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Autore: Tenar80    26/11/2020    2 recensioni
Ten è, almeno in apparenza, un giovane professore universitario. Victoria è, almeno all'apparenza, la pupilla di un generale. Entrambi indossano una maschera da cui dipende molto più della propria vita. Forse è questo ad attrarli così tanto l'uno verso l'altra...
Dal testo: "La semplicità con cui mentiva impensieriva un poco Ten, ma lui stesso lo faceva, ogni volta che gli chiedevano del suo passato. Questo come lo poneva nei confronti di una ragazza che aveva la stessa propensione alla dissimulazione? La sua era necessità, Victoria sembrava piuttosto divertirsi. Questo escludeva che fosse necessità?"
Questa fic è autoconclusiva, ma fa parte della serie steampunk "L'assedio degli angeli – preludi"
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'assedio degli angeli – preludi'
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Nei giorni successivi, Ten si sforzò in ogni modo di non pensare a Victoria. Non avrebbe dovuto essere difficili. C’erano le lezioni in università e quelle al dopolavoro operaio. C’era la lettera che il rettore doveva preparargli per presentarsi a chiunque custodisse la chiesa di San Nicolao in Fonte e poterne esaminare gli affreschi. C’era la lettura del libro, per assicurarsi che San Nicolao in Fonte fosse a tutti gli effetti la sua meta. Nulla di tutto ciò lo distoglieva davvero dal pensiero di quegli occhi azzurri che sembravano allegri e tristi nello stesso momento o delle sottili labbra rosate nel viso alabastrino. Ci fu anche un attacco angelico, ma neppure quello gli diede abbastanza di cui preoccuparsi. Come spesso accadeva negli ultimi tempi, doveva essere stato causato da un gruppetto di giovani troppo esuberanti che le Ali Nere erano riusciti a fronteggiare senza danni o perdite. Da che il colonnello Soilbeir aveva sconfitto in battaglia un Alto Angelo, un generale angelico, come li chiamavano lì, anche i gruppi più estremisti avevano cessato di provocarlo. La loro, ovviamente, era solo un’attesa. I corpi degli uomini, al contrario di quelli degli angeli, non erano fatti per saltare da una dimensione all’altra. Soilbeir combatteva con le ali di un alto angelo ormai da quasi dieci anni. Presto il suo declino sarebbe iniziato e qualcuno attendeva solo quel momento per approfittarne. A meno che Ten non fosse riuscito prima nel suo intento. Quello, però, non era un problema immediato.

    Il mattino del decadì successivo alla festa, quindi, si scoprì ansioso, all’alba, ad attendere il calesse a noleggio con il necessario per prendere appunti e vivande per un pic nic per quattro persone. Era sicuro che Victoria non si sarebbe fatta viva. Perché avrebbe dovuto? La sua era stata una proposta dettata dal bicchiere di champagne che Carl gli aveva fatto bere, il suo corpo reagiva curiosamente male all’alcool, e che di certo era stata presa come tale. Nell’improbabile caso, tuttavia, in cui Victoria si fosse fatta viva non poteva farsi cogliere impreparato. Aveva comprato le prime fragole del sud, insalata con uova di quaglia, panini candidi appena sformati, formaggi e prosciutto dall’ovest, limonata, una bottiglia di vino leggero, adatto alle donne, di ottima qualità e un pacchetto di cioccolatini che sperava con tutto se stesso il sole di Pratile non sciogliesse. Nel complesso aveva investito in quell’ipotetico pranzo campestre quasi un quarto del suo stipendio. Appena il calesse gli fu consegnato ne controllò la pulizia e il buono stato dei cavalli. Sistemò le provvigioni e rimase in attesa che il grande orologio dell’università suonasse l’ora terza. Era inutile. Lei non sarebbe venuta. E se invece fosse arrivata? Mescolarsi, capire, persino simpatizzare con gli esseri umani era un conto. Sentirsene morbosamente attratto era un altro. Che cosa aveva da offrire, lui, a una ragazza dell’impero? Nel migliore dei casi un addio a mezza voce, condito con false spiegazioni che avrebbe lasciato la giovane sola e senza onore. A Ji’Quin, forse, in un’analoga situazione, avrebbe giocato solo con i sentimenti della ragazza, ma nell’impero trascinarla in una relazione senza domani significava rovinarla. Relazione che mai si sarebbe concretizzata, certo, dato che Victoria non sarebbe arrivata e lui non l’avrebbe mai più rivista.

    L’orologio suonò il primo rintocco della terza ora, il suono che otto giorni su dieci segnava l’inizio delle lezioni, e in contemporanea Victoria fece la propria apparizione dalla svolta in fondo alla via. Indossava un abito semplice, una lunga gonna nera, un corpetto stretto che evidenziava i piccoli seni e una camicia bianca a collo alto. 

    – Siete incantevole – disse Ten, con totale sincerità.

    Lei parve godersi il complimento e fece una giravolta su se stessa, come se avesse dieci anni di meno, facendo ondeggiare i lunghi capelli chiarissimi, acconciati in morbidi boccoli.

    – Possiamo passare a un tono più informale? – lo implorò. – Non posso pensare di passare una giornata di vacanza annegata dai convenevoli.

    – Molto bene – annuì Ten, a cui in realtà le formalità davano sicurezza. – Quando arrivano gli altri?

    – Quali altri?

    Il professore si guardò intorno, perplesso.

    – Beh, non posso certo portarmi in giro per tutta la giornata una ragazza nubile…

    – Ti assicuro, nessuno ti sfiderà a duello per questo – replicò Victoria, divertita.

    – …

    – Perdonami, non volevo metterti in imbarazzo – aggiunse la giovane, più seria. – L’unico candidato era… Una sorta di parente, un ragazzino di neppure quindici anni che, credimi, non vuoi conoscere. Quindi l’alternativa per me era perdermi la gita. Ma dal momento che non ho parenti che verranno a chiederti conto del mio onore e che non credo tu voglia approfittare di me, ho pensato, perché no? È uno straniero, non conosce davvero le follie dell’impero, forse potremo essere solo due persone che si godono una bella giornata.

    Ten annuì.

    – È proprio perché sono uno straniero che non voglio correre il rischio di sbagliare qualcosa.

    Victoria lo guardò con occhi imploranti.

    – Sul calesse ci sono provviste per un esercito, non vorrai dover gettare via tutto quel ben di Dio? È il mio onore, al limite, quello a rischio.

    Solo in quel momento, mentre lei si sporgeva all’interno del calesse reggendosi con entrambe le mani, Ten si accorse che aveva la destra bendata.

    – Cosa vi… Ti è accaduto.

    Lei la mosse con fare noncurante. 

    – Un’ustione, niente di che… Anzi, no, sono ferita. Non puoi negarmi il potere curativo della campagna!

    

    Pensando ancora che fosse una pessima idea, di certo i parenti della giovane non sarebbero stati contenti, Ten si trovò a condurre il calesse verso la campagna con Victoria a fianco.

    Forse, però, non c’era davvero nulla di cui preoccuparsi. A Ji’Quin una situazione del genere avrebbe generato al più qualche battuta maliziosa. Nell’impero… Beh, Victoria non sembrava il tipo da inventarsi di punto in bianco di essere stata costretta e aggredita. Sembrava… Una bambina entusiasta. Appena il calesse si fu lasciato indietro gli ultimi edifici della capitale e i fumi delle sue industrie, Ten vide con la coda dell’occhio il viso della sua accompagnatrice illuminarsi. I suoi occhi azzurri si spalancavano di fronte alle colline verdi di quel Pratile mite, come se non avesse visto nulla di più emozionante di una fattoria o di qualche pecora al pascolo che si era avvicinata alla strada.

    – Erano anni che non uscivo dalla capitale – confidò.

    Ten la guardò di sottecchi. Prima dichiarava che nessun parente le avrebbe fatto una colpa per quella fuga in solitaria con un uomo e poi dava a intendere… Che vivesse segregata?

    – Come mai? – si arrischiò a chiedere.

    – Te l’ho detto, sono padrona di molte cose, ma non del mio tempo – rispose lei, seria, continuando a guardare il paesaggio. – Ho una sorta di… Occupazione. Non sarai di quelli contrari al fatto che le donne lavorino, spero.

    Ten scosse il capo.

    – Al contrario. A Ji’Quin la mia assistente in università era una donna. Ho una gran nostalgia di Yuuko e del modo in cui sistemava i miei appunti. Ora tiene lei la mia cattedra… Tu sei pianista, suppongo.

    – No. Di tanto in tanto Delia ha la bontà di suonare con me, ma, anche se ne avessi il talento, non mi esercito abbastanza per farne una professione… Tu invece studi gli angeli?

    Aveva evitato di specificare di cosa si occupava. Era stata presentata come una parente povera dei Morozov. Probabilmente si vergognava a rivelare che faceva l’istitutrice, la cameriera, o, considerata l’ustione alla mano, la cuoca. Ten cercò di immaginarla, con i suoi movimenti aggraziati e l’innata eleganza, in una cucina e gli parve quasi un delitto.

    – Sì, anche se qui la gente non sembra molto interessata agli angeli, se non per come combatterli – rispose.

    – Loro cercando di distruggerci. Il nostro interesse mi sembra giustificato.

    – Non sono tutti nemici.

    – Perché? – chiese Victoria.

    Sembrava genuinamente interessata. Forse lo faceva solo per educazione. Avrebbe dovuto chiederle quali abiti preferisse, o chissà cos’altro fosse considerato appropriato discutere con una donna…

    – Beh, se tutti gli angeli attaccassero il mondo umano lo avrebbero già distrutto – rispose.

    – Lo so. Le Ali Nere in servizio attivo sono venticinque. Venticinque persone che si recano in un mondo che non è il loro, con attaccate parti di corpi che non sono i loro e che tuttavia riescono ad arginare gli attacchi degli angeli. È difficile che più di dieci angeli attacchino insieme e… Ho letto dei resoconti secondo cui alcuni angeli si sono limitati ad osservare o addirittura hanno prestato aiuto alle Ali Nere.

    – A Ji’Quin raccontano che furono gli angeli e i demoni a costruire questo mondo. Gli uni sono creature di tenebra e aria, gli altri di fuoco e di luce. Qui esistono la tenebra e la luce, entrambi possono modificare il proprio corpo per poterlo visitare e potersi incontrare. Hanno fatto questo mondo bellissimo, popolato di creature meravigliose.

    Victoria lo guardava con la fronte aggrottata.

    – Ho letto alcune di queste storie di Ji’Quin. Che cosa sarebbero gli uomini? Graziosi animaletti introdotti come uccelli in una voliera decorativa? E perché mai gli angeli ce l’avrebbero con noi?

    Ten sorrise. Pensò che neppure i migliori dei poeti angelici del passato, che avevano dato forma alle loro canzoni per creare il Mondo di Mezzo, sarebbero riusciti mai a dare vita volontariamente a qualcosa di bello come Victoria.

    – Gli esseri umani sono qualcosa di sfuggito al controllo – disse. – Angeli e demoni volevano incontrarsi e conoscersi. Sono cose pericolose gli incontri: se ne viene sempre cambiati. Alcuni di loro finirono per amarsi e da quegli amori nacquero gli uomini, creature perfettamente adattate a questo mondo, ma incapaci di sopravvivere, senza adeguate attrezzature, nelle dimensioni dei loro progenitori. A questa progenie non prevista fu lasciato il mondo. Alcuni degli angeli, tuttavia, ritengono disgustosa l’idea stessa che gli angeli si siano uniti con i demoni. Il frutto di quest’unione dovrebbe sparire o essere sottomesso e questo mondo ridotto a una colonia dei domini angelici.

    – Quindi mio nonno era un angelo? – domandò Victoria, con un certo scetticismo nella voce.

    – Forse un bis, bis, bisnonno. Perché no?

    Victoria scosse il capo.

    – Come le sapete queste cose? Gli angeli ci bersagliano con i loro lampi di energia direttamente dalla loro dimensione. Non vengono quaggiù a tenere conferenze.

    – Chi dice che non vengano, con corpi simili a quelli umani? Chi dice che non l’abbiano fatto? Il  mio lavoro consiste proprio nell’andare in cerca di queste informazioni.

    – È questo che stiamo andando a cercare in una chiesa di campagna? La testimonianza di un angelo in incognito?

    – No. Andiamo a cercare il cuore di un generale angelico. Guarda, siamo arrivati!

    Davanti a loro si profilava un paesino di campagna, tutto raccolto ai piedi di una collina boscosa, sulla cui cima si intravedevano i ruderi di un castello. Un poco discosta dal paese, sulle rive di un torrente, c’era un’antica chiesa dall’alto campanile di pietra.

    – San Nicolao in Fonte – la indicò Ten.

    – Che cos’ha di speciale? – domandò Victoria.

    – Tutte le Ali Nere combattono con ali d’angelo uccisi collegate ai loro corpi, ma solo il colonnello Soilbeir utilizza ali di generale angelico.

    – Sì…

    – Com’è morto quel generale?

    – È stato ucciso con una lancia che gli ha trafitto il cuore, secoli fa – rispose Victoria, rabbrividendo.

    – Sì, e questa uccisione è rappresentata in centinaia se non migliaia di statue e dipinti. Io sono a caccia di un altro generale angelico. Vieni.

 

    Li attendeva un anziano canonico, pallido e sottile come le candele che rischiaravano la navata, come se fosse fatto anch’egli di cera. Victoria si presentò con naturalezza come la cugina di Ten, come se non vi fosse nulla di strano per una ragazza così alta e chiara dichiararsi parenti di un uomo di cui tutto, dal nome ai capelli neri, passando dagli occhi leggermente a mandorla denunciava un’origine jiquinita. La semplicità con cui mentiva impensieriva un poco Ten, ma lui stesso lo faceva, ogni volta che gli chiedevano del suo passato. Questo come lo poneva nei confronti di una ragazza che aveva la stessa propensione alla dissimulazione? La sua era necessità, Victoria sembrava piuttosto divertirsi. Questo escludeva che fosse necessità?

    – La chiesa di San Nicolao in Fonte è estremamente antica – spiegò il prelato. – La prima costruzione è antecedente a quella del castello e risale almeno a cinque secoli fa, agli albori dell’impero. Per questo il primo ciclo pittorico, scoperto sotto un intonaco posteriore circa una settantina di anni fa, è di estremo valore storico. Era tempo che qualcuno lo degnasse si attenzione.

    Un peccato, sembrava dire lo sguardo, che tale attenzione tardiva si fosse presentata nelle vesti di un giovane straniero dall’aspetto goffo accompagnato da una donna. Non c’erano più i luminari di una vola.

    – Faremo il possibile per valorizzarle – replicò Ten, conciliante.

    Al suo fianco Victoria si era fatta attenta e rispettosa. L’esuberanza fanciullesca di cui aveva dato sfoggio durante il viaggio aveva lasciato il posto al ritratto di una giovane donna posata, quasi devota. Quante donne si nascondevano dietro quel bel viso? Possibile che fossero tutte, comunque, Victoria? Ten la osservò allontanarsi discretamente dal suo fianco per andare ad accendere un cero sotto la statua di San Nicolao, che aveva l’aspetto di un vecchio e saggio pastore. Era famoso per la pazienza, protettore delle occupazioni gravose, ma necessarie a cui ci si rivolgeva per ricevere aiuto nel caso di un lavoro difficile, che si dubitava di riuscire a portare a termine. 

    Appena giunto davanti agli affreschi, tuttavia, Ten ritrovò Victoria al proprio fianco.

    – Ecco, guardate – disse il prete, indicando i disegni semi cancellati, realizzati alla maniera stilizzata che era in uso al tempo. – Un generale angelico, riconoscibile per le ali enormi, minaccia un villaggio. Dalle case escono gli uomini, armati di lunghe lance, lo circondano e hanno la meglio su di lui. Dev’essere stata un’epica battaglia…

    – Non penso che un villaggio possa in alcun modo avere la meglio su un generale angelico, sopratutto usando semplici lance – mormorò Victoria, interessata.

    – Mia cara, anche san Astulf ha ucciso un generale angelico con una lancia – replicò il religioso, con la condiscendenza che si usa con i bambini, e le donne.

    – La lancia di san Astulf viene conservata ancor oggi, è fatta di un materiale ignoto – disse Victoria. – E lo ha colpito al cuore.

    – Non sembra neppure che il generale angelico sia una minaccia per il villaggio – intervenne Ten. – E una volta attaccato non fa nulla per difendersi. Perché?

    La loro guida si strinse nelle spalle.

    – A queste domande, temo, solo l’autore del dipinto e forse l’angelo potrebbero rispondere – disse. – La gente del villaggio ha avuto la meglio, vedete? Ne smembra il corpo e poi lo getta nelle fiamme.

    Era solo una scena dipinta secoli prima da gente che pensava di aver agito per il meglio, eppure Ten percepì il disagio con la fisicità propria di quel mondo, come se qualcosa di umido e freddo gli camminasse lungo la schiena, quasi paura. E la paura era un parassita pronto a infilarsi nel suo corpo e a contaminarlo. Era quel genere di pensieri che portava a pensare che tutto sommato era meglio distruggere gli esseri umani prima di essere squartati e gettati nelle fiamme.

    Il commento di Victoria fu più cinico:

    – Ali e sangue sprecati.

    – Ma le fiamme non lo consumarono del tutto – continuò il prete. – Quando le fiamme si spensero, gli abitanti trovarono il cuore incorrotto del generale angelico. Consultarono saggi e altri prelati e decisero di immergere il cuore in uno speciale vetro fuso per farne una reliquia.

    – Che si trova? – chiese Ten, voltandosi verso l’uomo.

    Sperò di non essere risultato troppo ansioso o rapace.

    Il prete, tuttavia, si limitò ad alzare le braccia.

    – Chi lo sa? Sono passati molti secoli. Qui ne abbiamo una riproduzione. Aspettate, ve la mostro.

    – Cosa sarebbe accaduto a quel cuore se non fosse stato immerso nel vetro fuso? – chiese Victoria a Ten, mentre il prete si era allontanato in quella che era probabilmente una sagrestia.

    – Che cosa accadrebbe se il vetro fosse rimosso? – domandò lui di rimando.

    – Ecco, guardate – tornò il prete, svolgendo un oggetto dal velluto che lo proteggeva.

    Non era nulla di notevole. Era una scultura di metallo che rappresentava un cuore, un poco più grande di quello umano, contenuto in un’ampolla di vetro.

    – Una leggenda vuole che un tempo ci fosse una confraternita dedita alla protezione della reliquia originale – continuò l’uomo. – Chissà poi perché tanta segretezza…

    Ten si concesse un mezzo sorriso. Chissà perché…

    Se tutti i preti erano svagati come quello, pensò, antica segretezza o meno, doveva essere possibile trovare la reliquia, ora che aveva prove della sua esistenza. Come lui, però, altri potevano farlo…

    Per il momento, tuttavia, non c’era molto altro da fare nella piccola chiesa e, dopo i ringraziamenti di rito, Ten e Victoria si diressero verso l’uscita. La giovane si era fatta pensierosa, come se qualcosa all’improvviso la turbasse.

    – Avrei dovuto proporti una gita più allegra, invece si portarti a vedere disegni scoloriti di antichi fatti di sangue – si scusò Ten.

    – No, non è questo – scosse il capo lei. – Solo pensavo alle tue spiegazioni. Se hai ragione, tutto questo nostro mondo non è che un costrutto artificiale e noi siamo figli di angeli e demoni. Chi pregiamo allora, quando eleviamo le nostre suppliche a Dio? Che senso ha tutto ciò a cui abbiamo sempre creduto?

    Era qualcosa a cui Ten non aveva pensato. Non si era mai posto il problema che la verità sull’origine del mondo potesse andare in conflitto con la teologia umana, almeno con quella dell’impero. Lo era?

    – I figli nascono dai genitori e comunque non li considerano dei – provò, improvvisando. – Credo si possa riconoscere i propri antenati senza disconoscere la volontà di un Dio che stia più in alto di uomini e angeli.

    – Chi pregano gli angeli?

    Ten si strinse nelle spalle. Una risposta sincera avrebbe comportato esporre informazioni che un docente umano, per quanto erudito, non avrebbe potuto avere.

    – Chi lo sa? Ma chiunque abbia creato gli angeli non può considerare gli uomini figli di minor valore… Ma io non sono molto religioso…

    – Io non sono una grande praticante – sorrise Victoria. – Ma sono cresciuta in un istituto di religiose. A loro modo erano donne libere, che mi hanno insegnato che valgo per me stessa, non per i parenti uomini che ho o che potrò avere e mi hanno dato opportunità che altre, nelle mie condizioni, non hanno avuto. Molte di loro avevano una fede sincera, fa tristezza pensare che possa essere tutta illusione. E, in ogni caso, ci sono momenti in cui si ha bisogno di invocare, o maledire, qualcuno.

    – Mi hanno chiesto di tenere dei corsi in una società operaia dove l’ateismo determinista va per la maggiore. Devo ammettere che «porco principio di adattamento delle creature alle condizioni ambientali» non dà molta soddisfazione.

    Questo fece ridere Victoria e permise a Ten di indirizzarla verso la sommità della collina per il pranzo.

    Usciti dalla chiesa, all’ombra delle piante, fu molto più facile trovare argomenti più allegri di cui parlare. Victoria non era forse una pianista di professione, ma amava la musica e ascoltò con manifesto piacere i racconti di Ten sulle canzoni tradizioni di Ji’Quin e accennò, con la sua aggraziata voce da mezzosoprano alcune arie popolari che il giovane non aveva mai sentito. Ten si trovò a pensare che avrebbe apprezzato la musica degli angeli, prodotta dal vibrare delle piume sulle loro ali e per un istante fantasticò di fargliela ascoltare…

    – Cioccolatini di Martin’s! – esclamò Victoria, scoprendone la scatola e interrompendo le sue fantasticherie. – Avrai speso una fortuna! E sono tutti diversi… Adesso come faccio a scegliere?

    Ecco, sembrava di nuovo una bambina entusiasta nel giorno del proprio compleanno.

    – Se ne prendo uno impedisco a te di provarlo! – si imbronciò.

    – Non pensavo neppure che si potessero fare così tanti tipi di cioccolatino – considerò Ten. – Non ho resistito alla tentazione di prenderli tutti. Ma basterà tagliarli.

    Più facile a farsi che a dirsi. Il primo si spappolò, rivelando un ripieno di composta di lamponi. Dal secondo uscì il liquore. Il terzo, più consistente, si frantumò in una miriade di pezzettini. Il quarto Victoria lo prese tra due dita e, con un gesto deciso lo spezzò con i denti, per mangiarne una parte e porgerne una metà a Ten. Lui rimase un istante immobile, di fronte a quella soluzione impertinente, ma non trovò di meglio da fare che mangiare la sua parte, mentre Victoria si leccava le dita sporche di cioccolato con un gesto di colpo conturbante. La giovane si interruppe con la punta dell’indice ancora appoggiata alle labbra. I loro occhi si incrociavano e Ten sentì le proprie guance avvampare, sciocca reazione fisiologica umana che, per altro, in teoria mal avrebbe dovuto adattarsi al suo corpo dall’aspetto jiquinita. 

    – Anche tu hai le dita sporche di cioccolato – disse Victoria, a bassa voce.

    Dando tutto il tempo a Ten per comprendere la situazione, dire qualcosa o tirarsi indietro, gli prese la mano e, con dolcezza, si portò alle labbra l’indice, succhiandolo appena.

    Il giovane rimane completamente paralizzato, del tutto incapace di elaborare le sensazioni dei ricettori impazziti del proprio corpo. Le mani. Quelle strane appendici di quel corpo alieno che all’inizio  gli avevano fatto impressione. E di cui ora voleva solo scoprire tutte le potenzialità.

    Senza che ne fosse del tutto consapevole, i loro corpi si erano fatti più vicini. Come per effetto della gravità, la forza che governava quel mondo, in modo altrettanto ineluttabile e perfetto, furono le loro labbra, adesso, ad incontrarsi. 

    Un pettirosso, da qualche parte, levò il suo canto.

    Una foglia si mosse appena. 

    Lo scorrere del tempo si era interrotto. C’erano solo il canto dell’uccello, il frusciare della foglia, le labbra morbide di Victoria sulle sue. Null’altro aveva importanza.

    Le labbra di lei non offrivano alcuna resistenza, si schiudevano docili al suo tocco. Quella bocca voleva essere invasa. La consapevolezza di questo provocò una scarica di adrenalina in grado di ridare a Ten una parvenza di lucidità. Afferrò con dolcezza le mani di Victoria, scostandosi.

    – È il caso di rientrare, prima di fare cose di cui entrambi potremmo pentirci – mormorò.

    Aveva il respiro affannato e nel pronunciare quelle parole gli parve quasi di commettere un delitto.

    – Potremmo pentircene? – domandò Victoria, inclinando appena la testa di lato, in un’espressione del tutto indecifrabile.

    – Tu potresti pentirtene. Io, di sicuro, potrei pentirmene se questo dovesse crearti problemi. C’è sicuramente qualcuno a cui appartieni e a cui dovrai rendere conto.

    Lei non lo guardò. 

    Si erano sistemati sotto un albero, sull’erba. C’erano delle violette accanto a Victoria e lei prese a tormentarne una con la mano bendata.

    – Hai ragione, potremmo pentircene. Non appartengo a qualcuno, ma a qualcosa e oggi, quasi, me ne sono dimenticata. Perdonami.

   
 
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