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Autore: Ksyl    09/11/2020    4 recensioni
Castle e Beckett si sono incontrati solo una volta, durante quell'unico caso risolto durante il Pilot e da lì più nulla. Si rivedono solo alcuni anni dopo. E a quel punto inizia questa storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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19

Non appena si chiuse la porta alle spalle, esausta come se avesse appena concluso una maratona nel deserto, si ritrovò di colpo tra le braccia di Castle, che la avvolsero completamente, attirandola verso il suo petto. Vi si immerse grata, aspirando avida il conforto che da lui emanava senza sforzo. Nonostante stessero insieme ormai da diversi mesi, era per lei sempre fonte di meraviglia rendersi conto di quanto Castle fosse capace di anticipare i suoi bisogni. Sperava di fare altrettanto per lui, anche se temeva di non avere i suoi stessi superpoteri. In quel senso, Castle era inarrivabile.

"Stai bene?", mormorò accarezzandole la schiena.
"Non esattamente", rispose con un sospiro, avvertendo la tensione appesantirle le spalle e aggrovigliarle il cuore. "Usciamo?"
Il massaggio sulla schiena si interruppe. Sorrise, intuendo il suo stupore di fronte a una proposta tanto inaspettata. Decisamente azzardata. A sua discolpa poteva dire di averla espressa di getto, ancora prima di aver finito di formularla.
Non avevano fatto progetti sulla restante parte della serata, non avendo idea di quanto tempo sarebbe rimasto a loro disposizione dopo l'incontro con suo padre, troppo concentrati sulle notizie con cui Jim si sarebbe presentato per pensare di pianificare qualcosa di piacevole che avrebbe riguardato esclusivamente loro due. Purtroppo, era andata peggio delle sue catastrofiche previsioni.

Il senso di colpa l'aggredì, insinuandosi dentro di lei con le solite spire acuminate. Non c'erano altri modi di vedere le cose: quello che aveva fatto per Tommy si era rivelato sbagliato. Era inutile tentare di giustificarsi dicendosi che aveva agito nel suo interesse. Non era così. Se fosse stata più rigida, se lo avesse tutelato maggiormente e fin da subito, Tommy non sarebbe stato costretto a vivere l'incresciosa esperienza con suo padre di qualche giorno prima. E chissà quali altre in futuro.
Chiuse gli occhi, strizzandoli con forza, per scacciare l'amaro miscuglio di rimpianti e condanne che non smetteva di rivolgere a se stessa. Ormai era accaduto e non poteva farci niente. Purtroppo, nemmeno assolversi.

Scacciò un brivido, una specie di presagio infausto che le corse lungo la spina dorsale. Non riusciva a calmarsi, nonostante la sua mente cercasse febbrilmente di fabbricare soluzioni ragionevoli che avrebbero messo a tacere la sensazione di impotenza che la teneva sotto scacco.
Non comprendeva il motivo per cui Josh, di punto in bianco, avesse deciso di darle del filo da torcere. Non avevano stabilito degli accordi in senso stretto, ma era stata convinta che non fare nessuna richiesta le avrebbe garantito di essere lasciata in pace, libera di gestire la sua vita – e quella di Tommy – come meglio credeva.
Lui aveva tutto quello che voleva, giusto? Le medaglie sul petto per il suo instancabile altruismo e un bambino adorabile con cui interagire qualora gliene fosse venuta la voglia. Nessun obbligo. Era spiazzata dal suo repentino voltafaccia e a disagio per non riuscire a cogliere quale fosse la spinta più profonda che lo motivasse a comportarsi in modo tanto inspiegabile.

Con un simile stato d'animo, uscire poteva sembrare l'opposto di quello che il buonsenso avrebbe suggerito a lei e Castle per riprendersi da quell'allarmante riunione a tre. Ma la prospettiva di rimanere a casa a rimuginare, con una cappa di inquietudine a far loro compagnia le pareva deprimente. Ingiusta, soprattutto. Erano stati felici, fino a quel punto. Era andato tutto bene, il trasferimento era avvenuto senza troppi scossoni, si erano abituati in fretta alla loro nuova vita, che aveva avuto ogni intenzione di assaporare fino in fondo. Non sarebbe mai più stata da sola. Ci sarebbe stato qualcuno pronto a condividere tutto con lei, gioie e fatiche. Peccato che la prima cosa che si erano trovati a condividere fosse una sventura del genere.
Aveva bisogno di aria, di respirare leggerezza. Di non farsi opprimere da scenari disastrosi che era tanto brava a creare vividamente nella sua mente da quando era diventata madre. Se lo meritavano. Forse non sarebbe stato semplice mettere da parte l'apprensione per quello che avrebbero dovuto affrontare di lì a breve, ma ci avrebbero provato.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per farsi rovinare l'umore rimuginando sulle prospettive che erano state menzionate, nessuna delle quali favorevole a Tommy, o che tenesse conto di chi era realmente. Un essere umano con delle proprie necessità e una sua dignità invalicabile, che in nessun caso poteva essere considerato come un pacco, o il capro espiratorio di una guerra che lei per prima non comprendeva e non aveva mai inteso combattere.

"Sei sicura? Non vuoi ordinare qualcosa da mangiare qui al loft, noi due da soli?", le domandò Castle con la cautela che avrebbe usato con una squilibrata che gli si fosse improvvisamente presentata alla porta.
Il padre aveva rifiutato il loro invito a cena – espresso a onor del vero senza troppa convinzione – adducendo la scusa di un precedente impegno. Conoscendolo, dubitava che fosse la verità. Era più probabile che si fosse accorto che avevano bisogno di tempo in solitudine per metabolizzare gli eventi. Nonostante le avesse combinato un matrimonio a sua insaputa, gli era grata per la sua sensibilità.

Gli afferrò le braccia e se le appoggiò sui fianchi. "No, voglio cenare con te in un posto che sia lussuoso e molto, molto romantico. Per una volta hai il permesso di dar sfogo alle tue solite idee grandiose. Abbiamo qualche ora prima che tua madre e Alexis riportino Tommy a casa".
"Credevo che la giornata di oggi ti avesse prosciugato ogni energia. Direi che è stata... notevole".
"Non abbastanza da farmi rinunciare al nostro appuntamento".
"Non avevano nessun appuntamento..."
Perché era tanto reticente? Non si lamentava forse sempre che fosse lei l'osso duro, quella difficile da convincere?
"Lo abbiamo adesso". Lo baciò sulle labbra. Forse così il concetto sarebbe stato finalmente chiaro e lui avrebbe smesso di fare obiezioni. La prospettiva di trascorrere la serata con lui le parve elettrizzante, tutto a un tratto. Non se ne sarebbe lamentata apertamente – avevano troppo di cui essere felici –, ma le mancavano i loro momenti a due, azzerati dalle incombenze che il trasloco aveva comportato e la voglia di passare con Tommy più tempo possibile, per farlo abituare con naturalezza alla nuova situazione.

Castle ricambiò il bacio, facendole scorrere le mani sulla sua pelle nuda, sotto la maglietta. Rabbrividì. Forse la cena non era una priorità così impellente. Forse non era nemmeno una priorità, a quel punto.
Gli passò le dita sulle labbra, accarezzandole piano e poi scese a slacciargli lentamente i bottoni della camicia, uno dopo l'altro, continuando a guardarlo negli occhi.
"Però possiamo tardare qualche minuto, a meno che tu non abbia molta fame". Si ritrasse da lui, che tornò subito a colmare la distanza tra loro, facendo aderire i loro corpi.
"Definisci fame", le sussurrò all'orecchio, pronto a trascinarla nella loro nuova camera da letto, arricchita da tocchi personali che lei stessa aveva disseminato. Non aveva voluto stravolgere l'arredamento e il risultato era una fusione armoniosa delle loro personalità - così aveva commentato Castle quando gli aveva mostrato il prodotto dei suoi sforzi.
Ridacchiò sentendo la sua bocca scenderle lungo il collo. "Voglio comunque uscire a cena... più tardi", insistette fingendo di opporre resistenza, prima di annullare del tutto il suo diritto a esercitare qualche forma di controllo su quello che lui le stava facendo.

...

Lo voleva davvero? Si chiese oziosamente quando quel più tardi si palesò nella sua ineluttabilità. Non sarebbe stato più semplice lasciare che le ore scorressero lente, distesa sopra di lui e facendosi cullare dal battito del suo cuore, che era stato dapprima accelerato e poi sempre più lento e rassicurante, con la sua mano a muoversi leggera tra i capelli? Era tutto quello che le serviva per riappacificarsi con la realtà, la sua perenne fonte di energia, il motore sempre acceso che dispensava amore e calore. Ora ne aveva bisogno più che mai.
"Vuoi dirmi che sei pronta a lasciare tutto questo...", Castle si inserì nelle sue riflessioni e fece un gesto eloquente che mise in crisi le sue certezze. "Per startene in mezzo alla gente? Vestita?"
Scoppiò a ridere. Avrebbero dovuto necessariamente vestirsi, a meno che le regole della società civile non fossero cambiate in loro assenza – chissà quanto tempo era passato - e la prospettiva era in effetti piuttosto frustrante.
Gli fece scivolare le dita sulla pelle fino a fargli il solletico. "Ti stai impigrendo, Castle?"
Le bloccò la mano e la sollevò per baciarle l'interno del polso. "Moltissimo, se questo è il tuo concetto di pigrizia".
Rotolò lontano da lui, per non cedere alla tentazione del suo corpo invitante sotto le lenzuola. "Forza, vai a prepararti", lo spronò lanciandogli la camicia che recuperò dal pavimento. Anche i suoi vestiti dovevano essere finiti lì a terra da qualche parte. Non ricordava a che punto li avesse persi e se fosse stata lei o Castle a farli sparire.
"Possiamo almeno fare la doccia insieme? Molto, molto rapidamente? Poi ti prometto che ti porterò ovunque tu voglia". La prese per una mano e la tirò di nuovo verso di sé, nonostante le sue accese proteste. "Sprecheremmo molto più tempo facendola separati", tentò di convincerla baciandola di nuovo, trattenendola per impedirle di andarsene. Di quel passo non sarebbero mai usciti di casa, pensò prima di arrendersi alla sorte, sotto forma di piccoli brividi che si diffusero in tutto il suo corpo.

...

Nonostante le probabilità fossero state contro di loro, erano riusciti a rendersi presentabili e a lasciare il loft senza ulteriori ritardi. Castle era stato di parola, la doccia era stata rapida, in un certo senso. Avvampò, ripensandoci. A un certo punto, tra i vapori che le avevano annebbiato la mente, aveva perfino giudicato i suoi piani per il resto della serata più il frutto di una pretesa ostinata che un motivo valido per costringerli a interrompere quello a cui si stavano dedicando con notevole soddisfazione.

Era stato Castle a occuparsi della scelta del ristorante, dall'auto. Era lui di solito a farlo. Era uno dei tanti, piccoli modi concreti con cui amava prendersi cura di lei, grazie all'attenzione che metteva nello scovare il luogo più adatto alle sue richieste del momento.
Anche questa volta non aveva fatto eccezione. La vista dall'alto sulla città era magnifica, la musica in sottofondo rilassante e perfino il brusio che si levava dagli altri tavoli non rovinava l'incanto della reciproca compagnia. Forse era lei a essere diversa. La tensione era scemata e si sentiva emozionata come se fosse il loro primo appuntamento, ma molto più innamorata di allora.
Sorrise radiosa a Castle, seduto di fronte a lei. Allungò una mano e la posò sulla sua. Si godette la sensazione meravigliosa di amarlo e di essere a sua volta da lui amata.

"Se stai per dirmi che dobbiamo parlare, lasciami prima adottare tuo figlio, come ci ha consigliato tuo padre", la interruppe, gelandola e riportandola bruscamente a terra.
"Come... Perché credi che ti debba parlare?"
"Per nessun altro motivo avresti insistito per trascinarmi fuori dal loft se non per affrontare questioni spinose, che temevi rovinassero l'atmosfera del nostro sacro talamo".
Come gli venivano? Dovette frenarsi dallo scoppiare a ridere. "Per talamo intendi il nostro letto?"
"Che di solito non sei tanto propensa ad abbandonare".
Aprì la bocca, iniziando a formulare delle frasi per replicare a tono, ma nessuna le sembrò adeguata. Finì per fissarlo con uno sguardo truce che lui sostenne fino alla fine.
"Va bene, d'accordo. Volevo trascorrere una serata con te – quello che ne rimane, almeno -, ma ci sono alcune cose di cui vorrei... discutere". Aveva omesso volutamente il termine parlare, che aveva il curioso potere di metterlo sulla difensiva.
"Non preferisci ballare?"
"Sembra quasi che tu sia disposto a tutto pur di non stare ad ascoltarmi", commentò tenendosi volutamente leggera, ma non del tutto tranquilla.
"Non voglio ricevere altre pessime notizie", commentò asciutto, dispiegando il tovagliolo in grembo con gesti misurati, per evitare di incrociare i suoi occhi.
Quella risposta molto diretta, per niente tipica di Castle e del tutto fuori luogo rispetto alla gioiosa leggerezza che avevano condiviso nelle ultime ore, la scombussolò. Lo osservò meglio. Non stava scherzando. Era convinto che lei stesse per comunicargli qualche altra novità sgradevole, come se non ce ne fossero state già abbastanza.
"Che cosa potrei dirti di peggio di quanto ci ha appena comunicato mio padre?"
"Io riesco a farmi venire in mente diverse alternative", replicò con prontezza.
C'era decisamente qualcosa che non andava, realizzò attonita. E Castle non intendeva facilitarle il compito spiegandole di che cosa si trattasse.

"Per esempio?"
Fu costretta a domandarglielo, anche se aveva il sospetto che quello che sarebbe seguito non sarebbe piaciuto a nessuno dei due.
"Ordiniamo?"
Castle cambiò argomento, rivolgendole un sorriso privo di calore che servì a farle capire che si era ormai rinchiuso dentro la sua solita fortezza impenetrabile, sotto un'apparenza di impeccabile cortesia. Stava imparando a conoscerlo nelle sue molteplici sfaccettature, ben nascoste sotto l'apparenza estroversa e bonaria. Nonostante fosse lei quella notoriamente più chiusa, meno avvicinabile, era lui quello di cui la gente arrivava a sapere poco nulla, anche se la sua vita veniva data in pasto al pubblico da anni. Ma non nei suoi aspetti più intimi, più vulnerabili. Quelli che bisognava essere bravi e tempestivi a cogliere.

"Castle, è tutto il giorno che sei strano, a partire dalla tua scenata di gelosia, in ufficio da me. E lo sei ancor di più adesso con questi incomprensibili discorsi. Che cosa temi che possa dirti? Che non voglio sposarti o che non voglio farti adottare Tommy? È come se ogni tanto non fossi sicuro... di noi", concluse con un tuffo al cuore.
Castle non rispose, convincendola a quel punto che la situazione stesse precipitando. Reagì irritandosi. Non aveva bisogno di questo. Di incertezze. Non quando dovevano affrontare un conflitto reale con Josh, che si prospettava lungo e difficoltoso, come aveva sostenuto suo padre. I battiti accelerarono in modo convulso, rimbombandole nelle orecchie, rendendole impossibile trovare qualcosa che riempisse quell'orribile silenzio sceso all'improvviso tra loro.
"Ammetto di avere esagerato stamattina e per questo ti chiedo scusa", esordì Castle dopo qualche paralizzante minuto di mutismo. "Sono solo stato colto alla sprovvista dal fatto che tu abbia accettato di pranzare con lui, ecco tutto. Credevo che non aveste nessun tipo di rapporto".
"Non ce lo abbiamo, infatti", replicò risentita. Dovevano davvero tornare su quell'argomento? Non ne avrebbe avuta la pazienza necessaria, non dopo quell'infernale giornata. Onestamente, era chiederle troppo.
"Io però non ne avevo idea, anche se dopo aver ascoltato tuo padre molte cose si sono chiarite", continuò lentamente, come se stesse scegliendo con cura le parole.
"Mi stai dicendo che non ti fidi di me? Che hai bisogno che mio padre confermi la mia versione?"
Fu sopraffatta dalla rabbia e dall'umiliazione. Voleva piantarlo in asso.

Castle le scosse gentilmente il polso. "Ehi, mi dispiace. Non è stato uno dei miei momenti migliori, me ne rendo conto. Ho reagito in modo avventato. Sono solo confuso e non capisco che cosa stia succedendo. Prima il tuo ex era lontano e noi avevamo la nostra vita. Eravamo solo noi tre, tu, io e Tommy. All'improvviso è tornato e me lo ritrovo ovunque. Ti invita fuori. Vuole passare più tempo con Tommy. Vuole addirittura dividerne la cura con te, come non ha mai fatto. Kate, si sta insinuando tra noi, non lo vedi? E io... in tutto questo sono l'anello debole. Vivo con Tommy, lo porto a scuola, lo cullo quando non vuole addormentarsi, gli preparo la cena, ma non conta niente. Ha ragione tuo padre, io non ho diritti su di lui. Non so quanto dovremo dividerlo con lui, se non stia addirittura pensando di portacelo via. E soprattutto, non so che cosa voglia da te".

"Non importa che cosa vuole da me, perché io amo te". Lo guardò dritto negli occhi. "E se questo non ti basta, non c'è molto da aggiungere".
"Kate...", la implorò abbattuto, come se la sua ultima affermazione non avesse sortito nessun effetto, di certo non quello che si era aspettata. Si infuriò. Non aveva nessuna intenzione di essere indulgente con quelle che erano a tutti gli effetti delle paure infondate, ingigantite dalla sua insicurezza.
"Non avrei rapporti con lui, se non condividessimo un figlio". Aveva alzato la voce, ma non le importava. "Mi sorprende che tu non te ne renda conto e sprechi del tempo a essere geloso di lui, quando sai benissimo che ci sono molte più probabilità che io fugga con uno sconosciuto che di avere un ritorno di fiamma con lui". Come aveva fatto ad andare tutto a rotoli? E come poteva una giornata che si era già mostrata tanto ostile, essere ulteriormente peggiorata?

Il silenzio tra loro tornò a farsi ingombrante. Avrebbe voluto scrollarlo e imporgli di tornare l'uomo ragionevole che non si faceva spaventare dai fantasmi.
"Kate, io non so niente di lui. Non so come sia andata tra voi in passato. So che vi siete lasciati molto presto, prima ancora che Tommy nascesse. So che non è granché come padre, di questo sono stato testimone e gli ultimi eventi sono solo l'ennesima dimostrazione della sua incapacità di essere un genitore come si deve. Ma tu ti rifiuti di parlare del resto, della vostra relazione".
"Non mi rifiuto affatto. È solo che c'è ben poco da dire a riguardo", commentò laconica, senza aggiungere altro. A che cosa sarebbe servito? Non le avrebbe comunque dato retta. Forse aveva bisogno che suo padre garantisse per lei.
"So che adesso sei arrabbiata con lui per come tratta Tommy, e direi che ne hai ogni motivo - nemmeno io posso vantare di avere ottimi rapporti con le mie ex mogli – ma rimarrà comunque il padre di tuo figlio, ci sarà sempre un legame speciale tra voi. E immagino che a un certo punto tu abbia trovato qualcosa in lui che ti ha spinto a frequentarlo, che ti abbia fatto innamorare e che il vostro rapporto, prima che degenerasse, sia stato..." Lottò per trovare la parola giusta. Decise di aiutarlo.

"Non è stato niente", intervenne in tono mesto. "Noi..." abbassò gli occhi. L'irritazione lasciò il posto alla tristezza, mentre si accingeva a raccontargli particolari che non avrebbe mai voluto rivelare a nessuno. "Ci siamo conosciuti durante una mostra al museo. Era una sera d'estate, io ero uscita presto dal distretto e non avevo voglia di tornare subito a casa. Ci siamo fermati di fronte allo stesso quadro, lui ha fatto un commento su un dettaglio del dipinto, qualcosa su come il pittore era riuscito a rendere vivido il tessuto indossato dalla donna rappresentata grazie all'uso sapiente della luce. Abbiamo continuato a chiacchierare di arte e di libri, una volta fuori di lì. Mi è sembrato molto diverso dagli uomini che incontravo di solito, meno superficiale, più stimolante. Abbiamo iniziato a uscire insieme, anche se lui era spesso lontano da New York e adesso credo che fosse quello l'aspetto che mi piaceva di più. Che non ci fosse. Mi dava modo di continuare la mia vita senza farmi coinvolgere troppo. Non sono mai stata troppo brava in quello, non sono mai stata capace... in realtà non mi sono posta troppe domande, mi andava bene così. Non la definirei nemmeno una relazione, non è stato niente di importante, niente di paragonabile a... noi", concluse cercando di controllare il tremito della voce.

Prese fiato. "Sì, è il padre di mio figlio, come hai detto tu, ma questo non significa che io provi qualcosa per lui, che ci sia qualcosa di speciale tra noi. Lo è diventato per puro caso, non per scelta e sicuramente non per mia volontà. Ho avuto un bambino da un uomo che non amavo. Non ne sono orgogliosa, ma è la verità. Adesso conosci tutti i miei segreti", confessò, oppressa da tutta la tristezza che non si era mai concessa di esternare. Era quella l'origine delle sue sofferenze, delle critiche spietate che rivolgeva a se stessa. Non era giusto. Non era giusto essere stata così poco accorta. Non quando le conseguenze le avrebbe pagate un piccolo essere umano indifeso che non aveva colpe.

"Devi invece essere molto orgogliosa per come hai cresciuto Tommy".
Si concesse un sorriso amareggiato. "Non voglio distruggere le tue illusioni, ma quando il test è diventato positivo ho avuto più di un dubbio sul proseguire o meno la gravidanza". Voleva essere onesta fino in fondo, anche a costo di apparirgli brutale. "Non perché non lo volessi o avessi altri progetti che non contemplavano la presenza neonati. Quello sarebbe stato il meno. Come potevo caricarlo di un peso del genere già alla nascita? Josh non era una persona affidabile nemmeno come partner, lo sarebbe mai stato per un bambino? Sarei bastata io? Me lo chiedo ancora".
"Hai fatto molto di più che bastargli, Kate". Fece una pausa. "Sei stata magnifica, è sotto gli occhi di tutti".
Guardò lontano, oltre il parapetto. "Spero che adesso sia chiaro una volta per tutte perché non devi preoccuparti di Josh. Preoccupati piuttosto di come convincerlo a lasciarci in pace".
"Un sacco nero e una pietra da mettergli al collo sono tutto quello che mi serve. Insieme alla tua complicità".

Appoggiò la forchetta sul piatto. Le era passata la fame. Nemmeno il suo tentativo di farla ridere aveva fatto breccia. Rivangare ricordi penosi di un passato ancora da metabolizzare significava tornare ad abbeverarsi alla fonte di un veleno di cui non aveva ancora trovato l'antidoto. Per questo evitava di parlarne, di pensarci lei stessa per non infilarsi in una spirale che l'avrebbe tenuta prigioniera per giorni. Non aveva ancora imparato a non farsene travolgere, anche se di solito era lei l'unica a farne le spese. Le spiaceva aver coinvolto Castle.
Si domandò se avesse senso rimanere, fingere di stare bene, di divertirsi. Era stata così inebriata di endorfine quando era arrivata, così convinta che sarebbero comunque riusciti a godersi la serata. Era stato un errore, e lei solo una stupida.

"Balliamo?"
La voce di Castle le giunse da lontano, senza riuscire a distrarla dai suoi cupi pensieri.
"Dicevi sul serio allora", commentò, ancora sulle sue.
"Sono sempre serio nelle proposte che ti riguardano", le fece l'occhiolino, ma non riuscì a risollevarle il morale.
Accettò. Era troppo stanca per opporsi, preferì seguire la corrente, sopraffatta da un'invincibile apatia fisica e mentale.
Si lasciò cullare dalle braccia di Castle e dalla musica. C'erano solo un paio di altre coppie oltre a loro, ma non le importò. Chiuse gli occhi.
"Scusami, non so che cosa mi sia preso", sussurrò Castle. "Il fatto che sia tornato mi ha mandato in panico", mormorò. "Ti prometto che non ne parleremo più, mi spiace averti turbata inutilmente".
"Non sospetterai più che voglia fuggire con lui su una zattera? Per acclimatarmi meglio al tipo di vita che sembra preferire, palafitte e tutto il resto".
Invece di cogliere l'occasione per fare una delle sue battute, Castle rimase zitto e la fissò a lungo negli occhi, con uno sguardo accorato che la disorientò, facendole temere che ci fosse ancora qualcosa di irrisolto tra loro. "Katherine Beckett, vuoi sposarmi?"
Il sollievo che la inondò le regalò anche l'impulso irresistibile di lanciarlo di sotto, l'altezza dell'edificio era tale da rendere impossibile ritrovarlo tutto intero. Poi scosse la testa e sorrise.
"Hai già l'anello, vero? Scommetto che se mi mettessi a frugare nelle tue tasche troverei una bella sorpresa nascosta dentro a una scatolina di velluto. E chissà da quanto tempo se ne sta lì".
"Le tue capacità investigative non finiscono di sorprendermi, Capitano. Hanno fatto bene ad affidarti un intero distretto".
"Sei piuttosto facile da leggere, te lo ha mai detto nessuno?"
"Non con la tua stessa grazia. In ogni caso voglio rassicurarti che la mia non era una proposta ufficiale".
"Vuoi sposarmi mi pare una proposta piuttosto esplicita".
"Niente affatto. Mi preme solo di sapere la tua opinione sull'argomento, in senso generale".
Stette al gioco.
"Capisco. È una specie di sondaggio, quindi?"
Castle annuì con vivacità.
"Quand'è così, posso dirti che il mio punto di vista..."
Non la lasciò finire di parlare. Si fermò in mezzo alla pista e le strinse le braccia con forza. "Sì, è una proposta. Voglio sposarti, Kate. E voglio costruire una famiglia insieme a te. Con Tommy e... chiunque altro vorrà aggiungersi".
"Non sapevo avessi idee tanto liberali. Io opterei più per una versione tradizionale, preferirei non avere sconosciuti seduti a far colazione con noi e i nostri figli, al mattino. Sai che il mio umore non è dei migliori a quell'ora".
"È perché il risveglio accentua quella tua vena tirannica...". Si fermò. "Hai detto figli? Plurale?"
"Intendevi aumentare la famiglia aprendo la nostra casa ai passanti? Perché io avevo in mente di fare alla vecchia maniera".
La scosse con fare concitato. "È un sì? Stai accettando?"
Frenò subito i suoi ardori. "No, certo che no, non farti strane idee. Voglio una proposta in piena regola, non un censimento telefonico. Ma non trovo l'idea assurda, nonostante venga da te. O da mio padre, che sa uccidere il romanticismo come nessun altro al mondo".
"Allora possiamo... pensarci? A tutto?"
Appoggiò la guancia sul colletto della sua camicia che profumava di bucato, provando una felicità bizzarra, inafferrabile e insieme potente, che si stava insinuando dentro di lei travolgendo tutti gli ostacoli.
"Possiamo pensarci", sussurrò inspirando boccate di amore nei suoi confronti.

   
 
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