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Autore: LysandraBlack    15/11/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 44
Rising wind



 

«Sembra siano finiti.» Esalò Garrett senza fiato, appoggiandosi alla parete. «Creatore, se vediamo un altro vaso sollevarsi in aria, diamo semplicemente fuoco all'intero quartiere e arrivederci.»

Anders, accanto a lui, scosse il capo divertito. «Potrebbero pure lasciarti fare, sei l'idolo delle folle.»

«A proposito di idoli...» li raggiunse la voce di Varric dallo studio, fredda. «Ho trovato qualcosa.»

I due maghi si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Varric aveva inviato una squadra di operai a rimettere a nuovo la villa di Bartrand, ma dopo una serie di incidenti assurdi erano tutti scappati urlando, farneticando di porte che sbattevano in assenza di vento, sussurri nelle pareti e oggetti che si spostavano da soli. Anders aveva suggerito che potesse essere una conseguenza dell'assottigliamento del Velo in quelle stanze che avevano visto parecchio sangue, dopo la follia di Bartrand nell'ingerire il lyrium rosso e tutti quei nani finiti macellati, quindi erano andati tutti e tre ad investigare.

Ovviamente, la villa non si era limitata a fargli sbattere una porta sul mignolo del piede, e Garrett si era ritrovato ad essere inseguito da un gigantesco golem spettrale dalle intenzioni per nulla amichevoli e altre ombre assassine.

Rientrarono nello studio che era stato di Bartrand, trovando Varric chino sotto la scrivania, i cassetti di legno divelti e lasciati sul tappeto. L'amico dava loro le spalle, grattando insistentemente sul legno sotto al ripiano del tavolo. Con un grugnito, riuscì finalmente a staccarne un altro pezzo, che cadde con un tonfo e una pioggia di schegge.

«Trovato!» Esclamò vittorioso Varric, frugandosi nella saccoccia di pelle alla cintura ed estraendone un paio di pinze che usava solitamente per armeggiare con trappole e meccanismi vari. Si voltò verso di loro, tenendo qualcosa stretto tra le due punte. «Avrei dovuto immaginare che Bartrand ne avesse tenuto un pezzetto... sono stato un idiota a credergli, ma mi sentirà, eccome!»

Il piccolo pezzo di lyrium rosso brillava debolmente di luce propria, riflettendo scintille scarlatte negli occhi del nano, che lo fissava intensamente senza nemmeno battere ciglio.

Anders e Garrett si scambiarono uno sguardo preoccupato.

«Forse dovremmo distruggerlo.» Propose il primo, torvo.

Varric si ritrasse istintivamente, irrigidendosi. «Sei impazzito? Potremmo scoprire qualcosa su questo lyrium, cos'ha fatto a mio fratello!»

Garrett fece un passo verso di lui, riconoscendo quel tono di urgenza nella voce dell'amico. «Varric, mettilo giù e parliamone. Potrebbe effettivamente esserci utile, ma ci sono dei rischi, lo sai bene-»

«Da quando non ti fidi di me, Scheggia?» Chiese a bruciapelo l'altro, lanciandogli un'occhiata offesa. «Non sono Bartrand, lo sai benissimo. E poi, è a malapena un frammento, ci starò attento. Non posso farmi sfuggire questa opportunità...»

«Che razza di opportunità sarebbe, quella di perdere la testa?» Si intromise Anders, cercando di muovere la mano per fargli sfuggire la pinza di mano. «Dovremmo semplicemente-»

«Non sta a te decidere, biondino!» Sbottò Varric. «Vi ho chiamati per scoprire cosa stava succedendo, ma ora posso fare anche da solo. Andrò in fondo a questa faccenda, non devo certo chiedervi il permesso per aiutare mio fratello.»

Garrett afferrò Anders per un braccio, frenandolo dall'insistere. Poteva sentire Giustizia scalpitare per prendere il controllo del compagno, ma il gesto sembrò riportare in sé il mago. «Siamo solo preoccupati, Varric. Ma non mi sognerei mai di dirti cosa devi fare, soprattutto quando si tratta di Bartrand, so quanto è importante per te. E onestamente... anche io vorrei sapere in cosa siamo incappati, quel lyrium rosso ci ha dato troppi problemi per cercare semplicemente di liberarcene distruggendolo. Se riesci a scoprirne di più, potrebbe essere utile a tutti. Non credo che quel Thaig fosse l'unico a contenerne, le Vie Profonde sono troppo vaste per essere solo un caso isolato. Qualcuno potrebbe incontrarne dell'altro, e cadere nella stessa trappola in cui è finito tuo fratello.»

Varric annuì. «Lo so. Ci starò attento, cercherò di entrarci in contatto il meno possibile. Ho un paio di forzieri per trasportare il lyrium del Carta, sono abbastanza spessi da contenerlo in sicurezza, credo. Nel caso, me ne farò fare uno su misura, so a chi rivolgermi.»

Anders scosse il capo. «Se inizi a sentire qualsiasi cosa di strano-»

«Lo so, biondino, non voglio farvi preoccupare.» Cercò di rassicurarlo lui, appoggiando il lyrium sulla scrivania e svuotando un portagioie di qualche ninnolo, buttandoli a terra e infilandoci la scheggia scarlatta. «Vi terrò aggiornati. Troverò pur qualcuno che sappia qualcosa, tra tutti i miei contatti.»

«Sicuro che nessuno del resto della spedizione potesse averne portato un altro pezzo in superficie?» Chiese Garrett, rabbrividendo al pensiero.

Varric scosse il capo. «Bartrand era così paranoico da averli ammazzati o costretti ad ingerire quella robaccia, non ho trovato nessun altro a parte Bodahn e suo figlio. Devono tutti aver fatto una brutta fine, magari aveva paura che glielo potessero rubare.»

Uscirono all'aria aperta, il freddo pungente ad accoglierli nonostante non fosse ancora calato il sole. «Ora devo solo convincere tutti quanti a tornare al lavoro.» Borbottò il nano, tamburellando con le dita sull'impugnatura di Bianca.

«Posso farlo io, non preoccuparti.» Si offrì Garrett. «Tu pensa a quel coso, nel giro di due settimane la villa risplenderà come nuova, l'antivano sarà bello contento del suo acquisto e tutti ci saremmo lasciati alle spalle i vasi di fiori assassini.»

«Speriamo,» commentò Anders, massaggiandosi la spalla dove l'aveva colpito un intero set di porcellane possedute «non avrei mai pensato che una tazzina da tè potesse fare tutto quel male.»

«Questo è perché non hai mai fatto battute sconce al tavolo con mia madre e Marian.» Ridacchiò Garrett, ricordandosi di quella volta in cui la sorella gli aveva lanciato addosso una tazza per averla presa in giro su una delle sue varie cotte. «Ha una mira infallibile con qualsiasi oggetto.»

Varric sbuffò divertito. «Sono contento di non aver mai usato quella teiera di ghisa rivaini in sua presenza, allora, quella avrebbe fatto davvero male.»

«Non più di una spada in pieno petto...» Sussurrò sarcastico Anders, ma Garrett riuscì comunque ad intercettare la frase.

Si limitò a guardarlo male, rifilandogli una pacca sulla spalla dolorante. «Dacci un taglio.»

Erano arrivati più o meno davanti a villa Hawke, quando il nano li salutò con un mezzo inchino. «Signori, le nostre strade si dividono temporaneamente. Buona serata, ed evitate la cucina. Il Creatore sa quante armi improvvisate si nascondano nelle credenze.»

Rimasti soli, Anders lo afferrò per una manica. «Non credo avremmo dovuto farglielo tenere.»

«Non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e fare finta che non ci riguardi, però... lo dici sempre anche tu.»

«Io sto parlando di qualcosa di completamente diverso, invece!» Insistette Anders, serrando la presa. «Un conto sono i diritti umani per cui tutti dovremmo combattere, un altro è andarsi a cercare guai con del lyrium che sappiamo può entrarti nel cervello e-»

Garrett lo tirò a sé, stringendolo senza liberarsi dalla sua presa. «Lo so. Staremo attenti anche per lui, ma era importante. Ci aiuta anche quando potrebbe infischiarsene bellamente, non credi fosse il momento di ricambiare?» Gli accarezzò i capelli, inspirando il suo profumo e godendosi il tepore che emanava. «Mi fido di Varric.»

Dopo qualche attimo di incertezza, sentì l'altro annuire. «Anche io, ma sono preoccupato. Non ho molti amici, a differenza tua. Non so come... proteggerli.»

«Basta stargli accanto.» Si tirò un poco indietro, abbastanza per guardarlo negli occhi. Gli sfiorò appena le labbra, per poi approfondire il contatto. Lì, in mezzo alla piazza, infischiandosene bellamente di chi avrebbe potuto vederli. Non che in mezzo a quella bufera ci fosse molta gente, e i pochi che ancora si avventuravano fuori casa avevano il naso coperto da strati di lana e ben nascosto nel colletto. «Rientriamo? Sto congelando.»

Anders scosse il capo. «Io dovrei passare alla Clinica, Merrill stava dando un'occhiata alle scorte di erbe, se ne manca qualcuna all'appello domani dovremmo cercare di recuperarle dai vari erboristi.»

«Sicuro di non voler almeno cenare?» Gli chiese Garrett, speranzoso. «Potrai andarci domani alla clinica, poi finisce che tiri tardi e resti lì a dormire, e io mi sento così solo in quel letto enorme...»

Un sorrisetto furbo arricciò le labbra dell'altro, mentre riavvicinava il volto al suo. «Ah, e così ti sentiresti solo? Povero Campione, non posso allontanarmi un attimo che senti la mia mancanza.»

«Non vorresti far soffrire l'eroe di questa città, soprattutto dopo un combattimento così pericoloso?»

Anders gli diede un buffetto sulla fronte, depositandogli un bacio veloce e allontanandosi un poco. «Vuol dire che cercherò di tornare il prima possibile, ma non puoi ogni volta tirare fuori sempre lo stesso argomento, l'aver ucciso l'Arishok non è una scusa per non far lavorare noialtri. E comunque, ormai è storia vecchia.»

Garrett finse di offendersi. «D'accordo, fai pure con comodo, dormirò con Bu stanotte.»

«Non ci provare, sbava sempre sul mio cuscino, è uno schifo.»

«Allora fai in modo di occuparlo più spesso.» Gli sorrise, restando ad osservarlo mentre si voltava e, dopo essersi alzato ulteriormente il mantello sopra il mento, si avviava verso la città bassa.

Una volta che fu sparito alla vista, Garrett si risolse ad entrare nel vialetto di casa.



 

Bu gli corse incontro facendogli le feste appena messo il piede nell'ingresso, strofinando il muso contro la sua gamba e dandogli del colpetti con il fianco per farsi coccolare. Si chinò ad accontentarla, cercando di scaldarsi le mani sfregandole sui pantaloni prima di passarle sulla sua pelliccia. «Ciao bella.» La salutò, dandole un bacio sulla testa e lasciando che l'animale di rimando gli leccasse la faccia.

Stava invecchiando. Il pelo più chiaro sul muso e sopra gli occhi era ancora più sbiadito, e attorno al naso e sul mento spiccavano parecchi peli bianchi. Era sempre più pigra, soprattutto d'inverno, e nonostante le pronte cure di Anders a causa di ogni scontro che la mabari aveva affrontato coraggiosamente, zoppicava leggermente. Anche Rufus gli ultimi anni li aveva passati più accanto al fuoco che in cortile a fare la guardia, e alle volte Bu si trascinava stancamente allo stesso modo del vecchio mastino che l'aveva preceduta.

Le accarezzò dolcemente le orecchie, spostandosi sul collo e poi sulla pancia. La mabari si buttò a terra, rotolando sulla schiena in modo da godersi al meglio le sue attenzioni.

«Garrett, sei tu?» Lo chiamò Marian dalla sala da pranzo.

«Sì, arrivo, datemi un attimo!» Rispose, dando un'ultima grattatina alla mabari e facendole poi segno di alzarsi. «Forza Bu, vediamo se riesci a raccattare qualche altro spuntino dal tavolo...»

Salì in camera velocemente, liberandosi dei vestiti inzaccherati di melma sovrannaturale e irrigiditi dal freddo, dandosi una sciacquata veloce e infilandosi poi una veste da camera di morbida lana rosso scuro e dei pantaloni altrettanto confortevoli.

Bu uggiolava impaziente, senza togliergli gli occhi di dosso un attimo.

«D'accordo, d'accordo, andiamo...»

Trovò Aveline seduta al tavolo con la sorella e Sebastian. Il Capitano sembrava particolarmente infervorata, le guance rosse e un cipiglio corrucciato sul volto.

Donnic spuntò dalla cucina con un'altra caraffa di vino rosso, seguito da Seth con un grosso vassoio tra le braccia, su cui troneggiava un arrosto che fece subito gorgogliare lo stomaco di Garrett.

«Come mai di nuovo qui?» Chiese accomodandosi. «Vi mancava la nostra cucina, ammettetelo.»

«Questo è uno dei motivi principali, sì.» Rispose Donnic, annuendo solennemente.

«Grazie a Marian ci siamo finalmente liberati di quel parassita di Jeven.» Disse invece Aveline, facendo un cenno all'amica. «Quel verme schifoso non avrebbe nemmeno dovuto azzardarsi a-»

Garrett li guardò confuso, cercando di ricordarsi chi fosse quel tizio e cosa avesse mai potuto fare per inimicarsi Aveline in quel modo.

«Il precedente Capitano delle Guardie, Garrett, ricordi?» Corse in suo aiuto Marian, alzando gli occhi al soffitto. «Quello che accettava tangenti e andava a braccetto con la Cerchia.»

«Oh, lui!» Esclamò, sorpreso che fosse rispuntato. «Che ha fatto stavolta?»

«Cosa non ha fatto, piuttosto!» Ringhiò Aveline, prendendo il calice di vino che le porgeva il marito e bevendone avidamente qualche sorso. «Stava mettendo in giro voci su quanto fossi incompetente e inadatta a guidare i miei uomini, e qualcuno ci ha pure creduto.»

«Soltanto quel deficiente di Cullen avrebbe potuto dar retta a puttanate del genere, Aveline, dai.» Cercò di rassicurarla Marian, prendendo da bere anche lei.

«Li hai sentiti, tutti in caserma si butterebbero nel fuoco, se fossi tu ad ordinarlo.» Confermò Donnic, afferrandole e depositandovi un bacio.

L'altra arrossì fino alla punta delle orecchie, voltandosi dall'altra parte. «Grazie. Dico davvero. E anche a te, Marian, se Ruvena non fosse venuta ad investigare-»

«Te lo meriti, Aveline, sei il miglior capitano che questa fogna di città abbia mai avuto, e non permetterò a nessuno di insinuare il contrario.» Rispose Marian, seria. «Mi dispiace solo non aver potuto fare altro, ma Culo mi sta talmente addosso che avrebbe considerato l'intera indagine falsata se ci avessi messo il naso.»

«Quell'uomo è spregevole.» Convenne Garrett, porgendo di buon grado il piatto a Seth, che aveva iniziato a tagliare l'arrosto. «Complimenti, ha un profumino favoloso...» Sussurrò all'elfo, sentendo i morsi della fame.

Il ragazzo sorrise in rimando, gonfiando il petto. «Grazie, messere.»

Sebastian si complimentò anche lui, per poi tornare sull'argomento. «Cullen non è altro che un frustrato spaventato dalla sua stessa ombra.»

«Dovreste vederlo, come attraversa i corridoi della Forca manco fossero tutti pronti ad ammazzarlo ad ogni passo, e lui avesse alle spalle il Creatore in persona ad illuminargli la via verso la salvezza.» Sputò Marian, addentando un boccone con rabbia. «Prima o poi farà un passo falso, vorrei solo essere lì a tirargli un calcio nel culo e vederlo cadere sul fondo.»

«Molto cavalleresco da parte tua, tenente, parlare male dei tuoi superiori.» La prese in giro Garrett, sogghignando. «Non temere, prima o poi la fortuna girerà anche per lui.»

Marian lo guardò sospettosa per un istante, per poi stringersi nelle spalle. «Quello che so per certo, è che stavolta non sarò lì a parargli il didietro, nossignore.»

Garrett si chinò a porgere un pezzo di carne a Bu, ma la mabari era curiosamente voltata verso il cortile, il naso puntato contro il vetro, le orecchie e la coda ritte.

«Bu?» Si scambiò uno sguardo teso con la sorella, alzandosi. «Che hai visto, bella?»

L'animale emise un basso ringhio, irrigidendo il collo e scoprendo un poco le zanne.

«Bu, che diamine-»

La mabari prese a ringhiare più forte. Marian era saltata ad aprire la finestra della veranda, allungandosi a recuperare la spada da dove l'aveva appoggiata. Anche gli altri li avevano raggiunti, e ora stavano tutti scrutando il buio cortile coperto di neve, in attesa di individuare il colpevole.

Seth, spaventato, si ritrasse dietro di loro, il coltello per l'arrosto stretto tra le mani. Garrett gli fece segno di stare in silenzio e tornare in cucina, chiudendo la porta.

Dopo qualche lungo istante, udirono uno schiocco di rami rotti, e con un'imprecazione qualcuno cadde di sotto affondando in un cumulo di neve.

«Fermo dove sei!» Gridò Aveline varcando la soglia, la spada in pugno.

Garrett richiamò un poco di mana sulle dita, precedendola verso il montarozzo candido. Fece segno ad Aveline e Marian di stare in guardia, mentre gli altri due rimanevano un poco più indietro.

«Se stai cercando cibo, soldi o qualche vestito caldo, basta chiedere, siamo sempre pronti ad aiutare.» Provò a parlare, le mani sollevate e bene in vista. «Non è carino piombare di nascosto in casa altrui, non ti pare?»

Un figura minuta fece capolino da sotto un mantello pieno di neve, rimettendosi in piedi con non poca difficoltà e cercando di darsi un contegno spazzolandosi il cappuccio. «Non voglio niente da voi, messere... scusate l'intrusione.» Rispose una voce femminile.

Garrett assottigliò lo sguardo, confuso. «Cosa ci facevi sull'acero del mio cortile, allora?»

La ragazza si abbassò finalmente il cappuccio: era un'umana, giovane, le guance rosse dal freddo e i capelli castani lunghi fino alle spalle che incorniciavano dei lineamenti stranamente familiari. «Volevo solo dare un'occhiata.» Si guardò attorno, a disagio, scuotendo un po' di neve dalla frangia che le copriva gli occhi. Occhi che erano dello stesso identico taglio e colore di quelli della madre, che Garrett aveva ereditato dal suo ramo della famiglia.

«Chi sei?» Le chiese semplicemente, le mani sempre alzate verso di lei, pronto a fermarla nel caso fosse tutta una trappola. Poteva sentire Bu ringhiare sommessamente qualche metro indietro, e lo sguardo teso di Marian puntato su di sé.

La ragazza sbuffò, sollevando le mani per far vedere che era disarmata. «Avevano detto che eri gentile, ma non immaginavo a tal punto...» scosse il capo, fissandosi le punte dei piedi. «Dovrei essere sollevata, non assomigli per nulla a Gamlen.»

«Cosa c'entra Gamlen in tutto ciò?» Chiese Marian avvicinandosi a loro, la voce carica di sospetto.

L'altra si irrigidì d'istinto, indietreggiando sulla difensiva, lo sguardo che volava alla spada che l'altra stringeva in mano. «Non voglio farvi niente, lo giuro!» Si affrettò a dire, una nota di paura nella voce. «Ho cercato di vedere che persona fosse vostro zio, ma non ha avuto le palle di venire a cercarmi, quindi speravo di trovarlo qui ai Satinalia-»

Garrett scoppiò a ridere, scuotendo il capo. «Come se Gamlen volesse passare del tempo con noi.»

«Abbiamo sentito qualcuno vagare per il cortile, quella notte!» Ricordò Marian, dandogli un colpo sul braccio per farlo tornare serio. «Da quanto ci tieni d'occhio, e perché?»

La ragazza sospirò pesantemente. «D'accordo, d'accordo, vi dirò tutto. Ma non infilzarmi con quella spada, non sono brava a combattere come voi. Mi chiamo Charade, volevo incontrare finalmente mio padre, ma a quanto pare la famiglia non è il suo forte.»

Garrett rimase a bocca aperta. «Tuo... padre?»

«Gamlen ha una figlia?» Ripetè sconvolta Marian, abbassando finalmente l'arma. «Da quando?»

«Da ventitrè anni, in effetti, ma anche io l'ho scoperto da poco.» Ribattè amaramente la ragazza, incrociando le braccia. «Mia madre non mi aveva mai detto nulla su di lui, non fino a quando...» lasciò la frase in sospeso, abbassando lo sguardo.

Garrett la vide rabbrividire. «Senti, dentro c'è un arrosto meraviglioso e un camino acceso, se vuoi continuare a insultarlo al calduccio. Non si merita che tu prenda un malanno per colpa sua.»

Charade rialzò gli occhi blu verso di lui, sorpresa. «Davvero? Dopo che mi avete beccata a spiarvi in casa vostra, mi invitate semplicemente a cena?»

Fu Marian a risponderle, stringendosi nelle spalle. «È un difetto degli Hawke, purtroppo non viene dalla parte di famiglia che abbiamo in comune. Forza, sei la benvenuta.»

Garrett le sorrise, lieto che avesse apprezzato l'idea.

Aveline li scortò nuovamente all'interno, non staccando nemmeno per un attimo gli occhi dalla nuova arrivata, che nel mentre si guardava attorno con soggezione.

Sebastian la fece accomodare alla tavola, andando a raggiungere Seth per rassicurarlo che la situazione fosse sotto controllo.

«Come mai non sei andata a parlare direttamente con Gamlen?» Le chiese Garrett, finendo di servire lui stesso la cena.

«Non si è mai interessato a me per tutto questo tempo, non posso semplicemente andare a bussargli alla porta e chiedergli perché non gli è mai importato un accidente di sua figlia.» Bofonchiò Charade, giocherellando con le posate. «Speravo di attirare la sua attenzione con una gemma che ha cercato per tutta una vita, ma non ha funzionato nemmeno quello.»

«Ho visto quella lettera!» Si illuminò Garrett, ricordandosi dell'ultima visita che aveva fatto allo zio. «Mi ha urlato di farmi i fattacci miei e di non immischiarmi.» Allungò un boccone a Bu, che aveva smesso da un pezzo di ringhiare ma comunque non scollava gli occhi dalla loro ospite.

La ragazza scosse il capo, affondando sempre più nella sedia imbottita, tenendo sott'occhio la mabari. «Volevo vedere se si sarebbe impegnato a trovare qualcosa che voleva davvero, ma non ha abboccato. Figurati se io ho qualche speranza, allora.»

«Gamlen è uno sfaticato, ma non ci ha mai detto di avere una figlia.» Disse Marian. «E per quel poco che lo conosco io, mi sorprende che non ti abbia usata come motivo per avere più soldi di quanti gliene passi già Garrett.»

Lui cercò di mandare un'occhiata ammonitrice alla sorella, ma ormai la frittata era fatta. Charade aggrottò la fronte, sospirando. «Sono stata un'idiota. Mi dispiace avervi tirato in mezzo, vi assicuro che non sono qui per i vostri soldi. Non sono lui.»

«Ci fa piacere che tu ti sia fatta viva, invece.» Le disse Garrett, sorridendole. «Pensavamo che ci restasse solo quell'antipatico di Gamlen, come famiglia qui a Kirkwall, sono contento di essermi sbagliato.»

Charade lo guardò sorpresa, ricambiando incerta il sorriso. «Avrei dovuto bussare, ma avevo un po' paura a presentarmi alla vostra porta, ho sentito di come avete affrontato i Qunari e quell'Altodrago alla miniera...»

«Siamo molto meno spaventosi di quello che raccontano.» Cercò di rassicurarla Marian.

«Quello sono io, lei è assolutamente terrificante come dicono.» La prese in giro Garrett, sollevando divertito il calice verso di lei. «Non importa, comunque, sei di famiglia, Charade. Sentiti la benvenuta quando vuoi.»

La ragazza si mise in bocca un gran pezzo di arrosto, imbarazzata. «Grazie.»

«Anche se sarebbe meglio bussare, la prossima volta.» La rimproverò bonariamente Aveline, mentre Sebastian le offriva del vino. «Ci hai fatti spaventare, non sarebbe stata la prima volta che qualcuno ci tende un'imboscata.»

«Scusate.» Chinò di nuovo il capo l'altra.

«Capita a tutti di fare cose stupide.» Cercò di metterla a suo agio Donnic, e Garrett sospettò avesse tirato un calcetto sotto al tavolo ad Aveline, vista la smorfia imbarazzata dell'amica.

Dopo un breve scambio di presentazioni, tornarono a mangiare quasi come se nulla fosse.

«Se vuoi, possiamo andare insieme a parlare con Gamlen.» Propose Garrett, finita la cena. «Sei sicura che sappia che sei in città?»

Charade scosse il capo, rimettendosi la giacca che nel frattempo avevano appeso ad asciugare accanto al focolare. «Mia madre non mi ha nemmeno detto se gli ha mai parlato di me... potrebbe non sapere nemmeno che esisto, in effetti. Mi ha rivelato di lui solo sul letto di morte, fino ad un anno fa aveva sempre evitato l'argomento.»

«Mi dispiace, condoglianze.»

La ragazza annuì debolmente. «Mi accompagneresti? Non voglio andarci da sola, nel caso...»

«Se dovesse reagire in modo scorbutico come fa di solito, non demordere, non vuol dire che non ci sia un cuore sotto quella scorza dura e rugosa.» La avvertì Garrett. «È solo che non è abituato a mostrare emozioni umane.» La accompagnò alla porta, porgendole la mano. «Ci ha fatto davvero piacere conoscerti, cugina.»

Marian si affacciò dall'ingresso, indirizzandole un sorriso. «È stata una bella sorpresa.»

La guardarono allontanarsi lungo il vialetto con un ultimo sorriso incerto.

Con una piacevole stretta al petto, Garrett individuò Anders venirle incontro, restare un attimo a fissarla e poi raggiungerli velocemente.

«Chi era?»

«Abbiamo una cugina che non vuole ucciderci, a quanto pare.» Gli rispose togliendogli un po' di neve dai capelli. «Gamlen ha una figlia segreta.»

«Gamlen?!»

Il tono schifato nella voce del guaritore fece scoppiare entrambi i fratelli Hawke in una fragorosa risata, mentre l'ultimo arrivato appendeva il mantello all'ingresso.

«È esattamente quello che ho pensato anch'io.» Gli diede corda Marian.

«Magari ai suoi tempi era un bell'uomo.» Provò a difenderlo Garrett, poco convinto delle sue stesse parole.

«Sì, duecento anni e trenta tonnellate di alcol fa...» Borbottò Anders, massaggiandosi le mani intirizzite dal freddo. «Muoio di fame, ma almeno abbiamo finito l'inventario.»

«Ti abbiamo tenuto in caldo qualcosa, non temere.» Lo rassicurò il compagno, prendendole tra le sue e scaldandogliele.

Bu fece capolino dal corridoio, abbaiando un saluto.

«Oggi dormi con Sandal, sacco di pulci.» Le prese in giro Anders con una smorfia soddisfatta.



 

La mattina dopo sorprese Garrett con un meraviglioso profumo di dolci appena sfornati.

Si ridestò dal torpore, arrischiandosi a mettere il naso fuori dalle pesanti coperte. Accanto a lui Anders bofonchiò qualcosa, ancora mezzo addormentato.

Sì, era decisamente odore di croissant quello.

Sbadigliò rumorosamente, tirandosi a sedere stando attento a non scoprire Anders, stropicciandosi gli occhi e rabbrividendo quando l'aria fredda gli fece ricordare di essere a petto nudo.

Fece per alzarsi, quando sentì la mano del compagno afferrare la sua.

«Buongiorno.» Gli sorrise, sfiorandogli il naso con le labbra.

L'altro aprì pigramente gli occhi, le occhiaie meno profonde del solito viste le ore di sonno che era riuscito a fargli fare, nonostante avessero tirato un po' tardi lo stesso. «Croissant?»

Annuì, accarezzandogli i capelli sul capo in un modo molto simile a come faceva con Bu, che Anders sembrava gradire particolarmente. A volte gli ricordava un po' un gatto.

Si alzò a raggiungere le vestaglie pesanti, che avevano lanciato malamente sulla sedia la notte prima, rivestendosi con un sospiro soddisfatto. Sentì il compagno trafficare con le coperte, per poi raggiungerlo e prendergli la veste dalle braccia, ancora un po' intontito e con i capelli arruffati.

Garrett gli porse il nastro azzurro che usava per legarseli, iniziando a pettinarglieli con le dita. Non ne uscì un lavoro propriamente ben fatto, ma Anders lo ringraziò con un bacio, premendolo un poco contro la scrivania, le dita della mano destra a sfiorargli il petto mentre con la sinistra tentava ancora di allacciarsi la cintura della vestaglia.

«Potremmo fare qui la colazione e proseguire...» Propose Garrett divertito, la voce bassa, ricambiando il bacio e fermandolo dal vestirsi.

«Non dovevi andare al porto con Isabela, oggi?»

Sbuffò infastidito. «Ha aspettato per anni, che saranno un altro paio d'ore?»

Anders ridacchiò debolmente, chiudendo gli occhi e allontanandosi da lui, lasciandolo libero di scostarsi dalla scrivania. «Ho da fare anche io, purtroppo, quelle erbe non si compreranno da sole.»

Garrett sospirò, voltandogli le spalle e andando verso il bagno. «La questione è solo rimandat-» Uno spruzzo d'acqua gelida si sollevò dal lavandino, colpendolo in piena faccia. Si girò di scatto, evocando un po' di mana per dare all'altro pan per focaccia, ma il suo colpo finì per rimbalzare su una barriera luminescente e cadere per terra con uno schizzo. «Pensavo fossi di fretta.»

«Ti stavo solo dando una mano a rinfrescarti le idee...» ribattè Anders facendo spallucce, affiancandolo al lavabo. Si voltò verso la finestra, osservando i fiocchi di neve che cadevano abbondanti. «Credimi, non ho tanta voglia di uscire nemmeno io.»

Scesero al piano di sotto dopo essersi vestiti abbastanza pesanti da affrontare il gelo della giornata. Marian e Sebastian erano già in piedi, la templare vestita di tutto punto in armatura lucida, lui con una morbida giacca imbottita di pelliccia. La donna si voltò verso di loro salutandoli con un cenno, la punta di un croissant in mano, masticando rapita da qualsiasi cosa le stesse raccontando l'altro.

«Sebastian è passato al forno stamattina, quando stavamo ancora dormendo tutti.» Disse dopo aver fatto sparire anche l'ultimo pezzetto di dolce, sorridendo al compagno. «Anche se gli avevo detto ieri che non era necessario...»

«Hai davanti ore di ronda al freddo, qualche minuto di passeggiata mi ha solo fatto piacere.» Ribattè il principe con grazia. «Faccio quel che posso.»

«Lo dicevo io che mia sorella per una volta l'aveva fatta giusta!» Esclamò Garrett piroettando verso il cestino di croissant e afferrandone tre. Uno se lo cacciò tutto in bocca, offrendone l'altro ad Anders biascicando qualcosa a bocca piena.

Il guaritore lo fissò tra il divertito e il disgustato, mangiando il dolcetto come una persona normale.

«Sei un animale.» Lo rimbeccò Marian, che tuttavia stava ridendo.

Il fratello biascicò qualcosa che nessuno riuscì a capire, ma Bu gli era già corsa incontro, il naso puntato al croissant. Lo lanciò verso l'alto, e la mabari riuscì ad prenderlo al volo.

«Garrett!» Tuonò Marian, cercando di fermare inutilmente Bu, che schizzò via a nascondersi sotto al tavolo con il suo bottino. «Lo sai che le fa male.»

«Rilassati, una volta ogni tanto possiamo tutti sgarrare.» Cercò di tranquillizzarla lui, accomodandosi al tavolo. «Esci già?»

«Veramente noi abbiamo fatto colazione con tutta calma, siete voi due che dormite sempre troppo.» Lo prese in giro la sorella, indicando le stoviglie ancora sulla tovaglia.

«Scusa, a volte dimentico che non siete umani.» Ribattè offeso, allungandosi alla ricerca del caffè. Era leggermente freddo, ma gli bastò richiamare un poco di mana per riscaldarlo senza dover stressare Lumia, che stava già trafficando nella libreria intenta a sistemare chissà cosa.

Anders gli si sedette accanto, versandosene anche lui una tazza abbondante. «Grazie, Sebastian.»

«Figurati, non mi pesa. Ho passato anni a svegliarmi alle cinque per i Canti dell'Alba.»

«La Chiesa rovina pure il sonno...» Borbottò Garrett, la voce abbastanza bassa perché solo Anders potesse sentirlo. L'altro faticò a restare impassibile.

Marian li salutò scuotendo il capo, per poi finire di legarsi le spade alla cintura e uscire di casa. Sebastian la seguì poco dopo, lasciandoli soli.

«Non è poi così male.» Commentò Anders, facendo un cenno col capo alla porta da cui era appena uscito il principe. «Un po' un palo nel culo, ma porta la colazione.»

Garrett scoppiò a ridere, addentando un altro croissant e dondolandosi sulla sedia.

 

 

Il vento al porto era ancora peggio che nel resto della città, sollevava le onde agitate e portava l'acqua sui poveracci che dovevano avventurarsi sui moli.

Persino Isabela era imbacuccata da capo a piedi per proteggersi dal freddo, infischiandosene per una volta di mostrare qualche centimetro di pelle in più ma restando comunque un gran bel vedere sotto la giacca stretta in vita e i pantaloni di pelle scamosciata che le fasciavano le gambe.

«Spero per te che sia una sorpresa degna di avermi fatta uscire dall'Impiccato con questo schifo di tempo.» Lo minacciò sollevandosi ulteriormente la sciarpa sul naso. «Sto congelando.»

«Ti prometto che ne varrà la pena,» le assicurò Garrett, camminando velocemente verso i moli gestiti dalla Harvent-Hawke «anche se avrei preferito un giorno migliore, non potremo provarla.»

La pirata lo guardò confusa, seguendolo a passo spedito.

Si infilarono in uno dei due cantieri navali della compagnia, all'estremità occidentale del porto. Vi erano due navi da carico, ancora in riparazione, e un brigantino un po' più piccolo nuovo di pacca.

Garrett condusse l'amica fino a quest'ultimo. Era una barca più snella delle altre, fatta per solcare i mari rapidamente e sfuggire alle tempeste, il legno scuro di una tonalità quasi rossastra, una piccola ma confortevole cabina per il Capitano, una stiva grande a sufficienza per trasportare un carico di valore e le vele della stessa tonalità di blu che Isabela amava mettersi tra i capelli.

Si voltò a godersi la reazione dell'amica, che era rimasta chiaramente impressionata.

Sentendosi osservata, l'altra si mise immediatamente sulla difensiva. «Cos'è, mi hai portato qui per vantarti? Non ti facevo così stronzo, ma ammetto che è una gran bella signora.»

«Una signora su cui ho fatto lavorare i miei migliori carpentieri, ma ora è pronta a partire.» Si grattò la barba, sbuffando infastidito. «Lo sarebbe, certo, se non fosse pieno inverno e non le mancasse ancora un degno capitano.»

«L'inverno è così, ma un buon capitano potrebbe portarla in mare in ogni caso se-» la pirata si zittì, tornando a fissarlo sbigottita. «Aspetta. Non vorrai dire sul serio?»

Garrett si aprì in un gran sorriso, allargando le braccia e accennando un inchino. «È tutta tua, Capitano. Trattala bene, l'abbiamo rimessa a nuovo solo per te.»

Per la prima volta da che la conosceva, l'altra rimase assolutamente senza parole.

Isabela rimase a guardarlo a bocca aperta, gli occhi sgranati, senza proferire alcun suono per parecchi lunghi istanti. «Sei... sicuro?» Balbettò infine, accennando al brigantino. «Vale una fortuna!»

«Lo so benissimo che vale una fortuna, infatti la sto regalando al capitano più capace che conosco. E un'ottima amica.» Ribatté tranquillo Garrett, continuando a sorridere. «Potrei chiederti di lavorare con me di tanto in tanto, ma so che non rifiuteresti mai un sacco d'oro per una buona causa.»

L'altra scosse il capo, tornando a guardare la nave. «Sei tutto matto.» Fece qualche passo incerto verso la passerella, voltandosi di nuovo verso di lui. «Ma ormai è mia!» Esclamò, saltando agilmente sul ponte e accarezzando il parapetto di legno, ammirando dettagli tecnici che Garrett ignorava. «Avrà bisogno di una bella polena. E di un nome, se non ne ha già uno...?» Piroettò un paio di volte su sé stessa, persa nei suoi pensieri, parlando tra sé e sé.

«E una ciurma, magari!» Le gridò dietro lui, raggiungendola. «Hai completa libertà di scelta a riguardo, io non saprei da dove iniziare, di solito se ne occupano altri della compagnia e Varric, per quanto suoni strano un nano che sceglie dei marinai.»

Con impeto, l'amica gli buttò le braccia al collo, saltandogli letteralmente addosso ridendo di gioia e ringraziandolo. Tornata a terra, si sporse sulle punte dei piedi, afferrandogli il volto tra le mani e stampandogli un bacio sulla guancia, il seno premuto contro il suo petto. «Grazie, Garrett.»

Lui cercò di fare del suo meglio per ignorare il sangue affluito improvvisamente altrove, le guance che si imporporavano. «Quando il mare non sarà così agitato, devi portarci a fare un giro.»

«Sai che vi porterei ovunque, Scheggia...» Ribattè l'altra in tono suadente, scoppiando di nuovo in una risata estatica. «Le troverò un nome da farle guadagnare un posto nella Felicisima Armada solo a sentirlo!»



 

Lasciò Isabela a godersi ancora un po' della nave e parlare coi carpentieri degli ultimi tocchi finali, tornando verso i moli comuni. Con un sorriso compiaciuto, lungo il tragitto notò un paio di graffiti che sembravano freschi di giornata, la mano bianca con la pennellata purpurea della Resistenza che spiccava sul legno vecchio degli edifici.

Passò di fronte alla Botte Barbuta, la taverna dove risiedeva principalmente Cadash, trovando Adaar seduta su una pila di casse di legno, intenta a fissare il mare con aria corrucciata.

«Non hai freddo?» La salutò, avvicinandosi.

L'altra si limitò a scuotere il capo. Garrett notò che sulla sommità tagliata delle corna aveva montato degli spunzoni di metallo che curvavano verso l'alto, ricordando in versione un poco più minuta quelle dell'Arishok e sfoggiavano una serie di piccole borchie e anelli dorati lungo i lati del capo. Adaar sembrò notare il suo sguardo, piegando un angolo della bocca in una smorfia compiaciuta. «È stata un'idea di Stök. Un nano che regala delle corna ad una Tal-Vashot, in onore di una festa Tevinter assimilata dalla Chiesa Andrastiana.» Sbuffò scuotendo di nuovo il capo, come se trovasse tutta la situazione troppo assurda per essere considerato un regalo serio.

«Sono coordinate ai suoi orecchini e denti d'oro!» Scoppiò a ridere Garrett, sedendosi accanto a lei. «Come mai sei qui fuori?»

Adaar inspirò profondamente una boccata d'aria, lanciando uno sguardo infastidito verso la porta della taverna. «Sono arrivati due nani rumorosi, stavano giocando a carte da ore, bevendo e fumando. Uno di loro ha fatto un commento su di me che Stök non ha gradito, quindi l'ho sollevato di peso.» Sollevò il braccio sinistro, come a mimare l'azione. «Si è scusato dicendo che era un complimento. Strano complimento, dico io, ma sono qui per affari quindi l'ho lasciato andare. Penso gli abbia fatto un po' male cadere da quell'altezza, tutti gli anelli che aveva in testa hanno tintinnato parecchio e ha imprecato qualcosa in nanico.» Si strinse nelle spalle. «In ogni caso, l'altro ha chiesto se volevo unirmi alla loro partita a carte, ho risposto che se erano lì per lavorare avrebbero dovuto smettere di perdere tempo. Sono uscita per non doverli prendere a pugni, mi piace questo colore, non vorrei si sporcasse di sangue.» Accennò alla tunica, di un bell'azzurro vivido con piccoli decori bianchi e dorati, orlata di morbida pelliccia. «L'ho comprata da poco.»

«Non si può parlare sempre di affari, alle volte fa bene prendersi una pausa.» Provò a difendere i nuovi arrivati, grattandosi la barba. «Ai Satinalia è stato divertente, no?»

Adaar tornò a fissare intensamente il mare. «Non è il momento di giocare come bambini.»

Garrett si mordicchiò un'unghia, incerto se porle la domanda che lo tormentava da mesi o meno. Un templare si accese un sigaro, appena fuori uno dei magazzini del porto, riparandosi sotto la tettoia. «Hai notizie di...?»

La Tal-Vashot rimase in silenzio per qualche lungo secondo. «Nulla di buono può venire fuori dal Tevinter, gliel'avevo detto.»

«Hai parlato con loro?»

L'altra si strinse nelle spalle, senza rispondere.

Garrett sospirò, appoggiandosi al muro scrostato. «La Resistenza può andare avanti anche senza di loro. Non abbiamo bisogno di ricorrere ai metodi dei Risolutori.»

Adaar si voltò a guardarlo, gli occhi viola che lo scrutavano severi. «Come fai a garantire qualcosa su cui non hai il controllo?» Tornò a guardare il mare agitato, impassibile. «Il marinaio può cercare di guidare la nave che comanda, ma la tempesta tutto attorno non si curerà dei suoi sforzi.»

I pennoni delle barche scossi dalla burrasca sembravano darle ragione. «Non possiamo permetterci di buttarci in una tempesta. Non siamo pronti.»

Un'elfa, una maga scappata da Markham e rimasta ad aiutare la Resistenza, li salutò con un cenno del capo. Ricambiò il gesto, ma si ritrovò a corrugare la fronte quando il templare intento a fumare poco distante sembrò fare lo stesso.

«Il vento inizia a soffiare, Hawke.»

















Note dell'Autrice: finalmente Isabela ha una nave! E Charade fa la sua comparsa, tutti sono molto sollevati che dietro al trambusto ci fosse lei e non l'ennesimo magister, pirata o malintenzionato psicotico.
Sebastian dovrebbe farsi valere e dire a Garrett ed Anders di smetterla di scroccare la colazione. 
A presto! :D  

  
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