel condotto e la stanchezza dovuta all’uso prolungato dei suoi poteri iniziava a farsi sentire.

Tornò indietro, sperando in cuor suo di riuscire a ricordare dove fossero i bagni. Le ci volle più tempo del previsto e una volta arrivata si lasciò cadere a terra, esausta, producendo un tonfo appena toccato il pavimento. Si prese alcuni minuti per riprendere il fiato, facendo dei respiri profondi, poi lentamente si rivestì, nascondendo di nuovo il suo insolito equipaggiamento sotto la finta divisa da guardia del corpo, e addentò una delle barrette energetica che si era procurata all’inizio del suo viaggio per riprendere le forze. Decise che sarebbe rimasta lì a riposare ancora per un po', dopotutto aveva già ciò che cercavano, il suo aiuto non sarebbe stato necessario.
Stava scartando la terza barretta energetica, quando la porta dei bagni si aprì con un sonoro click e dei passi leggeri annunciarono l’arrivo di qualcuno.
«Quindi è questo che fai ora, Faccia Sbiadita?»



  1. È un’informazione facilmente reperibile anche su wikipedia: l’energia oscura ha tale nome proprio perché non rilevabile, se non dagli effetti che produce sulla gravità.
  2. Il primo pianeta attualmente fa parte delle colonie krogan, mentre il secondo è abitato dai salarian. Entrambe le compagnie sono di mia invenzione.
   
 
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