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Autore: AleeraRedwoods    30/11/2020    2 recensioni
Dal testo:
“Tu sei nata per una ragione e il tuo cammino non può cambiare.
Ma un destino scritto è anche una maledizione.
Il tuo compito è salvare la Terra di Mezzo,
riunirai i Popoli Liberi e scenderai in battaglia.
Una prova ti attende e dovrai affrontarla per vincere il Male.
Perché la Stella dei Valar si è svegliata.
La Stella dei Valar porterà la pace.
A caro prezzo.”
(Revisionata e corretta)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Aragorn, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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-L'entanotizia-


    Gli alleati discutevano ormai da diverse ore, mediati da Re Elessar, visibilmente stanco.
    La supposizione di Thranduil, per quanto terribile, era stata accolta da tutti come una scomoda verità, che giungeva a loro in tempi di crisi. Proprio per questo era credibile, persino accettabile: nessuno, infatti, si sarebbe aspettato un risvolto allegro, né di semplice esecuzione.
    E mentre i suoi compagni tentavano di sedare la foga dei soldati, Sillen non aveva potuto far altro che rimanere a guardare, divorata dal sentimento d’impotenza che la imprigionava in quella scomoda situazione.
    Litigare su chi si sarebbe dovuto sacrificare era assurdo e non avrebbe portato a nulla.
    Thranduil, dopo aver detto la propria, aveva ignorato il fastidioso teatrino e si era comodamente sistemato nella zona rialzata, sul Trono più basso: era abbastanza arrogante da prendere il posto che un tempo apparteneva ai Sovrintendenti, ma di certo non era tanto irrispettoso da occupare il Trono del Re degli Uomini. 
    Per ora, pensò Sillen, fissandolo di sbieco attraverso la sala gremita di uomini urlanti.
    Più rifletteva su come trovare una via d’uscita da quel disastro, più si convinceva che sarebbero andati incontro alla sconfitta: forse, seguendo il piano di Thranduil sarebbero riusciti a sottrarre e distruggere tutti i frammenti del Palantir, uno alla volta.
    Ma quante vite avrebbero dovuto sacrificato nel frattempo?
    Quanta distruzione avrebbe portato lo stregone Blu?
    Non potevano vincere con archi e spade, avevano bisogno di un piano, di una soluzione efficace. Ovunque si trovasse in quel momento, Pallando sapeva di essere in vantaggio e loro non potevano permettersi di perdere tempo.
    In quel momento, un clangore metallico risuonò nella sala, attirando l’attenzione di tutti. Si formò un ampio spazio vuoto nella stanza, attorno ad alcune figure. Sillen sgomitò per controllare cosa fosse successo e, quando raggiunse le prime file, sentì la gola serrarsi per la tensione.
    Elessar aveva sguainato Andùril e stava trattenendo un più che furioso Thorin, deciso a fare a pezzi qualcuno.
    -Calmati amico mio! Non è in questo modo che migliorerai la situazione!- Ordinò Elessar, le braccia che tremavano nello sforzo di respingere la lama della pesantissima ascia del Re nanico.
    Questo teneva lo sguardo fisso oltre le spalle del Re, i muscoli tesi e gli occhi arrossati dall’ira: -No, certo! Ma che io sia dannato se non sarà il modo di far rimpiangere a quell’elfo d’aver osato tanto!- Urlò, rivolto nientemeno che a Elladan, il Principe di Imladris. L’elfo dalla chioma nera rimase composto e silenzioso, lo sguardo rivolto altrove, mentre il fratello tentava di prendere le sue difese: -Nobile Re dei Nani, cerca di capire le parole del mio congiunto. Noi siamo-
    -Non m’importa un accidenti di cosa siete! Che ripeta quelle stesse parole alla Stella dei Valar, se ha il coraggio!- Lo interruppe Thorin, facendo finalmente scivolare la propria ascia verso il basso. Essa strisciò sul pavimento di marmo, producendo minacciose scintille e Re Elessar fece un passo indietro, respirando a fondo per il sollievo e la fatica.
    Sillen guardò prima loro, poi i due elfi, che si erano avvicinati con fare dispiaciuto. Nel silenzio, la voce di Elladan risuonò fin troppo chiara: -Ho osato supporre che la Stella Sillen non sia stata affatto mandata dagli onorevoli Valar.- ammise.
    -Avendo ella perso il suo potere con tanta facilità.- Concluse Elrohir, per lui.
    Thorin sputò ai loro piedi, allontanandosi con passi pesanti, l’ascia malamente posata sulla spalla: -Non starò qui ad ascoltare i discorsi di questi maledetti folletti.- Ringhiò, superando la stella.
    Sillen lo lasciò passare con un cenno di gratitudine ma sostenne gli sguardi grigi dei due elfi, assorbendo l’ennesima riprova del suo fallimento.
    Non alzò la voce, non sollevò il mento, quando rispose: -I Principi di Gran Burrone sono saggi. In effetti, anche a me piacerebbe credere in questo, piuttosto che ammettere di aver fallito nella mia missione e aver deluso i Valar.-
    Attorno a lei, alcune voci sussurravano assensi: la stella non si era rivelata all’altezza ma forse era colpa di un errore di valutazione da parte dei Valar stessi.
    Povera giovane, povera ragazzina, non era tutta colpa sua.
    Quelle voci le fecero più male degli insulti.
    Solo in quel momento, Elessar prese nuovamente la parola.
    Camminava lentamente nello spazio vuoto in mezzo alla sala, la testa bassa: -Con tanta facilità…- Sussurrò, rigirandosi la spada tra le mani. L’attimo dopo, Andùril venne conficcata con violenza nel pavimento di marmo, producendo uno schianto spaventoso.
    Le prime file saltarono all’indietro, incredule, mentre il Re degli Uomini ansimava per lo scatto. Si risollevò lentamente, puntando gli occhi carichi di disprezzo verso ognuno dei presenti: -Con tanta facilità dite. Sillen ha perso i suoi poteri combattendo come tutti voi! E che motivo aveva per farlo!? Era forse costretta?- Tirò via la spada dal pavimento e la sollevò, puntandola verso i due elfi gemelli: -Volete sapere la verità, razza d’ingrati? Sillen ha perso i poteri per colpa mia. Ha rinunciato a essi per salvare me. Che cosa avete da dire adesso!?- Li riprese, severo.
    Sillen sollevò una mano: -Lascia stare, Elessar. Niente di tutto questo ha importanza.- Elessar abbassò la spada con sguardo minaccioso ma le si avvicinò, allontanandosi dagli elfi: -Già, ma ciò non toglie che io stia dicendo la verità. E sono terribilmente dispiaciuto per quello che ti ho fatto, Sillen. Ti chiedo perdono… Avrei dovuto farlo prima.- E dette quelle parole, si lasciò cadere in ginocchio dinanzi a lei, chinando la testa.
    Lo sgomento pervase gli astanti, che fissarono il loro stesso Re compiere quell’umile gesto da semplice suddito.
    Sillen, a disagio, prese velocemente Elessar per un braccio, cercando di farlo alzare: -Ti prego, tirati su! Elessar?- Ma l’altro non le diede ascolto, assolutamente serio: -Stavo morendo, Sillen. Senza il tuo sacrificio, io non sarei qui. Non nascondo di esserne felice e anche per questo devo chiedere il tuo perdono.-
    La stella sbuffò, lasciandolo con stizza. -Ma sentilo… Bene, se le cose stanno così…- S’inginocchiò a sua volta, lo sguardo altrettanto serio: -Chiedo perdono anch’io, Re degli Uomini. Forse, per salvare te, ho condannato tutti noi. Ti fa sentire meglio?- Elessar si alzò in fretta per tirarla nuovamente in piedi.
Le sue labbra si erano lievemente piegate verso il basso, segno che le parole della stella avevano centrato il segno.
    Lei sospirò profondamente e spazzò i pantaloni, per nulla pentita di avergli ricordato quell’angosciante verità: -Vedi? Non è meglio parlare così?-
    Il Re annuì, incontrando il suo sguardo: -Certo che sei proprio crudele.- Le fece, tranquillizzandosi.
    Sillen gli strinse la spalla, accennando un sorriso: -Temo dovremmo abituarci. Il futuro non è dei più rosei.-
    Legolas sospirò dal sollievo, notando quanto i gesti dei due compagni avessero calmato il fermento degli alleati. Sfruttando il momento, sollevò le braccia, alzando la voce: -Tornate ai vostri accampamenti, tutti voi! Domani decideremo il da farsi.- E finalmente tutti si lasciarono convincere ad abbandonare la Sala del Trono, ancora frastornati e deplorevolmente ubriachi.
    Thranduil, che aveva ascoltato ogni singola parola dalla sua posizione rialzata, si alzò a sua volta, attardandosi solo qualche attimo: -Ammiro la tua sincerità, Re degli Uomini.- Si rivolse ad Elessar, freddamente: -Confido però che tu abbia il buon senso di lasciare la Stella fuori dalla questione, d’ora in avanti.-
    Sillen strinse i pugni, trovando insopportabile l’essere ignorata in quel modo da lui. Sapeva che non avrebbe dovuto togliere la parola al Re degli Uomini ma la voce le uscì prima che potesse realizzare ciò che stava dicendo: -Ho il diritto di partecipare, anche se i miei poteri sono andati perduti. E quello che faccio o non faccio non ti compete.-
    L’elfo tornò a dirigersi verso l’uscita, superandoli. Parlò da sopra la spalla, con noncuranza: -Non voglio un peso in battaglia. Per il resto, fa’ come vuoi. Ma non intralciarmi.-
    Galion lo seguì diligentemente, lanciando occhiate soddisfatte alla stella: -I frammenti del Palantir li terremo noi, ovviamente.- Aggiunse, prima di sparire a sua volta oltre il portone.
    Elessar e Sillen li guardarono allontanarsi, più scoraggiati che mai. Legolas li affiancò con sguardo affranto e Gimli, poco dietro di loro, si appoggiò alla sua ascia, sbuffando: -Risolveremo tutto anche questa volta, vedrete. Siamo abituati ad avere bassissime probabilità di successo, non è così?- Tentò di rassicurarli, ma il tono carico di apprensione che tinse la sua voce non riuscì a consolare proprio nessuno.
 

 
**

    Glorfindel superò il marasma di corpi elfici assembrati nelle Sale della Cittadella, tentando di raggiungere il cuore di esse.
    Thranduil aveva lasciato che i soldati del suo esercito si appropriassero delle stanze e degli ampi corridoi dei primi livelli, rendendoli un labirintico e rumoroso accampamento, impossibile da evitare.
    Glorfindel però sorrideva, divertito dalla reazione che il suo solo passaggio provocava in quegli elfi silvani che lui considerava tanto rozzi.
    Occhi intrisi di sospetto lo osservavano avventurarsi in quel territorio a lui ostile: ai Nandor non piacevano i Vanyar[1] e viceversa, era cosa ormai risaputa, e nessuna delle due parti avrebbe di certo fatto alcunché per celarlo. Infatti, come per sottolineare la sua appartenenza alla stirpe Vanyar, la luce delle torce si rifletté senza filtri sui capelli d’oro dell’elfo di Imladris, senza che lui facesse niente per impedirlo.
    Subì con soddisfazione le occhiate taglienti dei soldati di Bosco Atro e ignorò i loro commenti, resi ancora più fastidiosi dal duro accento Nandorin[2]. Con estrema calma, raggiunse l’ala est, dove Thranduil aveva fatto allestire le proprie stanze. Due elfi silvani gli sbarrarono la strada con le lunghe lance, lo sguardo duro:
-Mankoi naa lle sinome, Glorfindel Cala’quessir? (Perché sei venuto qui, Glorfindel l’Alto Elfo?)-
    Quello sorrise, irriverente: -Sono qui per vedere Thranduil. Mi aspetta.- I due si scambiarono un’occhiata perplessa, per nulla convinti che quella fosse la verità.
    Glorfindel incrociò le braccia e dentro di sé si domandò come mai dovesse giustificarsi con tutte le guardie che incontrava:
-Avete intenzione di farmi aspettare molto? Sapete chi sono, giusto? Non vedo perché dovrei accettare un comportamento tanto irrispettoso.- Alzò la voce, falsamente alterato.
    Adorava giocare sulla sua importanza con loro, gli ultimi a ricordare davvero chi fosse stato in passato. Infatti, i due sbiancarono all’istante.
    -Smettila di mettere a disagio le mie guardie, Glorfindel.- Lo apostrofò Thranduil, scostando la tenda che divideva l’ala Est dal resto dell’accampamento.
    Gli occhi dorati di Glorfindel cozzarono con violenza contro quelli di ghiaccio del Re degli Elfi e i due soldati si scostarono velocemente, sentendo un’improvvisa tensione caricare l’aria del corridoio. Di fronte a quei due potenti signori degli elfi, era meglio indietreggiare.
    Glorfindel, dopo qualche secondo, si aprì nuovamente in un sorriso, evidentemente falso: -Già, perdonami. Sai quanto mi diverte questo gioco.- Thranduil si spostò quanto bastava per lasciarlo entrare e non si stupì affatto quando sentì la spalla dell’altro scontrare con poca delicatezza la sua. I loro sguardi si fecero più duri mentre il Re lasciava ricadere la tenda al suo posto, isolandoli dal resto del mondo.
    Glorfindel seguì i movimenti dell’altro, mentre questo andava a sedersi sulla sua poltroncina dall’alto schienale, trascinando il lungo mantello cremisi. -So perché sei qui e la mia risposta è no.- Lo anticipò Thranduil, leggendo il suo sguardo.
    -Infatti non l’ho chiesto. Lo pretendo.- Sottolineò lui, le labbra irrigidite: -Nonostante abbia perso i suoi poteri, lei rimane la nostra guida. Togliti dalla testa di poterla scavalcare.-
    Thranduil parve profondamente annoiato da quel discorso:
-Anche se non mi approfittassi della situazione, sai bene che l’esercito tenderà a guardare al più forte. Che cosa pensi possa fare adesso, quell’inutile ragazzina?-
    Glorfindel strinse il pugno e Thranduil avvertì la sua potente energia riempire la stanza, tanto da farlo rabbrividire: -Ti consiglio di moderare i termini. Quella ragazzina è sotto la mia protezione.- Lo avvertì. L’altro ghignò, arrogantemente: -Sì, ho visto come le giri attorno. Se non conoscessi le tue tendenze direi che lei ti piace.- Glorfindel alzò il mento, sorridendo a sua volta:
-Vuol dire che non le conosci abbastanza. Lei mi piace davvero e molto. Quasi più di tuo figlio.- Lo provocò.
    Thranduil strinse gli occhi a due fessure ma non reagì, conscio che avrebbe solo fatto il suo gioco: -Così, quella manipolatrice ha soggiogato anche te. Increscioso che un Alto Elfo tanto rispettabile e antico si lasci tentare così facilmente da una debole donna.- Glorfindel meditò su quelle parole, dapprima contrariato, poi incuriosito.
    Ecco cos’era accaduto, dunque: Thranduil credeva davvero che Sillen, la creatura più innocente che avesse mai incontrato, avesse provato a manipolarlo.
    Sorrise, scrollando la testa: -Egocentrico bastardo.-
    -Che cosa hai detto?- Ringhiò il Re, stringendo i braccioli della poltroncina per trattenersi dallo sguainare la spada.
-Sei incredibile!- Infierì Glorfindel: -Come diamine puoi pensare una cosa simile?-
    -Di cosa stai parlando, adesso?-
    -Non gira tutto attorno a te, giovane Signore degli Elfi. Sillen ha un ruolo nel destino di questa Terra ed è inevitabile che lei lo segua. Invece che aprire gli occhi e metterti per una buona volta al servizio di una giusta causa, hai preferito credere che lei ti stesse usando.- Thranduil schiuse le labbra per ribattere ma Glorfindel non aveva ancora finito di sputargli in faccia la verità:
-Figurarsi, quando mai ti sei degnato di pensare a qualcun altro, oltre a te stesso! Non ti sei mai chiesto se anche lei stesse soffrendo? Le hai mai chiesto cosa provasse?-
    -Non m’interessa, non è rilevante! Se ti è così cara perché non lo fai tu?- Abbaiò l’altro. E raramente Thranduil alzava la voce in quel modo. -Proprio non puoi fare a meno di parlare di lei? Sei così ossessionato?- Lo prese in giro, stizzito, abbandonandosi contro lo schienale.
    Rimasero a fissarsi in cagnesco per un po’, cercando di mitigare quella tensione distruttiva. Poi, senza preavviso, Glorfindel si avvicinò, guardando Thranduil dal basso verso l’alto. Quando parlò, la sua voce si era fatta più sottile: -Senti da che pulpito vien la predica.- Appoggiò le mani su entrambi i braccioli della sedia e il Re degli Elfi si ritrovò imprigionato tra lui e lo schienale. -Non sono io quello che sgattaiola nella Cittadella di nascosto, di notte, per andare da lei.- Vide chiaramente un guizzo di irritazione attraversare le iridi fredde di Thranduil e ne fu profondamente soddisfatto. Si avvicinò al suo viso, tanto che i capelli d’argento sul petto del Re finirono con il mescolarsi all’oro dei suoi. Con un gesto delicato, Glorfindel scostò la veste rossa dell’altro, solo per tirarne fuori un sacchetto di velluto scuro. Se lo portò al naso, inspirandone il profumo, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di ghiaccio del Re: -Thynd en Anor[3]…-
    -Non so di cosa tu stia parlando.-
    Glorfindel si scostò, allargando le braccia con una risata tintinnante: -Suvvia, amico mio, perché nasconderlo? Grazie alle tue cure si è ripresa prima di quanto sperassimo. Non vuoi la nostra riconoscenza?-
    Thranduil, finalmente libero, si alzò, le mani incrociate metodicamente dietro la schiena. Cercò di frenare le proprie emozioni, fissando il vuoto: si rivedeva in quella stanza, inginocchiato sul pavimento come il più umile dei servi, ad asciugare tutta l’acqua medica che aveva rovesciato con i suoi movimenti bruschi e si sentì ridicolo.
    Guardò quell’impudente elfo dorato, le spalle tese. Chiunque altro avesse osato comportarsi in quel modo con il Re degli Elfi di Bosco Atro, si sarebbe ritrovato sventrato nel giro di qualche secondo. Ma non Glorfindel.
    Thranduil, nonostante lo trovasse una compagnia spiacevole, lo rispettava e lo temeva, come ogni saggio elfo avrebbe dovuto fare. E, dopotutto, c’era stato un tempo in cui l’aveva considerato un fratello.
Ma erano passati molti anni, da allora.
    -Non parlerò di questo con te.- Chiarì, rivolto al suo irritante ospite. L’altro annuì: -Vi somigliate in questo, sai? Cocciuti e orgogliosi. E siete vittime di un malinteso, a mio avviso.- Thranduil lo fulminò con lo sguardo: -Non osare parlare di cose che non sai, Glorfindel.- L’altro rise: -Non lo farò. Ma bada, ti avverto: troverà un modo per affrontare questa guerra. È caparbia, lo sai meglio di me. Si farebbe uccidere piuttosto che rimanerne fuori. Adempierà al suo destino, che ti piaccia o no.- Thranduil chiuse gli occhi, massaggiandosi la fronte con due dita: -Lo so.-
    Glorfindel osservò con attenzione i suoi tratti affilati, con un affetto che non ricordava di provare. Era l’unico a conoscerlo tanto profondamente da capire che ogni sua azione, ogni suo gesto estremamente infantile e scorretto era guidato dal bisogno di esercitare il controllo su ciò che più gli faceva paura.
    E Sillen lo terrorizzava, era evidente, proprio perché non riusciva ad accettare i suoi stessi sentimenti verso di lei.
Inoltre, la stava proteggendo, nonostante tutto. Era dai tempi del suo soggiorno al Reame Boscoso che Thranduil tentava di tenerla con sé, invano.
    Doveva essere difficile per lui, pensò Glorfindel. Gli fece tenerezza ma lo tenne per sé: il Re degli Elfi l’avrebbe infilzato se l’avesse saputo.
    Lo raggiunse alla finestra, la voce seria nonostante il sorriso gli increspasse ancora le labbra: -Se lo sai, farai meglio ad aiutarla. Un destino come il suo, come il mio, è impossibile da evitare, non importa quanto ci provi.-
    Thranduil sapeva che l’elfo dorato aveva ragione: però non voleva vederla morta. Gli aveva fatto male, quella notte, trattarla con tanta freddezza ma era l’unico modo che aveva per allontanarla. Ora era debole, indifesa e inutile. Non doveva combattere. Non avrebbe dovuto farlo dall’inizio.
    La tenda venne scostata improvvisamente e un elfo della guardia fece capolino nella sala, allertando i due: -Aran Thranduil! Qualcuno si avvicina alla città!-

 
**

    La vista, dall’alto del Cortile della Cittadella, era tristemente desolata: i Campi del Pelennor erano una landa di cenere scura e macerie e il fumo ancora si innalzava dalle grosse pile dov’erano stati arsi gli ultimi cadaveri ritrovati.
    Landroval, ritto al fianco di Sillen, acuì lo sguardo rivolto all’orizzonte, verso Nord: -Sono lenti, molto lenti. Di questo passo impiegheranno ore ad arrivare qui.- Le fece notare, dubbioso.
    La stella era confusa: -Sei certo che si tratti di Ent?- L’altro annuì con la sua testa rapace: -Senza dubbio. Anche se sono così lenti che per un po’ ho creduto si trattasse di un boschetto scampato alle fiamme.-
    Legolas ed Elessar si lanciarono uno sguardo perplesso, a quelle parole. -Da tempi immemori i Pastori di Alberi non si avventurano più a Sud della Foresta di Fangorn. Questo è di certo un evento di grande importanza.- Commentò l’elfo biondo. Sillen sentì lo stomaco contorcersi: -Appartengono ai sei Popoli Liberi. Forse sono venuti a prestarci il loro aiuto.- Sistemò la camicia e scostò i capelli dietro al collo, risoluta: -Ad ogni modo, è mio compito accoglierli.- Strinse istintivamente la collana dalla pietra viola, anche se ormai priva di luce: -Landroval, rimani di vedetta.-
    Il Re delle Aquile le rivolse uno sguardo carico di pietà: -Sì, Stella dei Valar.- Non volle rinunciare a quell’appellativo, nonostante sapesse perfettamente che lei non possedeva più alcun potere. Sillen gli sorrise, urtata dal suo sguardo ma comunque grata per le sue parole e l’osservò allontanarsi in volo, con un sospiro.
    Nonostante gli avvenimenti degli ultimi giorni, i suoi compagni non l’avevano abbandonata. Si sentì un’ingrata per aver dubitato della forza del loro legame.
    -Io vado.- Annunciò, dirigendosi velocemente alle mura.
    Superò i soldati della Cittadella, intenti a ripulire la zona presso le porte della Città dei Re dalle macerie e si sentì piccolissima. Il crollo della Torre aveva causato danni ingenti e non sarebbe stato facile rimediare, senza materia prima. Purtroppo, non potevano permettersi di impiegare uomini in quel frangente, con il pericolo imminente di una nuova battaglia.
    Minas Tirith sarebbe rimasta deturpata ancora per un po’.
    Intanto, le Aquile vigilavano i cieli e i nani di Thorin perlustravano il sottosuolo ai confini costantemente, per evitare nuove brutte sorprese.
    La stella raggiunse l’esterno e, con suo immenso disappunto, notò subito il possente cervo di Thranduil, poco più avanti.
   Il Re degli Elfi, dall’alto della sua cavalcatura, abbassò lo sguardo su di lei, altezzoso: -Sillen.- La seguì con lo sguardo mentre lei lo superava spedita, diretta verso i soldati di guardia per procurarsi un cavallo. -Perché ti ostini tanto?- L’apostrofò lui, non apprezzando la sua silenziosa arroganza. Lei nemmeno ricambiò lo sguardo, decisa a mettere più distanza possibile tra lei e l’elfo: se dovevano convivere, sarebbe stato meno doloroso.
    Che il Re elfico si prendesse pure il potere, lei avrebbe preservato la sua sanità mentale: -Pensavi di andare senza di me? Come ho già detto, non mi tirerò indietro, Re degli Elfi.- Afferrò le redini del cavallo baio che avevano preparato per lei e salì in sella, tenendo una mano premuta sul costato dolorante e sibilando per lo sforzo.
    Thranduil, seppur contrariato dalle sue parole, non poté fare a meno di accorgersene: -Se stai tanto male, perché non scendi e non torni saggiamente nel tuo letto?- Anche se il suo intento era di apparire velenoso e distaccato, il suo tono tradiva una sottile apprensione. Lei gli scoccò un’occhiata risentita: -Avrò anche perso i miei poteri ma non ho di certo dimenticato i miei doveri. E poi sono ancora in grado di presentarmi ai nuovi arrivati, non ho perso la capacità di parlare.- Commentò seccamente. L’altro, nonostante la sua insolenza, sorrise appena, senza che lei potesse vederlo: -No, certo. Questo è evidente.- E spronò il grande cervo verso Nord, superandola.
    Sillen storse la bocca con sdegno: quell’elfo arrogante le avrebbe reso la vita davvero difficile, persino nella sua quotidianità. Lo seguì controvoglia, eppure leggera come l’aria che le sferzava i capelli.
    E odiò quella sensazione per tutto il tempo.
    Tuttavia non le fu difficile dimenticarsene in fretta: ogni falcata del veloce stallone le mozzava il respiro. Doveva fare attenzione poiché, senza il suo potere, non poteva più contare sulla grande capacità rigenerativa che l’aveva sempre caratterizzata.
    Essere un’umana, pensò, sarebbe stato davvero difficile.
    E pensare che si era appena abituata ad essere una stella.
 
    Il gruppo di Ent era scarno e contava poco più di una mezza dozzina di individui, ma le loro fronde erano abbastanza ampie da farli sembrare un vero e proprio boschetto in movimento.
    Movimento, si faceva per dire. I loro lunghi passi erano talmente lenti che persino i piccoli volatili di Gondor erano in grado di posarsi sulle fronde e nidificare con calma, senza subire il minimo scossone. Erano appena giunti nei pressi dei crinali dei Campi del Pelennor e chissà da quanto tempo erano in marcia.
    Sillen tirò le redini seccamente, arrestandosi di fronte a loro:
-Pastori di Alberi! Cosa vi porta a Minas Tirith?-
    Questi, con le bizzarre facce dall’espressione quieta e gentile scolpite nel legno, non si sforzarono nemmeno di rivolgerle uno sguardo, continuando la loro lenta avanzata.
    Uno di essi, alto più di quattro metri ma visibilmente più basso dei compagni, parlò quasi a rallentatore, con voce baritonale e ruvida: -Buràrum giovane umana… permettici di passare… Stiamo… mhh cercando una stella caduta. Forse… mhh l’hai vista… Molto luminosa… Con un… mhh grande potere…-
    Sillen lo affiancò, stringendo le labbra: -La Stella che state cercando sono io, Pastore. Il mio nome è Sillen.-
    Quello girò gli occhi bruni verso di lei, con grande calma: -Ohh, no… Non sei tu…- Biascicò, privo d’intonazione, facendo ondeggiare la lunga barba muschiosa.
    Thranduil, rimasto poco distante, sollevò gli occhi al cielo: ne aveva già abbastanza. Fosse stato per lui, avrebbe dato loro fuoco uno ad uno, per dimostrargli che, se non volevano parlare velocemente, potevano per lo meno bruciare velocemente.
    Tuttavia non si sarebbe mai stancato di osservare quella ragazzina, anche mentre tentava di approcciarsi a quei grossi alberi ambulanti, così risoluta da prendere ogni piccola cosa con estrema serietà.
    La guardò mentre si mordicchiava le labbra piene, in evidente difficoltà e dentro di sé si sentì nuovamente ridicolo.
    Non poteva davvero fargli un tale effetto.
    Persino adesso, priva di ogni magia, si teneva dritta sulla sella per non mostrare il proprio dolore. Aveva tutto il diritto di ritirarsi, nessuno le avrebbe chiesto altro. Eppure era lì, e lui non riusciva a capacitarsi di quanta forza di volontà lei possedesse in quel piccolo corpo. Decise comunque di non intervenire, lasciando che fosse lei a parlare con gli snervanti Pastori di Alberi.
    Sillen avvicinò il suo cavallo baio all’Ent più basso: -Lo giuro sul mio onore, sono la Stella giunta qui per mano dei Valar. Guarda con i tuoi occhi, Pastore.- Si sollevò sulle staffe e allungò all’Ent la collana in mithril, la cui pietra viola catturava i bagliori del sole come un piccolo cristallo. L’altro rallentò l’andatura, osservando il ciondolo con gli occhi leggermente sgranati: -Mhh… Questo è… un problema…- Sollevò piano un braccio nodoso e gli Ent al suo fianco si fermarono in una sinfonia di scricchiolii legnosi, provocando il pigolare contrariato di qualche pulcino annidato chi sa dove. -La pietra è… mhh solo una pietra… ora… Che cosa è accaduto… mhh in questo luogo..?-
    Sillen smontò velocemente e Thranduil fece altrettanto, raggiungendola. Lasciarono che gli Ent li circondassero con le loro gambe ritorte, simili a tronchi. Le fronde fresche sulle loro teste arboree fecero ombra sui due compagni, che si avvicinarono istintivamente l’uno all’altra. -Mi dispiace, ho perduto il mio potere in battaglia. È una lunga storia. Ma ditemi, vi prego: siete qui per combattere?- Domandò Sillen, senza celare il suo tono speranzoso.
    Gli Ent si scambiarono sguardi eloquenti e molti sussurri si levarono dalle loro fronde ombrose. Uno di loro, dal lunghissimo naso ricoperto di germogli, dondolò sul posto, comunicando con il Pastore più basso per diversi minuti.
    Sillen aspettò pazientemente, ricordando le storie che Thranduil stesso le aveva raccontato riguardo a quel popolo così bizzarro. La loro famosa Entaconsulta poteva durare addirittura settimane.
    In seguito, l’Ent più basso tornò a guardarla: -Ruvidosso dice… mhh… che la giovane Stella… mhh parla frettolosamente…-
    Sillen sollevò un sopracciglio, confusa: -Dunque?-
    -Dunque… devo ripetere…. mhh tutto più… lentamente, giovane Stella…-
    L’elfo scostò il mantello rosso con un gesto impaziente: -Non abbiamo tutto questo tempo, Enyd[4]. Riassumerai ai tuoi compagni ciò che diremo più tardi.- L’Ent rivolse lo sguardo color del miele scuro su di lui ma, incredibilmente, fu interrotto da un altro Ent, più rapido nel parlare, seppur sempre risonante:
-Barbalbero voleva dire… che vogliamo combattere.- Concluse, con voce giovanile. L’altro lo guardò, annuendo piano: -Oh sì… mhh Sveltolampo… bravo…-
    Sillen sorrise, entusiasta: -Bene! Dovremo mettervi al corrente di tutto ciò che è successo. Confido sappiate già che Pallando è il nemico. Elessar sarà felice di vedervi! Vi siamo infinitamente grati. Dunque, la storia del Palantir è più complicata ma- Thranduil si schiarì la voce, zittendola e facendo cenno verso i Pastori di Alberi, rimasti muti a fissarla con sguardo assente: -Non credo abbiano compreso una singola parola. Salvo forse Sveltolampo, s’intende. Risparmia il fiato e lascia che se ne occupino i soldati, quando giungeranno alla città.- Commentò:
-Forse dopodomani.- Sillen lo ignorò ma, suo malgrado, dovette trattenersi dal ridere, dandogli le spalle.
    Fu allora che Sveltolampo riprese la parola: -Stella, c’è una cosa… una cosa che… devi sapere… Principalmente è… per questo che siamo qui… in verità.- E allungo una mano nodosa verso di lei. Sul palmo di legno v’era posato un vecchio foglio di carta spessa, inumidito e macchiato dalla muffa.
    Pareva essere lì da moltissimo tempo.
    Sillen sgranò gli occhi: -Che cos’è?- L’Ent scosse la testa: -Non lo so… Ma è importante.-
    Barbalbero parve risvegliarsi, alla vista del vecchio foglio:
-Buràrum… Quello fu… lasciato qui dal… giovane Mastro Gandalf… mhh molti anni fa…- Thranduil strinse gli occhi, osservando il cimelio: -Mithrandir ha lasciato un messaggio? E perché lo avete portato a noi?-
    L’altro inspirò profondamente e il suo tronco ruvido parve espandersi. Sembrò prepararsi a una lunga spiegazione e Sillen, per quanto fremesse di aspettativa, si arrese alla sua lentezza esasperante.
    -Mhh… anni fa… divenendo Bianco… ricordo che Gandalf… disse una cosa… Mhh dunque disse… che esisteva qualcosa di… mhh terribile… nascosto da qualche parte, qui… sulla Terra di Mezzo… Qualcosa che… mhh poteva portare grande male… Buràrum, non so cosa sia… ma disse che… noi Ent avremmo dovuto custodire il suo… mhh terribile segreto.-
    Thranduil incrociò le mani dietro la schiena, avvicinandosi al palmo di Sveltolampo per analizzare quel pezzo di carta, senza però toccarlo: -Bene, questo non è d’aiuto dunque. E poi, se è un segreto tanto pericoloso, perché rivelarcelo?- Sillen lo zittì con uno sbuffo esasperato: -Lascialo finire. Sennò verrà buio prima di aver cavato un ragno dal buco.-
    Barbalbero spostò lo sguardo prima su uno poi sull’altra, annuendo piano: -Perché rivelarvelo…? Mhhh non saprei... Lo Stregone Bianco disse… che il messaggio sarebbe… mhh giunto a chi portava… il più grande potere… nel momento del più grande… mhh bisogno.-
    Seguire il discorso del Pastore era difficile ma Sillen afferrò in fretta il concetto: -Se Gandalf ha agito in questo modo, significa che questa cosa, per quanto terribile, può aiutarmi.- Barbalbero la guardò negli occhi, risoluto: -Bùrarum, giovane stella! Noi… abbiamo udito… il terrore della battaglia… Il calore delle… fiamme. Il… mhh puzzo dei morti… Questo è di sicuro… il più terribile dei momenti, da tre decenni a questa parte.-
    Lei annuì con convinzione ma Thranduil troncò il suo entusiasmo sul nascere: -Sì, ma tu non sei più l’essere più potente. Quel potere lo hai barattato per la vita del tuo caro Re degli Uomini, lo hai dimenticato?- Sillen sollevò il mento, stringendo le labbra: -Lo so bene, credimi. Infatti, non ho intenzione di leggere il messaggio da me. Lo consegnerò a Glorfindel.- L’elfo sollevò un sopracciglio, sorpreso: -Glorfindel di Imladris?-
    -Glorfindel di Gondolin.- Sibilò lei, trafiggendolo con un’occhiata fredda come il ghiaccio. Thranduil percepì chiaramente un’emozione fin troppo simile alla gelosia attanagliargli le viscere ma la respinse con rabbia, scrollando la testa. -Credi che sia lui il portatore del più grande potere della Terra di Mezzo?- Lei si avvicinò a Sveltolampo, riflettendoci su:
-Non lo so. Forse no. Ma è il più potente dalla nostra parte, per il momento. Quindi poche storie, andiamo.- E prese il biglietto tra le dita sottili.
    Sveltolampo parve quasi sorriderle: -Lo affidiamo… a te, Stella. Mastro Gandalf avrebbe voluto così… Buona… fortuna…- Sillen gli strinse il grande dito, simile a un ramo: -Vi ringrazio, Pastori. Siete i benvenuti. Perdonateci per il paesaggio desolato.-
    Barbalbero contemplò i terreni bruciati, con un grande sospiro: -Ci… mhh occuperemo di questo… Nel frattempo…- E ricominciò a guidare i compagni verso la città.
    Thranduil seguì la stella, che si stava dirigendo a passo spedito nella direzione opposta, verso le loro cavalcature. Osservò i suoi lunghi capelli neri come la notte rimbalzarle sulla schiena, l’espressione forzatamente dura: -Sillen, ascoltami.-
    Lei non si fermò, limitandosi a prestargli ascolto: -Cosa c’è?-
    Thranduil contrasse la mascella. Non si era mai posto il problema prima, ma dopo ciò che era successo in quella lunghissima giornata, l’elfo non era più sicuro di ciò che aveva di fronte. Forse Sillen aveva avuto il tempo di crescere, lontana da lui. Non sarebbe stato affatto impossibile.
    L’immagine di Glorfindel, così sicuro di sé, gli si profilò difronte, irritandolo ulteriormente: -Lei mi piace davvero e molto- aveva detto. Che fosse così anche per lei?
    Si affrettò ad afferrarla per un braccio: -Sono serio, guardami.- La stella si divincolò, facendo un passo indietro: -Non toccarmi, Thranduil.- Lo avvertì. Quello serrò la mascella ma fece altrettanto, allontanandosi di un ulteriore passo da lei: -Se ciò che Mithrandir vuole rivelarci fosse qualcosa di pericoloso e potente, dovrai rinunciarvi. Ne sei consapevole?-
    Lei lo fissò negli occhi per qualche secondo, senza rispondere. Poi inclinò la testa, aggrottando le sopracciglia. Lui, indispettito da quello sguardo dubbioso, la interrogò: -Per grazia del cielo, posso sapere cosa stai facendo?- Sillen, per tutta risposta, sguainò la spada e gli si gettò contro.
    Thranduil, spiazzato da quel gesto, saltò all’indietro, notando con orrore una sottile ciocca dei propri capelli argentati passargli davanti agli occhi, recisa dal colpo rapido della stella. Sollevò il fodero della propria spada giusto in tempo per parare un altro attacco, dritto al fianco sinistro. Attacco che, nonostante la straordinaria rapidità, non fu particolarmente forte.
    Infatti, il Re degli Elfi riuscì facilmente a trattenere il polso della stella, tirandola verso di sé per farle perdere l’equilibrio. Lei rovinò a terra ma si aggrappò con tutte le sue forze alla veste rossa e argento dell’elfo, trascinandolo con sé.
    Rotolarono sul pendio per qualche metro, sotto lo sguardo attonito di qualche aquila di vedetta. Thranduil arrestò in fretta la rovinosa caduta, finendo per pesare addosso alla stella e immobilizzandola contro il terreno.
    Lanciò la spada di lei lontano e, come per rendere ancor più chiara la situazione, conficcò il fodero vicino al suo orecchio destro: -Cosa credevi di fare?!- Ringhiò, a pochi centimetri dal suo viso. Lei, stringendo i denti, ansimò per la fatica e per il dolore, sentendo il peso del Re comprimerle la cassa toracica:
-Volevo… dimostrarti una cosa!- Biascicò, con il fiato corto. Lui scosse la testa, confuso: -Cosa, di preciso? Che vuoi uccidermi?-
    Lei approfittò della sua distrazione per spingerlo via con un colpo di reni, ribaltando la situazione. Rotolando sopra di lui, estrasse rapidamente il sottile pugnale nascosto nello stivale e lo premette minacciosamente sul collo scoperto dell’elfo.
    Thranduil sentì i propri muscoli tendersi, pronti allo scontro ma Sillen, invece che agire, rimase immobile. Lo fissò negli occhi, riprendendo fiato. I suoi capelli corvini, liberi e scomposti, solleticarono la guancia dell’elfo ma neppure lui osò muoversi. Il Re degli Elfi rimase ad attendere una sua mossa, concentrato su ogni sensazione.
    Non riusciva a respirare altro che il suo profumo e sentiva distintamente il proprio calore cozzare contro il corpo innaturalmente freddo di lei.
    E, come temeva, non aveva alcuna intenzione di spostarsi da lì.
    Sillen, dopo infiniti secondi, tolse il pugnale dalla gola dell’elfo: -No, non voglio ucciderti. Ma avrei potuto. Non avrò più alcuna magia, dentro di me ma sono sempre Sillen, la Stella dei Valar.- Rinfoderò il pugnale nello stivale, seria: -E per quello che vale, sono perfettamente capace di badare a me stessa. Quindi smettila di trattarmi come una stupida.- Si alzò in fretta, lasciandolo sull’erba bruciata. -Non mi conosci, Re degli Elfi.- Aggiunse, allontanandosi.
    Thranduil non ebbe quasi le forze per muoversi e chiuse gli occhi, respirando a fondo. Sentì un freddo glaciale invadergli il petto, nonostante il sole riscaldasse la terra con i suoi raggi estivi.
    Non la conosceva affatto.

 
**

    Era ormai calata la sera quando Glorfindel, seduto sulla scrivania del Re di Gondor, si rigirò il foglietto ammuffito tra le mani. Sillen, impaziente, gli girava intorno, lanciandogli occhiate imploranti: -Avanti, leggilo.-
    Elessar, lisciandosi la barba curata, pareva sempre più dubbioso: -Gli Ent hanno proprio specificato che è stato Gandalf a lasciare questo messaggio?- Thranduil, in fondo alla stanza, sollevò gli occhi al cielo: -Sì, per l’ennesima volta sì. Aprite quel dannato biglietto.-
    La luce delle candele rischiarava l’ambiente attorno alla scrivania e Glorfindel pareva una fiamma dorata mandata dal cielo, mentre tutti pendevano dalle sue labbra. -Non saprei. Non può essere così semplice. Da un giorno all’altro spuntano un paio di Ent con un misterioso biglietto risolutore da parte dell’ormai lontano Mithrandir… impossibile, non ci credo.- Ripeté, scrollando la testa.
    Sillen non poteva dargli torto ma non aveva intenzione di lasciarsi abbattere. Si avvicinò alla scrivania, prendendo la mano dell’elfo dorato tra le sue: -Glorfindel, so di chiederti molto. È una grande responsabilità ma ti prego, mellon nin. Sei l’unico che ha il diritto di leggere il messaggio di Gandalf, in questa stanza.-
    Gimli annuì, concordando con lei ma vedendo il volto rosso di rabbia di Thorin III Elminpietra smise immediatamente. Quest’ultimo incrociò le braccia al possente petto, irritato:
-Vorrei proprio vedere le prove che attestano questa sua rinomata grande potenza.- Brontolò, fissando le mani della stella con crescente disappunto. L’unico a fissarle con altrettanto astio era Thranduil ma per lo meno lui non lo dava a vedere.
    Éomer, questa volta sobrio, diede una pacca amichevole sulla spalla del Re nanico, sorridendo: -Credo proprio che le sue azioni passate parlino da sole, mio signore Thorin.-
    Glorfindel li guardò divertito, poi spostò lo sguardo sulla stella: -Qualsiasi cosa sia Sillen, prenderemo una decisione insieme.- Lei annuì, trepidante d’attesa.
    Nella stanza, i generali degli Eserciti alleati trattennero il respiro. Persino all’esterno, negli accampamenti, non volava una mosca.
    Sillen si alzò sulla punta dei piedi, appoggiandosi alla spalla dell’elfo dorato per sbirciare mentre questo apriva il foglio consunto. Gli occhi chiari di Glorfindel viaggiarono sulla pagina, poi la sua espressione si fece indecifrabile. Per parecchi secondi non disse niente, né fece intuire nulla.
    Poi schiuse le labbra, aggrottando le sopracciglia: -Eh?-
    Sillen premette prepotentemente la guancia contro la sua, per cercare di leggere quel maledetto foglio. L’espressione che assunse fu la stessa dell’elfo dorato ma, questa volta, lei lesse a voce alta: -“Myrtle Bracegirdle da Mezzabottiglia: le miglior ricette della cucina Hobbit del Decumano Ovest”…?-



 
[1] ai Nandor non piacevano i Vanyar: questi sono i nomi di due razze elfiche. I Vanyar, detti anche Alti Elfi, fanno parte della stirpe degli Eldar, gli elfi che accettarono di intraprendere il viaggio verso Aman (Valinor). Vengono anche chiamati Calaquendi ("elfi luminosi") poiché riuscirono ad ammirare la luce dei Due Alberi di Valinor. I Nandor (“gente della valle”) invece, fanno parte del gruppo dei Teleri. Quelli che prendono il nome di “elfi silvani” scelsero di rimanere nelle foreste del Rhovanion (“le terre selvagge”, dove si trova anche Bosco Atro), senza oltrepassare le Montagne Nebbiose. Il fatto che i due gruppi non si sopportino è mia personale interpretazione, poiché ho sempre pensato ai Nandor come elfi più “umanizzati” e perciò più rozzi agli occhi degli Alti Elfi come Glorfindel. Allo stesso modo, ai nostri elfi silvani non fa piacere l’arroganza di questi altri XD
 
[2] Nandorinlingua parlata dai Nandor. Discende dal Sindarin e dal Quenya, costruendosi prendendo in prestito regole grammaticali e vocaboli da entrambe. Sempre per conto mio, ovviamente, ho supposto che i perfettissimi Alti Elfi, parlando l’elegante e musicale Vanyarin (o Quendya), non apprezzassero il “duro accento nordico del Nandorin”. Mi prendo un sacco di libertà, chiarisco subito! =w=
 
[3] Thynd en Anor: letteralmente “Radice del Sole” in lingua Sindarin. Pianta curativa coltivata nel sottobosco del Reame di Thranduil. Simile alla Foglia di Re (Athelas), una medicina bella tosta, insomma.
 
[4] Enyd: semplicemente, “Ent” in lingua elfica.


 



N.D.A

Ciao a tutti, bentrovati!
Eccoci: nuovo capitolo, nuovi misteri! E forse una svolta decisiva, voi che ne pensate? Che cosa vorrà dire questo bizzarro messaggio dello Stregone Bianco (quello che ci piace)? XD Fatemi sapere cosa ne pensate! Scusate se ogni tanto ci piazzo una mia invenzione o una mia interpretazione ma la mancanza di certi dettagli fa volare la fantasia e lascia spazio a mille nuove storie! Chissà, magari qualche spin off dei vari personaggi potrebbe anche uscirci!

Intanto vi mando un abbraccio e un grazie infinite a chi è arrivato sino a qui, ha seguito la storia, l’ha preferita o recensita: siete fantastici!

Alla prossima,
Aleera

P.S il titolo che avevo pensato all'inizio mi faceva troppo ridere, quindi l'ho lasciato XD Spero non sia eccessivo. Che simpatica eh? Vado a sotterrarmi, va beneee


 
   
 
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