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Autore: Soul Mancini    19/11/2020    2 recensioni
[Sequel di "Every lie is trying to break me".]
“Roddy, sei strano oggi. Che ti succede?”
C’è che mi manca Jim. Mi mancano i suoi abbracci, mi manca il suo sorriso sbilenco, mi mancano le sue ciocche ricce tra le dita. Ed è così sbagliato essere in tour senza di lui, è come se mancasse una parte di me.
“Hai uno sguardo strano da quando siamo partiti, da stamattina.” La voce di Mike però non sembrava apprensiva, ma solo irritata. Forse la interpretavo nella maniera sbagliata, ma alle mie orecchie suonava come un’accusa.
E tu, Mike, sei così stronzo ed egoista che non ti accorgi di cosa ho bisogno, non te ne frega un cazzo di sapere come sto. Posso forse parlarti di quanto mi manca Jim, se tu sei stato una delle cause che l’ha spinto ad andarsene dalla band?
“Non ho niente, okay? Non rompere il cazzo, Mike.” Scattai a sedere e osservai il cantante con astio. Non sapevo nemmeno io perché avevo sbottato in quel modo.
Lo amavo e lo odiavo così tanto…
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Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Martin, Mike Patton, Roddy Bottum
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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Pattumartin
Sequel di Every lie is trying to break me. Ho cercato di spiegare al meglio ogni riferimento per renderla accessibile, ma consiglio comunque la lettura della shot precedente per agganciare meglio i meccanismi.
 
 
 
 
 
 
 
What if you reset me?
What if we restart?

 
 
 
 
 
But what if it was simple?
And what if it made sense?
And what if we were living
In a perfect tense?
'Cause what if you reset me?
What if we restart?
What if you reset me
Before it falls apart?
[Nothing But Thieves – Reset Me]
 
 
 
 
Il suono sordo della porta che si richiudeva alle mie spalle mi annodò la gola. Rimasi immobile per qualche istante a osservare Mike, che intanto non aveva perso tempo ed era andato a passo spedito verso il letto, stravaccandosi e sbadigliando sonoramente.
Osservavo i suoi capelli scuri e deliziosamente arruffati, le palpebre socchiuse, i lineamenti distesi del viso, il modo in cui la t-shirt bianca gli aderiva al torace, e dentro me si scatenavano sensazioni contrastanti.
Da circa un anno e mezzo, da quando il tour per la promozione di Angel Dust era terminato, non mi ero più trovato da solo con Mike; mi ero ripromesso che in quel lungo lasso di tempo avrei fatto chiarezza nella mia mente, cosicché non mi sarei fatto trovare impreparato quando saremmo tornati in tour – quando saremmo inevitabilmente capitati in camera insieme.
Che illuso ero stato.
Mike mi rivolse un’occhiata stranita e accennò un sorriso. “Beh, che fai lì impalato? Stanotte hai deciso di dormire in piedi come i cavalli?”
Mi passai una mano tra i capelli, ormai non più lunghi come un tempo, e mossi qualche passo verso il letto singolo che avrei dovuto occupare. Mi ci stavo per accomodare, quando mi resi conto di avere lo sguardo insistente del cantante addosso.
Mi voltai a fissarlo, quasi irritato; le sue iridi scure erano percorse da una scintilla maliziosa.
Deglutii a vuoto. “Mike…”
“Roddy.” Sussurrò quelle cinque lettere in un soffio che mi fece tremare il cuore.
Sapevamo entrambi cosa sarebbe successo di lì a poco; lo realizzai davvero in quell’esatto momento, anche se probabilmente l’avevo sempre saputo, dal momento in cui avevo scoperto che durante quella prima notte di tour io e Mike eravamo accidentalmente finiti a condividere la stanza.
Tuttavia mi bastò immergermi nuovamente nelle iridi scure del cantante per sciogliermi in un sorriso complice e cedere alla tentazione; mi accostai a lui e feci appena in tempo a prendere posto sul materasso prima che Mike si avventasse sul mio collo, prendendo a morderlo e impossessarsene come se gli spettasse di diritto. Come se fosse suo e basta.
E in fondo era ciò che gli avevo sempre fatto credere.
Percepii una destabilizzante scarica elettrica scorrermi lungo tutto il corpo mentre Mike mi faceva sistemare supino e mi bloccava i polsi con le mani. Puntò il suo sguardo vorace sul mio viso e io non potei fare a meno di scoccargli un sorriso malizioso, prima di rovesciare il capo all’indietro e offrirmi totalmente a lui.
“Mi era mancato tutto ciò, sai? Mi era mancato scoparti” mormorò lui a un centimetro dal mio orecchio – il suo fiato caldo mi solleticò la pelle e mi fece rabbrividire – prima di cominciare a percorrere la mia mandibola con quei baci e quei morsi così rudi, così tipici di Mike.
Mi mordicchiai d’istinto il labbro inferiore, ma un gemito mi sfuggì ugualmente quando Mike insinuò una coscia tra le mie, facendomele spalancare. Voleva sentire quant’ero eccitato.
E in effetti tutto ciò era meravigliosamente eccitante. Come potevo anche solo aver pensato di poter rinunciare alle sensazioni che solo il mio cantante sapeva suscitare in me?
Lo amavo e non riuscivo a oppormi, non volevo farlo. Anche se sapevo che lui non mi ricambiava, che ero soltanto il suo giocattolo erotico.
Eppure c’era qualcosa di diverso in me quella sera – da quasi due anni, da quando le nostre strade si erano separate dopo il termine del tour precedente.
E da quando la strada dei Faith No More si era divisa per sempre da quella di Jim.
Mi ero sentito male all’idea di partire nuovamente senza il nostro vecchio chitarrista, senza quel ragazzo strambo e cupo.
Ora mi sentivo in gabbia a fare sesso con Mike in quel modo quasi animalesco, sapendo che in seguito non mi sarei pouto rifugiare tra le braccia del chitarrista e ricevere un po’ di quell’affetto che il cantante non sarebbe mai riuscito a darmi.
 
 
“Ho pensato a un assolo per la tua canzone.”
Sobbalzai e sollevai il capo di scatto; ero talmente concentrato sulle partiture che avevo davanti agli occhi che non mi ero accorto dell’arrivo di Jim nella stanza.
Quel giorno ci eravamo ritrovati in sala prove per lavorare sugli arrangiamenti dei nuovi brani e terminarne alcuni che avevamo in sospeso. La casa discografica non faceva che metterci fretta e fare pressione: dovevamo assolutamente approfittare del successo di The Real Thing e far uscire al più presto un nuovo album.
Come spesso capitava in quel periodo, però, era bastata mezz’ora chiusi nella stessa stanza per cominciare a litigare, discutere e punzecchiarci a vicenda. Così, mentre gli altri membri della band avevano optato per una pausa, io ne avevo approfittato per rimanere in saletta e cercare il giusto effetto per le tastiere di alcuni brani.
Sorrisi a Jim, che si trovava ancora sull’uscio con la spalla poggiata allo stipite della porta, e gli feci cenno di avvicinarsi. “La mia canzone? Quale?”
Be Aggressive. Patton e Gould l’hanno chiamata così, giusto?” Si grattò distrattamente il capo e qualche ciocca scura gli ricadde sul viso; se la scostò dietro l’orecchio e si sistemò meglio gli occhiali sul naso. “C’è una parte in cui io dovrei fare un assolo, no? Volevo fartelo sentire.”
Ridacchiai. “Non è la mia canzone, è la nostra. Della band. E a questo punto non è meglio farlo sentire a tutti, quando torneranno dentro?”
“Ma vorrei prima avere la tua approvazione. Cioè, insomma, vorrei sapere cosa ne pensi.” Mentre parlava, Jim aveva distolto lo sguardo e picchiettava nervosamente sul pavimento con la punta della scarpa.
Sapevo che non l’avrebbe mai ammesso, ma lo conoscevo abbastanza da capire che era un po’ intimorito all’idea di presentare la sua musica alla band, dal momento che tutti gli andavano sempre contro e consideravano le sue parole solo un mucchio di inutili stronzate. Non era colpa loro, li capivo: Jim aveva un modo di pensare e fare musica differente da noi e ne soffriva più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Per questo, nel momento in cui avevo composto Be Aggressive, mi ero ripromesso di lasciare qualche battuta per un suo assolo.
“Ehi.” Mi misi in piedi e mi piazzai davanti a lui con un sorriso rassicurante. “Mi fido del tuo giudizio e della tua creatività. Certo che voglio sentire l’assolo che hai composto, ma sono già sicuro che sarà fantastico.”
Lui piegò appena il capo di lato e tornò a guardarmi negli occhi; non disse niente, ma la gratitudine gli riempiva le iridi.
“Ti sei messo l’eyeliner?” domandò dopo qualche secondo, ostentando un’espressione seria.
Risi. “Ecco perché mi fissavi con aria insistente. Beh, sì, ci ho provato.”
“Secondo te qualcuno si è mai cavato un occhio mentre si truccava?” Eccolo, era tornato il solito Jim: quello che diceva cose strane e macabre appena ne aveva occasione.
D’istinto mi strofinai gli occhi con disappunto. “Ma che schifo e che male! Come ti vengono in mente certe cose?”
Lui mise su quel sorrisetto sghembo che mi contagiava ogni volta. “Guarda che così ti rovini il trucco.”
“Mi sta male, vero?”
“No, ti dona.” Detto ciò, mi afferrò un polso e lo allontanò dal mio volto, per poi ispezionarmi nuovamente. “Tutto a posto.”
Il cuore aveva preso a battere forte nel mio petto; Jim non era mai stato così vicino. Certo, era un ragazzo affettuoso – almeno con me, che ero suo amico da tantissimo tempo – ma avevo l’impressione che, da quando era venuta fuori la mia omosessualità, stare accanto a me lo innervosisse.
Invece in quel momento non pareva affatto infastidito, tutt’altro.
“Allora, posso farti sentire il mio assolo?” mi chiese. Le sue dita bollenti e callose erano ancora strette attorno al mio polso sottile.
Mi aprii in un sorriso raggiante. Volevo fargli capire che non mentivo affatto quando dicevo che avevo fiducia in lui e che mi piaceva il suo modo di suonare.
Pensavo che si sarebbe allontanato e sarebbe andato a recuperare il suo strumento, ma non fu così.
Mi strattonò con delicatezza per il polso e mi strinse in un abbraccio.
Non si trattava di una semplice stretta tra amici: mi accolse tra le sue braccia con un calore e una dolcezza che mai avrei pensato potessero appartenergli, mi fece tuffare il viso nella sua spalla e sembrava non volermi più lasciar andare. Mi abbracciava forte, come se avesse estremo bisogno di dare e ricevere quell’affetto.
E io, nonostante un primo attimo di sorpresa, non potei che ricambiare e tenerlo vicino a me con la sua stessa delicatezza.
Un milione di domande mi attraversarono la mente: lo faceva con malizia? Cosa stava a significare quell’abbraccio così carico di sentimento? Perché quell’attimo si stava prolungando tanto e perché Jim, al posto di lasciarmi andare, inspirava forte il mio profumo, giocherellava con le mie ciocche lunghe e mi lasciava di tanto in tanto qualche carezza sulla schiena?
Ma mi piaceva.
Mi ci persi, in quell’abbraccio infinito, e pensai che nessuno prima di allora era mai riuscito a trasmettermi tanto calore e tanta dolcezza in un gesto così semplice.
Dopo un tempo incalcolabile, Jim sciolse l’abbraccio e mi posò una mano sul fianco; percepii il metallo gelido degli anelli che portava pizzicarmi la pelle attraverso la maglia sottile e rabbrividii.
Non ebbe il coraggio di guardarmi negli occhi mentre si accostava a me e mi lasciava un fugace bacio tra i capelli, per poi voltarsi e uscire in fretta dalla stanza.
Sparì così rapidamente che mi chiesi se non mi fossi sognato tutto.
“Ehi, Jim, aspetta! E l’assolo?” gli gridai dietro, senza ovviamente ricevere risposta.
Mi stropicciai nuovamente gli occhi e rimasi imbambolato per alcuni istanti, prima di tornare a sedermi dietro le tastiere.
Tuttavia non potevo impedirmi di sorridere come un ebete. Mi posai una mano sul fianco, laddove il chitarrista aveva abbandonato la sua qualche istante prima.
Quella era stata una delle cose più belle e dolci che mi fossero mai capitate.
Forse Jim non avrebbe mai voluto parlare dell’accaduto, ma avevo un assoluto bisogno di strappargli un altro abbraccio come quello.
 
 
Era stato bello. No, era stato fottutamente fantastico.
Mentre gli ultimi granelli del nostro amplesso scivolavano via dai nostri corpi, Mike si era accasciato su di me e riprendeva fiato col viso premuto contro la mia spalla.
In quel momento sentii davvero di amarlo. Anche se non mi aveva concesso di fare quasi niente, anche se l’avevo potuto toccare solo col suo permesso, anche se nel suo sguardo potevo scorgere solo il desiderio di avere il mio corpo.
Inclinai il capo quel tanto che bastava per permettere ai suoi capelli corti e zuppi di sudore di solleticarmi il viso: volevo godermi la vicinanza di quel ragazzo fino all’ultimo frammento di tempo, fino all’ultima goccia che gli imperlava la pelle, fino all’ultimo respiro corto che si infrangeva su di me.
Ero talmente gremito di sensazioni ed emozioni che mi arrischiai ad avvolgergli un braccio intorno alla vita e ad attirarlo più vicino. Volevo abbracciarlo, sentirmelo addosso.
Mi era mancato così tanto. In quei mesi in cui eravamo stati distanti non mi ero reso conto di quanto.
Ma non durò a lungo. Come sempre.
Ci pensò Mike a rovinare tutto. Come sempre.
Mi spinse via e si scansò da me, lasciandomi solo e tremante, con l’aria fresca che mi schiaffeggiava la pelle ancora rovente.
Lo osservai mentre si metteva seduto sul bordo del materasso, ai piedi del letto, e si passava le mani tra i capelli per tirarli indietro.
Mi accorsi che lo stavo fulminando con lo sguardo solo quando lui si voltò verso di me e mi rivolse un’occhiata interrogativa.
Mi sdraiai su un fianco e mi strinsi le braccia attorno al corpo. Cosa c’era che non andava? Il nostro rapporto aveva sempre funzionato in quel modo: scopavamo e nulla più, a Mike non piacevano le effusioni. Lo sapevo, lo avevo accettato tempo fa.
“Che c’è? Perché mi guardi male?”
Mi morsi il labbro.
“Roddy, sei strano oggi. Che ti succede?”
C’è che mi manca Jim. Mi mancano i suoi abbracci, mi manca il suo sorriso sbilenco, mi mancano le sue ciocche ricce tra le dita. Ed è così sbagliato essere in tour senza di lui, è come se mancasse una parte di me.
“Hai uno sguardo strano da quando siamo partiti, da stamattina.” La voce di Mike però non sembrava apprensiva, ma solo irritata. Forse la interpretavo nella maniera sbagliata, ma alle mie orecchie suonava come un’accusa.
E tu, Mike, sei così stronzo ed egoista che non ti accorgi di cosa ho bisogno, non te ne frega un cazzo di sapere come sto. Posso forse parlarti di quanto mi manca Jim, se tu sei stato una delle cause che l’ha spinto ad andarsene dalla band?
“Non ho niente, okay? Non rompere il cazzo, Mike.” Scattai a sedere e osservai il cantante con astio. Non sapevo nemmeno io perché avevo sbottato in quel modo.
Lo amavo e lo odiavo così tanto…
“Hai qualche problema con me? Cos’è, prima ti fai scopare come se non aspettassi altro e poi te ne penti?” sibilò.
Ecco. Me lo sarei dovuto aspettare.
Ma cosa speravo, che dopo due anni di distanza avesse cambiato idea e maturato dei sentimenti nei miei confronti? Pensavo forse che sarebbe diventato una persona comprensiva?
Mi alzai dal letto e mossi qualche passo nella stanza; non avevo alcuna intenzione di stare un minuto di più accanto a lui. Anche il nodo alla gola era tornato, più stretto e soffocante di prima.
“Se tu fossi una persona con un minimo di cuore e di cervello, in grado di ascoltare e fare un discorso civile, magari potrei anche parlartene” conclusi, prima di chiudermi in bagno e posare la schiena contro il legno freddo della porta.
Non potevo crederci: ero caduto nuovamente in quel circolo vizioso fatto di scopate e sentimenti inespressi, proprio come tre anni prima.
Mike si divertiva a dominare su di me senza darmi un briciolo di affetto, io ci stavo male e non glielo dicevo.
Mike pensava che la nostra fosse una storia senza impegno, io invece mi ero innamorato di lui e non glielo dicevo.
E allora di cosa mi lamentavo? Come potevo pretendere di ottenere qualcos’altro da lui, se gli avevo sempre fatto credere che mi andasse bene così?
Ecco perché avevo così tanto bisogno di Jim: lui colmava il vuoto che Mike lasciava. Lui era la dolcezza che Mike non era.
E Mike era la passione che Jim non era.
Ecco perché nel tour precedente ero stato con entrambi e li avevo traditi. L’uno senza l’altro non poteva esistere nel mio cuore.
Li amavo entrambi, ancora, dopo tutto.
Anche Jim, anche se pensavo di averlo dimenticato. Ma nel momento in cui eravamo ripartiti e i vecchi meccanismi si erano di nuovo innescati, mi ero accorto che stare con Mike senza Jim era insostenibile.
Dopo quasi due anni ero ancora intrappolato in quella gabbia. Facevo davvero schifo.
 
 
I miei occhi si perdevano nella penombra, correvano sul soffitto cosparso di ombre, mentre le mie orecchie cercavano il respiro calmo e regolare di Jim.
Sdraiato sul letto accanto a me, il chitarrista mi stringeva forte la mano e fissava a sua volta l’oscurità in cui eravamo immersi. Di tanto in tanto rafforzava la stretta sulle mie dita, come a volermi dimostrare che era ancora sveglio e che non aveva nessuna intenzione di lasciarmi andare.
Il calore del suo corpo mi confortava e mi faceva sentire a casa, lo sentivo rapirmi l’anima nonostante ci stessimo appena sfiorando.
Da quando eravamo partiti in tour, momenti del genere non erano affatto rari.
“Jim?”
“Dimmi.”
Mi voltai verso di lui, sdraiandomi su un fianco per riuscire a metterlo a fuoco nella penombra. “Che cos’è questa cosa che facciamo noi due?”
Non avevamo mai dato un nome a quel bizzarro rapporto che si era instaurato tra noi. Ci limitavamo a coccolarci e volerci bene in quel modo tutto nostro.
“È importante dargli un nome?” mormorò lui col sorriso nella voce, per poi condurre la mia mano verso l’alto, tra i suoi capelli.
Sorrisi, capendo subito le sue intenzioni: adorava quando giocavo con i suoi capelli, me lo chiedeva sempre e io ero ben lieto di accontentarlo.
No, non era importante dare un nome a tutto ciò. Dal canto mio, forse stavo cominciando ad amarlo.
Forse.
“Roddy?” biascicò.
“Sì?”
“Mi fai addormentare?”
Ridacchiai e sprofondai le dita tra i suoi riccioli, prendendo a giocarci con delicatezza e facendomeli scorrere sulla pelle. Amavo quando mi implorava così, era tremendamente dolce.
Lui sospirò e mi passò un braccio dietro la schiena, attirandomi a sé e stringendomi in un abbraccio. Mentre continuavo a districare le sue ciocche ribelli e soffici, sentii la sua mano posarsi sul mio fianco e carezzarmelo appena.
Sapevo che non si sarebbe più mossa da lì.
Mi sporsi per lasciargli un leggero bacio sulla tempia. Gli volevo così tanto bene che non sapevo più come fare per dimostrarglielo.
 
 
Quando uscii dal bagno, Mike dormiva.
Mi persi a osservare il suo corpo che ormai conoscevo a memoria, coperto solo dal lenzuolo candido e stropicciato. La luce calda della piccola abat-jour posata sul comodino tra i due letti singoli metteva in risalto i tratti marcati ma mai troppo aggressivi del suo viso, si incastrava tra le sue ciglia lunghe e scure, baciava quelle labbra che poco prima avevano percorso il mio corpo con calma estenuante.
Era bellissimo. Nel sonno assumeva quasi l’innocenza di un bambino, i suoi lineamenti si facevano più dolci ed era quasi impossibile trattenersi dall’impulso di carezzargli le guance e far scorrere le dita tra le ciocche folte e arruffate.
Sospirai. Non capivo proprio dove stesse il problema, cosa mi impedisse di essere felice. Mi trovavo accanto all’uomo che amavo, l’unico che avrei veramente voluto al mio fianco, per cui avrei fatto qualsiasi cosa pur di soddisfarlo; eppure non riuscivo a godermi appieno quel momento, quella vicinanza così speciale.
E non dipendeva solo dal fatto che lui non riuscisse ad amarmi ed essere dolce con me, no. C’era qualcos’altro, che dipendeva da me. Sentivo una mancanza dentro il petto, come se il cuore battesse solo per metà.
Non potevo lasciarmi imprigionare in quel modo dal ricordo di Jim, non era una cosa normale. Non l’avevo mai amato tanto quanto amavo Mike.
Scossi il capo.
Al posto di mettermi a letto come avrei dovuto, mi accostai a quello del cantante e, dopo qualche istante di esitazione, mi sdraiai accanto a lui, attento a non compiere movimenti troppo bruschi che potessero svegliarlo. Per fortuna lui sembrava essere immerso in un sonno profondo; se si fosse accorto che mi trovavo lì, probabilmente si sarebbe rivoltato e mi avrebbe cacciato via. Mike non voleva nessuno al suo fianco.
Mi beai del calore del suo corpo e del suo fiato leggero sul viso; stare con lui in quel modo tutto nuovo era una delle sensazioni più belle che avessi mai provato. Trattenendo un sospiro, allungai lentamente una mano sul suo viso, gli sfiorai uno zigomo.
Poi mi voltai, spensi la luce e rimasi ad ascoltare il suo respiro nell’oscurità.
Per una notte potevo illudermi che quello mi sarebbe bastato.
 
 
Trovai la porta socchiusa ed entrai, senza preoccuparmi di chiedere il permesso o annunciarmi; molto probabilmente Jim mi aspettava già.
Mi guardai attorno: la stanza immersa nella penombra era deserta e silenziosa.
Aggrottai le sopracciglia. “Jim?”
Nessuna risposta.
Solo allora notai che un’anta della portafinestra era leggermente aperta. Percorsi in fretta lo spazio che mi separava da essa e la spalancai: come avevo immaginato, riconobbi subito la figura scura e slanciata del chitarrista che, con un gomito poggiato alla balaustra del terrazzo, fumava una sigaretta in silenzio e perdeva lo sguardo davanti a sé. Se si era accorto della mia presenza, non aveva comunque accennato a muoversi e reagire.
Avevo capito fin da quando eravamo scesi dal palco, quella sera, che qualcosa non andava: Mike ci era andato giù pesante con uno dei suoi soliti scherzi e durante il concerto aveva lanciato una fetta di pizza dritta sulla faccia di Jim. Lui sul momento era rimasto impassibile e aveva portato a termine lo show come se niente fosse, ma una volta nel backstage si era dileguato senza rivolgere la parola a nessuno. Sapevo che ci era rimasto male e che probabilmente era incazzato col cantante.
Dal canto mio, stavo sempre male quando loro due litigavano. Forse più del necessario.
Lo affiancai e mi sporsi appena per sbirciare il suo viso, illuminato solo dalla brace della sigaretta e dalla luce argentea della luna. “Ehi.”
“Ehi.”
Allungai una mano a tastargli i capelli e constatai che erano puliti e leggermente umidi. “Te li sei già lavati. Potevi aspettarmi, così te li avrei pettinati e asciugati io” commentai nel tono più allegro e leggero che mi riusciva. Sapevo che Jim adorava quando ero io a occuparmi della sua capigliatura ribelle.
Ma lui non mi rispose, si limitò a sbuffare fuori una nuvola di fumo e schiacciare il mozzicone all’interno del posacenere.
“Oggi Patton ha esagerato, eh?” tentai allora.
“Non parliamone.”
“Posso almeno sapere a che gusto era la pizza?”
Lui scosse il capo e per la prima volta un sorrisetto comparve sulle sue labbra. “Non saprei, nella confusione generale non ho avuto modo di assaggiarla.”
Risi e gli diedi di gomito. “Saresti stato capace di farlo.”
“Assolutamente.” Poi sospirò e sollevò gli occhi al cielo.
Capivo che era davvero stanco di quella situazione, di essere continuamente preso di mira e ridicolizzato davanti a tutti. Ormai non si trattava più di una semplice divergenza artistica, con Mike era scattata una specie di battaglia a chi provocava di più e a chi cedeva prima.
Non che Jim fosse un santo, anche lui commetteva la sua parte di errori in quella faccenda, ma mi dispiaceva ugualmente perché dalla sua non aveva nessuno.
Sbadigliai e mi stropicciai gli occhi.
“Sei stanco?” mi chiese Jim.
“Siamo in tour da secoli, vedi te.”
“Resti con me stanotte?”
La domanda mi spiazzò completamente, non tanto perché non lo volessi accontentare – avremmo dormito e basta, tra noi non era mai successo niente di più –, ma perché generalmente la notte la trascorrevo sempre in camera con Mike. Era una regola non scritta, ma funzionava sempre così da quando era cominciato il tour.
Tuttavia quel giorno non avevo tanta voglia di stare col cantante, il suo atteggiamento mi aveva irritato un po’.
Mi sciolsi in un sorriso. “E va bene. Anche se nel tuo letto singolo staremo strettissimi e moriremo di caldo, e poi quando dormi diventi appiccicoso…”
Improvvisamente Jim mi cinse la vita con un braccio e mi attirò a sé, per poi stringermi in uno dei suoi dolci e calorosi abbracci che mi facevano sentire la persona più amata del mondo.
Affondai il viso nell’incavo del suo collo e mi godetti la sua vicinanza, ricambiando il gesto e sperando di trasmettergli tutto il suo affetto. Sentivo il suo cuore battere forte e il suo respiro tra i miei capelli, e io pensai che saremmo potuti rimanere sospesi in quell’attimo per tutta la notte.
Poi Jim fece qualcosa che non mi aspettavo: mi afferrò per i fianchi e mi scostò delicatamente da lui, immergendo le sue iridi scure nelle mie. Volevo chiedergli che gli prendeva, ma non avevo il coraggio di spezzare quel silenzio.
Lui mi sorrise appena, poi azzerò la distanza tra i nostri volti e posò le labbra sulle mie.
Rimasi interdetto per un istante: non era mai capitata una cosa del genere tra noi. E mai avrei pensato che potesse accadere.
Ma era un bacio diverso, era quasi come una carezza. Jim non fece niente, non provò a farmi schiudere le labbra, non approfondì in alcun modo quel contatto. Fu un gesto così semplice e delicato, eppure fu in grado di inondarmi di una dolcezza quasi destabilizzante.
Durò un attimo, poi lui si allontanò nuovamente. Non potevo vederlo con chiarezza, ma ebbi l’impressione che le guance gli fossero andate in fiamme.
Sembravamo due ragazzini alle prese con la prima cotta. Eravamo tremendamente stupidi, ma tremendamente felici.
Era successo davvero. Eppure sapevo che non avrebbe portato a nient’altro: era un bacio casto, di quelli che significano soltanto ti voglio bene.
Ci sorridemmo.
“Rientriamo?” gli chiesi.
Lui ridacchiò, mi scompigliò i capelli e mi attirò accanto a sé, trascinandomi dentro la sua camera.
 
Ci addormentammo abbracciati, io ancora con una mano intrecciata ai suoi capelli e lui con le dita poggiate sul mio fianco, come faceva sempre.
Ma, intrappolato in quel limbo tra il sonno e la veglia, percepii chiaramente le sue labbra posarsi sulla mia tempia.
“Sei l’unico motivo per cui non me ne sono ancora andato” sussurrò.
E quella notte non mi sarei voluto addormentare tra le braccia di nessun altro.
 
 
In fondo era soprattutto colpa di Mike se Jim se n’era andato. Probabilmente era per quello che non potevo fare a meno di odiarlo.
Certo, il chitarrista aveva preso la sua decisione definitiva dopo la rissa che lui e il cantante avevano inscenato a causa mia, ma quella era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Certe volte non potevo fare a meno di pensare che le cose sarebbero potute andare diversamente se Mike non si fosse comportato da stronzo per tutti quegli anni. Ero sicuro che non lo facesse per male, a volte i suoi erano soltanto degli stupidi scherzi, ma non riusciva mai a capire quando esagerava.
Pensavo a quello quella mattina. Nonostante mancassero diverse settimane all’arrivo della primavera, era una bella giornata soleggiata e non faceva freddo; con i capelli ancora umidi dalla doccia, mi ero recato sul terrazzo della stanza che condividevo con Mike.
Dopo la mezza discussione che avevamo avuto la notte precedente, non ci eravamo ancora rivolti la parola e onestamente ero ancora restio a passare del tempo con lui. Dal canto suo, non sembrava affatto intenzionato a chiarire e si comportava come se nulla fosse successo; probabilmente non si era nemmeno accorto che avevo dormito accanto a lui – ero stato attento a lasciare il suo letto prima che si svegliasse.
O, se se n’era reso conto, non me l’aveva fatto intendere.
Che grande casino era la mia vita. Alla mia età ancora non sapevo ciò che volevo e, come un adolescente confuso, non sapevo scegliere tra due ragazzi.
“Roddy.”
Sobbalzai nel sentire la voce di Mike alle mie spalle. Non mi ero accorto che fosse uscito sul balcone.
“Che c’è?” Cercai di non risultare troppo acido e irritato.
“Non ti fa bene stare fuori con i capelli ancora umidi.”
Perché, te ne importa qualcosa di me e della mia salute?
Presi un profondo respiro prima di rispondergli. “Pazienza. Posso suonare le tastiere anche col mal di gola.”
Avvertii Mike avvicinarsi a me lentamente, poi la sua figura entrò nel mio campo visivo mentre mi si posizionava a fianco. Prese a scrutarmi con curiosità, forse addirittura con un fondo di preoccupazione.
“C’è qualcosa che non va” decretò infine.
“Ne abbiamo già parlato ieri: è tutto okay” lo rassicurai incrociando le braccia al petto, ma il mio tono di voce diceva tutto il contrario.
Mise su una smorfia contrariata, che a dire il vero risultò piuttosto buffa. “Senti Roddy, lo so che il nostro è un rapporto un po’ strano, ma oltre che scopare siamo amici… almeno credo. Quindi mi dispiace vederti così giù; se hai bisogno di parlare, fallo. Non sono la persona più indicata per risolvere problemi e dare risposte intelligenti, ma ci posso provare.”
Deglutii a fatica. Non mi sarei mai aspettato tanta disponibilità da parte sua.
In quel momento avrei voluto gettargli le braccia al collo e raccontargli tutto, dirgli quanto lo amavo e spiegargli quanto la mancanza di Jim mi facesse stare male.
Ma di sicuro non potevo parlargli del chitarrista, Mike non lo sopportava e in ogni caso non ero certo che mi avesse perdonato il tradimento – se di questo si poteva parlare.
Mi passai nervosamente una mano tra i capelli. “Non è niente, davvero.”
“Non dire stronzate, non mi freghi.” Mike posò due dita sotto il mio mento e, con una delicatezza che in genere non lo contraddistingueva, sollevò il mio viso in modo da potermi guardare dritto negli occhi.
Mi sarei potuto tuffare dentro quelle iridi scure e sciogliermi al loro interno.
“Te lo si legge negli occhi” mormorò.
Sospirai.
Forse potevo provare a dirglielo. Quel giorno pareva davvero disposto ad ascoltarmi e a capirmi, a essere l’uomo che avrei voluto al mio fianco.
“Si… si tratta di Jim” buttai fuori infine, la voce rotta dall’imbarazzo.
Mi affrettai a divincolarmi dalla sua stretta e distogliere lo sguardo, ma non ce ne fu bisogno: non appena aveva sentito il nome del chitarrista, Mike aveva scostato la mano dal mio viso e il suo sguardo si era rabbuiato.
“Ancora Jim Martin? Sono passati due fottutissimi anni” sputò lui, palesemente irritato.
Ecco, avevo sbagliato tutto. Forse gli avevo dato troppa fiducia, forse non avrei dovuto nominare Jim e basta. Eppure, nonostante fossi consapevole di aver commesso un errore, la reazione di Mike mi ferì e mi diede fastidio.
“Bene, ieri avevo ragione a non voler parlare con te. Sei sempre il solito stronzo, non cambi mai: non te ne importa davvero di cos’ho da dirti” lo accusai, allontanandomi da lui e dirigendomi verso la portafinestra. Prima di rientrare in camera, mi voltai un’ultima volta verso di lui. “Forse è meglio se ci limitiamo ad andare a letto insieme e ognuno si fa i cazzi propri.”
Mi buttai sul mio letto – che non avevo utilizzato affatto – e mi domandai cosa stesse combinando Jim in quel momento, dove fosse e con chi. Mi chiesi se ogni tanto pensava a me, anche se non aveva più voluto vedermi né sentirmi dall’estate del ’93.
E soprattutto mi chiesi come mai non potevamo stare uno accanto all’altro, a tirarci su di morale a vicenda quando ne avevamo bisogno.
Mike mi aveva deluso per l’ennesima volta, e ora Jim mi mancava ancora di più.
Non riuscivo nemmeno a incazzarmi, ero soltanto triste.
Trascorsero interminabili minuti di silenzio, interrotti solo da qualche leggero movimento sul terrazzo. In quel lasso indefinito di tempo sperai che Mike restasse là fuori per il resto della mattinata: non avevo nessuna voglia di averci di nuovo a che fare.
Ma poi lui rientrò. Richiuse la portafinestra e rimase immobile in quel punto, con le braccia incrociate al petto.
Io evitai accuratamente di sbirciare nella sua direzione e di incrociare il suo sguardo. Me ne stavo sdraiato sul letto, tenevo le palpebre socchiuse e fingevo di essere in dormiveglia.
“Tu pensi che io sia un mostro, vero? Credi che io sia un pezzo di merda e che non me ne freghi un cazzo di come ti senti, è così?”
Ebbi il coraggio di posare lo sguardo su di lui e lo vidi avvicinarsi di qualche passo. Sul suo volto si era dipinta un’espressione indecifrabile, non riuscivo proprio a indovinare dove volesse andare a parare.
“A essere sincero, dai proprio quest’impressione” ammisi in tono piatto. Ormai non avevo più niente da perdere.
“Evidentemente do l’impressione sbagliata. Io…” Si passò una mano sul viso e distolse lo sguardo, segno che si trovava a disagio. “Non sono molto bravo a dimostrare queste cose, non so come si fa. Non riesco a capire ciò di cui gli altri hanno bisogno, sono un fottuto disastro. Ma io… ci tengo a te.”
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi misi lentamente a sedere. Avevo sentito bene?
Il cuore mi martellava nelle orecchie.
“Mike, io ti amo.” L’avevo detto.
L’avevo detto!
Oh, merda.
Lui sgranò gli occhi. “Addirittura?”
“E so che per te non è lo stesso.”
“Io non lo so” ammise. Fece una lunga pausa, perse lo sguardo fuori dalla finestra. “Non sono fatto per queste cose. E non sarò mai ciò di cui tu hai bisogno, non mi trasformerò da un giorno all’altro, perché ho troppe cose che mi passano per la testa. Io non capirò mai al volo ciò che provi e ciò che vuoi, perché è vero che sono un pezzo di merda e non ho queste qualità. Sono bravo solo a scopare. Io non sono Jim Martin.”
Ecco, appunto.
Rimasi sbalordito dall’onestà con cui mi stava parlando. Non riusciva proprio a guardarmi negli occhi mentre pronunciava quelle parole, ma dalla sua voce era sparita ogni traccia della sua solita ironia. Mi parlava con il cuore in mano.
Mi diceva cose che sapevo già, ma sentirle pronunciare da lui era tutta un’altra cosa. Le rendeva così concrete, così dolorose.
“Ma posso almeno provarci. Non sarò perfetto, non sarò mai il tuo dolce fidanzatino e forse ci metterò un secolo a capire le cose, avrò bisogno che sia tu a farmele capire. Però, Roddy, io non sono felice se tu stai male, non ci guadagno niente.”
Eravamo stati due coglioni a non aver affrontato prima quel discorso.
“Non è così facile. Non puoi sostituire qualcuno che non c’è, perché tu sei Mike e Jim è Jim” mormorai.
“Lo so. Ma ormai Jim se n’è andato e non ci si può far niente, non posso farlo tornare e anche se potessi non ci penserei nemmeno.” Accennò un sorrisetto divertito. “Però, visto che siamo rimasti solo noi due, qualcosa si potrà pur fare.”
Finì di percorrere i pochi metri che lo separavano dal mio letto e ci si sedette sopra. Pensai che si sarebbe scaraventato su di me, mi avrebbe bloccato i polsi e tolto i vestiti di dosso, invece non mi sfiorò; si limitò a fissarmi negli occhi.
Il suo sguardo era talmente intenso che facevo fatica a sostenerlo.
“Cosa ti dava Jim che io non ti do?” ruppe il silenzio.
Come potevo spiegarglielo a parole? Come potevo esprimere un concetto così grande?
Mi venne un’idea.
“Vuoi tutta la verità?” ribattei.
Mike annuì.
Allora lo afferrai per un polso e lo trascinai gentilmente accanto a me; lo feci sdraiare sul materasso, mi posizionai accanto a lui e lo abbracciai. Lo strinsi a me in quel modo dolce e semplice in cui non avevo mai potuto stringerlo, in quel modo che avevo sempre sognato, e rischiai quasi di commuovermi per quanto mi era mancata quella tenerezza.
“Jim mi dava semplicemente questo. Mi dava affetto, mi abbracciava, restava ore e ore immobile, senza bisogno di fiatare, di aggiungere qualcosa o di spingersi oltre” soffiai, lottando contro il groppo che mi annodava la gola.
Mike inizialmente si era irrigidito, era rimasto interdetto e non aveva saputo bene come reagire davanti a quel mio gesto. Poi, pian piano, cominciò a sciogliersi e si lasciò andare tra le mie braccia; infine si voltò verso di me per incrociare il mio sguardo. “Tutto qui?”
Annuii. “Mike, a me… non va di essere scopato tutte le notti come un animale, senza ricevere nemmeno una manifestazione d’affetto. So che non mi amerai mai come ti amo io, ma mi fa male essere trattato come una bambola gonfiabile” ammisi, maledicendomi per il tono piagnucolante che avevo utilizzato.
“E perché non me l’hai mai detto?”
Bella domanda. Perché?
Mike si sdraiò su un fianco per potermi osservare meglio. “Cazzo, Roddy, io non ti voglio mica stuprare! Se qualcosa non ti piace, perché non me lo fai notare?”
Perché fino a due anni fa c’era qualcun altro disposto a colmare il vuoto che lasciavi tu.
“Perché sono un coglione. E poi so che a te queste cose non piacciono.”
Lui ridacchiò e mi strinse forte a sé, come non aveva fatto mai prima. “Nella tua testa devo essere davvero un mostro insensibile.”
Poggiai il capo sulla sua spalla e mi sforzai di trattenere le lacrime. Non riuscivo a credere che stesse capitando davvero: Mike mi teneva tra le braccia e per una volta non aveva secondi fini, non voleva dominare su di me. C’era il suo corpo, il suo calore, il suo cuore che batteva forte, il suo profumo, il suo respiro… ed era tutto calmo, dolce. Strano. Meraviglioso.
“Forse tu mi tradirai per sempre con Jim, nella tua testa. Ma anche io ti tradisco, Roddy. Ti tradisco con la musica” sussurrò Mike.
Lo sapevo. Non ci sarebbe mai stato spazio per me nella sua vita, ma in quel momento non mi importava.
Un brivido mi percorse la schiena quando il cantante cominciò a intonare piano una canzone che conoscevo fin troppo bene. La sua voce mi metteva sempre i brividi, ma sentirla mormorare a pochi centimetri dal mio orecchio era ancora più intenso.
 
I can wait to love in heaven
I can wait for you
Far away, I'll treat you better
Better than down here
 
Because I done wrong
And I'm a little afraid
I ain't too strong
And this ain't easy to say
 
Take This Bottle era una delle canzoni dal testo più bello e dolce del repertorio dei Faith No More. Per quanto cercassi di convincermene, non riuscivo a credere che Mike l’avesse scelta a caso.
Una lacrima sfuggì al mio controllo. Per dissimularla, seppellii il viso nell’incavo del suo collo.
Potevo inspirare il suo profumo, potevo sentire la sua pelle a un millimetro dalla mia, potevo stargli accanto senza chiedergli il permesso.
Potevo sentire le sue dita sulla mia pelle, le percepivo ardere nonostante i vestiti che indossavo.
Potevo amarlo con tutto me stesso.
 
Take this bottle
Take this bottle
And just walk away – the both of you
And let me feel the pain – I've done to you
 
I can hope we'll be together
With a better roof over our heads
I can hope the stormy weather
It passes on – it passes on
 
Non ci feci subito caso, troppo impegnato a reprimere i singhiozzi.
non mi accorsi che, quasi meccanicamente, avevo afferrato la mano di Mike e l’avevo condotta in quell’angolo del mio corpo che per anni era appartenuto sempre e solo a Jim.
Gliel’avevo fatta posare sul mio fianco.
Mike non l’accarezzava come faceva il chitarrista. Non aveva alle dita gli anelli freddi che mi facevano sempre rabbrividire.
Ma andava bene lo stesso.
Il cantante allungò l’altra mano – quella che non avevo intrappolato con la mia – verso il mio viso, mi scostò una ciocca di capelli e mi asciugò una lacrima.
Avevo sperato fino all’ultimo che non si accorgesse che stavo piangendo, ma infine era stato inevitabile. Mi sarei dovuto vergognare, ma con mia sorpresa scoprii che non era così.
Perché Mike non mi stava giudicando.
 
But I've hoped too long
Hoped for me to change
And that hope is gone
So listen to what I say
 
Take this bottle
Take this bottle
And just walk away – the both of you
And let me feel the pain – I've done to you
 
Mike non era Jim, non lo sarebbe mai stato.
Non aveva i suoi capelli lunghi e ricci, non aveva quello sguardo supplichevole e dolce, non aveva gli occhiali che lo rendevano ancora più buffo.
Mike aveva un modo più rude di fare le cose, era più sfacciato, a volte diventava irritante ed egoista. Ma era Mike e io lo amavo così.
Jim non avrebbe mai smesso di mancarmi, mai.
Mike non mi avrebbe mai ricambiato, mai.
Ma forse, in un modo tutto suo, un pochino mi amava. E questo mi bastava.
 
 
 
 
♠ ♠ ♠ ♠ ♠
 
 
Prompt 35:
Things you said in a hotel room / Le cose che hai detto in una stanza dell'hotel
 
Ehm, ok…
Questa storia nella mia testa sembrava molto meglio, lo giuro XD e ora che ho scritto questo sbilenco sequel, non mi lamento più della storia precedente, che in confronto è un capolavoro della letteratura ahahahah!
Che dire? Avevo un estremo bisogno di scrivere del triangolo Pattumartin (avete visto, gli ho trovato anche un nome XD), non so nemmeno io perché visto che la Pattum nemmeno la shippo, ma qualche giorno fa ho avuto quest’improvvisa fulminazione (?) e ho dovuto assolutamente metterla su carta, perché non mi lasciava più in pace!
Visto che in percentuale la shot è più Pattum che Martum, la dedico a Kim ^^ considerala come un secondo regalo di compleanno, all’incirca! So che non è a rating nero come vorresti tu, ma accontentati u.u XD
Bene, passiamo ora a qualche noticina tecnica (per fortuna stavolta è poca roba).
Allora, la storia è ambientata all’inizio del ’95, durante una delle prime date tenute dalla band per promuovere il disco King For A Day… Fool For A Lifetime. Come alcuni di voi sapranno (chi ha letto il prequel sicuramente), Jim Martin ha lasciato la band nel ’93; i motivi dipendono soltanto da divergenze artistiche e caratteriali col resto della band, questa storia del triangolo e del tradimento è ovviamente una mia licenza poetica.
Take This Bottle, il brano che Mike canta a Roddy sul finale, fa parte dell’album sopracitato ed è una delle canzoni più emozionanti e dolci nella carriera dei FNM. Anche il testo, a differenza di molti altri, sembra essere scritto da un essere umano con dei sentimenti (XDD), ma c’è da dire che è stata partorita da Bill, che – oltre a essere un cretino con la patente A, B, C e tutto l’alfabeto a seguire – sa essere anche molto sentimentale e fluffoso *____*
Vi lascio qui il link nel caso la vogliate ascoltare (FATELOH):
https://www.youtube.com/watch?v=9ImBIsrczFg
Eheheheh… e cosa posso dire in mia discolpa per il titolo? Stavo impazzendo, ma come al solito i NBT sono venuti in mio soccorso e cosa potevo fare, rifiutare una mano d’aiuto da parte loro? anche perché, cazzarola, sono la band della Pattum: OGNI LORO TESTO si adatta benissimo a questa intricata coppia, e ancora di più quando si aggiunge il dramma di un triangolo. Quindi, ecco, scusatemi XD
Che altro aggiungere? Spero che in un modo o nell’altro questa storia vi abbia trasmesso qualcosa e vi sia piaciuta! Non so se scriverò ancora del Pattumartin, ma ehi, fino a qualche giorno fa non pensavo nemmeno che sarebbe nata questa shot, quindi mai dire mai ;)
Alla prossimaaaaa! ♥
 
 
   
 
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