Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Dryas    17/11/2020    1 recensioni
[Londra, metà ottocento] Maledetto per una colpa non sua, Thomas Holsen è un uomo che sa di essere condannato ancor prima di aver commesso un crimine. Quando per una fatalità si ritroverà le mani sporche di sangue, il primo nemico con cui dovrà fare i conti sarà se stesso, ma nell’oscurità in cui è stato inghiottito qualcuno è pronto a tendergli una mano.
Tutti muoiono soli e per lui che era sempre stato solo non faceva poi tanta differenza.
Questa storia partecipa al contest “Wr-Ink-Tober” indetto da fantaysytrash sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

White Star

 


Giaceva su un cumulo di paglia, con la schiena appoggiata al muro di pietra che piangeva umidità, da ormai sette giorni e sette notti. Non faceva più caso ai topi che gli giravano intorno in cerca di cibo o alle pulci che saltavano sulla sua logora camicia gialla. Non faceva più caso al freddo, alla sete o alla fame.
L’oscurità l’aveva inghiottito.
Si era arreso.
Il suo corpo robusto e muscoloso stava soffrendo, ma non era niente se confrontato al vuoto che da sempre lo corrodeva dall’interno e che adesso poteva smettere di combattere. Tutti muoiono soli e per lui che era sempre stato solo non faceva poi tanta differenza.
Un debole raggio obliquo filtrò tra le sbarre della finestra della sua cella. Era posta così in alto che neanche lui, con i suoi due metri di altezza, era riuscito a scorgere l’esterno. Immaginava, però, che dopo sette giorni di pioggia ininterrotta il cielo si fosse finalmente aperto.
Autunno per lui significava l’inizio di lunghe serate passate di fronte al camino della sua stanza in affitto a costruire piccoli oggetti in legno, un’abitudine che si era creato nel tempo per tenersi lontano da passatempi peggiori. Come durante la sua ultima sera di libertà, quando aveva tra le mani un ceppo di ciliegio, amaranto e dalle venature armoniose. Lo stava levigando da ormai un’ora, i muscoli dei bicipiti cominciavano ad essere indolenziti e la schiena gli doleva per aver trascorso troppo tempo nella stessa posizione. Nonostante questo, però, non si fermava. Quella sera il suo umore non era dei migliori. Doveva tenere la mente impegnata, distrarla, o avrebbe fatto la fine del suo vicino: seduto sullo sgabello di un pub a bere birra fino a tarda sera e poi a casa a sfogare la sua frustrazione sulla moglie.
E per uno come lui l’alcool era una via di fuga pericolosa.
Aspettava quindi che la stanchezza fisica sconfiggesse i suoi pensieri. Tuttavia, era difficile calmarsi con il suono dei gemiti e dei singhiozzi di quella donna che rompevano il silenzio della notte. Il rumore delle percosse oltrepassava i muri fatiscenti ed echeggiava tra gli androni dell’edificio abitato dagli operai di Bethnal-Green, nell'East End di Londra.
Il suo lavoro fu interrotto quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire. Un bambino entrò e tremando andò a nascondersi sotto le coperte del suo letto. Si chiamava Arthur, la madre lo aveva mandato lì per sfuggire all’ubriachezza furiosa di quel suo padre snaturato. La prima volta che gli aveva dato rifugio l’aveva raccolto sulle scale del piano dove stava consumando da solo un pianto silenzioso e l’aveva portato con sé prima che il padre si ricordasse della sua esistenza. Da allora, ogni volta che la violenza si ripeteva, Arthur andava a bussare alla sua porta. Keith Lowden era un omuncolo consumato dall’alcool che sfogava la sua frustrazione abusando della moglie, ma fino ad allora aveva avuto la decenza di risparmiare il figlio.
Fino ad allora.
Alla vista del livido che copriva il volto del bambino sentì la pelle accapponarsi. L’esigenza viscerale di vendicare quell’ingiustizia lo fece precipitare dall’altra parte del corridoio dove trovò la porta aperta.
Entrò senza esitazione.
La stanza era un disastro: a terra c’erano stoviglie, sedie rovesciate, quadri, libri, pezzi di cibo, una trottola, lembi di abiti strappati. E lui, Keith Lowden, lo guardava come se la sua intromissione fosse la cosa più assurda che gli fosse capitata in vita sua. Con una mano teneva ferma la donna per i lunghi capelli biondi, con l’altra stringeva la cinghia dei suoi pantaloni. Lei era a terra, rannicchiata in un angolo, mezza nuda e coperta di sangue.
-Lasciala andare- gli disse.
Nel sentire la sua voce lo sguardo vacuo dell’uomo ebbe un guizzo di lucidità. In fondo era difficile dimenticarsi di lui, Thomas Holsen, il figlio di Jack Holsen, un uomo che in caso di cattura sarebbe stato impiccato al castello di Lancaster. La sua nomea, sommata alla sua corporatura che lo faceva assomigliare a un gigante, bastava perché tutti gli stessero alla larga. Avrebbe potuto scaraventarlo giù per le scale in un attimo, ma Keith era così alterato da dimenticare il pericolo.  
-Che diavolo vuoi? Fuori da casa mia!-
Il suo rigurgito di ferocia fu messo a tacere da un passo di Thomas nella stanza. Non lo perdeva di vista, lo teneva inchiodato con quegli occhi chiari e penetranti - due stalattiti piantate nel petto - aspettando una sua mossa sbagliata.
Thomas non sapeva di avere quell’aspetto. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che il mattino seguente quell’uomo non avrebbe ricordato nulla, né lui, né il terrore negli occhi del figlio, né la disperazione della moglie. E questo pensiero lo fece infuriare.
-Fuori!- gridò e anche i muri tremarono. La sua voce era il riflesso del suo aspetto, vigorosa, selvaggia, possente. Persino la donna alzò il capo, ma il marito colse il movimento e in un attimo la sua mano, che ancora stringeva la cinghia, si alzò.
Keith non vide il braccio che lo fermò. Senza sapere come, si ritrovò a terra, steso in quel cimitero di oggetti che egli stesso aveva creato. Impiegò un paio di minuti per capire cosa fosse successo, ma non appena lo realizzò si fiondò come una furia su quello che nel suo ristretto campo visivo era un uomo che si piegava verso sua moglie.
Thomas reagì d’istinto e, temendo che volesse fare di nuovo del male alla donna, lo respinse con più energia di quanto ne fosse realmente necessaria.
L’uomo, già instabile per via della sua condizione, barcollò indietro. Sempre più indietro. Finché andò a sbattere il capo contro lo spigolo del camino.
Cadde a terra.
Una macchia di sangue si aprì sul pavimento.
Si allargava sempre di più.
Sempre di più.
Fino a non lasciare più alcun dubbio.
Keith Lowden era morto.
Il primo istinto di Thomas fu di raggiungerlo, sollevarlo da terra e gridargli in faccia di smettere di fingere, ma, quando si accorse di stare camminando nel sangue dell’uomo, si fermò. “Sono come mio padre”, quelle parole gli riecheggiavano nella testa fino a stordirlo. Per tutta la sua esistenza era stato perseguitato dalla maledizione che anche lui, un giorno, si sarebbe macchiato dello stesso crimine.
Assassinio.
Era un assassino.
Era un assassino e il figlio di un omicida, il suo sarebbe stato il processo più breve della storia. Doveva fuggire, non c’era altra soluzione.
Come mio padre.
Si fermò. No, non sarebbe stato uguale a lui. Non sarebbe diventato anche un codardo. Si fermò e non si mosse più fino all’arrivo della polizia quando, docile come la più mansueta delle fiere da circo, fu portato nel carcere di Lancaster. Da allora erano passati sette giorni e sette notti e ancora non stava penzolando nella piazza d’armi del castello. Si chiedeva perché, ma poi ricordava che per lui non c’era mai stata speranza di un destino diverso e tornava a fissare il vuoto.
Aveva ricominciato a piovere quando la porta della sua cella si aprì.
Entrò una donna. La conosceva, era Audreen Weigt, figlia di Richard Weigt, proprietario di Kensington Mill, la fonderia dove Thomas faceva l’operaio. Gli era capitato di intravederla nell’ufficio del padre, ma tutto quello che sapeva di lei gliel’aveva raccontato Mrs. Lowden, la quale lavorava come cameriera nell’abitazione dei Weigt a Chelsie. Ricordava bene la descrizione che ne aveva fatto: “Miss Audreen - aveva detto - è altezzosa come una regina, controllata nei modi, cauta con le parole e avara di sorrisi”.
-Ho qualcosa per voi- gli disse saltando ogni convenevole.
Tese un braccio e gli porse un foglio.
-Che cos’è?-  
Era stato troppo a lungo in silenzio e la sua voce suonò roca e incerta.
-Un nuovo inizio- rispose.
Thomas sentì una risata. All’inizio non capì da dove provenisse, nella cella c’erano solo lui e quella donna dall’aspetto altero. Poi si accorse dei sobbalzi del suo petto e realizzò che la risata proveniva da lui. Si era dimenticato di quel suono.  
-Il vostro caso ha fatto molto scalpore nell’opinione pubblica- disse. -Mio padre vi offre un viaggio di sola andata per Boston.-
-Perché?-
Questa volta parlò senza esitazione e la domanda diretta sorprese la donna. Lei si prese del tempo per osservarlo. Sapeva chi era e sapeva cosa dicevano di lui. Una bomba pronta ad esplodere, così era stato definito dai giornali. Quell’uomo aveva trascorso la sua vita marchiato da un pregiudizio che aveva fatto sì che nessuno si fidasse di lui. La sua diffidenza non doveva stupire. Il mondo non gli aveva riservato nient’altro che solitudine, perché avrebbe dovuto tornarci?
-I giudici vi vogliono condannare, Mr. Holsen.-
-Sono già stato condannato.-
-Qui, non in America. In America nessuno sa chi siete.-
La donna fece istintivamente un passo indietro. Una tempesta si stava addensando sul volto del prigioniero. La ferocia animalesca che si impossessò del suo sguardo la fece temere che l’aggredisse da un momento all’altro. Invece, con una voce che pareva provenire dagli inferi, tornò a parlare.
-Sono un assassino. Questo non cambierà neanche in America.-
Audreen, allora, capì. Il giudice che l’aveva già condannato non era altro che Thomas Holsen stesso.
-Sapete che vostro padre è stato arrestato?- gli domandò e dall’impallidire del suo volto seppe la risposta. -Quando ha saputo del vostro arresto è uscito dal suo nascondiglio. La polizia non aspettava altro.-
-Ed è qui?-
-A qualche cella di distanza dalla vostra- rispose Audreen. Dopo un attimo aggiunse: -Lo volete incontrare?-
Audreen Weigt aveva l’aspetto di una superba regina, ma in realtà era solo una donna silenziosa e osservatrice. Era stata la guardia che l’aveva accompagnata ad indicarle la cella in cui era rinchiuso Jack Holsen, raccontando la fatalità dell’arresto di padre e figlio come una storia divertente. La stessa guardia, poi, aveva accettato di fare una pausa di quindici minuti quando Audreen gli offrì cinque sterline. Liberò Thomas e lo portò di fronte a una cella ancor più buia della sua.
-Ricordate, non abbiamo molto tempo- gli disse con voce tesa, ma lui non la sentì. Nell’oscurità aveva intravisto un volto che, per un attimo, gli era sembrato il suo. Solo quando si era avvicinato tanto da essere uno di fronte all’altro si rese conto che lui era davvero lì. Con la barba bianca tagliata male, un volto scavato e gli occhi eccessivamente lucidi. La lacera camicia grigia gli lasciava scoperto il collo e rivelava un corpo avvizzito e consumato1.
-Padre, demonio … - mormorò a denti stretti. Si lanciò in avanti e lo afferrò alla gola.
-Cosa fate? Lasciatelo andare!- esclamò Audreen.
Parole vuote, inesistenti. Nella testa di Thomas c’era solo la voglia di uccidere quell’uomo che era la causa di tutta la sua infelicità e di tutta la sua solitudine. Lo voleva vedere morto, aveva sperato di vederlo morto e aveva sognato di essere lui ad ucciderlo. Bramava di vedere la vita spegnersi nei suoi occhi lentamente.
-Non siete un assassino!- esclamò Audreen. -Ma uccidetelo e allora sì che lo sarete! Sarete uguale a lui! E io so che non lo siete, Thomas! Io credo in voi!-
Con un tonfo sordo l’uomo cadde a terra, tossendo e stringendosi la gola. Le mani di Thomas andarono a stringere le fredde sbarre di ferro. Le torturò con la sua presa finché le braccia gli tremarono e, quando anche i suoi muscoli non ressero più, le lasciò. Con un rauco verso sommesso sfogò quel dolore a cui non sapeva dare un nome con un pugno diretto al muro della prigione, così forte che Audreen sentì le ossa della sua mano rompersi.
Da quel momento ci fu solo silenzio, spezzato dal tossire di Jack e dal respiro corto di Thomas.
-È meglio tornare indietro- disse poi quest’ultimo, che si incamminò senza aspettare risposta. Audreen, atterrita e pallida, lo seguì.
-Perché l’avete detto?-
Lei sussultò al suono inaspettato della sua voce.
-Cosa?- chiese alle larghe spalle dell’uomo.
-Che credete in me … cosa vi fa pensare che meriti la vostra fiducia?-
-Il bambino- rispose, la voce flebile per lo spavento. -Quando non piange o cerca la madre, chiede di voi.-
Thomas si fermò di colpo e Audreen gli andò quasi a sbattere addosso. Si voltò a guardarla e vide che i suoi occhi di un azzurro glaciale erano di nuovo calmi e severi, uno specchio invalicabile.
-Perché cerca la madre? Dov’è?- chiese con tono sepolcrale.
Audreen esitò per un istante. -È morta.-
L’uomo sembrò vacillare.
-E Arthur? Che fine farà?-
-Per ora è con dei parenti della madre- disse lei con voce, se possibile, ancor più sottile, -ma è difficile che possano prendersi cura di lui per un lungo periodo.-
Per esperienza diretta, Thomas sapeva che Arthur sarebbe andato in un orfanotrofio. Ciò significava che presto avrebbe lavorato quindici ore al giorno al telaio di una fabbrica tessile e che probabilmente sarebbe morto prima di arrivare ai dodici anni. Lui si era salvato solo grazie alla sua corporatura resistente, ma sapeva di essere un’eccezione. 
-Oppure …- aggiunse Audreen per poi bloccarsi.
-Oppure?- domandò Thomas, ma la donna era all’improvviso pentita di aver accennato ad un’altra possibilità. Notò che evitava di guardarlo e che si teneva a distanza. Quando poco prima si erano quasi scontrati, lei aveva fatto subito dei passi indietro mettendo quanto più spazio tra di loro. E non era per semplice convenzione sociale, una donna come Audreen Weigt che scende nelle prigioni di Lancaster per incontrare un detenuto non fa caso a dettami del genere. Era perché aveva paura di lui.
-Credo che dobbiate andare, Miss Weigt- le disse.
-Cosa? No- rispose. -Non me ne andrò finché non accetterete il viaggio per Boston.-
Frugò nella tasca della gonna e gli tese di nuovo il biglietto. Thomas notò che la mano le tremava. Lei colse il movimento del suo sguardo e indovinò il suo pensiero. Scoperta, lasciò cadere il braccio lungo il fianco.
-Per un attimo ho creduto davvero che l’avreste ucciso- confessò.
Thomas sospirò.
-Anche io.-
I loro occhi si incontrarono, l’azzurro delle profondità artiche e il nero avvolgente di una notte senza luna. In quell’istante Thomas ebbe la sensazione di essere totalmente disarmato. Quella donna, che era andata di sua spontanea volontà da lui, era riuscita ad andare oltre la sua armatura e lo vedeva per quello che era. Audreen Weigt riusciva a capirlo, ed era di un sollievo incommensurabile.
Lei intuì che qualcosa era cambiato e si avvicinò.
-Dovete darvi un’altra possibilità, Thomas- sussurrò. -Accettate il viaggio. È l’ultimo prima dell’inverno, non avrete altre occasioni.-
-Non posso- le disse, scuotendo il capo. -Non lo abbandonerò, preferisco piuttosto morire.-
Lei capì che si riferiva ad Arthur e tornò esitante.
-E se … se venisse anche lui? In quel caso, accettereste?-
-Potete farlo davvero?-
Audreen sospirò. -Un modo c’è.-
Quando la guardia tornò, Thomas Holsen era dentro la sua cella e Miss Weigt pronta ad andarsene. La donna chiamò una carrozza a noleggio e lasciò la prigione di Lancaster per tornare a Chelsie. Il quartiere residenziale di Londra in cui viveva era diviso da un lungo viale di pioppi le cui chiome avevano assunto le sfumature di un crepitante focolare, in contrasto con il verde brillante dell’erba delle aiuole, resa rigogliosa per la pioggia abbondante. Sotto le finestre a bovindo gli aster riempivano il vuoto dell’estate con la loro fioritura multicolore e tardive rose rampicanti abbracciavano le colonne dei porticati.
Quando oltrepassò la porta di casa, Audreen trovò sua sorella Julia ad attenderla.
-Allora?- le domandò.
-Gli ho detto la verità.-
-Perché? Oh, Audreen, cosa hai fatto!- esclamò portandosi le mani al viso in un gesto di terrore.
-Ho dovuto. Altrimenti non l’avrebbe mai lasciato andare- rispose con dolorosa freddezza. -E anche lui sarebbe morto per colpa mia.-
-Non dire così.-
-Arthur vivrà con me. Vivrà con la sua vera madre.-
-Nostro padre non te lo permetterà mai. Non sotto questo tetto.-
-Lo so- rispose. -Per questo ne devo trovare un altro.-
 

***


Per tutto il giorno e la notte precedenti pesanti tempeste si erano abbattute sulla costa, ma quella mattina il sole splendeva di luce dorata e l’aria era balsamica e chiara. Il frizzante splendore autunnale delle foglie si riversava al suolo, quel suolo che Thomas non vedeva l’ora di lasciare. Estrasse la mano destra affondata nella tasca dei pantaloni e con essa un foglio di carta.
“La nave White Star della compagnia Cunard Line salperà per Boston dal porto di Liverpool il giorno diciassette di ottobre (vento e tempo permettendo)”.
Aveva riletto così tante volte quella frase che avrebbe potuto replicare con estrema precisione la grafia flessuosa con cui il nome della nave, il giorno e il mese erano stati scritti dall’impiegato della Cunard Line. In meno di un mese sarebbe arrivato a Boston dove lo attendeva una nuova vita.
Si voltò verso il molo. I passeggeri in attesa di salire sulla nave si erano accalcati in prossimità dell’imbarcadero. Le donne erano sedute sui pesanti bagagli, stringendo tra le braccia bambini stanchi o troppo piccoli per poter stare in piedi; gli uomini si guardavano attorno, pronti a caricarsi sulle spalle tutti i loro averi al primo cenno dei marinai. Il vociare era alto, un intreccio di addii, ricordi nostalgici e aspettative entusiaste. In quel marasma Audreen Weigt spiccava nel suo abito da viaggio bordeaux. Era abbracciata a un’altra donna che le assomigliava in modo impressionante ed entrambe piangevano. Dopo essersi date un lungo bacio sulla guancia, Audreen si allontanò e i suoi occhi scuri e profondi si posarono su di lui come se sapessero già dove trovarlo, ma si trattennero poco. Lo sguardo della donna si abbassò verso il bambino che teneva per mano e che, non appena lo riconobbe, gli corse in contro. Thomas issò sulla spalla il suo bagaglio e guardò la White Star ormeggiata al molo: quel giorno ricominciava a vivere.





 1Nero Dickens







Vi ringrazio per aver letto questo piccolo racconto nato - ancora una volta - da un contest.

A presto,

Dryas









   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Dryas