Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-Gi-Oh! 5D's
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Autore: Aki_chan_97    15/11/2020    2 recensioni
Il regno di Domino era straordinariamente cambiato nel corso di un solo decennio. Da quando era finita la guerra, persino i draghi erano diventati più pacifici nei confronti degli umani, e le due specie coesistevano in pace. La magia permeava il mondo condiviso da uomini, maghi, streghe, e creature magiche; essa è un prezioso nettare prodotto da qualunque essere magico, nonché dalla terra stessa. I draghi ne rappresentano la massima fonte nota. Tuttavia, uomini avidi avevano scoperto che la magia fosse estraibile. C’erano due possibilità: raccoglierne in esigue quantità dalla terra, o rubarla a creature viventi, spesso uccidendole. Però nelle terre del re questo era illegale. E poi, gli umani interessati alla magia erano pochissimi, e spesso lo erano per losche intenzioni. Ad ogni modo, il vero problema non era la ovvia criminalità. Il dramma era che il leggendario Libro dei Draghi era sparito, e nessuno se n’era accorto...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Sorpresa, Yusei Fudo
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 3: destini incrociati
 
“Il vero soldato non combatte perché odia quello che ha di fronte, ma perché ama ciò che ha dietro di sé.” ― G.K. Chesterton
 
Gli occhi di Yusei erano asciutti. Un po’ per il fuoco, un po’ per la cenere, un po’ per la sua mamma. Non aveva più lacrime. Aveva corso come un folle fin dove i suoi polmoni erano riusciti a condurlo, poi si era reso conto di essersi perso.
Aveva trovato un cespuglio nel sottobosco abbastanza fitto per nascondersi, ma era lì da ore. Lo stomaco gli doleva per la fame, la sua bocca era tutta impastata, aveva sete, voleva dormire e rivedere la mamma, e il bosco era troppo sinistro e silenzioso per un bambino come lui. Di stare tranquilli ad aspettare qualcosa, qualunque cosa, non c’era verso. Così come non c’era verso di scacciare dagli occhi l’immagine di quella punta di ferro che sbucava dalla schiena di suo padre. E il sangue, tutto quel sangue che gli imbrattava le vesti, il prato, le mani…
Yusei si strinse fra le spalle ancor più. Aveva brividi di freddo, e non aveva portato nulla con sé. Ormai era passato troppo tempo. Sua madre non c’era. Gli aveva detto di andare da Martha, ma lei viveva nella lontana città, e Yusei ricordava poco il suo volto. Trovarla sarebbe stato difficile. Ma era l’unica persona adulta su cui potesse contare. Gli altri erano tutti morti. Non c’era più nessuno a rassicurarlo, non c’era più nessuno a dirgli che non c’era bisogno di aver paura e che tutto sarebbe lo stesso andato per il meglio, anche a costo di mentire.
Ma, a onor del vero, Yusei sapeva che sua madre e suo padre non gli avrebbero detto questo. Gli dicevano sempre che avrebbe dovuto imparare a essere forte, semplicemente perché un giorno avrebbe potuto ritrovarsi da solo, perché chi è forte non teme il dolore o le difficoltà, chi è forte non è alla mercé di nessuno, e può difendere sé stesso e gli altri, e anche lavorare per vivere dignitosamente. Il padre gli diede un ottimo esempio in questo. La madre gli insegnò anche a leggere e a scrivere, era un’insegnante esigente, e ogni tanto tirava le orecchie, ma non gli fece mai mancare nulla. Yusei amava ingegnarsi per sorprenderla, imparava qualche acrobazia da farle vedere, si improvvisava cacciatore, costruiva giocattoli da solo, e si beava dei complimenti della mamma, perché solo sua mamma sorrideva così in quel lugubre luogo, solo la sua mamma lo chiamava “il mio piccolo eroe” abbracciandolo e baciandolo. Solo lei portava gioia in quel buco che puzzava di cadavere.
Il padre lavorava come fosse povero in canna, spesso rinchiuso nel loro scantinato dedito alle sue incomprensibili invenzioni, ma quando non era curvo su una scrivania, la sua brillante intelligenza era in grado di risolvere qualunque problema, tanto che Yusei era segretamente convinto che se anche suo padre avesse dovuto spiegare le leggi dell’alchimia a una gallina, quella gallina sarebbe stata in grado di capirci qualcosa. Non capiva perché non facesse un uso migliore di quella preziosissima materia grigia. Ma era felice che quello fosse suo padre. Era un uomo buono e sicuro di sé, e aveva reso molte volte chiaro quanto preziosa per lui fosse la sua famiglia. Proprio quando Yusei stava cominciando a diventare geloso dei marchingegni del padre, origliò una conversazione con sua madre: “Sai, in vita mia ho costruito di tutto. Ma solo Yusei è il mio, il nostro, vero capolavoro.”
Yusei era un figlio amato, lo sapeva. Ma ormai era tutto perduto. Il suo paradiso in quella fogna a cielo aperto non c’era più. Forse la mamma era nel sottobosco da qualche parte, ma come ritrovarsi? Continuò a chiederselo, finché non udì i felpati crepitii delle foglie schiacciate dai passi. Che fosse sua madre? No, i passi della mamma non erano così pesanti. Spostò con le manine un paio di foglie per cercare di vedere chi fosse. Un figuro longilineo, alto e magro, calzava grossi stivali e vestiti troppo abbondanti per la sua esile forma. Però era armato, quindi era un pericolo. Gli venne incontro un altro uomo, più basso e robusto.
“Ehi. Non è rimasto nessuno?”
“No. Ma anche se qualcuno fosse scappato, non è più affar mio.”
“Idem. Gli altri sono tutti alla base?”
“Sì. Stanno ancora sorvegliando quel bestione, ucciderlo sembra impossibile.”
“Che vuoi dire? Ne avete fatti fuori altri, che ci vuole a piantargli una spada nel cranio?”
“Ogni ferita si rimargina con una velocità impressionante! L’unica cosa che possiamo fare è aspettare che crepi per la fame e prosciugarlo di magia nel frattempo.”
“Ma non potete strappargli le squame una ad una? Se si rigenerano, avete una scorta infinita!”
“Non ha squame purtroppo per noi. È liscio come una biscia, e per più della metà del corpo è corazzato. E la carne che gli strappi diventa polvere.”
“Mi prendi in giro?!”
“Vorrei. Ma abbiamo avuto una sfortuna nera trovando proprio questo qui.”
“Allora strappiamogli i denti. Vediamo se anche quelli diventano polvere.”
I due si incamminarono alla svelta verso est, senza accorgersi del bambino nascosto fra i cespugli. Yusei non sapeva di quale animale stessero parlando, né capiva come fosse possibile che una creatura avesse tali caratteristiche. Doveva essere magica. Ma quelle informazioni non erano conciliabili col triste destino a cui pareva condannata: come poteva una bestia tanto potente ritrovarsi alla mercé di una manciata di banditi?
Yusei cercò di spostare i rami per vedere in che direzione si stessero spostando gli uomini.
Tuttavia, un ceppo sotto le sue mani schioccò sonoramente. Il bambino trattenne il fiato. Nessuno sembrava essersene accorto, i due uomini non si erano voltati ma non erano tornati indietro. Lasciò andare il fiato. Tutto liscio…
…o quasi.
Yusei fu tirato su da una ruvida mano che lo sollevò per il collo della maglia finché i suoi piedi non penzolavano. La camicia quasi lo strozzò. Ma quanto era alto quell’uomo, da dove era arrivato?! Non riusciva nemmeno a vederlo in faccia perché lo aveva aggredito alle spalle, doveva essersi avvicinato mentre lui ascoltava il dialogo dei due uomini… accidenti, non si era accorto di nulla!
“E tu? Che ci facevi nascosto qui? Sei coperto di cenere. Scommetto che sei riuscito a svignartela dal villaggio che brucia lì in fondo. Ho ragione?”
Yusei non faceva che scalciare come una furia e cercare di appigliarsi al pugno dello sconosciuto, tanto da costringere il gigante a cambiare presa pur di non farlo scappare, ma ciò non andò esattamente a vantaggio del bambino. L’uomo infatti lo afferrò saldamente per le spalle, piantandogli una testata micidiale sulla fronte. Yusei si abbandonò all'istante. Poi l’uomo lo lasciò andare. L’urto col terreno lo mandò definitivamente al tappeto.
Era sicuro di non averci messo molto a riprendersi, davvero lo era. Invece, quando aprì gli occhi, si ritrovò con le mani legate saldamente dietro la schiena, una corda che lo teneva legato ad un grosso tronco, e la fronte ancora dolorante.
Non era più nemmeno nello stesso angolo di bosco, ma in una piccola radura buia, c’era un fuoco acceso e diversi individui poco raccomandabili, tutti armati fino ai denti. Li riconosceva, erano quelli che avevano appiccato fuoco al Satellite. Avevano tutti una bandana rossa legata al braccio. Comprese con suo orrore di essere finito dritto nelle mani del nemico. Anzi, era sinceramente sorpreso di essere ancora vivo.
Notò che però nessuno gli stesse badando. Al contrario, tutti gli uomini avevano gli occhi puntati nella stessa direzione.
Non appena seguì il loro sguardo, un biancore innaturale riempì la sua visione. A pochi metri da lui riposava un enorme drago. La sua pelle era candida, la sua armatura argentea e azzurrognola, i suoi denti affilati come coltelli, le sue ali ripiegate sul suo dorso parevano un mantello pieno di pieghe. Tuttavia la creatura era stata legata con catenacci pesantissimi e adagiata su una specie di lunga tavola con numerose ruote. Gli anelli di ferro erano percorsi da venule verdognole, tutte collegate ad un unico, grosso lucchetto, su cui era incastonata una pietra nera e verde. Il metallo pareva ustionare la pelle del drago, sollevando esili fumi, ma ogni scottatura si richiudeva caparbiamente, rinnovando il dolore della povera creatura. Il drago era così legato da non poter aprire le zanne serrate, né le ali, né graffiare con gli artigli, poteva solo far vibrare la gola in un muto lamento e agitare la punta della coda, armata di una lama bipenne. Era come se quella catena lo indebolisse. Doveva trattarsi di un incantesimo inibitore applicato a quel ferro. La pelle lucida del drago lo rendeva luminescente nella penombra, ma in quello stato, quell’alone era ridotto ad un barlume che andava e veniva, come la fiamma di una candela quasi esaurita.
“E pensare che ci sono voluti dieci uomini per colpirlo con quel dardo magico, quando è caduto erano rimasti solo due uomini a tirargli addosso la rete di etere. Incredibile come basti far andare in corto circuito la loro stessa magia per farli cadere. Spero che venderne i pezzi ci ripagherà delle perdite.”
“Non hai visto cosa succede se lo tagli? Le ferite si rimarginano. E la carne strappata diventa polvere. Non ci faremo niente finché non ci porteranno le sfere di cristallo, quelle possiamo riempirle di magia.”
“Non ne avevo idea, sono arrivato da poco. Ho solo trovato il moccioso venendo qui. Tu che dici, che dovrei farmene?”
“Beh, vendilo, no?”
“Nah, è talmente pelle ossa che faccio prima a regalarlo.”
Yusei cominciò a sudare freddo, stavano parlando di lui. Poi notò con orrore che il suo rapitore stesse camminando in sua direzione. Doveva essersi accorto che fosse di nuovo cosciente. Cercò di strisciare con le gambe verso l’indietro, ma la sua schiena si appiattì contro il grosso albero a cui era legato.
“Ehi bamboccio, ti sei svegliato. Certo che c’è voluto poco a farti fare la nanna. Sei proprio debole!” lo scanzonò l’uomo, tirandolo su per i capelli. Yusei non poté non trattenere le urla, mentre l’uomo si fece più vicino e minaccioso. “Sono serio, un debole non lo vuole nessuno. Potrei venderti come schiavetto, ma non ci guadagnerei molto. Proponi alternative?”
Yusei non rispose. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Aveva letteralmente le mani legate, e ormai era in piedi, quasi sulle punte, pur di sentir meno dolore. Gli strilli e i lamenti del bambino non impietosivano quell’uomo. Era mai possibile una crudeltà simile? Nemmeno il drago sembrava impassibile, Yusei poteva giurare di averlo sentito ringhiare. Al Satellite ne aveva viste di tutti i colori, ma mai nessuno si sarebbe sognato che una tale violenza gratuita verso un bambino fosse concepibile. Persino in quel buco malfamato esisteva la decenza umana.
“Sei buono solo a strillare. Magari sei pure sordo. Credo che sarai un buono spuntino per i lupi.”
L’uomo lasciò cadere Yusei sgraziatamente, che si accovacciò a terra ansimando. Non potendosi tenere il capo con le mani, pressò il cuoio capelluto contro il terriccio per alleviare il dolore. Avrebbe voluto farsi così piccolo da scomparire. Invece era raggomitolato a terra, legato ad un albero, alla mercé di un uomo che non era tanto diverso da quelli che sua madre chiamava “orchi”. “Dagli orchi devi solo fuggire, sono mostri travestiti da uomini, che non conoscono la pietà, loro non si fermano nemmeno davanti ai bambini”, gli diceva. Ma mai pensò di incontrarne uno davvero. Il gigante (ora lo sembrava decisamente) mise un piede sulle sue fragili costole, premendo con intensità sempre maggiore.
“Allora, usa quella lingua, fammi vedere che sai parlare. Davvero vuoi morire?”
Yusei doveva pensare in fretta. Aveva una manciata di costole a rischio e una sola possibilità di fuggire con successo. Sua madre non l’avrebbe mai approvata.
Suo padre forse sì.
“Preferisco essere mangiato dal drago.”
“Hah! Ma dico, l’avete sentito?! Moccioso, sei proprio sicuro di quello che dici?”
I compagni dell’uomo risero di gusto. Yusei non rispose. Il bandito tolse la scarpa dal fianco di Yusei e lo tirò su per il bavero, slegando la corda che lo teneva bloccato all’albero, ma non le sue mani. Il drago ringhiò ferocemente quando i due si avvicinarono.
“Lo vedi quello, ragazzino? Un mostro come quello i deboli non possono acchiapparlo. Solo i forti hanno una possibilità. I draghi sono una fonte immane di magia, dai a un cacciatore gli arnesi magici giusti, e sono spacciati anche loro. Anche solo una scaglia vale oro zecchino. Programmavo di far morire questo lucertolone di fame, visto che non ci è buono a niente, proprio come te, ma forse un ultimo spuntino non gli farà male.”
Gettò Yusei a terra, spingendolo ulteriormente con un sonoro calcio. Il bambino rotolò nella polvere, stringendo i denti e cercando di rialzarsi con tutte le forze.
Quando scostò la frangia abbastanza da guardare il drago negli occhi, si accorse che la creatura lo stesse fissando intensamente. Yusei si chiese cosa stesse pensando. In fin dei conti, egli stesso non aveva un bell’aspetto: era impolverato dalla testa ai piedi, con vestiti troppo larghi per la sua età, un po’ stracciati, le mani legate dietro la schiena così strettamente da sanguinare. Ciò che lo rassicurava era che il drago non fosse messo meglio.
“Vedi? Sta già pensando che sei davvero pelle ossa, persino per lui!”
Yusei ignorò gli scherni. Se c’era una cosa che quegli uomini non potevano nemmeno sognarsi, era che il bambino davanti a loro conoscesse i marchingegni magici. Aveva passato abbastanza tempo nei laboratori di suo padre per comprenderne le basi. Il lucchetto che vedeva funzionava solo perché era in contatto magnetico con una pietra magica inibente. Senza quel contatto, la catena tornava perfettamente normale. A pietra era ferma al suo posto perché magnetica, così poteva essere sostituita facilmente, ma questo nessuno lo sapeva. Yusei richiuse le gambe contro il petto per far scivolare le mani legate da sotto fin davanti al busto, e si alzò di scatto, correndo con una velocità sorprendente per la sua età. Nessuno fece in tempo a inseguirlo, perché il ragazzino si gettò sulla pietra, cercando di staccarla con tutte le forze. Forti mani di uomini lo afferrarono per le spalle pur di tirarlo via di lì, ma la sua presa sulla pietra era salda, e quegli strattoni furono il colpo di grazia che staccò l’incantesimo dal lucchetto una volta per tutte.
E si scatenò l’inferno.
Il drago si agitò improvvisamente come un’anguilla, scuotendo energicamente gli arti e la coda, rompendo uno dopo l’altro ogni anello che teneva i suoi artigli legati assieme. Tutti gli uomini scapparono, senza eccezioni. Qualche gancio di ferro colpì i fuggitivi come proiettili. Le zampe e la coda furono le prime a liberarsi, poi le possenti ali –che gli alberi impedivano di aprire perfettamente, ma Yusei sospettava che fossero lunghe almeno quindici passi l’una- ed infine, le fauci.
Il ruggito del drago riecheggiò per tutta la landa, facendo vacillare i rami di tutto il bosco. Lo stridio era assieme acuto e roco, una strana combinazione che induceva a credere che in quella gola ci fossero due draghi diversi. Curvò il collo verso l’alto, non per ruggire, ma per caricare una fiammata argentea che rigettò a terra, spazzando via ogni carro, ogni cassa, ogni uomo rimasto a minacciare la sua libertà. L’unico che non attaccò fu il bambino. Yusei aveva lasciato cadere la pietra dalle mani. Non riusciva a staccare gli occhi da quella magnifica e tremenda creatura. Una parte di sé sperava che il drago lo risparmiasse. Un’altra parte si chiedeva perché mai avrebbe dovuto attaccare un bambino.
Quando notò che il rettile si stesse preparando a spiccare il volo, si precipitò in direzione della sua coda, aggrappandosi davanti all'ascia incastonata sulla coda del drago. La partenza fu più brusca di quanto potesse immaginare. Si avvinghiò alla carne del rettile con tutte le forze. Quando riuscì ad aprire gli occhi nonostante la vertigine, sotto di loro le cime degli alberi erano ridotte ad una sfumatura, sfrecciavano ad una velocità inconcepibile. L'aria era gelida, il vento fischiava nelle orecchie, ma il continuo ondeggiare del drago rappresentavano una seria minaccia alla sua fragile presa.
Il drago dal canto suo si era ben accorto di avere un ospite appeso alla coda e optò per atterrare su una sporgenza rocciosa non lontana. Si intravedeva anche un corso d’acqua, un buon luogo per riposare. Quando atterrarono fra i germogli verdi, adagiò con cura il ragazzo a terra. Yusei scese giù carponi, tremante e col fiatone. Poi si stese piatto sul ventre, esausto. Era sporco, sfinito e affamato. Davvero non aveva una bella cera. Il muso del drago gli stuzzicò gentilmente il busto, cercando reazioni vitali. Yusei alzò appena gli occhi pesanti. Era felice che fossero atterrati al sicuro, ma non aveva affatto pensato alle conseguenze del piano. Era solo molto grato al drago per non esserselo sgrullato di dosso mentre erano in volo. Il drago sollevò gli artigli in direzione di Yusei, che strinse gli occhi temendo il peggio. Non poteva nemmeno alzare le mani perché erano ancora legate, solo nascondersi sotto agli avambracci pregando di non essere ferito. Ma una punta affilata mozzò con un rapido scatto le corde che gli stringevano i polsi. I brandelli caddero a terra, mostrando i polsi lividi del bambino. Yusei si rialzò lentamente, senza staccare gli occhi da quelli del drago. Non poteva credere a nulla di quello che stesse accadendo.
“Ti devo un favore, ragazzo.”
La voce maschile riecheggiò nella testa di Yusei. Era sicuro che non avesse attraversato l’aria, era senza dubbio telepatia. Che dunque i draghi sapessero anche parlare la lingua degli umani?!
“Chiudi quella mandibola. Non mordo mica. Cioè, non i bambini.”
Yusei indietreggiò. Quel lucertolone fuori taglia aveva appena fatto una battuta?!
“T-tu sai parlare?”
“Ovvio. Non hai mai sentito parlare dei draghi?”
“Molto poco...”
Il drago sbuffò. Se avesse avuto iridi visibili sotto la sclera gialla, avrebbe di certo roteato gli occhi. “Questi umani, quanta ignoranza. Se non lo sai già, te lo dico io: parlare è il minimo che io sappia fare. Un drago ha molte più capacità intellettive di quanto pensi.”
Yusei quasi rise fra sé, perché quel tono di voce gli diede l’impressione di trovarsi a parlare con un altro umano. Chissà come mai non ne aveva mai saputo molto di queste creature.
“Ti ringrazio per avermi tirato fuori dai guai. Non ho mai visto un ragazzino spavaldo come te.”
Quello fu forse uno dei migliori complimenti che Yusei avesse mai ricevuto in tutta la sua vita. Non tanto per la spavalderia, ma perché provenisse da una bestia che faceva scappare a gambe levate con un solo sguardo.
“Ma se sei così forte, come hanno fatto quegli uomini a prenderti?” obiettò ingenuamente Yusei.
Il drago parve irritato, come punto nell’orgoglio. “Non avrei dovuto sottovalutarli, ecco tutto.” sbuffò.
“Hanno detto che hanno fatto andare in corto circuito la tua magia.” precisò il bambino.
“Sì, con il giusto incantesimo puoi fare queste cose. Vale per qualsiasi essere magico. Se trovo i maghi che vendono tali aggeggi a quegli sporchi cacciatori, giuro che gli stacco la testa a morsi.”
Yusei pregò mentalmente che suo padre non ne avesse mai costruito uno. Poi si ricordò che suo padre non c’era più, ormai.
“Non mi hai ancora detto che ci facevi fra le mani di quei banditi.”
Yusei indicò lentamente un punto impreciso all’orizzonte: ora che il drago la notava, si intravedeva una zona molto lontana da cui saliva una trasparente colonna di fumo. La lontananza impediva di capire la portata del danno alle piccole case di quel grigio spiazzo.
“Questa notte c’è stato un incendio al Satellite. Vivevo lì con i miei genitori. Mio padre ha cercato di proteggerci, ma lo hanno ucciso, con una spada. Mia madre non è più tornata. Io sono scappato.”
La voce di Yusei era cambiata. Era sommessa, piena di delusione. Il drago sapeva poco di cosa significasse perdere un genitore, ma quella secca descrizione fu sufficiente a riempirlo d’orrore. Se il padre del bambino non era morto per le fiamme, ma per una spada, allora quello non era un incendio casuale, era uno sterminio voluto da uomini a danno di altri uomini. Sentiva il sangue ribollire nelle vene. Gli umani sapevano comportarsi peggio delle bestie più selvagge. Faticava a rammentare un momento per cui avesse percepito stima per loro. I crimini eccedevano di gran lunga le buone azioni, al punto che la creatura si convinse che quella specie doveva essere corrotta nelle radici. Spiegava perché potessero inquinare tutto quello che toccavano.
“Quindi, sei rimasto solo?”
Yusei non si era ancora reso conto del fatto che ora anche lui fosse per definizione un “orfano”. Lui come tanti altri. Lui, che pensava avrebbe avuto la famiglia accanto a sé ancora per tanto tempo. La realizzazione lo colpì con una stilettata nel cuore. Si premette una mano sul petto, come se il colpo fosse stato reale. A pensarci meglio, a lui quel dolore sembrava fisico per davvero.
“Mi dispiace, ragazzo.”
Yusei scivolò in ginocchio a terra.
“Va bene piangere.” Udì nella sua testa la voce di sua madre, come se fosse sott’acqua. “Anche gli eroi piangono qualche volta.”
Lacrime salate scesero sul suo viso tutto sporco, cadendo goccia dopo goccia a terra. Non riuscì a trattenere qualche singhiozzo. La ferita nel suo cuore faceva sempre più male, più pensava a sua madre e a suo padre, alla sua casa e alla sua vita felice, più lo squarcio nel suo petto si allargava.
“Se devi proprio piangere, allora piangi” continuò lei, e Yusei poté quasi sentire le sue braccia che lo avvolgevano con amore. “Assicurati solo di fare qualcosa di più quando ti sarai calmato. Okay?”
Non gli importava nemmeno che il drago lo vedesse così. Lui odiava piangere. Quando cadeva per terra e le ginocchia gli sanguinavano, quando gli altri bambini si prendevano gioco di lui, lui resisteva tenacemente alle lacrime e reagiva. Si era sempre pensato forte, nonostante la sua età. Ma questo era molto, molto peggio di qualsiasi dolore avesse potuto immaginare.
“Io non voglio piangere!” rispondeva sempre a sua madre, “diventerò così forte da non piangere mai più!”
Sua madre gli metteva le mani sul capo, sorridendo. “Beh, forse potrai diventare forte abbastanza per non piangere più per tante cose. Ma non diventare così duro da non riuscire più a provare niente.”
Non voleva più sentire quel dolore. Non voleva sentire nulla. Ma non poteva negare di aver perso qualcosa di prezioso, e pensò che se avesse trovato un modo per non sentire più quel dolore, non sarebbe stato giusto. Se li amava così tanto, non era forse giusto piangere per loro?
 Osò voltarsi verso il drago bianco, gli occhi gonfi e il viso rigato di lacrime.
“Drago… perché gli uomini si uccidono così? T-tu lo sai?” balbettò, la voce strozzata dal pianto.
Stardust avvertì una fitta al cuore. Si era reso conto di non avere risposte valide. Dare un senso a quel dolore non era in suo potere. Evidentemente, gli uomini stessi sapevano restare confusi davanti al male proprio come i draghi. E nemmeno gli uomini sapevano spiegarselo, per quanto paradossale sembrasse. Quelle lacrime innocenti mandavano Stardust su tutte le furie. Nemmeno il drago più cinico e odioso poteva restare impassibile davanti al male consumato a spese di chi non c’entrava niente. Il drago chinò il capo, chiudendo le ali in un cerchio che avvolse protettivamente anche Yusei.
“Sono secoli che me lo chiedo, ragazzo.”
Yusei cercò di ripulirsi il viso con gli avambracci e un lembo della manica logora, confortato dall’ombra di quelle grandi ali. Sembrava un abbraccio. Ma nemmeno il drago lo sapeva, non c’erano risposte davanti al male. Il male c’era, e basta. La mamma gli aveva detto che doveva pensare a reagire, anche quando aveva voglia di piangere. Quando il male era entrato nella sua vita per la prima volta, Yusei era fuggito. Quando il male aveva cercato di attaccarlo di nuovo, in quel bosco oscuro, Yusei aveva reagito. Gli esiti delle due situazioni erano estremamente differenti. Erano queste le sue possibilità: fuggire, o combattere.
“Dai, non piangere più, bambino. Il mio nome è Stardust. Qual è il tuo?”
“Mi chiamo Yusei... Yusei Fudo.”
***

Aki era preoccupata. Mancava poco al ritorno del suo mentore, ed era sicura che se la sarebbe presa se avesse trovato ospiti indesiderati a casa. Ma insomma, si trattava di un’emergenza. L’importante era far sparire ogni prova. A quel che poteva badare aveva già badato, ma forse era il caso di dirlo al cavaliere…
Yusei ormai era abbastanza in forze da camminare senza barcollare più. Stardust era sempre in giro, guardingo, non si fidava di nessuno. Aki portò fuori le lenzuola umide per stenderle. Trovò il cavaliere seduto nel prato, mentre lucidava l’armatura. Alcuni pezzi erano chiaramente da rifare ex novo, ma gambali e coperture delle braccia erano ancora in buono stato, a parte qualche graffio. Dopo che Aki ebbe finito di stendere le coperte pulite, tornò al giardino davanti la casa, e senza farsi notare, si mise a osservare il cavaliere che ora stava calibrando la spada. Non faceva che disegnare lentamente in aria fluide linee curve, come se stesse scagliando fendenti a rallentatore. Non colpiva a vuoto, ma cercava di esercitare il massimo controllo sui movimenti della lama. Aki notò che il cavaliere teneva sempre i piedi distanziati e le ginocchia flesse, e che le mani sull’elsa non si toccavano mai fra di loro. Nulla era lasciato al caso. Qualche colpo fu scagliato più velocemente, ma poiché uno di questi gli sfuggì, perse l’equilibrio, cadendo su un ginocchio. Fu l’occasione per posare la spada e riposare su una pietra vicina.
Aki lo raggiunse poco dopo. C’era una domanda molto precisa che voleva fargli da un po’.
“Yusei, volevo chiederti una cosa da un po’.”
“Dimmi.”
“Tu… hai ucciso molte persone?”
Yusei si voltò interamente in sua direzione. Quella domanda lo aveva preso alla sprovvista. Gli ci volle un attimo per elaborare una risposta sensata.
“Aki, esattamente, perché pensi che sia diventato cavaliere?”
“Non ne ho idea. Alcuni soldati potrebbero volerlo solo per prepotenza. Per poter ferire o uccidere legalmente, diciamo.”
“Ti dico subito che non è per questo. A nessuno piace uccidere. Per quanto esista gente perversa, uccidere lascia sempre un segno.”
Aki guardò in basso. “Allora perché? Perché accetti di uccidere?”
“Per proteggere.”
“Per proteggere? Chi?”
“Chi è più debole di me, ma soprattutto le persone a cui devo la vita. Stardust, Martha, il mio maestro, persino il principe. Molti mi hanno aiutato quando non avevo più nulla, quando ero debole, senza alcun obbligo. Volevo imparare a proteggere me stesso e quelli chi avevo attorno, e per farlo dovevo diventare forte. La cavalleria era la strada che faceva al caso mio.”
“Dici davvero? Ma perdonami, cosa c’è di diverso dall’essere un mercenario? Non so molto delle armi, mi intendo più di magia.”
“Il mercenario ha una motivazione sola: la paga. Di fatto non ha nemmeno bisogno di essere un cittadino della patria che va a difendere. E per quanto mi riguarda, per i soldi non vale la pena rischiare la vita, o ammazzare altri. Sono consapevole del fatto che ogni goccia di sangue versata è una perdita insanabile, una casa lasciata vuota. Ma è per questo che sono diventato cavaliere. Per fermare, anche a costo di versare il loro sangue, quelli che non fermerebbero le loro spade nemmeno davanti a donne e bambini. Con certi uomini non si ragiona, non per nostra, ma per loro scelta.”
“Ma come fai a esserne sicuro?!”
“Ho combattuto abbastanza per riconoscere questi individui. Chi brandisce un’arma per proteggere, come me, non alza mai per primo la spada. Ed è difficile spingerlo al limite. Se dovesse accadere, vincerebbe anche a costo della vita. Se ti facesse una promessa, anche se fosse un nemico, sarebbe leale, perché possiede un onore, una morale. Gli altri fingono di piangere e supplicare per pietà, per poi piantarti un pugnale nel fianco alla prima occasione buona. Sono egoisti che combattono solo per sé stessi e i loro sporchi appetiti, non hanno un’anima da perdere. Di certo non sono rispettabili padri di famiglia.”
Aki non aveva idea del livello di violenza a cui Yusei fosse abituato. All'apparenza, sembrava gestire bene il suo equilibrio mentale, ma se il drago gli era ancora accanto, allora poteva fidarsi anche lei.
“Quindi, la tua motivazione è il voler proteggere quelli che ami?”
“Sì.”
“Continuo a non capire… vale questo amore la morte di qualcun altro, anche se cattivo?”
Il tono di Yusei si fece più duro. “Te l’ho detto Aki, il mio obiettivo non è togliere la vita. Se avessi avuto la forza di brandire una spada dieci anni fa, forse a quest'ora avrei ancora una famiglia.”
Aki abbassò la testa, mortificata. Aveva osato chiedere troppo, ed aveva finito col toccare un nervo scoperto. Si era meritata quel tono ostile. Che vergogna…
“Perdona la mia insistenza, Yusei. Ero solo curiosa, non volevo insinuare cattiverie.”
“Non preoccuparti. Capisco la tua confusione, tu sei una persona buona. Non sarei qui se tu non lo fossi.”
Stardust commentò da lontano: “E non scordarti che se non ti fossi perso nel bosco e non mi avessi trovato, a quest’ora sarei carne magica in scatola. Le prospettive sono importanti, ragazzi.”
Yusei si voltò verso il suo amico corazzato, era riuscito a strappargli un sorrisetto. E aveva rotto quella tensione che aveva cominciato a crescere fra i due. Era davvero un grande amico.
“A proposito, Yusei… non te l’ho detto perché non eri ancora in buono stato, ma fra poco tempo tornerà il mio mentore. Di sicuro non ha idea di quello che è successo, e non so bene come potrà prenderla. Non dovrebbe arrabbiarsi, ma ho preferito avvisarvi adesso…”
“Mentore? Non lo avevi mai menzionato.”
“Ah, beh, lo so… non era una priorità. Ma aveva detto che sarebbe stato via per una settimana circa per alcuni affari, ormai il tempo è quasi scaduto.”
“In tal caso partiremo subito, sto già molto meglio.”
“Ne sei certo?”
“Fidati. Mi sembra solo strano che tu non ne abbia parlato minimamente. Credevo vivessi da sola.”
“È che… è una lunga storia, tutto qui.”
“Se preferisci, non ti chiederò nulla.”
“Sì, per favore...”
Yusei le sorrise. “Aki, semmai dovessi tornare nel regno di Domino, sappi che lì avrai un amico che ti aspetta.”
Aki arrossì, sperando che nascondere il viso fra i capelli magenta la aiutasse a mimetizzare il porpore. Riuscì a balbettare un grazie con suo gran sollievo.
Fu così che dopo averla aiutata a riordinare quanto fosse fuori posto e aver raccolto i propri averi, il cavaliere e il drago si congedarono educatamente e spiccarono di nuovo il volo, inoltrandosi verso la lontana montagna, probabilmente diretti a Domino.
Aki si ritrovò improvvisamente nostalgica. Di tutte le sciocchezze che aveva fatto in vita sua, questa era la più bella. Forse poteva redimerla un poco da quello che aveva fatto in passato. Ma si era lasciata coinvolgere troppo per colpa di una stupida premonizione. Molto probabilmente non li avrebbe mai più visti, fine della storia.
Si appoggiò a uno dei tronchi dei suoi larici. Yusei aveva detto che combatteva per proteggere. Ma lei, per cosa combatteva? Per cosa viveva? Era così grata a qualcuno da rischiare la vita per proteggerlo? Sì, forse il suo mentore corrispondeva alla definizione. Lei lo avrebbe senz’altro difeso da ogni minaccia.
Ma a che pro vivere in un recinto nel frattempo? A che pro lasciarsi morire in un buco dimenticato dal mondo? Agitando le dita, le piante attorno alla sua esile figura germogliarono, e uno stelo verde andò a posarsi dolcemente sulle sue mani. Buffo, nessuno avrebbe mai pensato che un potere come il suo, che riempiva di vita ogni cosa respirasse, fosse capace di uccidere. Lei non meritava alcun amore. Lei aveva ucciso i suoi stessi genitori. Lei non aveva diritto a niente.
Se Yusei l’avesse saputo, di certo l’avrebbe guardata diversamente. Forse sarebbe andato via anche lui, o magari l’avrebbe ritenuta una minaccia e infine uccisa. D’altronde, lui era cavaliere per motivi nobili, lei di nobile non aveva un bel niente. Si era ben guardata dal dirgli di chi fosse in realtà, del fatto che lei non potesse tornare nella città come nulla fosse, di come solo il suo mentore l’avesse raccolta, di come solo lui l’avesse salvata per pietà dopo quell’efferato assassinio. Di come grazie a lui avesse potuto sviluppare in lei quella maledizione che lui chiamava “talento” e controllarla, così che nessuno ne cadesse più vittima come mamma e papà. Anche il suo mentore era un mago, ma meno forte di lei. Si era ripromesso di aiutarla a diventare eccellente nelle arti magiche, perché lei poteva andare lontano, poteva fare mille cose con una magia così potente tenuta sotto controllo. E c’era riuscita, con Yusei. Ma quanto aspettare prima di farne uso per davvero? Quando era pronta a buttarsi di nuovo nei meandri del mondo per ricominciare a vivere?
Era come se tutto quello che il destino l’avesse chiamata a fare fosse stato uno strappo alla regola. Non era ancora ora di andare a conquistarsi la felicità, e invece eccola là, a ridere e scherzare con un tizio del gentil sesso letteralmente caduto dal cielo. Andiamo, quante baggianate.
Aki tese le orecchie. Percepiva vibrazioni magiche. Qualcuno stava arrivando. Si tirò su, correndo nell’erba alta in direzione del nuovo arrivato.
“Sayer! Sei già tornato!”
  
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