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Autore: hirondelle_    01/12/2020    2 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
L’unico rumore a infrangere il silenzio era la pioggia sottile che si infrangeva contro la finestra della stanza di Hikaru, troppo piccola perché potesse filtrare la luce. Nella penombra, i due ragazzi stavano in silenzio l’uno di fianco all’altro, ad aspettare l’arrivo di Midorikawa. Di tanto in tanto, Kariya accendeva il cellulare solo per controllare se fossero arrivati messaggi.
L’attesa era snervante, ma l’appartamento di Hikaru era così placido e silenzioso che Kariya non riusciva davvero a sentirsi agitato. Non con Hikaru steso sul fianco, a tenergli la mano, il respiro soffice di chi sta per addormentarsi ma non vuole. A un certo punto lo sentì sbadigliare e si voltò verso di lui, ad ammirare le guance paffute e i riccioli spettinati dal sonno. “Non serve che rimani sveglio per me, sai?”
“Ho appena detto che ci sarò sempre,” borbottò Hikaru, senza però aprire gli occhi.
“… Non intendevi letteralmente, giusto?”
Il ragazzino schiuse le palpebre e gli sorrise, rivolgendogli uno sguardo mite. “Solo se lo vuoi anche tu”.
Kariya si grattò la testa, imbarazzato. Capiva l’implicazione di quella risposta. Se ci fosse stato un modo per fare ordine nella sua testa e dare a Hikaru la risposta che avrebbe meritato, lo avrebbe fatto. Invece disse: “Beh, ora vorrei che tu dormissi”.
Hikaru borbottò qualcosa e si girò sull’altro lato, dandogli le spalle. Kariya sospirò, dando un’occhiata al di là dei vetri nel tentativo di scorgere i fari dell’auto di Midorikawa.
 
Quando il campanello suonò, Kariya si risvegliò da un torpore in cui non si era reso conto di essere caduto. Scattò in piedi, gli occhi ancora impiastricciati di sonno, scoprendo di essere totalmente al buio. Hikaru stava ancora dormendo, steso al suo fianco, e Kariya cercò di sfilarsi dal futon più discretamente possibile.
La porta si aprì senza che né lui né Hikaru avessero mosso dito.
Stordito, Kariya scese gli scalini del soppalco a due a due: non ricordava assolutamente di aver lasciato la porta aperta, né pensava che Midorikawa sarebbe entrato in casa di Hikaru. Per la verità, non era nemmeno sicuro fosse lui: chiunque fosse entrato, lo aveva fatto senza annunciarsi. Per un attimo credette che fossero i genitori di Hikaru, e sarebbe stata una sorpresa, considerando che non sapeva nemmeno che faccia avessero e soprattutto che vivessero lì. Ma quando si avvicinò all’atrio, tutto ciò che vide fu la figura minuta e tremante della signora Kageyama, la mano sul pomello e il naso schiacciato nella fessura della porta.
“S-signora Kageyama!” esclamò Kariya, sorpreso, se non altro perché non l’aveva mai vista reggersi in piedi, e dentro di sé pensava che non ne fosse nemmeno capace.
Per tutto il tempo in cui era stato lì, era stato Hikaru a curarsi di lei, portandole il cibo a letto e assicurandosi che fosse al caldo, e Kariya si era sempre sentito un po’ a disagio all’idea che non fosse di molto aiuto in una situazione del genere. La nonna di Hikaru gli era sempre apparsa come un essere immobile, silenzioso e incosciente, persino incapace di rendersi conto di cosa le stava accadendo. Il fatto che avesse sentito il campanello e fosse andata ad aprire la porta costituiva un evento di una certa eccezionalità.
“S-signora Kageyama, la prego… prenderà freddo,” si affrettò a dire, incerto. Quando la donna si voltò verso di lui, vide nel suo volto lo smarrimento: evidentemente, non l’aveva nemmeno riconosciuto.
“Kariya? Sei lì?” arrivò una voce dall’altra parte della porta. Kariya riconobbe la voce del suo professore, anche se non riusciva proprio a immaginare che cosa ci facesse a casa di Hikaru.
“Sì, mi dia un minuto,” rispose. Goffamente, prese le mani della signora Kageyama: erano fredde, la pelle flaccida e rugosa in contrasto con il suo palmo. “Signora Kageyama, lasci che l’accompagni”.
Si aspettò che la donna facesse resistenza, invece si fece riaccompagnare a letto senza protestare. Per tutto il tempo, continuò a guardarlo con aria smarrita, come se stesse cercando di ricordare chi fosse. Kariya non ci aveva avuto troppo a che fare, quindi quasi gli dispiaceva di costringerla a quello sforzo inutile.
Quando l’ebbe aiutata a stendersi (era molto leggera, si sorprese a pensare, tanto che avrebbe potuto prenderla in braccio se avesse voluto), si assicurò che avesse le coperte rimboccate fin sul naso. L’anziana chiuse gli occhi e lo lasciò fare.
Dopo essersi assicurato con un’occhiata che fosse tutto a posto e che non si sarebbe alzata di nuovo, tornò verso la porta e tolse il catenaccio. “Eccomi Kira-sama, sono…”
Ma l’uomo che si ritrovò davanti non era Kira-sama.
Da sotto la pioggia, al riparo di un ombrello gigantesco, c’era Midorikawa. Indossava il suo cappotto e una sciarpa lilla, i capelli lasciati sciolti sulle spalle a incorniciargli il viso bruno. Teneva gli occhi fissi sui suoi stivali, che si agitavano nervosi sopra il tappeto dell’ingresso. Le sue labbra erano screpolate e devastate a furia di morderle.
“Papà…” si lasciò sfuggire.
Forse incoraggiato dal suo tono di voce, che gli uscì più morbido di quanto pensasse, Midorikawa alzò gli occhi. E come accadeva ogni singola volta, Kariya venne catturato dalla profondità di quello sguardo, così immenso da risucchiarlo e e avvolgerlo dentro di sé. Kariya glielo invidiava. Invece aveva preso gli occhi di sua madre.
“Masaki…” soffiò fuori Midorikawa, imbarazzato.
Si era figurato dieci diversi scenari per quel momento, e nessuno di essi corrispondeva.
Kariya si limitò a fissarlo, incredulo. Non aveva mia visto suo padre così intimidito, ed era lui stesso a fargli quell’effetto, a dargli quel senso di insicurezza e goffaggine.
Si chiese se in fondo fossero così diversi.
“Masaki… scusa,” mormorò, ma Kariya intuì che non era così che voleva che andassero le cose perché lo vide arrossire. Prese un respiro profondo e continuò: “Io… vorrei solo dirti che… puoi tornare a casa quando vuoi. Ti aspetto. Ti aspetterò tutto il tempo necessario. E poi… parleremo, penso. Di me. Di quello che non ti ho mai detto. Tutto quanto. Potrai farmi tutte le domande che vorrai, io ti risponderò”.
Kariya aprì la bocca per rispondere, poi la richiuse. Annuì, incerto, e il gesto sembrò sollevare Midorikawa abbastanza da farlo sorridere. Aveva come sempre denti bianchissimi e labbra piene. Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
“Papà,” mormorò, “Lui è Hikaru”.
Il ragazzino al suo fianco arrossì, non essendo abituato a certi convenevoli. “Kariya, noi ci siamo già incontrati…”
“È vero,” annuì Midorikawa, confuso e un po’ preoccupato. “Te… te l’abbiamo detto, vero?”
Kariya puntò lo sguardo su suo padre, serissimo, più serio di quanto fosse mai stato in vita sua. “Sì. Lo so,” disse. “Ma non importa. Lui è Hikaru. Ed è il ragazzo che amo.”
Il suo cuore batteva velocissimo, ma sostenne lo sguardo di suo padre anche quando vide l’ombrello scivolargli dalle mani, anche quando Hikaru strinse le dita attorno al suo braccio con una forza impensabile per un ragazzino della sua statura.
Prese un ultimo respiro. “Papà… m-mi piace Hikaru,” balbettò, e scoppiò in lacrime.
Le braccia di suo padre si strinsero attorno al suo corpo tremante, per il freddo o per l’ansia non avrebbe saputo dirlo, sapeva solo che se non ci fosse stato suo padre a reggerlo sarebbe crollato come gelatina. Sentiva i singhiozzi di Midorikawa contro il suo petto. Anche Hikaru stava piangendo. Kariya cercò la sua mano e la strinse forte.
Premette il naso contro la lana spessa e infeltrita del cappotto, già umido di pioggia. Sapeva di sigaretta, di ramen istantaneo, di infuso alle erbe e di casa. Gli ci volle uno sforzo inumano per uscire dalla trance di quel conforto e sentire di nuovo la voce di Midorikawa che gli chiedeva perdono.
“P-per cosa?” gli chiese, alzando di poco il viso per incrociare i suoi occhi.
Suo padre stava piangendo, ma gli prese il viso tra le mani e sorrise di un sorriso malinconico e disperato. Spostò lo sguardo da lui a Hikaru, poi di nuovo a lui. Masaki non era ancora riuscito a guardare il suo migliore amico negli occhi, ma ci avrebbe provato, lo giurò a se stesso lì e in quell’istante, non appena fosse finito tutto.
“Mi dispiace…” ripeté Midorikawa, le labbra tremanti e la voce spezzata, “per averti trattato come il ragazzino che non sei più”.
Kariya recepì quelle parole, ma non le capì. Non le avrebbe capite per un sacco di tempo ancora. Si tuffò di nuovo tra le sue braccia e stavolta sorrise, sporgendo il viso oltre la sua spalla.
Fermo sotto la pioggia, Hiroto Kira li guardava sereno.
Nella mano destra stringeva il terzo ombrello. 
   
 
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