Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: syila    14/11/2020    2 recensioni
“Che cosa vuoi Yuuri?” sibilò il russo stringendo i pugni “L'anno scorso ti avevo proposto di lavorare in società e tu hai rifiutato!”
“La tua offerta era inaccettabile.” rispose l'altro risentito “Trenta e Settanta non è una divisione equa, è un disonorevole ricatto!”
“Sono stato realista; la vostra fetta di mercato è piccola, limitata perlopiù ad asiatici e italiani, i Black Russian gestiscono i locali frequentati dagli americani.”
“Quindi pensavi che regalarmi le briciole dopo avermi portato a letto sarebbe bastato!”
Il sussurro era appena percettibile, ma tagliente come una lama e Victor si irrigidì.
“Quello non c'entrava niente con gli affari. E ti ricordo che sei stato tu a sparire il mattino dopo.”
“È stata la scelta giusta, a quanto pare preferisci la carne giovane...”
“Yura è un fatto personale allora! Una vendetta nei miei confronti!” a quel punto si girò a fronteggiarlo e incontrò il sorriso sornione del giapponese.
“È capitato al momento giusto, noi orientali lo definiamo Karma.”
|Seconda classificata al contest “Overly Specific Writing Prompts” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP.|
Genere: Azione, Drammatico, Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO III

“Ti senti tanto forte con quell'affare in mano? Slegami e ti faccio vedere dove puoi infilare la tua lima per unghie troppo cresciuta!”
“Per il tuo bene... Io non lo farei innervosire.”
“Perché? Credi che abbia paura di due fottuti musi gialli?”
Le cose erano precipitate in fretta quando Yuri aveva realizzato chi erano i suoi rapitori; inoltre il rude trattamento a base di strattoni, calci e spintoni subito durante il viaggio, non lo aveva reso incline alla trattativa e alla diplomazia.
Lungi dal chiedere il motivo del suo sequestro, provando magari a negoziare un riscatto (come avrebbe fatto una persona ragionevolmente attaccata alla pelle), il russo era partito a testa bassa vomitando sui suoi carcerieri tutto il vocabolario di insulti appreso nell'ambiente della malavita e qualche espressione originale, suggerita dalla sua fantasia.
“Guang Hong ricordami perché non possiamo sgozzarlo e buttarlo nel fiume...” chiese il ragazzo che teneva la punta della lama all'altezza della gola del prigioniero.
Quella che Yuri aveva definito in maniera sbrigativa una “lima per unghie” era in realtà una geom, una spada coreana di rispettabile lunghezza e sicuramente molto affilata.
“Il capo ha preso tempo, gli servono delle informazioni.” rispose l'altro, un soggetto dall'aria timida e buona, che sembrava essere capitato per caso nel posto sbagliato.
“Allora sarà divertente...” l'espressione impenetrabile dello spadaccino si aprì in un ghigno diabolico.
Subito dopo qualcuno entrò nella stanza in cui lo avevano relegato e Yuri si preparò al peggio.
Nonostante minacciasse e inveisse era ben consapevole della gravità delle circostanze.
I Black Russian e i Red Lotus erano gang rivali con gli stessi interessi, come predatori in competizione su un territorio ristretto, dovevano eliminare la concorrenza per garantirsi un giro d'affari più ampio e avevano deciso di cominciare con l'anello debole della catena.

“È lui?”
La domanda, formulata in tono autoritario e sbrigativo dal nuovo arrivato costrinse il prigioniero a guardarlo, mentre i suoi guardiani si piegavano in un inchino rispettoso, una forma di saluto comune nei paesi asiatici.
A parte la sottile montatura dorata degli occhiali, non c'era niente di rimarchevole in quel mangiariso; giovane, ma di età indefinibile, con gli occhi a mandorla, i capelli neri e i lineamenti arrotondati, che rendevano gli orientali tutti uguali tra loro.
Aveva però una specie di autorevolezza nello sguardo e un atteggiamento sicuro, sufficiente ad intimidire i suoi scagnozzi e Yuri ne dedusse che era il loro Capo.
“È russo.” fu la laconica risposta dello spadaccino.
“Aveva il giaccone descritto da Minami.” precisò il moccioso gentile.
Sul viso dell'uomo comparve qualcosa che Yuri identificò come disappunto, sembrava scontento; anche i due tirapiedi lo avevano capito e si scambiavano occhiate nervose.
Il mangiariso fece un cenno con la mancina e una figura, che fino a quel momento era rimasta nascosta alle sue spalle, si rivelò.
Un altro moccioso, pensò Yuri fissandolo torvo, tanto che l'interessato ebbe un attimo di esitazione e il Capo fu costretto a ripetere l'invito ad avvicinarsi.
“Lo riconosci?” chiese indicando il prigioniero.
“Ecco io... io...” pigolò l'interpellato rimpallando lo sguardo tra Yuri e gli altri, quasi potessero aiutarlo a rispondere “Mi sembra proprio il giubbotto che ho visto...”
“Ti sembra o ne sei sicuro?”
“L'ho visto solo per un attimo... Ma potrebbe essere lui, si!”
“Ehi! Di cosa stai parlando mangiacaccole!”



Nessuno si aspettava la violenta irruzione dell'ostaggio nel discorso e Yuri ci guadagnò una razione supplementare di calci, che lo fecero cadere sul fianco.
Il capo aspettò pazientemente che esaurisse la scorta di offese, poi si accoccolò sui talloni e dopo averlo studiato in silenzio alcuni istanti disse: “Ti illustro la situazione Roshia boketan*: sei nei guai.”
“Grazie al cazzo, fin lì ci arrivavo da solo!”
Stavolta il calcio fu assestato con diabolica precisione nelle reni e produsse una fitta così acuta da togliergli il respiro.
“Seung Gil il nostro ospite ci serve vivo, al momento.” il mangiariso con gli occhiali riprese lo scagnozzo in maniera piuttosto
blanda, poi tornò al suo discorso “Ora hai compreso la tua posizione; migliorarla dipende solo dalla tua volontà di collaborare. Perciò ti rivolgerò una domanda chiara, impossibile da fraintendere anche per un baka gaijin* come te: dov'è il carico di whisky scozzese che ci hai rubato quattro giorni fa su Monroe Avenue?”
L'interpellato aprì la bocca per dare fiato ad un'altra sfilza di imprecazioni, tuttavia un’idea lo trattenne: dalle sue parole dipendeva morire subito di una morte violenta e dolorosa o procrastinare la dipartita, sperando che nel frattempo Victor e il resto della gang si fossero messi sulle sue tracce.
In mezzo c'erano dozzine di variabili, compreso l'essere torturato da quella specie di maniaco con la spada per estorcergli una verità che comunque non possedeva.
“Su quali basi affermi che sono io ad averti rubato il whisky?” replicò cercando di mantenere la calma nonostante il dolore delle percosse e la rabbia.
Il capo prese atto con soddisfazione del suo cambiamento di tono e indicò il moccioso dietro di lui “Ha riconosciuto il tuo giubbotto.”
“Hai una vaga idea di quanti ragazzi indossino questo tipo di giacca militare?”
Yuri tacque e socchiuse le palpebre aspettandosi un altro calcio, che invece non arrivò; al contrario l'asiatico gli dedicò un sorriso accondiscendente e disse “Tuttavia soltanto uno porta ricamato sulla schiena un cappello a cilindro inscritto in un cerchio.”
Cazzo Otabek, cos'hai combinato? Pensò.
Al primo pensiero se ne accavallò subito un altro: trattandosi del kazako non c'era modo di recuperare la refurtiva, sapeva come lavorava Altin: una volta in possesso della merce l’avrebbe fatta sparire in un paio di giorni, tramite i suoi agganci.
Questo portò ad un'immediata conclusione: senza l'alcol era impossibile trattare con gli asiatici, lo avrebbero ammazzato come un cane mandando un souvenir a Victor insieme ad un biglietto di condoglianze.
Tanto valeva togliersi qualche soddisfazione.
“Lungi da me mancare di rispetto alla tua ospitalità, però... Devo proprio dirtelo: se ti fai soffiare sotto al naso un carico di whisky dal primo che passa, puoi chiudere bottega e cambiare mestiere stronzo mangiariso!”.
Com'era prevedibile le sue parole provocarono l'immediata reazione degli scagnozzi, anche di quel tontolo dall'aria gentile, che per essere una mezza calzetta, tirava dei calci fortissimi; il pestaggio continuò fino all'ingresso di un nuovo personaggio, che al vedere il biondino a terra, sanguinante e malconcio si mise le mani nei capelli e urlò “Fermi! Fermi!”
Il Capo sembrava aspettare il suo arrivo, diede ai due sottoposti l'ordine di fermarsi, prese l'ultimo arrivato per un braccio e si allontanò con lui confabulando sottovoce.
“Dimmi che hai le informazioni che ti ho chiesto Pichit-kun, perché ammazzare di botte un ragazzino mi disturba abbastanza.”
“Ah, Yuuri Katsuki si ricorda di avere un cuore?” rispose l'interpellato sfoderando un largo sorriso.
“Mi reputo migliore delle bestie russe, inoltre spero ancora di recuperare il carico di whisky.”
“Allora rallegrati amico mio! Hai per le mani qualcosa di più prezioso del liquore scozzese!” esclamò gongolando il suo interlocutore.
“Spiegati meglio.” l'altro non comprendeva il motivo del suo entusiasmo. “Devi sapere che i nostri hanno pescato un bel pesciolino stavolta...” iniziò Phichit prendendola alla lontana “Stando a quanto dice il mio infiltrato al Black Russian quello sul pavimento è il cocco di Nikiforov!”
I due asiatici si girarono verso Yuri ancora steso a terra, che li fissava in cagnesco con l'occhio non tumefatto.
“Questo cambia le cose.” concluse il giapponese.
“È sicuro! Lo Zar ha un debole per lui, al locale lo sanno tutti, pensa cosa potresti ottenere in cambio della sua restituzione!”
Phichit vide le sue palpebre abbassarsi e le labbra piegarsi in un sorriso, come se l'idea di avere a che fare col russo gli procurasse piacere.
Aveva capito che si conoscevano e c'era della ruggine tra loro, ma su quegli eventi regnava un fitto mistero, perché Yuuri eludeva le sue domande con l'agilità della lepre in fuga dai cacciatori.

Quando terminarono di parlare tornarono dagli altri e il Capo chiese la spada al coreano, che gliela consegnò quasi di malavoglia.
Yuri non aveva più aperto bocca, un po' perché gli mancavano le forze per farlo, un po' perché aveva capito che ogni scusa era buona per accanirsi su di lui.
“Allora, sembra che io non sia l'unico ad aver perso qualcosa d'importante.” Yuuri fece una lunga pausa calcolata, poi proseguì “Nikiforov sama ha smarrito il suo animaletto da compagnia.”
Il giovane russo, con la mente annebbiata dalle percosse, impiegò un attimo a realizzare che non si stava riferendo a Makkachin, il cane di Vitya, bensì a lui.
“Victor ti farà il culo a strisce se solo ti azzarderai a toccarmi brutto stronzo!” abbaiò rabbioso.
“Quindi gli piacciono i cuccioli selvatici.” il giapponese in tutta risposta conficcò la lama nel pavimento ad un palmo dal viso del ragazzo, che si ritrasse d'istinto “Tranquillo Hiyoko chan* non è mia intenzione rovinare questo bel faccino, voglio solo mandare un messaggio a quell'idiota del tuo Capo...“



Il club, coi rimasugli della festa, i coriandoli e le stelle filanti ammucchiati negli angoli, i le bottiglie vuote e gli avanzi della grande torta sul tavolo, aveva l'aria desolata di un posto abbandonato in fretta e furia dai suoi occupanti.
Congedati gli ultimi invitati all'alba Victor era rimasto ad aspettare notizie di Yura e più passavano le ore, più montavano rabbia e inquietudine, che alle tre del pomeriggio erano ormai sul punto di traboccare.
Nei confronti del giovane aveva più del tenero affetto di un amante o di un fratello maggiore, c'era un senso di responsabilità che non si esauriva a Yakov e Lilia, ma si estendeva all'altro capo del mondo, in Russia, dove viveva suo nonno, che aveva accettato di separarsi dal nipote solo per non farlo morire di fame...

Di sera la stazione Kiyevskaya risplendeva di luci e marmi pregiati, come una sala da ballo, ma Vitya era troppo stanco per costruire paragoni poetici, voleva salire subito sul treno e lasciarsi cullare dal morbido dondolio dei vagoni fino ad addormentarsi, il viaggio fino a Vienna era lungo, poi lo aspettavano Parigi e Marsiglia.
Infine il luogo più lontano in assoluto: l'America, oltre l'oceano.
Significava imbarcarsi su un piroscafo e lui non stava nella pelle, voleva essere già al porto, sulla passerella della nave, pronta a partire verso quella terra favolosa dove tutto sembrava possibile.
Invece Yakov temporeggiava, faceva avanti e indietro lungo la pensilina, occhieggiava verso l'atrio, stava chiaramente aspettando qualcuno.
Anche Lilia era nervosa; il ragazzo aveva imparato che le pieghe del suo viso raccontavano molto più di quanto non dicesse a voce. “Il treno non ci aspetta....” le fece notare con discrezione.
La donna stirò le labbra in una smorfia di fastidio, poi gli indicò le valigie ammonticchiate “Allora mettiti avanti col lavoro, comincia a portarle sul treno.”
“Oui tantine!*” cinguettò Victor ben sapendo che il diminutivo affettuoso avrebbe accentuato l'espressione contrariata della ballerina. La lunga turnée giustificava la quantità di bagagli al seguito, ma in realtà il loro numero rimaneva sempre uguale, anche quando Madame Baranovskaja si spostava da Mosca a San Pietroburgo.
Considerando che era un viaggio di sola andata, pensò Victor caricando l'ennesima cappelliera, era fin troppo esiguo.

Gli zii non avevano preso la decisione a cuor leggero.
Yakov, impresario e marito della talentuosa etoile, sempre a contatto col bel mondo moscovita dei politici e degli uomini d'affari, aveva avuto il sentore che il declino dell'Impero russo, già in atto da alcuni anni, sarebbe degenerato presto o tardi in una guerra civile.
Allora, da persona prudente, aveva considerato che era meglio vivere quella crisi come emigrati di lusso piuttosto che da possibili vittime di un cambio di regime.
Quindi aveva fatto in modo di mettere quanta più distanza possibile tra il traballante destino dei Romanoff e ciò che rimaneva della sua famiglia.
New York gli era sembrata un buon compromesso.
A Victor non dispiaceva lasciarsi alle spalle una vita che odorava di polvere e muffa; poteva cominciare a soffrire di nostalgia una volta esaurito l'entusiasmo per il nuovo mondo.

Il triplice fischio della locomotiva lo svegliò all'improvviso dalle sue riflessioni, aprì il finestrino dello scompartimento e si affacciò preoccupato.
“Zia! Stiamo partendo!”
“Yakov!” Lilia a sua volta sollecitò il marito, che dopo un'ultima occhiata all'atrio si rassegnò a raggiungerli al binario.
Stava per salire sul predellino quando il suo nome gridato all'inizio della pensilina gli intimò di fermarsi e aspettare; una figura avanzava tra la folla e i facchini, trascinando insieme una grossa valigia e un bimbetto piuttosto riluttante, insaccato in un cappotto troppo largo per lui.
“Pensavo che avessi cambiato idea.” lo apostrofò Yakov, mentre Lilia prendeva in consegna bagaglio e moccioso.
L'uomo scosse il capo.
“Se viene con voi una possibilità almeno ce l'ha. Non voglio che vada in fabbrica o nell'esercito a farsi ammazzare per quei porci dei Romanoff.”
Nikolaj Plisetsky non era un realista e nemmeno uno di quei sovversivi socialisti, che andavano per le fabbriche incitando gli operai allo sciopero.
Era un uomo anziano, con un nipote che senza di lui sarebbe finito in orfanotrofio.
Preferiva saperlo vivo in America insieme a due persone fidate, anche se questo significava molto probabilmente non rivederlo più.
“Comportati bene Yuratchka.”
Il suo saluto fu sbrigativo, come la ruvida carezza con cui si congedò dal bambino; dire di più, attardarsi in spiegazioni lo avrebbe spinto a cambiare idea e non poteva permettersi questa opzione.
La scena avvenne sotto lo sguardo di Victor, sconcertato dall'atteggiamento del piccolo, che aveva visto il nonno andare via senza versare una lacrima.
“Vitya, questo è Yuri...” Lilia lo introdusse poco dopo nello scompartimento, mentre Yakov si occupava di sistemare i bagagli “Da oggi vivrà con noi, vorrei che lo considerassi come un fratello e che faceste presto amicizia.”
“Certo zia!” trillò entusiasta, lui era un maestro ad accattivarsi le simpatie delle persone, gli veniva naturale, conquistare il nanerottolo sarebbe stata una passeggiata.
“Io sono Victor, ma puoi chiamarmi Vitya!” esclamò porgendogli la mano e uno smagliante sorriso a forma di cuore.
Il moccioso guardò con la medesima espressione corrucciata il fratello acquisito e la mano tesa, poi, a tradimento, gliela azzannò, facendo precipitare tutto il vagone nel caos.




Victor accarezzò la cicatrice, un piccolo arco pallido tra pollice e indice e sorrise.
Le grandi storie iniziano spesso in maniera rocambolesca e Yura crescendo aveva fatto in modo di essere all'altezza di quella premessa, combinandone di tutti i colori.
Sparire di punto in bianco era una delle sue specialità; all'inizio aveva valutato le ipotesi più plausibili: dall'incidente all'incontro con una ronda della polizia; poi dopo ore passate senza notizie era stato costretto a considerare lo scenario peggiore: un rapimento.
Da parte di chi?
C'era l'imbarazzo della scelta: nel suo ambiente gli sgarbi e i nemici si accumulavano come i calzini nel cesto della biancheria sporca.
“Victor!”
L'esclamazione allarmata annunciò il ritorno di Christophe, ma fu soprattutto la mancanza dei soliti diminutivi leziosi a convincerlo che doveva prestargli attenzione.
“Novità?” il russo lo chiese col tono stanco di chi aveva già formulato troppe volte la stessa domanda.
“Devi dircelo tu, ho trovato questa infilata sotto la porta del club!” rispose lo svizzero porgendogli una semplice busta bianca su cui era scritto solo To Mr Nikiforov.
Intanto alla spicciolata erano tornati Mila, Georgi e Otabek e si erano avvicinati in silenzio, in attesa che il destinatario aprisse la missiva.
La busta mostrava un leggero rigonfiamento, troppo piccolo per contenere un dito o un orecchio, pensò Victor sollevato; ciononostante l'aprì con le mani che gli tremavano.
Insieme al messaggio uscì una ciocca di capelli biondi, arrotolata e tenuta ferma da uno spago; nessuno dei presenti aveva ragione di dubitare che quei capelli fossero di Yura.

Pregevole Nikiforov sama, il contenuto nella busta è un piccolo anticipo.
Se non vuole che il suo pupillo le venga restituito un pezzo alla volta, la pregherei di farsi trovare domani sera alle venti e trenta presso l''ingresso della galleria superiore dell'Opera House*.
Porti un suo uomo di fiducia, sono certo che abbiamo molti argomenti di cui discutere.
Devotamente suo Y.K.


La lettera venne fatta girare tra i componenti della gang e quando toccò a Otabek leggerla impallidì.
“I Red Lotus?” mormorò Mila indignata “Si mettono a sequestrare i ragazzini adesso?”
“Vogliono qualcosa, è chiaro.” convenne Georgi.
“Già e si sono premurati di avere l'attenzione di Victor.”
Cristophe rivolse un'occhiata inquieta all'interessato, il suo silenzio lo preoccupava più di quando alzava la voce.
“Come ci muoviamo mon amì?”
“Non mettere via lo smoking Chris, domani sera andiamo all'Opera.” fu la concisa risposta.
Impartì alcune brevi istruzioni ai presenti e li congedò, tuttavia Otabek rimase, aspettando pazientemente che anche lo svizzero si allontanasse.
“Qualcosa non ti è chiara?” chiese Victor ormai esausto.
“No. È tutto chiaro.”
“Quindi?”
Il giovane kazako esitò un momento, poi disse a bassa voce “So cosa vogliono i Red Lotus e perché hanno preso Yura.”


☼ La voce della trascendenza ☼

Come c'era da immaginarsi Yura ha reagito malissimo al suo sequestro e ha rimediato una quantità indefinita di maltrattamenti da parte dei suoi carcerieri.
Poteva finire molto peggio se Santo Phichit (santo subito!) non fosse arrivato portando alcune informazioni che hanno fatto tornare il sorriso a Yuuri.
Victor intanto, in preda all'angoscia ripensa al momento in cui ha conosciuto il demonietto biondo.
E alla fine Otabek è costretto ad affrontare il capo. Preparatevi perché le sorprese non sono finite; alcune rivelazioni "scottanti" ci aspettano nell'ultimo capitolo, dove qualcuno uscirà di scena in modo drammatico! Ma in certi casi tutto il male viene per nuocere.
Restate a bordo della Ford T per l'ultima tappa del viaggio! ^-^

PS: piccola curiosità: i nomi delle gang: Black Russian e Red Lotus sono ispirati a due cocktails, che s'intonano perfettamente col tema del Proibizionismo ^^ Come sempre ringrazio Old Fashioned e la sua notevole cultura mixologica per le info e le delucidazioni in materia ^^

NOTE – Traduzioni
Tantine: zietta in francese
Hiyoko chan: dal giapponese, piccolo pulcino
Roshia boketan: dal giapponese, idiota d'un russo
Baka gaijin: dal giapponese, stupido straniero

   
 
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