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Autore: lapacechenonho    05/12/2020    3 recensioni
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Questa storia partecipa alla challenge “Things you said“ indetta da Juriaka sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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18- 032: Things you said before you kissed me (Le cose che hai detto prima che mi baciassi).
 
Da quella volta sul prato della Tana, Harry non aveva fatto altro che arrovellarsi il cervello chiedendosi quanto tempo avrebbe dovuto aspettare. Erano passati solo due mesi, era vero, ma a lui sembrava un’eternità. Gli sembrava di essere tornato al sesto anno, quando la guardava nella speranza che lasciasse Dean il prima possibile. Solo che stavolta non c’era nessun Dean da detestare, gli aveva solo chiesto di attenderla. Si era confidato con Hermione, che l’aveva rassicurato dicendo che era sicuramente un buon segno: «Per quanto ha dovuto faticare per averti non credo che ti lascerebbe scappare così facilmente» aveva detto. «Ha solo bisogno di tempo. Tu ne hai avuto bisogno prima, lei ne ha bisogno adesso».
Harry aveva sospirato e aveva accettato, suo malgrado, che si trattava solo di far passare un po’ di tempo. C’era una parte nascosta di lui che temeva che Ginny non sarebbe tornata indietro; che avrebbe trovato una persona più tranquilla, con meno traumi dal passato da smaltire, una persona più tranquilla che la facesse ridere e stare spensierata, non qualcuno come lui che la notte aveva ancora gli incubi della guerra.
Le parole del suo insegnante dell’Accademia degli Auror erano solo un sottofondo ai suoi pensieri, non stava realmente ascoltando ciò che diceva. Ultimamente gli capitava spesso e sapeva che non era un punto a suo favore, soprattutto perché l’insegnante in questione ce l’aveva a morte con lui per essere entrato senza possedere i M.A.G.O. e solo per aver ucciso Voldemort. Vide i suoi compagni alzarsi, segno che la pausa stava per iniziare, e li seguì. Solitamente durante la pausa uscivano tutti nel cortile a prendere una boccata d’aria prima di tornare nelle grandi aule, quelli che uscivano dalla lezione di Duello si riconoscevano subito: avevano sempre un livido nuovo, qualche graffio ancora fresco, o qualche vestito strappato. Stava osservando un ragazzo all’ultimo anno che aveva una grande bruciatura sulla manica della maglietta ma lui sembrava stare bene. Stava giusto raccontando come avesse evocato un Incanto Scudo proprio mentre la palla di fuoco dell’avversario stava per sfiorarlo. D’un tratto si bloccò e guardò l’ingresso del cortile, anche Harry guardò nella stessa direzione e per poco non si soffocò con la sua stessa saliva.
Ferma sul cancello c’era Ginny, aveva un’aria serena come non l’aveva mai avuta negli ultimi tempi. Sorrideva tranquilla nel suo giubbotto di jeans per coprirsi da quel leggero venticello di settembre che non consentiva più di girare solamente con una magliettina di cotone a maniche corte. Sorrise anche Harry vedendola e avvicinandosi a lei.
«Non sapevo che sapessi dove fosse l’Accademia» la canzonò senza manco salutarla. Appena l’aveva vista, era come se quella creatura dentro il petto che gli aveva fatto compagnia durante il sesto anno, fosse ritornata in vita e avesse deciso di improvvisarsi ballerina facendo avanzare il suo cuore di molti battiti.
«Non lo sapevo infatti» convenne lei sorridendo. «Me l’ha detto Ron». Rimasero un po’ in silenzio, Ginny stava guardando l’ambiente circostante per lei sconosciuto. Harry, invece, guardava con occhi minacciosi qualsiasi ragazzo che la sfiorava con lo sguardo per più di tre secondi. Sapeva che per il momento non erano altro che buoni amici, però la sua parte irrazionale era gelosa marcia di lei.
«Ti va se ti faccio fare un giro? Nel retro c’è un giardino niente male…» la invitò. La verità era che voleva passare più tempo possibile da solo con lei. Se era addirittura venuta a cercarlo all’Accademia aveva qualcosa di importante da dirgli, no?
«Sicuro!» rispose entusiasta.
La prese istintivamente per mano, non se ne accorse fin quando non arrivarono in quell’area verde dell’Accademia che era più una serra che un giardino. Fissò le loro mani intrecciate e si sentì bene, si sentì finalmente completo per la prima volta dopo tanto tempo. «Scusa, io non…»
«Non ti preoccupare, Harry, va bene così» lo tranquillizzò. Aveva una voce calma, Harry non sapeva dire se avesse mai utilizzato quel tono con qualcun altro, aveva passato troppo poco tempo con lei per saperlo. «Sembra più una serra che un giardino» osservò guardandosi intorno e cambiando discorso. «Dovresti portarci Neville, ne uscirebbe pazzo» aggiunse.  
La serra – o giardino – in cui erano entrati era la scorta dell’Accademia per gli ingredienti delle pozioni, c’erano le Mandragole, in alcuni vasi in terracotta di forma rettangolare vicino alla vetrata c’era dell’Erba Fondente utile per la Pozione Polisucco, sulla destra, isolata da tutti, c’era l’Aconito, la Belladonna, e una vasta scorta di Dittamo che in Accademia non poteva mai mancare.
«Sì, be’, qui lo chiamiamo giardino, anche se è una serra» spiegò. «Più vai avanti, più la stanza si ingrandisce. È un bel problema ritrovarsi qua dentro» commentò con un sorriso ricordando a quando era stato mandato a prendere del Formicaleone e si era perso. Ginny camminava guardando attentamente le piante senza avvicinarsi troppo, non sapendo quali fossero velenose e quali no. Aveva lasciato la mano di Harry e camminava senza troppi pensieri.
«Ci sediamo qua?» propose indicando una panchina tra due tavoli. Harry la raggiunse e si sedette accanto a lei. L’ansia che fosse venuto a dargli una brutta notizia non riusciva ad abbandonarlo, la tachicardia non accennava a smettere e sentiva che le mani stavano iniziando a sudare. Le passò sopra i jeans cercando di asciugarle e di darsi un po’ di conforto ma quel gesto non diede gli effetti desiderati, anzi ad Harry sembrava di stare addirittura peggio. «Ho pensato molto a quello che mi hai detto a luglio, quella volta che eravamo sdraiati sul prato…» stava prendendo tempo ed Harry si sentiva sempre più teso.
«Sì, ricordo benissimo il momento» tagliò corto lui.
«Non ho fatto altro che pensarci, veramente» continuò. «E ho una cosa da dirti».
“Perfetto, la fine è vicina. Ti dirà che sei solo una persona lagnosa e che non vuole perdere tempo con te. Ti dirà che ha già trovato un giocatore di Quidditch capace di soddisfare tutti i suoi bisogni” pensò mentre scenari catastrofici si materializzavano davanti ai suoi occhi 
«Voglio stare con te, Harry» disse. Il Ragazzo-Che- È-Sopravvissuto rimase a sbigottito per qualche secondo, non si aspettava una così bella notizia. Nella sua vita era stato così sfortunato che non credeva a quello che aveva appena sentito. «Scusa se ti ho allontanato, se ti ho detto delle cose orrende, sono stata una persona terribile e questo non era manco il discorso che mi ero preparata! Dovevo dirti altre cose, dirti quanto è stato difficile starti lontano per tutto questo tempo, dirti come avrei voluto baciarti nel bel mezzo del salone di casa mia quando hai portato Teddy…» si bloccò e prese una boccata d’aria. Aveva parlato tutto d’un fiato tenendo lo sguardo basso, parole sconnesse e confuse che però per le orecchie di Harry erano come musica. Alzò la testa e lo guardò. Harry sentiva come se il sangue avesse accelerato la sua corsa, non aveva idea di quello che stava succedendo, era una sensazione nuova, bellissima e pericolosa allo stesso tempo. «Oh, al diavolo!» sospirò.
Harry non ebbe manco tempo di capire cosa stesse succedendo che si ritrovò le labbra di Ginny appiccicate sulle sue, la baciava con foga, come quella volta in Sala Comune. E fu come respirare dopo tanto tempo, come la brezza fresca della sera dopo l’arsura del giorno delle giornate estive. Harry aveva paura di aver dimenticato come fossero i baci di Ginny, ma sorrise pensando a quanto fossero meglio del Whisky Incendiario, meglio della crostata alla melassa di Molly Weasley, le sensazioni che provava Harry erano addirittura più belle di quelle che aveva provato ogni volta che aveva catturato un boccino durante le partite di Quidditch.
«Chiedo scusa!» una voce che Harry conosceva benissimo li costrinse a staccarsi di scatto imbarazzati. Era il suo insegnate, probabilmente la pausa era finita ed Harry non se n’era reso conto. «Signor Potter la lezione sta ricominciando» disse con tono gelido ma con una punta di divertimento.  
«Arrivo subito, signore» lo avvisò. Aveva le labbra gonfie e leggermente arrossate, come lo era il volto, un po’ perché era accaldato, un po’ perché era imbarazzato. Una volta che il professore aveva lasciato la serra guardò Ginny e insieme scoppiarono a ridere fino alle lacrime.
«Ci vediamo stasera» lo rassicurò Ginny facendogli l’occhiolino.
Si lasciarono con un bacio veloce mentre Harry iniziava a fare mentalmente il conto alla rovescia delle ore che mancavano alla sera.
 
«Meno male che sei una che mantiene la calma!» esclamò con tono canzonatorio Harry. «Non solo non sei riuscita a fare un discorso di senso compiuto, mi sei anche saltata addosso!» completò ridendo. Ginny si unì alla risata.
«Non mi sembrava fossi particolarmente dispiaciuto di quel gesto» rispose ammiccante.
«Stai scherzando? Non aspettavo altro da due mesi!» disse stringendola piano a sé.
«Sembrano cose accadute una vita fa» mormorò Ginny sovrappensiero.
«È vero ma non pensarci» le consigliò Harry. Erano seduti sul divano e non avevano intenzione di alzarsi, avevano perso la cognizione del tempo ma non erano interessati a guardare l’ora sull’orologio. Ultimamente Ginny pensava che guardare l’orologio era come togliere del tempo prezioso alla loro storia. «Piuttosto, pensa a quanto è stato bello il primo periodo che ci siamo rimessi insieme!» suggerì.
E Ginny si rituffò in quel groviglio di pensieri e di ricordi che costruivano, uno dopo l’altro, la loro storia d’amore.


 

   
 
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