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Autore: lapacechenonho    29/11/2020    2 recensioni
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Questa storia partecipa alla challenge “Things you said“ indetta da Juriaka sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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15- 048: Things you said in the spur of the moment (Le cose che hai detto nell’impeto del momento).
 
Il viaggio in Australia era durato meno di quanto Harry aveva creduto. Si era aspettato di dover cercare i signori Granger in lungo e in largo per il continente, di dover dormire nelle tende, di doversi cercare cibo, invece aveva dormito in una stanza di un hotel babbano per circa un mese, una stanza calda e tutti i pasti garantiti. L’unico difetto era che aveva lasciato la calda estate inglese, per farsi investire dal freddo inverno australiano. A ripensarci, non sapeva perché aveva immaginato la ricerca dei genitori di Hermione come se fosse la ricerca degli Horcrux. Alla fine li avevano trovati in una zona residenziale di Sydney, Hermione aveva sistemato loro la memoria e poi erano ritornati tutti e quattro in Inghilterra. Adesso Hermione si era presa del tempo da passare insieme ai suoi genitori, ed Harry era in quella che con fatica definiva casa sua, Grimmauld Place.
Era il 31 agosto, era una serata torrida, tuttavia la pioggia che scendeva non accennava a smettere aumentandone l'umidità. Hermione aveva chiesto sia a lui che a Ron di accompagnarla alla stazione l’indomani, aveva voluto completare la sua istruzione magica ed Harry non si aspettava nient’altro di diverso da Hermione, perciò aveva accettato, anche se questo significava rivedere Ginny. Da quella volta in cui avevano litigato alla Tana non si erano più visti. Era capitato che lui andasse a pranzo o a cena dai Weasley ma puntualmente evitava di farsi trovare o consumava pasti molto veloci, ma c’era troppo dolore che aleggiava in quella casa perché i genitori se ne accorgessero.
Sobbalzò quando sentì qualcuno bussare alla porta, istintivamente prese la bacchetta e si diresse verso l’uscio, pronto a colpire nel caso fosse stato qualche nemico. Quando aprì la porta, vi trovò una Ginny bagnata dalla testa ai piedi, rimase immobile, come se il mondo avesse smesso di girare. Si soffermò a guardare i suoi capelli lunghi incollati al volto, gli occhi castani che lentamente stavano riacquistando quella luminosità che avevano prima della morte di Fred, le lentiggini che le ricoprivano il volto erano sempre lì. Sembrava un po’ più abbronzata dall’ultima volta che l’aveva vista. «Lasciare le persone sotto la pioggia non è educato» disse entrando senza manco aspettare che Harry le desse il permesso. La lasciò attraversare l’ingresso e nel frattempo chiuse la porta. Quando arrivarono in salotto, lei era già asciutta.
«Che ci fai qui?» domandò sentendo la gola secca. Si stava abituando all’idea che probabilmente avrebbe rivisto Ginny a Natale o peggio, alla fine dell’anno scolastico, vedersela davanti l’aveva scombussolato.
«Sono venuta a trovarti» rispose semplicemente. Era in piedi al centro del salone, le braccia scendevano lungo il busto, l’espressione sul volto era combattiva.
«Cosa hai detto ai tuoi?» chiese sospettoso.
«Non sanno che sono qui, ho messo dei cuscini nel letto».
«Non lo sa manco Ron?»
«No». Harry sospirò sedendosi sul divano e passandosi le mani sulla faccia come a volerla lavare.
«Ginny, non mi puoi mettere nei guai con Ron…» sospirò lui.
«Nessuno scoprirà niente, stai tranquillo» lo rassicurò. Non si sedette, rimase in piedi ad osservare Harry seduto sul divano con i gomiti appoggiati alle ginocchia.
«Come hai fatto ad arrivare qui?» continuò a chiedere. L’ultima cosa che voleva era che Ginny si mettesse nei guai per venire a trovarlo.
«Sono maggiorenne, ho preso la patente per la smaterializzazione» spiegò. Harry si buttò contro o schienale del divano e guardò il soffitto. Si era dimenticato del compleanno di Ginny, si era dimenticato che lei l’undici agosto sarebbe diventata maggiorenne. L’amava ma continuava impercettibilmente a farle male.
«Scusami io…» cercò di rimediare ma l’aria morì nei polmoni incapace di formulare una scusa in grado di giustificare un errore simile.
«Non c’è bisogno che dici che te lo sei dimenticato, te lo dimentichi sempre…» osservò lei. Nella sua voce non c’era tristezza o voglia di essere compatita, aveva un tono determinato, era venuta lì con l’intento di dirgli qualcosa ed Harry non sapeva se era pronto a sentire quello che Ginny aveva da dirgli. Quella visita non presagiva nulla di buono.
«Non è vero! Io so quand’è il tuo compleanno. Mi è solo caduto di mente!» scattò su Harry, leggermente irritato dalla supposizione di Ginny.
«Ah sì? E per caso ricordi quand’è stata l’ultima volta che ne abbiamo festeggiato uno insieme?» lo provocò. Era sempre ferma al centro del salotto, aveva le braccia incrociate, e la testa piegata verso sinistra. Gli mise paura quasi quanto Molly Weasley quando metteva le mani sui fianchi pronta a rimproverare uno dei suoi figli. Tuttavia non riuscì a trovare una risposta alla domanda di Ginny, quindi si limitò ad abbassare lo sguardo e fissare i suoi jeans. «Ecco, appunto» commentò.
«Volevi dirmi qualcosa?» chiese ormai su tutte le furie. La rabbia che lo pervadeva era così imponente, che non riuscì più a stare seduto sul divano che sembrava essere diventato rovente.
«Sì. Volevo parlarti di noi» disse lei calma. Una calma solo in apparenza, Harry riusciva a vedere l’ira dardeggiare nei suoi occhi.
«Coraggio, dimmi tutto quello che hai da dire» la invitò. La dolcezza con cui si erano abituati a parlare nel periodo che erano stati insieme ad Hogwarts, era solo un lontano ricordo relegato in chissà quale parte del cervello. Harry dovette lottare molto con sé stesso per evitare che le immagini di quei giorni tornassero prepotentemente davanti ai suoi occhi.
«È finita» disse con un tono incolore. «Non ho più intenzione di stare dietro a te, dietro al grande Harry Potter che ci ha salvato tutti, dietro alle tue manie di fare l’eroe senza considerare che le persone accanto a te hanno dei sentimenti! Ti sei mai chiesto cosa abbia potuto provare io quando mi hai lasciata? O quando sono rimasta ad Hogwarts con Piton ed i Carrow? O cosa ha significato per me essere lasciata per l’ennesima volta in disparte? Hai mai provato a metterti nei miei panni almeno per una volta?» sciorinò furente. Le guance erano diventate rosse e respirava affannosamente. Harry si chiese quanto tempo aveva aspettato a dirgli quelle cose. C’erano stati tanti momenti di tenerezza tra di loro ma adesso sembravano ad appartenere ad un’altra vita.
«E tu credi che io non sia stato male mentre ero là fuori alla ricerca degli Horcrux? Credi che sia andato in villeggiatura o volessi trovare un modo alternativo per lasciarti?» quasi urlò Harry. Camminava avanti e indietro nel salone, le assi del pavimento sotto i suoi piedi scricchiolavano producendo un rumore sinistro coperto però dalle grida dei due ragazzi.
«Non lo so, Harry! Non so niente di te perché per te sono e resterò sempre solo la sorellina piccola del tuo migliore amico!» esclamò. Harry percepì quelle parole come un pugno nello stomaco che lo costrinsero a fermarsi e guardarla attentamente. Gli occhi adesso erano leggermente lucidi ma non piangeva.
«Pensi questo di me?» chiese. Ginny rimase in silenzio senza abbassare lo sguardo. «Rispondi!» disse spazientito.
«Sì, Harry. Oppure provami che è il contrario». Harry rimase fermo al suo posto. Tutti gli scenari in cui Ginny era sua moglie, la madre dei suoi figli, scenari in cui si era visto accoccolato a lei dopo una giornata pesante, si ruppero davanti ai suoi occhi. Come un castello di carte appena c’è un alito di vento leggerissimo.
«Vai via, Ginny. Non voglio più vederti» disse lapidario.
Ginny non rispose, uscì di casa sbattendo la porta mentre Harry rimaneva da solo. Il rumore della pioggia battente era la sua unica compagnia. 
 
«Sono stata davvero perfida quella volta» rifletté Ginny mentre guardava le iridi verdi del marito. Erano ancora l’unica cosa capace di calmarla dalla velocità della vita quotidiana. Erano un po’ il suo piccolo angolo di paradiso.
«Io non sono stato migliore» confessò il marito.
«Siamo stati entrambi molto cattivi. Ci siamo detti delle cose brutte solo perché eravamo entrambi arrabbiati» cercò di mediare Ginny.
«Però ti amavo già» specificò Harry e Ginny sorrise.
«Ti amavo anche io. Avevamo bisogno del nostro tempo, dei nostri spazi, di stare lontano l’uno dall’altra per capire cosa significasse davvero stare insieme» spiegò Ginny.
La verità era che ancora adesso si rammaricava di aver perso quei mesi preziosi per stare insieme ad Harry, quei mesi che sarebbero potuti essere l’inizio del loro amore che poi avevano rimandato per circa un anno, ma che erano diventati i mesi in cui Harry e Ginny si erano quasi odiati. E se ne rammaricavano ogni giorno, anche se poi si erano impegnati per tutto il resto della loro vita a rimediare a quei giorni in cui erano distanti.
«Ho impresso nella mente quel ricordo sotto la neve…» disse pensieroso Harry.
«Quando ci siamo riavvicinati?» chiese conferma Ginny. Era chiaro si riferisse a quello ma ultimamente aveva poca fiducia nelle sue capacità cognitive.
«Sì» confermò.
Improvvisamente non c’era più la loro casa di Godric’s Hollow, erano in una fredda sera invernale davanti ad una lapide ed Harry, finalmente, crollava tra le sue braccia.
   
 
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