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Autore: Marti Lestrange    23/11/2020    10 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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THE HAUNTING OF HEYDON HALL

 

CAPITOLO TRE

 

 

“Spesso, l’orrore oltre il limite estremo
Paralizza pietosamente la memoria.”
H. P. Lovecraft, I ratti nei muri

 

 

Heydon Hall, Norfolk, 2 settembre 2023

Emma trascorse il resto della notte quasi in bianco. 

 

[I PENSIERI DI EMMA]

 

Dopo la scena occorsa in bagno, dove Isabelle si era ritratta da lei, terrorizzata e spaventata, Emma si era limitata ad osservare James Potter che, con un’inaspettata dolcezza e premura, prendeva in braccio la ragazza per portarla in infermeria, mentre Pansy apriva la strada e lanciava rassicurazioni alle bambine più piccole, ancora tremanti, e raccomandazioni alle ragazze più grandi. Isabelle si era abbarbicata addosso al suo salvatore, le braccia a cingergli il collo, ed Emma ne poteva osservare il viso, parzialmente nascosto dalla spalla di Potter, gli occhi serrati. Dentro di sé, già macinava pensieri. Sulla porta, Pansy le aveva intimato di tornarsene a letto e di stare tranquilla, ché Isabelle era in buone mani. Osservando i tre allontanarsi, Emma aveva sospirato, le sopracciglia aggrottate, e poi si era rimessa a letto. Prima che una delle ragazze del settimo spegnesse le luci, aveva lanciato un’ultima occhiata al letto ancora sfatto e scomposto di Izzy per poi mettersi a fissare il soffitto, la mente ottenebrata dalle immagini dello scenario che le si era profilato davanti una volta aperta la dannata porta del bagno. O meglio, una volta che quella dannata porta si era aperta, da sola. Non aveva capito bene cosa fosse successo, non esattamente. Sembrava quasi che qualcosa - o qualcuno - fosse chiuso in quella stanza con Isabelle, che aveva continuato a sussurrare sempre quelle due parole - la donna - almeno finché Potter non l’aveva raccolta da terra. La donna. Cosa voleva dire? Chi era la donna citata dalla ragazza? E, soprattutto, c’era davvero? Emma aveva pensato si fosse trattato di pura e semplice suggestione: Izzy credeva ai fantasmi, le aveva raccontato una storia lei stessa, sul treno, e sembrava essersi bevuta il racconto di Archie, a cena, e doveva aver semplicemente messo insieme tutte quelle informazioni e quelle insensate paure e la sua mente aveva dato il via alla visione, un viscerale prodotto della sua fervida immaginazione. Non c’era altra spiegazione possibile, e soprattutto razionale. Non c’era e basta. 

Il mattino la trovò quindi in uno sfiancante stato di dormiveglia, a metà tra un sogno e il calcio che ti riporta alla realtà, alla quale riemerse quando la voce di Pansy irruppe nel suo subconscio, ridestandola con un sussulto. «Giù dalle brande, tra quindici minuti la colazione vi aspetta in refettorio.»

Emma si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi e i capelli. La ragazza nel letto accanto al suo, che doveva essere del settimo anno, era già seduta ad allacciarsi le scarpe, e la guardò facendola sentire tremendamente inadatta e vergognosamente in ritardo. Entrando in bagno si era aspettata di trovare lo stesso disastro di quella notte ma, senza sapere quando e come fosse successo, era stato tutto sistemato. A quanto pareva, qualcuno era venuto a riparare i danni e ora le panche erano tornate come nuove, e al loro posto, e i vetri erano stati riparati, così come le piastrelle. Era nuovamente tutto immacolato e bianco, asettico. Emma venne spintonata da alcune ragazzine, che si affrettarono ad entrare per lavarsi e cambiarsi. 

Fu l’ultima, e si attardò consapevolmente in dormitorio perché voleva dare un’occhiata al bagno più da vicino e senza altri occhi addosso, almeno non più di quanti già non ne avesse: tutte la ricordavano seduta accanto a Isabelle, a cena, e forse pensavano che fossero amiche, ma Emma non si sentiva affatto amica di Isabelle, non più di quanto lo fosse dello stesso Potter o del suo vicino di casa. Le dispiaceva che Izzy fosse stata male e che le fosse capitata… be’, qualsiasi cosa le fosse capitata, e alla quale non riusciva a dare un nome, e tanto meno a definire, ma ovviamente non quanto le sarebbe dispiaciuto per Rosalie Greengrass1, per esempio, giusto per pensare ad un nome. 

 

[TUTTO IN ORDINE]

 

Dopo aver indossato l’uniforme (che non era poi così male, alla fine), Emma tornò in bagno. Le mani appuntate sui fianchi, si guardò intorno. Davvero non c’era più traccia di ciò che era successo la sera prima e si chiese se, forse, non si fosse immaginata tutto: la panche sventrate, i vetri scoppiati, le piastrelle rotte… E l’acqua. Acqua dappertutto. Passò una mano sulle piastrelle che ricoprivano le pareti e rabbrividì per un momento quando la pelle ne sfiorò la fredda superficie. Ritrasse di scatto la mano, e la guardò per un attimo, come se il gelo l’avesse scottata. Si spostò nelle docce, ma anche lì sembrava tutto immobile e immoto, come se nulla fosse accaduto, in fondo. L’immagine di Isabelle accovacciata nella doccia più vicina le balenò in mente, e subito dopo tornò il suo sguardo terrorizzato, come se la causa di tutto quel trambusto fosse lei, proprio lei: Emma

Il suo sguardo venne catturato da una fila di ragni, che ordinatamente sfilavano sulla parete di fondo, accanto alla finestra. Emma si avvicinò, ma quelli scomparvero, veloci, andandosi a infilare in una delle intercapedini tra il muro e il serramento. La presenza dei ragni non la turbava, in fondo si trattava di un edificio molto vecchio, era normale trovarne. Si decise a uscire dal bagno, e dal dormitorio. Per raggiungere il refettorio avrebbe dovuto passare per la hall, visto che ci si arrivava da un altro dei quattro corridoi principali, e si chiese se tutti fossero ancora a colazione, visto che non incontrò anima viva. Giunta all’ingresso, si guardò intorno. Alle sue spalle, il corridoio dal quale era appena emersa; alla sua destra, il passaggio che l’avrebbe condotta al refettorio, dal quale provenivano rumori di risate e chiacchiere. Lanciò un’occhiata al corridoio che conduceva all’ala ovest, ma distolse in fretta lo sguardo quando sentì lo stomaco brontolare. Si sforzò di contenersi e osservò invece l’ultimo corridoio rimasto: quello riservato al personale, dove immaginò dovesse trovarsi l’infermeria nominata da Pansy, nella quale, la notte prima, avevano portato Isabelle. Non potè evitare di pensare se arrischiare una visita, soprattutto per scoprire qualcosa di più su ciò che era successo, ma anche per verificare come Izzy si sarebbe comportata nei suoi confronti. 

 

[OPS, EMMA DID IT AGAIN]

 

In un attimo, il pensiero si tramutò in azione: imboccò quindi il passaggio, ma si nascose quasi subito dietro una statua quando vide il vecchio signor Pince emergere da una stanza. Ringraziò la scarsa illuminazione del corridoio, la sua prontezza di riflessi dopo anni di malefatte a Hogwarts e l’apparente torpore incline al coma del vecchio vegliardo, che passò oltre senza neanche accorgersi della sua presenza. Lo guardò strisciare le pantofole e scomparire nella hall, e poi proseguì. Buttò un’occhiata nella stanza appena lasciata da Pince e notò che si trattava di una specie di salottino, con una cucina acciaccata, un tavolo con delle sedie spaiate e un paio di poltrone sfondate che risalivano probabilmente allo scorso secolo. Emma storse il naso e, quando rimise il becco in corridoio, per poco non le prese un colpo. 

«Cosa ci fai tu qui?» esclamò James Potter. 

 

🥀

 

[EMMA HAPPENS]

 

«Mollami, Potter.»

James aveva condotto Emma Nott proprio dietro l’angolo, nella rientranza della parete nella quale si apriva la porta dell’infermeria. Lì la luce era ancora più scarsa, ma un paio di candele illuminavano in parte il volto della ragazza. James si rese conto che i loro visi erano vicinissimi e così si scostò, alzando le mani. Non era stata sua intenzione trascinarla via così, ma vederla lì appostata a spiare in giro lo aveva spiazzato, e non voleva che qualcuno la vedesse. La conosceva di nome, Emma Nott, per via della sua “reputazione di combina-guai” indiscussa di Hogwarts, ma non le aveva mai parlato direttamente. 

«Scusa, non volevo farti finire nei guai il tuo secondo giorno», si difese. 

Emma lo guardava con il fuoco negli occhi e il respiro leggermente corto, forse per lo spavento di ritrovarselo lì dietro le sue spalle. Oppure credeva ai fantasmi?

«Paura del fantasma di Heydon Hall, Nott?»

Lei storse la bocca. «Ti piacerebbe, Potter. È il fantasma ad avere paura di me, semmai.»

«Be’, a giudicare dai tuoi modi, mi sa che hai ragione.»

«Senti chi parla, non sono io quella che trascina ragazze nei corridoi.»

«Che ci fai qui, Emma?»

«Emma? Non ci siamo mica presentati, tu e io.»

James alzò gli occhi al cielo: stava già cominciando ad esasperarlo, ma era divertimento, quello che sentiva al fondo delle sue viscere? 

Scosse la testa. «Okay, allora riformulo: cosa ci fai qui, Nott

«Potrei farti la stessa domanda.» Incrociò le braccia al petto, guardandolo risoluta, un sopracciglio alzato. 

«Si dà il caso che io sia un membro del personale, qui, se non te ne fossi accorta.» E si picchiettò la piastrina dorata che portava appuntata sulla camicia bianca della divisa, con sopra scritto “Sig. J. S. Potter”. Emma gli rivolse un’occhiata disgustata che lui ignorò.

«Quindi cos’hai intenzione di fare, denunciarmi?»

Lui fece finta di rifletterci sopra, grattandosi il mento. «Forse no, se ora torni in refettorio con tutti gli altri.»

Emma scosse la testa. «Nah, neanche per idea. Sono venuta a trovare Isabelle, voglio sapere come sta.»

«Come sei premurosa… Siete diventate grandi amiche, eh?»

«Neanche mor—», ma Emma si interruppe davanti al suo viso trionfante. Eccola lì. Allora gli stava dicendo delle palle, proprio come pensava.

«Sento di odiarti, sai?»

James scrollò le spalle. «Sono cose che capitano.»

«Comunque non me ne vado lo stesso. Voglio davvero capire cos’è successo stanotte.»

Ora James l’osservò, ripensando a ciò che avevano trovato quando lui e Pansy erano entrati nel bagno delle ragazze: legno distrutto, vetri e piastrelle rotti e acqua dappertutto, e quella ragazza nuova, Isabelle Williams (che lui aveva notato seduta allo stesso tavolo di Emma Nott e altri due ragazzi, quella sera a cena), rannicchiata dentro una doccia, l’acqua che le inzuppava il pigiama, bagnata fino al midollo e tremante, quasi come se avesse appena visto… James ricacciò indietro quella parola nei meandri più profondi della sua mente. Si rifiutò persino di pronunciarla, anche se solo con se stesso. E quando Emma era entrata e aveva cercato di toccare Isabelle, quella si era ritratta come un gattino terrorizzato di fronte ad un Doberman ringhiante. Che cosa l’aveva spaventata tanto? E che cos’aveva provocato quell’inferno in terra, là dentro? E chi era “la donna” che la ragazza continuava a nominare, febbrile e preda dei suoi stessi spasmi? 

«Perché Isabelle si è allontanata da te?»

Sembrò aver tirato fuori proprio la domanda che non avrebbe dovuto essere posta, almeno non in quel momento, ché vide Emma chiudersi a riccio, e il suo volto farsi ostile e sospettoso. 

«Sarà stata ancora spaventata per ciò che era appena successo…»

«E allora perché ha cercato rifugio da Pansy? E si è fatta prendere in braccio da me?»

«Non lo so, forse perché le piaci?»

James alzò gli occhi al cielo. «Okay, tralasciando le cazzate, ho visto com’è andata: tu hai cercato di toccarla e lei è come scappata via da te, come se…»

 

[RIFLESSIONI E IPOTESI]

 

«Come se avesse paura», concluse lei sospirando e distogliendo lo sguardo, puntandolo a terra. James notò solo in quel momento che indossava la nuova divisa e si stupì nel constatare quanto le stesse bene. Si riscosse quasi subito, però, e prima di sentirsi ridicolo.  

«Be’, effettivamente la ragazza che è venuta a chiamarci ha detto che la porta era chiusa, ma qui non ci sono chiavi, quindi mi chiedo come sia potuto accadere», rifletté James cominciando a camminare avanti e indietro, mentre Emma rimaneva appoggiata alla parete. «E siete senza bacchetta: quindi come ha fatto Isabelle a ridurre il bagno in quello stato?»

«Stamattina era tornato tutto in ordine», disse lei, senza ostilità, questa volta. «Il bagno, dico», specificò davanti all’occhiata perplessa che James le lanciò. 

«Sarà venuto qualcuno a sistemare? Pansy, o più probabilmente Lamb.»

«Chi è Lamb? Quello alto con la faccia lunga e slavata che sembra uscito dal manicomio?»

James trattenne una risata. Non voleva che Emma si beffasse dei suoi nuovi colleghi davanti a lui, ma effettivamente doveva ammettere che aveva ragione. Evitò però di risponderle in merito. 

«Spero che non sia stato lui, immaginarlo vagare per il nostro dormitorio la notte, al buio… mi fa accapponare la pelle…»

«Quindi non ci credi», buttò lì James. «Ai fantasmi.» L’altra lo guardò e lui credette che avesse capito benissimo a cosa faceva allusione, ma ci tenne comunque a specificare.

«Mi sembra di averti fatto capire che no, non ci credo. E secondo me nemmeno tu, Potterino.»

«Non chiamarmi Potterino», le intimò. «E comunque no, non ci credo nemmeno io, ma devi ammettere che Isabelle sì, ci crede, e questo potrebbe averla indotta a immaginare tutto quanto, a immaginarsi cose che non esistono.»

«Archie Fletcher ci ha raccontato la storia della signora di Heydon Hall», spiegò Emma. «Questo spiegherebbe il panico di Izzy. Lei ci crede, a queste cazzate. E poi, ora che ci penso, in treno mi ha raccontato che i suoi zii l’hanno rinchiusa nella sua camera, quest’estate… È una storia lunga», specificò quando James le rivolse un’occhiata sconvolta e spiazzata. «Questo aggiungerebbe un tassello a tutta la spiegazione: ha avuto una crisi di panico quando, per una qualche ragione, la porta si è chiusa, e forse, assalita dalla paura, ha distrutto il bagno. E il panico potrebbe averle anche impedito di aprire la porta, che in realtà è rimasta aperta per tutto il tempo. Semplice», concluse quasi senza fiato, ma soddisfatta e trionfante, la bocca atteggiata ad un sorriso compiaciuto. 

James annuì. «Potresti avere ragione… Anche se non mi convince che una come Isabelle, e per giunta sola, sia riuscita a conciare così il bagno. Insomma, quelle panche erano messe davvero male…»

«Potrebbe aver fatto qualche magia anche senza bacchetta… Come quelle che ci ritrovavamo a fare da piccoli, senza volerlo, quando la magia si manifestava in noi e rompevamo vasi e vetri.»

«Sì, anche se non sono ancora convinto. Ed è difficile che un mago adulto usi la magia a livelli così ancestrali, senza una bacchetta.»

«Devi ammettere però che le circostanze erano straordinarie. Isabelle era preda del panico e dei brutti ricordi, uniti alla suggestione per le storie di fantasmi, e mettici anche il temporale che infuriava fuori…»

«Penso che sia una ricostruzione piuttosto fedele e plausibile, ma ovviamente quando parlerò con lei riuscirò a farmi un’idea migliore», concluse James. «Ora è meglio se torni dagli altri, o ti caccerai davvero nei guai, Em—, Nott», si corresse.

«Emma va bene», bofonchiò lei a mezza voce e James non potè fare a meno di sorriderle. «Ma comunque non vado proprio da nessuna parte. Ormai ci siamo dentro insieme, quindi entro con te. James.» E incrociò nuovamente le braccia, guardandolo severa. 

James alzò gli occhi al cielo, reazione standard da qualche minuto a quella parte, e si diresse alla porta. 

«Lascia almeno far andare avanti me, okay?»

Emma annuì e sembrò trovarsi d’accordo con lui, almeno in quell’occasione. James aprì e sbirciò dentro. 

 

[IN INFERMERIA]

 

L’infermeria era costituita da una stanza piuttosto ampia che somigliava in modo sconcertante all’infermeria di Hogwarts, che lui aveva visitato parecchie volte sia da paziente, per via degli infortuni che si era procurato giocando a Quidditch, sia da visitatore, per andare a trovare altri membri della squadra o amici colpiti da qualche incantesimo. Quattro letti erano posizionati lungo la parete sotto tre grosse finestre e la luce del sole filtrava piano. In uno dei quattro era distesa Isabelle, i capelli biondi sparsi sul cuscino e gli occhi chiusi. Proprio davanti all’ingresso, separata dal resto da un separè in tessuto azzurro montato su ruote, era posizionata una scrivania, alla quale sedeva una donna possente, una delle donne più grosse che James avesse mai visto. Era vestita di verde acido, proprio come chi lavorava al San Mungo, e stava appuntando qualcosa su una pergamena. Lui fece cenno ad Emma di aspettare ed entrò. La donnona si girò e lo osservò per un momento, per poi sorridergli apertamente. 

«Posso?» chiese lui sfoderando la sua classica espressione-da-bravo-ragazzo che conquistava sempre tutti, da diciotto anni a quella parte. 

«Oh, sì, vieni avanti, caro.»

«Mi spiace disturbare, sono venuto a vedere come sta la paziente», spiegò. «Sono James Potter, lavoro qui», e indicò la piastrina col suo nome.

«Oh, sì, Justine mi ha parlato così bene, di te. Justine è la guaritrice che era qui stanotte. Io la sostituisco durante il giorno.»

Quella notte, era stata chiamata una guaritrice dal San Mungo, che era giunta piuttosto in fretta, Smaterializzandosi ai confini. La donna era stata poi scortata in infermeria da Lamb e si era occupata di visitare Isabelle, dopo che Pansy le aveva prestato i primi soccorsi. Si era complimentata con l’altra donna per l’abilità e la prontezza con la quale aveva preparato una Pozione Corroborante per la paziente, e poi li aveva spediti ad attendere fuori mentre se ne occupava lei. Prima di rimandarli tutti a letto, aveva assicurato al preside Corner (che era stato ovviamente avvertito e si era presentato con la sua solita vestaglia blu, ma questa volta sopra un pigiama viola, che spuntava da sotto e che gli lasciava scoperte le caviglie, e la faccia assonnata ma preoccupata) che Isabelle Williams si sarebbe rimessa, ma che aveva bisogno di giorni di convalescenza per riprendersi dallo shock subito, e poi si era complimentata nuovamente con Pansy, e anche con lui, definendolo un «caro, caro ragazzo». 

«Sì, be’, ho solo fatto ciò che tutti avrebbero fatto, in una circostanza simile», si difese lui. 

«Hai mai pensato di fare il guaritore, caro? Sembra quasi che tu abbia una dote innata per ammansire il prossimo…»

James si grattò la nuca, arrischiando uno sguardo alle sue spalle e alla porta socchiusa, dietro la quale sapeva che Emma se la stava spassando un mondo a sentirlo destreggiarsi là dentro. 

«Veramente pensavo al Quidditch, ma non sarebbe male avere un piano B… Riguardo al suo lavoro, mi dica: le piace?»

La donna gli fece cenno di avvicinarsi. «Siediti qui, vado a preparare un buon tè e torno.»

Indicò la porta alle sue spalle, che molto probabilmente si apriva su una stanza di servizio. James annuì prontamente. La donna, che si chiamava Lisa (era scritto sul badge che portava attaccato alla casacca verde acido), gli sorrise e si dileguò. Allora James si voltò verso la porta d’ingresso mentre Emma infilava la testa all’interno. Le fece cenno di entrare e lei richiuse la porta.

«Hai fatto colpo, Potter», lo prese in giro spintonandolo leggermente. 

«Sta’ zitta, per Godric. Sbrighiamoci, piuttosto, non so quanto ci metterà a fare il tè.»

«Chiudila dentro, no?»

«Come, scusa?»

 

[LE TENTAZIONI DI EMMA]

 

Emma scrollò le spalle. «Quello che ho detto. Chiudila dentro, poi quando abbiamo finito la lasciamo andare. E mentre ci sei lancia un Muffliato alla porta, anche.»

«Non posso farlo», protestò lui, che a quel punto capì perché Emma venisse considerata una vera e propria “delinquente”, a Hogwarts.

«Sì che puoi, per Salazar come sei barboso!» esclamò lei alzando gli occhi al cielo. «Lo farei io, se avessi la bacchetta. E non voglio privarti della tua, non mi va di metterti le mani addosso o potresti farti strane idee.»

«Okay, okay, lo faccio, va bene!» cedette James, esasperato ma divertito. Eccolo di nuovo, quel divertimento che lo stupiva. 

E così lanciò un Colloportus e un Muffliato, sotto lo sguardo divertito di Emma, che sicuramente gongolava all’idea di averlo corrotto. 

«Allora sei davvero come dicono tutti a scuola, tu», le disse tornando da lei. 

«Cioè? Incredibilmente bella e interessante e intelligente?»

James la ignorò. «Tutti dicono che sei una delinquente fatta e finita. Materiale per Azkaban, insomma.»

James capì di aver detto la cosa sbagliata, e se ne pentì un istante dopo. Il viso di Emma si adombrò e ogni traccia di divertimento svanì. 

«Non fa ridere, Potter. Sei più divertente quando tieni il becco chiuso.»

 

[JAMES FA DANNI]

 

«Scusa, mi è uscita male…» tentò di scusarsi. Gli dispiaceva davvero aver tirato in ballo Azkaban quando davanti a lui aveva una persona che di cognome faceva “Nott”, soprattutto perché non era giusto che le colpe degli avi ricadessero sui loro discendenti. 

«Be’, sapessi cos’hanno detto di te, durante tutto l’anno scorso…»

«Le voci mi sono arrivate e credimi, non me ne frega niente.»

Ora Emma lo guardava guardinga, come un grosso felino osserva deliziato e interessato la sua prossima preda e valuta quanto sia effettivamente facile azzannarla. 

«Hai davvero trasfigurato il corpo di Jenkins?»

James si aspettava che quella domanda sarebbe giunta, prima o poi. Era un po’ come un Erumpent nella stanza.  

Annuì, ché non aveva senso mentire, no?

Anche Emma annuì, imperturbabile. «Sono uscita con lui, sai? Quando facevo il terzo anno.»

James arricciò le labbra. «Ah, sì? E questo come ci è utile, ora?»

«Non lo è», rispose Emma scrollando le spalle. La sua aggressività sembrava essersi ritratta. «Te l’ho detto solo perché era un vero coglione, Karl, sai? Quindi non ti crucciare troppo per lui.»

James sbarrò gli occhi. Come diavolo erano finiti a parlare di Karl Jenkins? E perché Emma gli stava praticamente dicendo di non preoccuparsi per ciò che aveva fatto? Non ci capiva più nulla. 

«In fondo, anche tu saresti stato materiale da Azkaban, comunque», aggiunse, e James sentì la sorpresa affievolirsi. «Quindi non te la tirare tanto, Potter.»

Così dicendo gli diede le spalle per raggiungere il letto di Isabelle. James sospirò, pensando a quanto fosse incredibilmente strana Emma Nott. E divertente. E attraente. Ricacciò però prontamente al fondo della sua testa quella voce molesta.

 

[IL RACCONTO DI ISABELLE]

 

Isabelle Williams dormiva, ma si destò subito, non appena Emma la chiamò piano. Aprì gli occhi e li girò tutt’intorno, posandoli prima su di lui. Gli sorrise e James ricambiò, incoraggiante. Ma poi il viso della ragazza si accartocciò, quando vide Emma. Si allontanò da lei, quasi come si era scostata quella notte, ma ora lo fece più lentamente, visto che nel braccio aveva infilato un ago che le iniettava una sostanza blu nelle vene, probabilmente un elisir per mantenerla idratata e in forze. 

«Izzy», la chiamò nuovamente Emma. «Non devi avere paura, non vogliamo farti del male.»

«Ci riconosci? Sai chi siamo?» le chiese James sedendosi ai piedi del letto, mentre Emma rimase in piedi. 

Isabelle annuì piano, ma non rispose.

«Molto bene», proseguì lui, ché aveva capito che la sua voce la teneva più tranquilla, a differenza di quella di Emma, per qualche strana ragione a loro ancora ignota. «Volevamo sapere come stavi… Sai, dopo quello che è successo questa notte…»

«Ci siamo preoccupati molto, Izzy.»

James convenne che Emma era molto brava a mentire e a suonare convincente. Doveva tenerlo a mente per il futuro. 

Isabelle, dal canto suo, osservò l’altra ragazza con gli occhi sbarrati e il suo respiro cominciò a farsi affannato. Allora lui allungò una mano a toccare quella di lei e la vide girarsi a guardarlo. 

«Non devi avere paura di noi.» Ripetè le stesse parole di Emma di poco prima, cercando di suonare tranquillo e rilassato. «Io mi chiamo James. James Potter.»

Con la cosa dell’occhio, vide Emma alzare gli occhi al cielo, ma non le badò. 

«Ti ricordi cos’è successo, Izzy? Posso chiamarti Izzy, vero?» aggiunse sorridendole.

La ragazza annuì, e sembrò leggermente più tranquilla.

«Cos’è successo, Izzy?» ripetè. «Sembravi così spaventata…»

Lei tergiversò e tentennò per un lungo momento, e James temette quasi che non avesse capito, o che, peggio, non avesse alcuna intenzione di parlargli.

«Ero in bagno», cominciò, la voce leggermente arrochita. «Improvvisamente ho sentito freddo… freddissimo… Un fulmine lontano e… e i vetri si sono rotti… Allora sono corsa alla porta, ma… » Isabelle faceva delle lunghe pause, un po’ come se non riuscisse a ricordare, un po’ come se non trovasse le parole. O, ancora meglio, come se ne fosse spaventata. 

«La porta era chiusa?» la incalzò Emma. Isabella si lamentò e nascose per un momento il viso nel cuscino, mugugnando, e stringendo più forte la mano che James ancora tratteneva nella sua. Così fece un cenno ad Emma di tacere, era meglio lasciarla parlare, visto che la sua voce la turbava. Emma scosse la testa, contrariata, ma non disse nulla. 

«Izzy?» la chiamò lui. «Cos’è successo dopo?»

Isabelle riemerse ed evitò di guardare Emma, come se non esistesse. «La porta era chiusa e io… io non riuscivo ad aprirla… Ho battuto, e chiamato aiuto, ma nessuno… nessuno mi sentiva, con quel temporale… E poi… » fece un’altra pausa, questa volta più lunga, e James sentì la mano che le tremava, e tutto il corpo la seguì a ruota. Gli si avventò addosso, cercando rifugio nelle sue braccia, e James non potè fare altro che accoglierla, spiazzato da una tale richiesta di conforto e stupito, e come paralizzato, dalla paura che l’attanagliava. Lanciò uno sguardo ad Emma, che per tutta risposta fece finta di vomitare dietro la sua spalla. Allora lui picchiettò leggermente la schiena di Isabelle, scostandola e facendola risedere sul letto. Lo metteva un po’ a disagio, tutta quella situazione, e improvvisamente desiderò solo finirla lì e uscire. L’aria cominciava a farsi spessa e pesante e un freddo innaturale gli stava come risalendo dalle gambe, minacciando di sopraffarlo. Si alzò in piedi di scatto, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso, che Izzy gli aveva quasi fatto saltare via, e notò che Emma lo osservava in modo strano. 

«Non abbiamo molto tempo, Izzy.»

La ragazza sembrò capire e annuì. «Quello che è successo dopo lo ricordo appena, in realtà. Ricordo solo il freddo, e il buio, e la paura… una paura senza nome… una paura mai provata in vita mia…»

«Chi c’era dentro al bagno con te, Isabelle?» intervenne Emma. «Chi c’era? Una donna?»

Isabelle la guardava con gli occhi sbarrati, ora. 

«Izzy, mi capisci? Capisci cosa ti sto chiedendo?» Emma le si avvicinò e l’altra si appiattì contro la spalliera in ferro del suo letto. James osservava la scena, indeciso se intervenire o meno. «Hai parlato di una donna, Isabelle. Chi era? Dimmelo. Chi c’era con te in quella stanza? ISABELLE!» L’afferrò per le spalle, scuotendola, e James si affrettò a trattenere Emma, scostandola dalla paziente, che intanto si era rannicchiata su se stessa, scoppiando a piangere. 

«Va’ fuori, Emma», esclamò James. «Per favore, va’ fuori e aspettami lì.»

A sorpresa, Emma obbedì. Ora sembrava proprio un drago in gabbia e le mancava solo il fumo dal naso per completare l’opera. James la guardò uscire e sbattersi la porta alle spalle. Poi si rigirò verso Isabelle. 

«Non ricordi altro, Isabelle? Nulla che possa farci capire come aiutarti?» Cercò di risultare il più gentile e dolce possibile, solo così la ragazza avrebbe parlato di nuovo.

«Io non… non me lo ricordo, James… È come se… come se qualcosa… o qualcuno… fosse lì con me, e mi scuotesse, e mi prendesse e mi… » esitò «… e mi sollevasse. Non ricordo altro, scusa…» E immerse il viso nel cuscino. James comprese che non gli avrebbe detto altro, e così le carezzò per un attimo i capelli prima di andarsene. 

Sulla porta, si ricordò di liberare la povera Lisa, e poi si affrettò ad uscire. Emma lo aspettava fuori, e lui la prese per un gomito, trascinandola nella sua camera, poco lontana. 

 

[IN CAMERA DI JAMES]

 

«Ah, questo era il tuo obiettivo sin dall’inizio, allora.»

«Smettila di fare così, okay?» esclamò lui, spazientito.

Emma rimase in silenzio, forse capendo l’antifona. James prese a misurare la stanza a grandi passi. Notò che il baule era di nuovo ai piedi del letto e si chiese se si stesse immaginando cose o se fosse davvero la realtà. 

«Non abbiamo cavato un’acromantula dal buco», constatò. 

«Un ragno», esclamò Emma, indicandogli il pavimento. 

Un grosso ragno nero stava sgattaiolando silenzioso sotto il letto di James, ma lui fu più lesto, e lo schiacciò con un piede. 

«Che riflessi… Dimenticavo che sei un ottimo Cercatore, Potter.»

«Cos’è? Un maldestro tentativo di compiacermi?» le chiese ripulendo la suola della sua scarpa con un incantesimo non verbale. 

«Nah, non è da me. Comunque ci sono un po’ troppi ragni, per i miei gusti, qui…»

«Hai paura?»

«Ancora, Potter? Io non ho paura di niente», asserì lei inarcando le sopracciglia.

«Mio fratello ha paura dei ragni.»

«Chi? Albus?»

James annuì. 

«Ti manca, eh?»

Lui scrollò le spalle. Non voleva parlare di Albus, o di Lily. Tornò quindi sull’argomento-Isabelle. «Ancora non capisco che cosa possa aver distrutto il bagno in quel modo… Isabelle non ha saputo dirmi altro.»

Emma si strinse nelle spalle. «Neanche io, sinceramente. Immagino che non lo sapremo mai. In fondo, se Isabelle non ha parlato con te, non so con chi lo farà.»

«Cosa sono, io? Uno psicologo?» si difese James. Era già stato definito così, di recente, da sua cugina Lucy, e non aveva voglia di ripetere l’esperienza.

«Nessuno è lo psicologo di nessuno, qui. Solo noi possiamo curare le nostre inquietudini.»

«Quindi pensi che la vicinanza di un’altra persona non serva, ad alleviare un dolore?»

«Forse sì, forse no, ma non per tutti. C’è anche chi se ne sta bene da solo.»

James non replicò, ma si chiese se Emma stesse parlando proprio di se stessa. 

 

🥀

 

«Ti ho vista», canticchiò Archie nel suo orecchio. Emma si voltò di scatto e lo osservò prendere posto al suo stesso tavolo, al refettorio. Era ora di pranzo e si stava sforzando di assaggiare le verdure stra-bollite che vorticavano nel suo piatto, ma senza successo. 

 

[PARLANDO CON ARCHIE]

 

«Archie», esclamò a mo’ di saluto. «Ciao anche a te.»

«Ti ho vista», ripetè sussurrando, sporgendosi verso di lei. 

Emma inarcò le sopracciglia, interrogativa. «Cosa stai cercando di dirmi?»

«Sto cercando di dirti che ti ho vista scivolare fuori dal corridoio del personale con quello stra-figo cosmico di Potter, ecco cosa», esclamò l’amico prima di zittirsi e ringraziare Lamb, che gli stava porgendo un vassoio. Emma osservò l’inserviente caracollare via e poi tornò da Archie: aveva appena definito James Potter stra-figo? Seriamente? 

Okay, okay, doveva ammettere che era molto carino. E sexy. Anche con quell’orrenda divisa del personale addosso… E quegli occhiali storti gli davano un certo non so che… Emma scosse la testa e tornò alla realtà. 

«Ti sei distratta, eh?» E Archie le indicò il punto che stava fissando e in cui, si rese conto Emma troppo tardi, stava seduto proprio James. Così lei scosse la testa e girò la sedia in modo da non vederlo. Archie continuava a sorriderle come un ebete, però, e a guardare Potter. 

«Ti piace? Te lo posso presentare, se vuoi.»

Archie alzò gli occhi al cielo. «Che scema, che sei. Comunque no, grazie, si dà il caso che ami follemente Tyler, ma tu, tu sei libera come l’aria, giusto? Non puoi farti scappare quel bocconcino, è talmente bello

«Basta, Archie, sto cercando di mangiare», protestò lei.

Archie agitò una mano, lanciando un’occhiata ai loro piatti. «Stai davvero cercando di mangiare quella roba? Tu sei matta. Lo sai che Tyler si fa mandare scorte di cibo da suo fratello JJ? Se dovesse venirti fame, non hai che da chiedere… Inoltre, so come sgattaiolare nella cucina della vecchia pipistrella, quando vuoi.»

«Madama Pince?»

Archie annuì. «Tiene nascoste là dentro ogni genere di prelibatezze e mi chiedo perché prepari queste schifezze», e allontanò da sé il vassoio. Agguantò solo le clementine e se le fece scivolare nella tasche del blazer. 

«Comunque», continuò incrociando le mani sul tavolo e guardandola, enigmatico. «Vuoi dirmi cosa stavate facendo tu e Potter, stamattina? Mentre tutti noi eravamo a colazione? So già che non mi dirai del sesso furioso, tranquilla, ti perdono.»

Emma cercò di ignorare l’ultima frase dell’amico, anche se… anche se l’immagine di lei e James appoggiati ad una parete a… no, basta, doveva chiudere fuori quel pensiero, Archie le faceva male alla salute. 

«Siamo stati a trovare Isabelle», rispose, e si lanciò a raccontargli per filo e per segno cos’era successo la sera prima, e anche quella mattina. Evitò di dirgli che Izzy sembrava avere paura di lei, però, preferendo tenere per sé quel dettaglio. «E quindi abbiamo pensato che la turbolente rievocazione di quel ricordo, legato all’estate trascorsa con gli zii demoniaci, unito a quelle storie sceme, abbia innescato tutto quanto.»

 

[COSA NE PENSA ARCHIE?]

 

«Ovviamente qui a Heydon Hall non si parla d’altro», commentò Archie. «La notizia è trapelata in fretta e stamattina a colazione era l’argomento generale davanti al porridge bisunto.»

«Quindi? Tu cosa pensi?» 

«Io cosa ne penso?» Archie si riappoggiò alla sedia e incrociò le braccia al petto. «Va bene, ti dirò cosa ne penso, ma non te la prendere con me.»

Emma annuì, chiedendosi perché avrebbe dovuto prendersela con lui. 

«Io penso che sia tutta colpa del fantasma della signora di Heydon Hall», snocciolò Archie. 

Ah, ecco perché. Emma non potè far altro che sollevare gli occhi al cielo, infastidita, e fu una reazione pressoché automatica, la sua. 

«Ecco, vedi perché ti ho chiesto di non prendertela con me?» protestò Archie.

«Non me la prendo con te, Archie, ma la prendo con questa stupida e arcaica superstizione alla quale sembrate credere senza indugio. Non c’è nessun dannato fantasma.»

Archie sbarrò gli occhi e trattenne il respiro, mentre le pesanti porte del refettorio si chiusero improvvisamente, e con un tonfo sepolcrale. Il suo amico sobbalzò sulla sedia, e così fecero tutti i presenti nel refettorio, come se fossero stati subitaneamente colti dal panico. Emma li osservò uno ad uno (non era rimasta molta gente, seduta ai tavoli sparsi) e, su tutti i visi, lesse solo sgomento e paura. Paura. Eccola di nuovo. 

James si alzò e si diresse alle porte per riaprirle, e le lanciò un’occhiata mentre tornava a sedersi, ma Emma distolse lo sguardo in fretta. 

«Archie Fletcher e una nuova amica.»

 

[CHARLES BAKER]

 

Entrambi si voltarono ed Emma si ritrovò di fronte il ragazzo che la stava guardando la sera prima, uno del gruppo di Drake Flitt indicatole da Archie durante la cena. Era alto e magro, teneva la giacca della divisa buttata su una spalla e un voluminoso ciuffo di capelli nerissimi gli ricadeva sulla fronte. La stava fissando con un paio di voluminosi ma freddi occhi azzurri, interessato, come si osserva un animale esotico in una teca. 

«Non me la presenti, Archie? La tieni tutta per te, eh?»

Emma lanciò un’occhiata al suo amico, che sembrava parecchio infastidito. «La tengo al largo da voi, Baker.»

Il ragazzo alto scoppiò a ridere e parecchie paia di occhi si voltarono verso il loro tavolo, per distogliere lo sguardo altrettanto velocemente. Solo Potter sembrò abbastanza interessato (o coraggioso?) da continuare ad osservarli in tralice, mentre ritirava i vassoi lasciati sui tavoli dagli studenti.

«Mi presento da solo, allora. Charles Baker2», e allungò una mano verso di lei, sorridendole. Aveva un sorriso storto e vagamente inquietante, e nonostante Emma dovette riconoscere, almeno con se stessa, che era davvero carino, non le piacque per niente il modo in cui la stava guardando. 

«Emma Nott. Scusa se non ti stringo la mano, sono germofobica», replicò sorridendogli apertamente, seppur in modo forzato. 

Il sorriso parve svanire per un istante dal viso di Baker, mentre ritirava la mano, per poi ricomparire, come se si fosse accorto di aver abbassato la guardia. «Emma Nott, hai detto? Sarai mica figlia del MagiAvvocato Theodore Nott?»

«Proprio lui, in carne e ossa, quindi non ti conviene tirare la corda come tuo solito, Baker», intervenne Archie trionfante. 

Baker sembrò essere d’accordo, perché lo guardò, deluso e infastidito. Anzi, lo guardò come si guarda un insetto molesto. Emma decise che non le piaceva per niente.

«Interessante», commentò solo l’altro. Si passò una mano tra i capelli ed Emma notò Archie alzare gli occhi al cielo. Intanto, James si stava facendo sempre più vicino, ed era evidentemente in ascolto, ora. «Be’, spero che avremo modo di fare amicizia, Emma. Quello laggiù è il mio solito tavolo», e le indicò il tavolo al quale era seduto la sera prima, «puoi essere mia ospite ogni volta che vuoi. I ragazzi saranno entusiasti di conoscere la figlia di Theodore. Pensaci, invece di fare compagnia ai perdenti. Ci vediamo in giro.»

«O anche no», commentò Emma, mentre Archie lo salutò agitandogli il terzo dito dietro la schiena sottile. 

«Ma chi si crede di essere, quello?» esclamò quindi rivolta all’amico.

«Il padrone della scuola? Suo padre è un finanziatore, ma lui è un piccolo delinquente incallito, e la verità è che i genitori non lo sopportavano più e così lo hanno spedito qui, all’inizio dell’anno scorso. Qualcuno dice che lo abbiano beccato a spacciare delle sostanze allucinogene ricavate dai pungiglioni dei Billywig, quasi al confine con Notturn Alley…»

Emma inarcò le sopracciglia. «Con quella faccia da damerino che si ritrova?»

Archie annuì, compito. «Ah-ah. Comunque è entrato subito nella cricca di Flitt, si sono amati a prima vista, quei due.»

«Tutto bene?»

 

[MEGA FUSTO]

 

Entrambi si voltarono ed Emma incontrò nuovamente lo sguardo di James, che ora era in piedi proprio dove un attimo prima si trovava Charles Baker. 

«Sì, tutto benissimo, grazie», replicò lei quasi freddamente. Non era una donzella in difficoltà bisognosa di aiuto, chi si credeva di essere, pure Potter? 

«Ciao!» esclamò quindi Archie, il viso radioso. Allungò una mano verso James. «Piacere di conoscerti, io sono Archie. Archibald Fletcher, a dire il vero, ma per tutti sono solo Archie. Soprattutto per te

James gli sorrise e gli strinse la mano, guardandolo però vagamente dubbioso. «James Sirius Potter. Sai che il tuo cognome non mi è nuovo?»

«Oh, lo spero bene! Il mio pro-zio Mundungus mi raccontava sempre di tuo padre, il mitico Harry Potter. Hanno combattuto insieme durante la Seconda Guerra Magica.»

«Sì, forse mi ricordo qualcosa… vecchi racconti di mio padre…» commentò James pensieroso grattandosi il mento. Emma ormai lo riconobbe come un suo automatismo, che scattava quando rifletteva sopra qualcosa. Distolse in fretta lo sguardo, però, quando James la beccò a fissarlo, e si affrettò a sbucciare una clementina. 

«Chi era quel tipo? Vi ha dato problemi?»

«Charles Baker. È un tipaccio», spiegò Archie volenteroso. «Giragli alla larga, è un consiglio, tanto ha il culo parato perché il padre sgancia Galeoni per la scuola e il preside Corner se li intasca tutti quanti.»

James inarcò le sopracciglia. «Non lo facevo così venale…»

«Lo diventi, quando il tetto comincia a fare acqua e le pareti a ispessirsi per la muffa e i calcinacci cadono in testa ai tuoi allievi.»

James scrollò le spalle. «Be’, effettivamente…»

«Comunque tutto sotto controllo, Emma lo ha cacciato via con la sua innata simpatia.»

Emma alzò lo sguardo e sorrise furbescamente. «Ricordati che potrei sempre accettare il suo invito, Fletcher.»

«Quale invito?» chiese James.

«Pensavo che avessi origliato tutto, Potter.»

«Non tutto tutto

«L’ha invitata al suo tavolo, ma ovviamente Emma non ci andrà perché è una brava ragazza e perché mi vuole troppo bene», si intromise Archie. «Giusto?»

Emma scrollò le spalle. «Se continuerai a parlarmi di quel maledetto fantasma, potrei anche valutare l’offerta, sai?»

Archie sbarrò gli occhi. «Ti ho detto di stare attenta a come parli del fantasma di Heydon Hall, piccola Nott.»

«Credi al fantasma di Heydon Hall, Archie?» chiese James.

«Assolutamente sì, e dovreste farlo anche voi, scettici. Siete fatti l’uno per l’altra, a quanto pare, mostriciattoli.»

La faccia di James assunse un inusitato colorito violaceo ed Emma tirò un bel calcio ad Archie da sotto il tavolo. Lo osservò soffrire in silenzio, gli occhi socchiusi. 

«Sarà meglio che te ne torni al lavoro, Potter, c’è qualcuno che ti sta osservando da un po’…» buttò lì Emma, indicandogli quindi Madama Pince, ferma come un gufo impagliato accanto al tavolo delle autorità. Lo fissava da sotto quei maledetti occhialini dorati. 

James si sporse a recuperare i loro vassoi e li poggiò sul carrello. «Se avete bisogno di me, non esitate a chiamarmi, e io correrò. Non mi piace, quel Baker.»

«Non abbiamo bisogno del tuo aiuto, Potter, grazie lo stesso», chiarì Emma decisa ficcandosi in bocca uno spicchio di clementina. Voleva chiarire la sua posizione: lei non era una donzella in difficoltà

«Oh, grazie, James, lo terremo a mente», disse invece Archie rivolgendogli un ultimo sorriso sornione. James si allontanò senza dire altro.

 

[DONZELLA IN DIFFICOLTÀ]

 

«Perché lo tratti così?»

«Perché non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, testone. Tantomeno di un Potter.»

«Come sei esagerata», sbuffò Archie. «Non si rifiuta mai l’aiuto di un mega fusto. Mai

«Parla per te.»

«Be’, quando ti renderai conto che il fantasma di Heydon Hall è reale e non il frutto della nostra fantasia, allora potresti aver bisogno di aiuto, sai? Anche se spero che quel giorno non arrivi mai, lei è sempre molto violenta, con voi scettici.»

«La smetterai mai, Archie?» gli chiese, spossata, ingoiando l’ultimo boccone di clementina.

L’altro scosse la testa. «Ricorda le mie parole, signorina Nott: un giorno verrai da me e mi dirai, “avevi ragione, Archie, scusa se ho dubitato di te”.»

«Okay, va bene, me lo ricorderò, sei contento?» Emma era esasperata ma anche divertita. La faceva sorridere, quell’assurda convinzione di Archie. 

In tutta risposta, lui annuì, felice e soddisfatto.

 

🥀

 

Lo sbattere di una finestra. 

Il vetro che si rompe.

L’aria della notte filtra nella stanza e cala il gelo.

Pelle d’oca e membra tese e labbra tremule.

La donna si piega, inarca la schiena e chiude gli occhi. 

Le mani aggrappate al pavimento sporco, trascina scie di sangue e morte.

Apre gli occhi e grida.

Grida grida grida.

Le urla squarciano la notte e il gelo. 

 

[IL SOGNO]

 

Emma si svegliò di soprassalto. Era seduta nel suo letto, nel dormitorio silenzioso e buio. A Heydon Hall. 

Lanciò uno sguardo intorno ma tutte le altre ragazze dormivano. Il letto di Isabelle era ancora vuoto. 

Si lasciò ricadere sul cuscino e si passò una mano sugli occhi. Aveva fatto un sogno assurdo. Un incubo, forse. Immagini fatte di sangue e urla, solo e soltanto urla. E morte. 

Mandò al diavolo Archie e le sue maledette storie, e chiuse gli occhi, cercando di riaddormentarsi. Era stata una giornata lunga, quel primo giorno a Heydon Hall, e tutto quel vorticare di cose, e volti, ed eventi l’aveva sopraffatta, turbandola più di quanto si sarebbe aspettata. 

Già quasi nel sonno, la sua mente rievocò per un momento un profumo sconosciuto, che aveva sentito di sfuggita, ma non ricordava dove, né di chi fosse. Così si riaddormentò.

 

A pochi passi da lei, una fila di ragni trovava rifugio sotto il baule di Isabelle Williams.

 

Lo sbattere di una finestra. 

Il vetro che si rompe.

L’aria della notte filtra nella stanza e cala il gelo.

Pelle d’oca e membra tese e labbra tremule.

La donna si piega, inarca la schiena e chiude gli occhi. 

Le mani aggrappate al pavimento sporco, trascina scie di sangue e morte.

Apre gli occhi e grida.

Grida grida grida.

Le urla squarciano la notte e il gelo.

 


 



Note

1. Rosalie Greengrass: compagna di classe di Emma in Serpeverde, figlia di Daphne Greengrass e personaggio di mia invenzione
2. Charles Baker: OC di mia invenzione

 

Bentornati qui con il terzo capitolo di questa long. Sembra ieri che pubblicavo il prologo, sono sconvolta 😳 Detto ciò, in questo capitolo leggiamo per la prima volta della “premiata ditta Potter-Nott” e spero che le loro interazioni vi siano piaciute come io ho adorato scriverle. James ed Emma fanno visita ad Isabelle in infermeria cercando di scoprire qualcosa di più, ma non concludono granché tranne constatare l’ostilità di Izzy nei confronti di Emma e la sua “predilezione” per James. Vi posso dire che tutti i nodi verranno al pettine, ma dovete avere pazienza 🔮 Inoltre, facciamo la conoscenza di un nuovo personaggio, Charles Baker, sicuramente da tenere d’occhio 👀 Ci tengo a specificare infine che il pezzo sul “mega fusto” è un chiaro e aperto riferimento al cartone “Hercules” della Disney. 

 

Concludo ringraziandovi per la calorosa accoglienza riservata ad Emma (e in generale a questa storia) e invitandovi come sempre a farmi sapere cosa ne pensate ♥︎ mi sto divertendo un sacco a leggere tutte le vostre teorie 👀 Nel prossimo capitolo vi attende una scena particolarmente inquietante ma intrigante, e non aggiungo altro 🤐

 

A lunedì prossimo, Marti 🐍

   
 
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