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Autore: Cossiopea    25/12/2020    0 recensioni
Trovavo sempre strano come, su questo remoto pianeta dell'Orlo Esterno, le tempeste fossero rapide, variabili, quasi vive. Erano capaci di coglierti alla sprovvista, di investirti con una violenza implacabile nel bel mezzo del silenzio... per poi sparire e dileguarsi come spettri.
Avevo imparato ad accettare questi fenomeni fin da piccolo, ma a volte mi ritrovavo a domandarmi se così non fosse stato; se fossi nato su qualche pianeta meno desolato, se invece del caldo secco che genera piaghe sulla pelle avessi potuto ritrovarmi catapultato in qualche altro destino, magari più folle, ma non per questo sbagliato.
Genere: Avventura, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ahsoka Tano, Luke Skywalker, Obi-Wan Kenobi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Strani vicini



La musica strisciava fuori e dentro di me, in un ritmo baldanzoso e trascinante che avvolgeva l’intero il locale insieme ad un increscioso intreccio di odori nauseanti dalla dubbia provenienza.

Deglutì a vuoto, esitando per un attimo sulla soglia della Cantina, la mente che si tramutava in un campo di battaglia in cui flussi di certezze contrastanti si abbattevano l’uno contro l’altro senza lasciare al corpo la forza di fare un passo.

Portai una mano sudaticcia al Carabina legato alla cintola e mi concessi un respiro profondo, sebbene pareva che nessuno, della feccia che abitava quel buco di universo, si fosse lontanamente accorto della mia umile presenza.

C’è gente cattiva lì, Luke, non ti avvicinare mai, aveva esortato una volta zia Beru, strattonandomi un braccio per distogliere il mio sguardo bambino da quel covo, dall’origine della musica che adesso, come un amaro deja vu, mi scivolava nelle orecchie e piegava al suo ritmo il battito del cuore.

Non mi accorsi neanche di essermi mosso, tanto ero immerso in quei ricordi risalenti a fin troppi anno prima; mentre tentavo invano di convincere me stesso di essere abbastanza grande da non avere paura.

Questo è rischiare troppo, mio caro, mi ammonì quel filo di ragione che era rimasto nel mio cervello levigato dalla sabbia Oggi vuoi proprio morire, congratulazioni.

Feci una smorfia, stringendo gli occhi attraverso lo strato di fumo che permeava il locale, e appoggiai i gomiti sul bancone, imponendomi di ignorare le occhiate indagatrici che mi stavano scoccando un paio di Rodiani alla mia sinistra.

Il barista, un uomo tarchiato vestito con una tunica logora e un grembiule bucato, mi squadrò dall’alto in basso, soffermandosi un secondo di troppo sui miei capelli impastati di polvere.

Inarcò un sopracciglio e storse la bocca in una bizzarra linea a zig zag.

-Sì?- grugnì, notando che continuavo a fissarlo con occhi straniti.

Mi schiarii la gola e mi lanciai un repentino sguardo alle spalle, nell’improvviso timore di ritrovarmi davanti Boba Fett o qualche altro brutto muso pronto a trapassarmi il cranio con un colpo. Sicuramente non mi avrebbe sorpreso…

I miei occhi si scontrarono solo contro la band di Bith, oscillante sulle note della ballata.

-Devo fare una telefonata- dissi rivolgendomi nuovamente al barista, la voce ridotta ad un roco bisbiglio.

Quello si esibì in un sorriso sbilenco e carico di perfido sarcasmo, che mi fece correre un brivido lungo la schiena.

-Abbiamo un piccolo contrabbandiere, eh?- fece, ironico, senza però mettere in quelle parole un reale interesse. Il suo ghigno si smorzò e lui mi scrutò di sbieco -Dov’è che devi telefonare, ragazzo?

-Alla fattoria Lars- risposi quasi subito -Non è troppo distante da qui, mi basta avere a disposizione un trasmettitore di serie B come quelli della vecchia…

-Sì, sì, come vuoi- mi interruppe l’uomo, evidentemente infastidito, levando gli occhi al cielo -Ma noi non mettiamo più a disposizione i nostri trasmettitori alla clientela, non so se ti è chiaro.

Aprii la bocca per ribattere ma ne uscì soltanto un rauco e deluso “Ah”.

-Ultimamente trasmettere è diventato più caro di una bottiglia di Bile Hutt decente- bofonchiò il barista, a mo’ di scusa. Scosse la pelata e brontolò qualcosa di indefinito, che non riuscii a cogliere nel ronzio collettivo, poi indicò con un cenno distratto una figura seduta nell’angolo più buio del locale, il cappuccio calato e le spalle ricurve, quasi volesse confondersi con il muro ingrigito alle sue spalle -Quel tipo viene da quelle parti, comunque, potrebbe darti una mano- tagliò corto l’uomo, per poi allontanarsi verso un altro cliente e lasciandomi inebetito e con la bocca arida a fissare la sagoma incappucciata, il fiato trattenuto.

Non dare confidenza agli estranei, gracchiò zio Owen da un angolo remoto della mia memoria Lo sai che finisci male, Luke… molto male…

Eppure, sebbene mi sforzassi di riflettere, le idee venivano meno.

Entrare nella Cantina aveva richiesto un enorme sforzo di volontà e una buona dose di coraggio che non credevo manco di avere, ma sapere di non avere altre possibilità e con la consapevolezza che camminare in mezzo al deserto fino a casa era sinonimo di suicidio aveva fatto, per la prima volta, vacillare anche le mie più ferree sicurezze.

Avvertivo sempre più sguardi truci posarsi su di me ed ebbi l’improvviso impulso di correre a rotta di collo fuori dal locale e arrendermi a vivere di elemosina… poi mi decisi a respirare, obbligando i polmoni a tornare a fare il loro sporco lavoro.

Camminai adagio verso quel misterioso tizio nell’angolo, il sangue che pulsava nelle tempie e il peso del Carabina che diveniva mano a mano più faticoso da trasportare ad ogni passo.

-Mi… scusi?- azzardai con voce più stridula di quanto volessi, rivolgendomi al tale incappucciato.

Quando lui alzò lentamente lo sguardo e due penetranti occhi celesti mi perforarono, un enorme macigno mi abbandonò lo stomaco.

Nonostante il suo viso fosse segnato da rughe profonde, marchiato da una presunta vita difficile, quelle due luminose perle di cristallo mi tranquillizzarono di colpo, mentre scorgevo, in fondo a quell’occhiata gentile, un’anima lungi dall’essere malevola come temevo.

Fu lì che una visione, lesta come un lampo, mi oscurò la visuale per un tempo paragonabile ad una infinitesima frazione d’istante. Braccia forti che mi stringono… occhi azzurri… il pianto di un bambino e strascichi di un assiduo, ardente… dolore

Poi, così com’era venuta, la scena si spense.

Battei rapidamente le palpebre per schiarire la mente e farmi tornare nel presente. Scoprii che l’uomo mi stava guardando con aria incuriosita, ma non c’era traccia di malizia nel suo sguardo, solo un innocente interesse.

-Oh, salve- disse, accennando un sorriso gentile che mi invogliò a dargli fiducia.

Tossicchiai leggermente.

-Sì, salve, io…- mi inumidii le labbra, ancora piene di piaghe -abito nella fattoria Lars. Mi hanno detto di chiedere a lei per, ecco, contattare i miei zii.

Nei suoi occhi guizzò una scintilla.

-Certo, i Lars- commentò il vecchio, come se stesse, per buona parte, parlando a se stesso -Sono buoni vicini- tacque un paio di istanti -Tu devi essere Luke, mh?

Annuii in un gesto impacciato, afferrandomi nervosamente un lembo della mantella e strattonandolo con forza.

-Mentre lei è…?

-Ben- rispose subito lui, continuando a sorridere -Ben Kenobi. Accomodati, Luke- fece un cenno alla sedia dall’altra parte del tavolino e io, leggermente a disagio, mi sedetti. Il blaster, in quella posizione, mi pungeva fastidiosamente il fianco.

Zio Owen mi aveva parlato di Kenobi, mi ricordai con un lieve fremito; un vecchio che abitava non molto lontano dalla fattoria, giusto oltre un paio di dune. Era pazzo, diceva, non affidabile e un fissato con cose che non esistono. Bisognava starci lontano.

Eppure, per qualche motivo – forse quello sguardo così cortese, la luce che ci brillava dentro – il suo viso non mi sembrava il ritratto di un fuori di senno.

Ben si sporse in avanti e congiunse delicatamente le punte delle dita sul tavolo, il cappuccio che gli scivolava all’indietro, rivelando una zazzera di corti capelli grigi, dello stesso colore della barba incolta.

-Sono contento di conoscerti, Luke- disse, e in qualche modo mi piacque come pronunciò il mio nome, sebbene quella situazione stesse scivolando dal paradossale al pressocché inquietante.

-Altrettanto- risposi, educato -Ma, la prego, può dirmi se ha un modo per tornare a casa mia?- insistetti, tentando di non mettere troppa impazienza nella voce.

Kenobi parve risvegliarsi. Scosse piano il capo e sospirò appena.

-Hai ragione, perdona questo vecchio; sono stato distratto da altri pensieri- sorrise -Ho noleggiato uno speeder che farebbe al caso nostro: io stesso ho delle faccende da sbrigare a casa e devo presto fare ritorno- ancora una volta, qualcosa gli attraversò lo sguardo -Se vuoi seguirmi…- si alzò dal suo posto, facendo frusciare la lunga veste bruna e aggiustandosi il cappuccio sulla testa.

Io mi limitai a fissarlo un qualche istante, riflettendo sul fatto che, in effetti, poteva anche essere leggermente suonato; poi mi decisi a imitarlo e gli trotterellai dietro, mentre quello prendeva la porta del locale e si inoltrava nell’afa rovente di Tatooine.

   
 
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