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Autore: Cossiopea    05/12/2020    0 recensioni
Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.
Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 

Giunsi in città che la notte era calata quasi totalmente e sfolgoranti scintille iniziavano a riempire le tenebre che mi sovrastavano.
Le vie di Mos Eisley erano svuotate e non mi serviva un orologio per intuire che l'ora del coprifuoco doveva ormai essere passata da un pezzo: l'Impero, e la stirpe degli Hutt con esso, non concedevano agli abitanti di girovagare nel buio per troppo tempo; erano decenni che alla popolazione non era possibile ripristinare l'antica libertà, un tempo posseduta.
I miei passi cadenzati erano l'unico suono udibile, mentre i miei sensi, all'erta, tentavano di captare un qualsiasi segno di vita, scoprendo solo una sinistra immobilità.
La notte, nel deserto, è quasi materiale, tangibile. Una cappa di silenzio, spessa e impenetrabile, dentro cui il gelo, trasportato dal buio, e l'incandescente afa dei soli si intersecano, cucendo intorno al mondo un velo incolore, che permea il pianeta, cingendolo con braccia di nebbia.
Rabbrividii leggermente, stringendomi nella leggera mantella, strattonatami da uno sbuffo d'aria più violento degli altri. Mi morsi distrattamente un labbro, rivolgendo lo sguardo sulla strada, illuminata solo dagli opachi aloni provenienti dalle abitazioni circostanti.
Fu quando, in fondo alla via principale, scorsi delle ombre avanzare con passo meccanico verso la mia direzione, che nella mia testa si accese una insistente spia d'allarme.
I raggi delle lune si riflettevano sulle armature terree e sui blaster lucidati, mentre gli assaltatori, guardie mandate dalle stelle, perlustravano la notte.
Senza un minimo di esitazione, mi affrettai a infilarmi quatto nel primo vicolo adocchiato, aderendo alla parete e pregando chiunque fosse in ascolto di concedermi una clemenza che, però, non ero certo di meritare. Incrociai le dita impastate di sabbia e sudore e sperai in un qualche miracolo.
I passi delle teste a secchio superarono la mia posizione e io, con il cuore ancora a mille, mi concedetti di espirare, grato.
-Aspetta. Mi pare di aver sentito qualcosa.
La voce distorta di uno dei due mi fece percorrere la spina dorsale da un unico, brutale fremito intriso di panico.
Con l'udito amplificato dal terrore percepii il soldato voltarsi e avvicinarsi guardingo al mio nascondiglio, mentre la tensione si dilatava e l'intero mio corpo diveniva la rappresentazione di un blocco di pietra umido di sudore.
Per un unico, folle, istante mi chiesi quanto avrebbe fatto male essere colpito da un dardo laser, per poi rispondermi da solo di non essere in vena di scoprirlo tanto a breve.
Quattro, tre passi e l'imperiale mi avrebbe visto. Nulla poteva impedirlo.
Chiusi forte gli occhi, preparandomi al peggio.
Fu allora, quando la morte stava per prendermi la mano e avvertivo già il suo fiato fetido alitarmi sul collo, che qualcosa accadde.
Una parte nascosta dentro di me, nei recessi del mio spirito, iniziò a strillare. Un urlo potente, saturo di energia che esplose nel mio petto con una scarica di poderosi lampi, che abbagliarono ogni altra sensazione, oscurandomi la mente.
Mi si mozzò il fiato mentre qualcosa, una sagoma nera, rapida come un proiettile d'ombra, balzava dall'alto, atterrando con grazia davanti agli assaltatori.
Uno di loro gridò un avvertimento, uno strillo d'aiuto o, insomma, una serie di parole incomprensibili, ma fu zittito immediatamente dalla figura, che con agilità lo gettò a terra con un tonfo appena udibile.
L'altro non fece una fine migliore, braccato e colpito in testa, nell'atto di fuggire, e rimanendo riverso sulla sabbia, con il bianco della sua armatura che si rifletteva come le ossa di qualche animale morto nell'arido deserto.
Io mi limitai a rimanere immobile, il cuore che sbatteva ritmicamente sulle costole e gli occhi spalancati all'inverosimile, nel tentativo di analizzare mentalmente come diamine fosse stato possibile mettere al tappeto due soldati nell'arco di un paio di secondi scarsi.
La figura, il cui cappuccio, notai, ricreava sulla testa due strane forme allungate, si voltò di scatto verso di me, ancora rintanato nel vicolo.
-Vattene- mi sussurrò con una vibrante voce femminile -A breve ne arriveranno altri- aggiunse un secondo dopo, lasciandomi, se possibile, ancora più sconvolto.
Ebbi a malapena il tempo di cogliere un bagliore famigliare sotto al mantello, all'altezza della vita... poi, così come si era palesata, la figura semplicemente scomparve, sparendo nel buio e lasciandomi da solo con i miei dubbi e un paio di soldati tramortiti.
 
-Ehi?
Uno stivale appuntito mi puntellò il fianco e uno dei miei occhi si aprì pigramente, la mente ancora appannata dal sonno.
-Ehi?- ripeté il qualcuno, tirandomi un calcio che, nonostante non fosse violento, mi mozzò il fiato, facendomi esplodere un fiore di dolore nel punto d'impatto.
-Ma che...?- stordito, mi portai una mano alla testa e l'altra al fianco dolorante, nella speranza di rimettere insieme i ricordi che sembravano sparpagliati in giro per il cervello – I Jawa, i soldati, un'ombra...
Sempre più confuso, alzai gli occhi velati sulla mia sveglia organica, per poi sentire un brivido corrermi su per la schiena nel momento in cui il mio sguardo si scontrò contro un minaccioso casco color verde spento, una maschera conosciuta anche nei più malmessi recessi di Tatooine.
Una minacciosa T nera ne segnava la parte anteriore, sottile e affilata come un incrocio di lame, attraverso cui mi pareva di scorgere lo sguardo ostile del mandaloriano.
Teneva le braccia conserte, e per il momento non pareva incline a uccidere qualcuno, sebbene avessi sentito narrare da molti le sue macabre gesta da cacciatore di taglie, le quali lo avevano reso uno dei prediletti di Jabba the Hutt. Adocchiai il lungo blaster che teneva legato alla cintola, un'arma che non ci avrebbe messo che un colpo per trapassarmi il cranio da parte a parte...
Deglutii, domandandomi quante altre volte avrei dovuto ritrovarmi la morte davanti nel corso di ventiquattr'ore.
-Ehi, ci senti, pivello?- sbottò il mandaloriano, vedendomi ancora seduto a terra a fissarlo con la bocca semiaperta e una faccia da idiota.
Battei vigorosamente le palpebre, tentando di convincermi ad assumere un'aria per lo meno più seria.
-Sì, signore, io...- farfugliai.
-Alzati- mi interruppe lui, secco, voltando la testa verso la strada alle sue spalle -Non mi va di denunciarti per essere rimasto fuori durante la notte, ho già i miei bei problemi per oggi.
Non replicai, ringraziando silenziosamente per quella botta di fortuna, e mi levai in piedi traballante, aggiustando la borsa a tracolla e accertandomi che il misterioso oggetto cilindrico fosse ancora al suo interno – Allora non me lo ero immaginato...
Mi inumidii le labbra e tornai a guardare Fett, assicurandomi di rimanere perfettamente fermo, indeciso su come procedere e attendendo che lui aggiungesse qualcosa. Per buone ragioni non ero intenzionato a parlare per primo.
-Senti- il casco ruotò verso di me, dall'alto in basso, e il mantello oscuro che gli copriva le spalle ondeggiò lievemente nell'aria immobile -Non sono solito a parlare con i ragazzi di strada; dimmi solo se hai visto qualcuno tramortire dei soldati, stanotte- la sua voce era profonda, severa, di una rigidità che avevo percepito in pochi altri esseri; era evidente che non avrebbe tollerato alcuna replica.
Eppure dopo quelle parole non potei fare a meno di esitare.
Il ricordo dell'energia che mi aveva avvolto l'anima, la velocità con cui la sagoma aveva abbattuto i soldati, traendomi fuori dall'imminente pericolo... Le sue parole, intense, definite, reali...
E poi nessuno mi avrebbe creduto. Nessuno avrebbe avuto l'ardire di presumere l'esistenza di un simile spettro. Parlare non sarebbe servito ad altro che a seppellirmi da solo in una situazione molto più complicata.
Scossi timidamente la testa.
-No, signore.
-Mmmh- mormorò pacatamente il mandaloriano, mettendomi ancora più a disagio, incapace di vedere il suo volto -Lo avevo immaginato- borbottò un secondo dopo.
Non risposi, intimorito.
Passò una manciata di istanti, nel quale il serio dubbio che mi stesse fissando attraverso il casco si scontrava con la certezza che fosse immerso in riflessioni personali. Non sarei mai riuscito a comprendere gli individui con le sue stesse origini...
-Sei ancora qui?- ne venne fuori improvvisamente, facendomi sussultare -Vattene, non ho tempo di stare appresso a te!
Non me lo feci ripetere e, trattenendo l'istinto irrefrenabile di mettermi a correre, mi allontanai lungo la via, ai cui lati negozi e taverne stavano iniziando ad aprire i battenti.
Mi accertai di essermi lasciato Fett alle spalle, infilandomi nel lieve viavai che si stava formando per le strade, mentre un vociare agitato, un miscuglio di lingue, creava uno spiacevole ronzio di sottofondo ai miei pensieri.
Mi domandai per l'ennesima volta nel giro di un giorno come io potessi essere ancora vivo, non riuscendo a trovare una risposta certa.
Mi morsi il labbro superiore, abbandonando la ricerca dell'amletico interrogativo, e ripercorsi mentalmente ciò che mi aveva portato a essere lì, quasi volessi accertarmi di non aver sognato tutto.
Quella notte ero riuscito ad allontanarmi dalla via principale di Mos Eisley poco prima che arrivassero altri cinque soldati armati, spostandomi di soppiatto lungo vicoli secondari e sfociando verso l'altro lato della città, dove nessuno avrebbe potuto ricondurre la mia persona verso l'attentato agli assaltatori.
Mi ero rannicchiato in un angolo e avevo poggiato la testa sulla mantella appallottolata. Le palpebre, pesanti come macigni, erano piombate davanti agli occhi e, prima che me ne rendessi conto, ero crollato in un sonno profondo e popolato da tenebre... ovviamente prima che Boba Fett venisse a sottrarmi dal mio riposo.
Tenni lo sguardo basso mentre camminavo nella folla: avevo imparato a mie spese che nel bel mezzo della feccia di Tatooine non è mai una buona idea attirare troppo l'attenzione se non si è in grado di difendersi.
Mi concessi di alzare gli occhi solo quando fui nei pressi del porto di Mos Espa, un ritrovo di lordura, se possibile, ancora più malfamato della città vera e propria.
Avanzai sicuro verso il vicolo che avevo percorso qualche giorno prima, quando mi ero ritrovato alla ricerca di un qualche esperto di armi in grado di procurarmi un ricambio del fermo leva di scatto di un Carabina blaster modificato.
Non osai incrociare gli sguardi ostili della folla e, inoltrandomi nelle ombre secondarie del porto, avvistai ciò che cercavo, mentre dentro di me tiravo un sospiro di sollievo, disfacendomi del lieve timore che il tipo a cui avevo affidato la mia arma avesse avuto l'idea geniale di truffarmi.
Una piccola veranda imbucata sul lato sinistro della strada ospitava un ammasso di rottami di ogni genere, recuperati da chissà dove e provenienti dai più dimenticati pianeti dell'Orlo Esterno.
Seduto in angolo, un vecchio toydariano ingrugnato armeggiava con un paio di pezzi di metallo che, ad una prima occhiata, mi parvero due metà di una protesi gambale.
Rimasi per un istante sulla soglia, indeciso se attirare la sua attenzione o attendere che si accorgesse da solo della mia presenza.
Dopo aver atteso in totale immobilità per un lunghissimo minuto, sospirai, lievemente esasperato, e tossicchiai appena, optando finalmente per l'auto-annunciarmi, vista la sua indifferenza.
Il vecchio mi rivolse uno sguardo infastidito ed ebbi la netta sensazione che non fosse esattamente entusiasta della mia esistenza, sempre che lui fosse veramente in grado di gioire per qualcosa che non fosse il gioco d'azzardo di cui il pianeta intero si nutriva.
-Ah, tu tornato- borbottò, scuotendo piano la testa -Tu è quello di due giorni fa... quello del blaster...- la sua voce si affievolì mentre abbassava di nuovo gli occhi sulle due aste metalliche che aveva in mano.
Deglutii, azzardando un passo dentro quella sottospecie di officina che si ritrovava.
-Sono qui per il Carabina- farfugliai, cercando il suo sguardo, che sembrava essere di nuovo piombato sui propri pensieri, totalmente disinteressato a me -Avevi detto di tornare in due giorni e che mi avresti recuperato il ricambio che mi serviva.
-Già- sputò. Emise uno sbuffo frustrato e gettò i pezzi di metallo da una parte, per poi iniziare a battere pigramente le alette carnose e generando una nuvola di polvere. Si levò in aria di qualche centimetro e mi si avvicinò con fare minatorio -E tu sa che io riparato tua arma, sì?
-Beh, lo spero- risposi, storcendo la bocca davanti alla sua occhiata aggrottata -Ti ho pagato in anticipo per un motivo, non credi?
Tacque un istante, poi scoppiò in una risata rauca.
-Tu piacere me, sì- annuì -Tu ricordare me qualcuno, sa?
Battei le palpebre e tesi un angolo della bocca, riflettendo che molti dei contadini presenti su Tatooine avevano parentele in comune e non era difficile trovare qualche cugino con i tratti simili ai tuoi, sebbene non fossi sicuro che il vecchio alludesse a quello.
-Posso riavere il mio blaster?- chiesi, tentando di mantenere un tono di voce a metà tra il deciso e l'accondiscendente.
Watto mi guardò di sbieco per un secondo, poi si voltò verso il caos dell'officina.
-Sì, sì... tua arma...- bofonchiò, iniziando a frugare tra i rottami -Quel blaster strano, eh?- commentò mentre sopra di me volava ferraglia varia che il toydariano si scagliava alle spalle.
-L'ho modificato- spiegai, evitando per un pelo che un pezzo di vaporizzatore mi finisse in un occhio -Ho solo montato un vecchio lanciafiamme e corretto la lunghezza della canna per aumentare la gittata...
-Sì, sì... io notato- improvvisamente smise di mettere a soqquadro la propria officina e tornò a guardarmi con in braccio il mio blaster Carabina. Sorrise nel modo strano in cui sorridono i toydariani e mi si avvicinò -Tua arma bella, sì.
La presi con delicatezza e me la feci rigirare tra le mani, sorridendo al notare che il fermo leva di scatto era stato cambiato e che null'altro pareva essere stato alterato o manomesso. Riflettei che Watto doveva essere leggermente in crisi lavorativa per non essersi neanche azzardato a truffarmi: quei crediti gli servivano davvero.
Gli feci un cenno  di assenso con la testa e mi assicurai il blaster alla cintola, benché con il peso spropositato dell'arma non si potesse certo dire fosse efficace... ma nel mio piano originario avrei avuto a disposizione uno speeder su cui caricarlo. Era evidente qualcosa fosse andato storto.
-Grazie- dissi tornando a guardare Watto -È perfetto.
-Fa attenzione, ragazzo- mi ammonì lui, oscurandosi appena -Me si augura che tu non ammazza qualcuno che io conosce.
Emisi una risatina forzata.
-È solo per difesa- lo rassicurai.
Il toydariano annuì, ma non pareva convinto.
-Tu viene dalla fattoria Lars, sì?
Sbiancai di colpo, facendo istintivamente un passo indietro, nonostante non fosse poi così difficile intuirlo, dati i miei abiti contadini e la quasi totale assenza di fattorie in quel quadrante. Eppure avevo la netta sensazione che ci fosse qualcos'altro, nascosto sotto la superficie.
-Esatto...- asserii, cauto.
-Brutte cose accadute lì- proseguì Watto -Io sa- per qualche motivo il suo tono, d'un tratto divenuto tetro, mi diede i brividi.
Dopo qualche istante si esibì in un'altra risata roca, sporca di sabbia, ma questa volta ero troppo inquieto per ricambiare.
-Vai ora, tu corre a casa- disse, facendo un cenno verso la via dietro di me.
Mi limitai ad annuire, gli occhi sbarrati, e, mantenendo il contatto visivo, arretrai lentamente di qualche passo, stringendo con foga la tracolla della borsa.
Non appena fui abbastanza lontano dall'officina, mi misi a correre.
   
 
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