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Autore: WingsOfButterfly    21/11/2020    1 recensioni
Un contesto inusuale, un cantiere archeologico, è teatro dell'incontro di due persone che apparentemente non hanno nulla in comune. Tina, una ragazza piena di vita e piena di paure. Giulia, una donna affermata, un avvocato pienamente consapevole di chi è e di cosa vuole dalla vita. Tanti amici e tanti nemici a fare da contorno e ad animare la vita delle due protagoniste.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Capitolo 16
CAPITOLO 16

Quando la penultima settimana di scavo iniziò, lunedì 9 Novembre, Alessandro costrinse tutti a ritmi di lavoro serrati, tanto che arrivati al mercoledì erano tutti già stremati.
Dopo pranzo, Tina si allontanò dal gruppo per godersi una sigaretta in santa pace ed inviare un messaggio a Giulia. Da quella mattina ancora non aveva avuto modo di sentirla, ma non sapeva se poteva chiamarla senza rischiare di disturbare, tanto meno aveva idea di cosa scrivere nel messaggio, in genere era sempre l’altra che si faceva sentire per prima e Tina si limitava a rispondere di conseguenza. Decise che un semplice “Ciao, che stai facendo?” potesse andar bene per cominciare, ed inviò. Nel frattempo accese la sigaretta e cominciò a fumarla tranquillamente. Stava seduta su un masso proprio di fronte ad area 3 e si guardava intorno, finché fu distratta dal suono di un messaggio in arrivo. Lo lesse con un certo nodo allo stomaco, recitava: “Bloccata in tribunale da una noiosissima causa. L’unico pensiero che mi tiene sveglia sei tu. Quando ci vediamo?”
Il volto di Tina si aprì spontaneamente in un sorriso, portò la sigaretta alla bocca stringendola con le labbra ed usò entrambe le mani per poter scrivere più velocemente la risposta: “Pensavo di passare il fine settimana a Siena. Prima non riesco a muovermi, anche se vorrei … non immagini quanto”. Inviò, poi alzò nuovamente lo sguardo davanti a sé. Tolse la sigaretta dalla bocca, espirando una corposa nuvola di fumo, mentre vedeva poco lontano Marco che rientrava nella propria area dopo la fine della pausa pranzo. Lo vide prendere un’accetta e conficcarla con un colpo possente sopra un ceppo che stava giusto al centro dell’area. Ripose il cellulare in tasca, si alzò gettando la sigaretta e spegnendola con la suola, poi si diresse proprio verso il collega.
“Marco” lo chiamò dall’alto di un piccolo gradino di terra al limite dell’area.
Il ragazzo alzò lo sguardo e parve sorpreso che lei gli stesse rivolgendo la parola.
“Dimmi” disse un po’ guardingo.
“Non avrai in mente di togliere adesso quel ceppo, vero?” gli domandò con l’aria di chi sa già che risposta aspettarsi.
Marco mosse qualche passo verso di lei, costretto ad abbassare il capo all’indietro per poterla guardare nella sua posizione soprelevata. Le riservò uno sguardo piuttosto combattivo.
“Perché no?”
“Perché se lo togli adesso rischi di mandare al diavolo tutta la stratigrafia. Per quanto è grande il ceppo, le radici si estenderanno per diversi centimetri di profondità nella terra, se le tiri via assieme a lui stravolgi gli strati”
“Secondo me si può togliere anche ora, senza rischiare di fare alcun danno. Basta qualche colpo ben assestato e verrà via tranquillamente”
Tina lo squadrò con aria severa, poi mosse un passò in avanti e si lascò cadere all’interno dell’area con un piccolo salto.
“Ok. Allora facciamo così. In qualità di tuo superiore, vorrei che terminassi di mettere in luce per bene i contesti attorno al ceppo, arrivando ad un livello uniforme per tutti, prima di valutare se sia il caso di toglierlo o meno”
Marco socchiuse gli occhi e contrasse le mascelle, fronteggiando il suo sguardo senza dire nemmeno una parola.
“Siamo d’accordo?” incalzò Tina con tono perentorio.
“Va bene” sputò lui tra i denti. Poi senza attendere oltre le voltò le spalle e tornò a lavoro.
Tina lasciò andare un respiro carico di amarezza e decise di tornarsene nella sua area.
I giorni successivi scorsero relativamente tranquilli. Marco lanciava continue occhiate di sbieco a Tina, ma quest’ultima cercava di ignorarlo. Così come cercava di ignorare i tentativi di Emanuele di stizzirla e provocarla con il suo continuare ad essere più scansafatiche che mai.
Venerdì pomeriggio furono sorpresi sul cantiere da un violento acquazzone, subito dopo pranzo. Tentarono di ripararsi in baracca, aspettando che passasse, ma dopo più di mezz’ora l’acqua continuava a cadere copiosa, così Alessandro ordinò che si tornasse tutti in Abbazia.
Per non perdere preziose ore di lavoro, ragazzi e responsabili continuarono comunque il proprio lavoro. I primi a pulire ceramiche ed altri reperti, i secondi ad informatizzare la documentazione di scavo.
Dopo quasi due ore consecutive al computer, Tina portò le braccia dietro al collo stiracchiandosi e sospirando stancamente. Fece vagare lo sguardo nella sala multimediale, fin quando incontrò l’oggetto della sua silenziosa ricerca. Emanuele era chino con il capo sul computer, isolato in un angolo della sala, concentrato a scrivere qualcosa.
Tina si alzò e gli si avvicinò. Restò a qualche passo di distanza e fece qualche colpo di tosse per attirare la sua attenzione.
Emanuele si accorse della sua presenza ed alzò il capo, le riservò uno sguardo vacuo, poi ritornò a picchiettare sui tasti del computer.
Tina sospirò, cercando di mantenere la calma.
“Mi serve la pianta dello strato 17” disse atona.
“Non c’è”
“Mi guardi, per favore, mentre mi parli?”
Emanuele alzò lo sguardo su di lei, fissandola con occhi duri e seri.
“Ecco, contenta?! Ma questo non cambia il fatto che la pianta che cerchi non l’ho fatta” commentò con incredibile sfacciataggine.
“Cos’è, cerchi di attirare la mia attenzione comportandoti da coglione?” lo rimproverò Tina, cominciando a perdere la pazienza.
Emanuele sbatté un paio di volte le palpebre, strinse le labbra distorcendo il viso in una smorfia di amarezza e non disse nulla. Abbassò di nuovo lo sguardo.
“A me quella pianta serve” continuò imperterrita Tina.
“Ti ho detto che non c’è!” sbottò Emanuele, alzandosi di scatto e scansando malamente Tina “Disegnatela da sola, quella cazzo di pianta” così dicendo si avviò a grandi passi fuori dalla sala.
Tina rimase turbata da quella reazione così esagerata, quindi restò per qualche momento bloccata sul posto, sotto gli sguardi altrettanto attoniti degli altri che avevano appena assistito alla scena. Quando ritrovò il controllo, decise che quella non gliel’avrebbe fatta passare liscia, così si precipitò fuori ad inseguirlo.
Lo vide da lontano entrare nella propria stanza e lo raggiunse. Entrò anche lei e chiuse rumorosamente la porta alle proprie spalle.
“Adesso basta. Questa questione la risolviamo subito, una volta per tutte” gli disse decisa.
“Lasciami stare” le intimò lui voltandole le spalle.
“Sono giorni che mi tratti di merda, Manu. Si può sapere che cosa vuoi da me?!”
“Che cosa voglio” ripeté lui retorico girandosi per guardarla “Secondo te che cosa voglio?”
Non le diede il tempo di rispondere, perché l’afferrò per la vita e la tirò verso di sé andando a bloccarle il collo con una mano ed avvicinandosi per baciarla. Tina voltò il viso appena in tempo per evitarlo, poi furiosa lo spintonò in modo che la lasciasse e gli tirò uno schiaffo in pieno viso.
“Non ti preoccupare per la pianta, me la disegno da sola” gli disse con una voce gelida da cui trasudava tutta la rabbia a stento contenuta.
Gli voltò le spalle e rapidamente lasciò la stanza.
Seccata e stizzita, Tina tornò nella sala multimediale lasciandosi cadere sconsolata sulla sedia davanti al suo computer. Poggiò i gomiti sul piano della scrivania e si prese la testa tra le mani.
Restò in quella posizione qualche minuto, il tempo necessario per scongiurare una crisi di pianto nervoso, poi tornò ad occuparsi di lavoro. Scorse velocemente la documentazione archiviata fino a quel momento e scoprì con orrore che mancavano quasi la metà dei disegni degli strati messi in luce. Con immenso disappunto fu costretta a scrivere a Giulia che non avrebbe potuto passare il fine settimana in città, perché aveva un mucchio di lavoro arretrato da recuperare. L’avvocato protestò debolmente, infine si arrese di fronte alla risolutezza di Tina.
Quest’ultima, quindi, trascorse l’intero venerdì sera e buona parte della giornata di sabato a disegnare e digitalizzare le piante di strato mancanti. Il sabato sera crollò distrutta ancor prima che scoccassero le dieci.
La domenica Tina si alzò con un fastidioso cerchio alla testa. Cercò a tentoni il cellulare sulla scrivania, ancora con gli occhi socchiusi dal sonno, per leggere l’ora ma la sua attenzione fu deviata sull’icona dei messaggi in arrivo. Era Giulia che l’avvisava di essere appena partita da Siena diretta in Abbazia. Lesse l’ora di arrivo del messaggio e concluse che l’avvocato sarebbe arrivata nel giro di una decina di minuti.
Si catapultò fuori dal letto e corse in bagno sperando di riuscire a darsi una ripulita e vestirsi prima che Giulia arrivasse, saltando anche la colazione.
Stava giusto uscendo dalla sua stanza, lavata e vestita, quando, passando accanto ad un finestrone, vide la macchina di Giulia percorrere il viale di cipressi. Tornò indietro a prendere il giubbino e scese velocemente le scale correndo all’esterno per andarle incontro.
L’avvocato stava parcheggiando nel giardino sul retro, proprio accanto alla sua jeep. Tina si accostò alla macchina e le aprì la portiera. Giulia scese regalandole un luminoso sorriso e le si avvicinò per salutarla. Tina gettò una rapida ed esaustiva occhiata alle finestre dell’Abbazia e l’altra fu costretta a deviare le proprie labbra sulla sua guancia con un sospiro frustrato.
“Hai ricevuto il mio messaggio?” le chiese poi voltandosi per chiudere l’auto.
“Sì, l’ho letto appena mi sono svegliata. Dieci minuti fa”
“Mi dispiace, non credevo dormissi così tanto”
“Ma no, non fa niente. Vieni, facciamo due passi, è una bellissima giornata” Tina le prese la mano, stava per intrecciare le loro dita, poi il suo sguardo volò nuovamente alle finestre del caseggiato e decise di prenderla semplicemente sottobraccio.
Passeggiarono in silenzio per un po’, quasi confondendosi ai turisti, ed ammirando come loro la magnifica architettura dell’Abbazia.
“Tutto bene?” chiese Giulia all’improvviso.
Tina sussultò, abbassò lo sguardo sui propri piedi intenti a scalciare via un po’ di ghiaia ad ogni passo.
“Sì, certo. Perché?” rispose, tentando di sembrare disinvolta.
“Mah, non so. In questi ultimi giorni mi sei sembrata un po’ sfuggente. Devi dirmi qualcosa?”
Giulia si era fermata e si era girata in modo da poterla guardare bene in viso. Tina incrociò le braccia al petto e continuò a sfuggire ai suoi occhi, tenendo il proprio sguardo basso e descrivendo con la punta del piede destro dei semicerchi nel terreno.
“Io?! No, non devo dirti niente. Cosa dovrei dirti?”
Giulia stava per rispondere, ma dei passi che si avvicinavano a loro, la bloccarono.
“Tina” Emanuele arrivò accanto alle due ragazze “Volevo parlarti un attimo”
La ragazza allargò gli occhi, sorpresa che lui le rivolgesse la parola con tanta tranquillità. Poi spostò lo sguardo su Giulia e divenne palesemente nervosa.
“Ehm … Manu, magari un’altra volta” tentò di voltarsi e riprende la passeggiata con Giulia, ma Emanuele la fermò gentilmente per un braccio.
“Aspetta, ti rubo solo un minuto” si rivolse poi a Giulia “Non ti dispiace, vero?”
L’avvocato, che non aveva capito nulla fino a quel momento, si limitò a scuotere la testa facendo segno ad Emanuele di proseguire.
Il ragazzo prese un profondo respiro e tornò a guardare Tina.
“Volevo chiederti scusa” disse, apparendo realmente pentito.
“Manu, adesso non è proprio il momento” si lamentò Tina con tono inquieto saltellando con lo sguardo tra lui e Giulia “Ne riparliamo, promesso. Ma ora lasciami andare”
“Lo so che sei arrabbiata con me” proseguì lui, incurante delle sue parole “Non avrei mai dovuto prenderti in quel modo. Sono sinceramente dispiaciuto”
“Non fa niente. Scuse accettate” tagliò corto l’archeologa, riprendendo sottobraccio Giulia e cercando di portarla via.
Inaspettatamente, invece, il corpo dell’avvocato non accennò a muoversi. Tina alzò gli occhi verso il suo viso e la vide fissare Emanuele in modo cupo.
“Aspetta un attimo” le disse Giulia sbrigativa, liberandosi della sua presa e rivolgendosi al ragazzo “Di cosa saresti dispiaciuto, esattamente?”
“Giulia, lascia perdere, è una questione tra noi che risolveremo in privato più tardi” Tina tentò nuovamente di tirarla per un braccio, ma senza alcun risultato.
“Ho fatto una cazzata” rispose Emanuele reggendo lo sguardo torbido di Giulia “Ero arrabbiato con lei e volevo fargliela pagare. Ma mi sono spinto oltre, l’ho capito nell’istante stesso in cui la prendevo con la forza per cercare di baciarla”
“Ma non ci è riuscito!” chiarì immediatamente Tina, smettendo di tirare la manica dell’avvocato e attendendo nervosa la sua reazione.
Giulia restò in silenzio per qualche secondo, poi alzò un braccio puntando un dito contro il petto del ragazzo.
“Che razza di uomo sei, tu, che cerchi di forzare una donna a fare qualcosa che evidentemente non vuole fare?”
Emanuele fu colto impreparato da quella reazione tanto veemente.
“Mi pare che tu stia esagerando nel tono, Giulia. Sono venuto qui appunto a chiederle scusa” tentò di difendersi.
“Eh già, chiedere scusa” sbraitò lei retoricamente “Bel modo di pararsi il culo dopo aver fatto una cazzata. Mai una volta che voi uomini pensiate prima di agire”
“Non credo che tu sia nessuno per venire qui a rimproverarmi, quindi perché non ti prendi il tuo ego femminista del cazzo e te ne ritorni da dove sei venuta?” sbottò lui, perdendo decisamente la calma.
Tina si pose fra di loro, allontanandoli leggermente con le braccia e gettando occhiate agitate all’una e all’altro.
“Ragazzi, state dando spettacolo” li ammonì.
“Spostati, tu!” l’affrontò Giulia a muso duro “Che se non l’avessi saputo così, nemmeno me l’avresti detto”
“E perché avrebbe dovuto dirtelo?!” protestò Emanuele, avvicinandosi nuovamente a Giulia, scansando Tina da parte “Si può sapere chi cazzo sei tu, per venire qui a sputare sentenze?”
“Io ho molto più diritto di quanto tu creda di venire qui a rimproverarti e sputare sentenze, come dici tu” lo rimbeccò Giulia con sguardo truce.
“Sarebbe a dire?” la sfidò Emanuele incrociando le braccia al petto con aria impertinente.
A quel punto Tina si infilò nuovamente tra i due, stavolta dando le spalle ad Emanuele e poggiando le mani sulle braccia di Giulia. La sentì tesa e contratta, provò ad attirare la sua attenzione e ci riuscì solo dopo qualche attimo di attesa infinita.
L’avvocato abbassò lo sguardo verso di lei, aveva la narici dilatate e gli occhi semichiusi, non disse nulla.
“Giulia, ti prego, ne parliamo dopo. Io e te” le disse Tina con tono quasi supplicante.
Quella non rispose, rimase ancora qualche momento a fissarla negli occhi, poi distolse rapidamente lo sguardo, si voltò e cominciò a camminare velocemente allontanandosi da loro.
Tina si girò verso Emanuele.
“Dacci un taglio, Manu. Sfoga la tua frustrazione in qualche altro modo ed evita di prendertela con le persone … me, o chiunque altro”
Detto ciò, corse dietro a Giulia.
La trovò nella sala in cui l’aveva condotta proprio lei solo una settimana prima. Anche quella volta erano sole, lontane da occhi ed orecchie indiscrete.
“Giulia” Tina le si stava avvicinando, lei era di spalle e non si voltò “Non è successo niente, sul serio”
“Non è questo il punto” ribatté l’altra, girandosi finalmente.
“Allora non capisco” ammise Tina.
“Pensaci, ma da sola. Se e quando lo capirai, me lo verrai a dire” pronunciò Giulia con voce fredda e dura.
Tina la guardò andar via, senza più voltarsi indietro. Rimasta sola, si poggiò con le spalle al muro e lentamente scivolò fino a sedersi a terra. Le sfuggì un singulto e cominciò a piangere silenziosamente.
Nei giorni seguenti Tina si limitò a svolgere le funzioni minime che le permettevano di iniziare e concludere la giornata. Sul lavoro fu come sempre precisa e puntuale, ma senza alcuno slancio e senza il suo solito entusiasmo. L’unico con cui scambiò qualche parola fu Alessandro, al quale spiegò superficialmente cosa era accaduto, lasciandogli credere che il suo malumore fosse dovuto ancora una volta al comportamento di Emanuele e non alla fuga di Giulia. Quest’ultima, d’altronde, aveva superato il migliore Houdinì, sparendo letteralmente nel nulla. Non che Tina avesse provato a cercarla, si sentiva troppo in colpa. Tuttavia, arrivò a mercoledì pomeriggio che, dopo aver controllato per la millesima volta il cellulare, dovette ammettere a sé stessa di considerarsi piuttosto patetica. Decise, quindi, che era il caso di affrontare la questione una volta per tutte. Lasciò il cantiere quasi di nascosto, senza dare spiegazioni nemmeno ad Alessandro, e tornò in Abbazia. Fece una doccia veloce e dopo dieci minuti era già alla guida diretta verso Siena.
Arrivò sotto casa di Giulia che era già sera da un pezzo. Portò il dito sul bottone del suo citofono almeno un paio di volte prima di decidersi a bussare.
Quando finalmente lo fece, Giulia rispose dopo poco con il suo consueto “Sì”
“Sono io” rispose Tina laconicamente.
Giulia la lasciò ad aspettare decisamente più del dovuto prima di far scattare la serratura, tanto che Tina si trovò a rilasciare rumorosamente un respiro di sollievo fino ad allora trattenuto.
Quando aprì la porta, Giulia era ancora vestita con un tailleur-pantalone blu scuro di cui aveva tolto solo la giacca rimanendo in camicia.
Tina la osservò, aveva in viso un’espressione neutra e le sbarrava la strada verso l’interno tenendo le braccia tese tra la porta semichiusa e lo stipite opposto.
“Posso entrare?” le chiese infatti.
Giulia sospirò, poi si spostò di lato e le fece spazio.
Tina entrò, orientandosi ormai bene in quell’ambiente, sebbene quella volta faticasse a sentirsi a proprio agio con gli occhi freddi dell’altra posati sulla propria schiena. Decise di liberarsi con calma del cappotto e poggiarlo sulla solita poltrona per prendere tempo. Quando però ebbe finito con quell’operazione, fu costretta a voltarsi verso la padrona di casa, che l’aveva osservata in silente attesa con una spalla poggiata al muro accanto alla porta.
“Mi stai uccidendo” ammise Tina, colta da un improvviso raptus di sincerità “Io non provo niente per Emanuele, e non l’ho baciato, anzi l’ho spinto via e gli ho dato anche uno schiaffo”
Giulia aggrottò la fronte, mentre lei parlava, ascoltandola in silenzio. Quando lei ebbe finito, si mosse avvicinandosi leggermente.
“Ti ho già detto che non è questo il problema. L’ho capito che non hai ricambiato il bacio e ti credo. Non è per gelosia che ti ho allontanata” chiosò serafica.
Tina compì alcuni veloci passi in avanti arrivandole proprio di fronte e guardandola negli occhi con aria supplichevole.
“Allora, spiegami. Dimmelo tu qual è il problema, perché io evidentemente non ci arrivo”
“Perché non me l’hai detto? Ti ho dato l’opportunità di farlo anche un attimo prima che lui venisse a cercarti e tu hai finto che non fosse successo niente”
Tina allargò gli occhi, improvvisamente lucida e consapevole, poi abbassò lo sguardo sentendosi colpevole.
“Ho pensato di dirtelo, ma poi ho cambiato idea. Non volevo che ti arrabbiassi” azzardò un’occhiata nella sua direzione, poi spostò lo sguardo sui proprio piedi e cominciò a gesticolare agitata “Non volevo che fraintendessi o che pensassi che io stessi facendo il doppio gioco. E poi so come la pensi, so che non hai una gran bella opinione dei maschi e non volevo farti preoccupare, perché so che Emanuele in fondo è un bravo ragazzo, l’ha fatto senza pensare e senza cattiveria. Ho sbagliato, lo so, dovevo dirtelo. Ma non volevo che ci fossero altri problemi tra di noi, ne abbiamo già abbastanza per conto nostro, per colpa mia perché ... sì, insomma, perché non riesco ancora ad accettare del tutto questa cosa … questa relazione. Non volevo creare altri casini, così non te l’ho detto. Mi dispiace”
Tina si fermò a riprendere fiato, accorgendosi di aver parlato a raffica, incespicando nelle parole e sibilando le esse più del dovuto, come le accadeva quando era nervosa. Quando sentì dei suoni indistinti provenire da Giulia, si decise finalmente ad alzare lo sguardo.
“Perché ridi?” le chiese confusa.
“Perché ti amo”
Tina rimase immobile, il viso simile ad una maschera di cera, non esprimeva in realtà nessuna emozione.
Giulia smise gradualmente di ridere e divenne seria a sua volta. La guardò, sperando che si riprendesse e dicesse qualcosa, ma non accadde. Sentendosi a disagio, decise allora di cambiare argomento.
“Vado a preparare la cena. Ti fermi qui, vero?” così dicendo le diede le spalle per andare in cucina, ma venne bloccata per un braccio.
Tina l’aveva acchiappata al volo e la stava tirando con decisone verso di sé, costringendola a voltarsi. Quando si trovò faccia a faccia con lei, la guardò un attimo negli occhi, lasciò comparire una pallida ombra di sorriso sulle proprie labbra, poi la baciò.
Giulia cominciò a partecipare con qualche secondo di ritardo, colta di sorpresa dalla sua reazione. Quando riacquistò il controllo del proprio corpo e delle proprie sensazioni, portò la mano destra sulla guancia di Tina, in modo da poter dettare i tempi del bacio a proprio piacimento, e passò l’altro braccio dietro la sua schiena aprendo la mano alla base dei lombi per tirarla contro il proprio corpo.
Quando si divisero, qualche minuto dopo, Tina l’abbracciò e le poggiò la testa su una spalla.
“Pace?” mormorò con un senso di attesa nella voce.
“Pace” confermò Giulia mentre le accarezzava i capelli “Però la prossima volta, vorrei che ti sentissi libera di parlarmi di qualunque cosa, senza temere la mia reazione”
“Ok” promise Tina, stringendosi un po’ di più al suo corpo.


  
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