Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: Fenici_Bianche    05/12/2020    0 recensioni
Esistono dei miti che provengono da oriente rispetto al Paese del Vento: parlano di un vento di terra e foglie marce che porta con sé qualcosa che aspetta e tortura pazientemente, fino a quando la preda non cade in trappola.
Gaara della Sabbia non ne è a conoscenza, o forse non ci ha mai dato peso. Per questo, si trova a dover fare i conti con ciò che si nasconde nell'ombra.
Ma è difficile sopravvivere quando è il tuo stesso animo a tradirti. Il Villaggio della Sabbia, la sua gente, rischia molto ed ha poco tempo, prima che la tempesta di sabbia s'abbatta su di essa.
Che l'arrivo del Sesto Hokage del Villaggio della Foglia e del suo seguito sia una fortuna, solo il tempo saprà dirlo: Ino Yamanaka sarà in grado di liberare il Kazekage dal suo fato, o forse morirà tentando.
D'altronde, il bene comune è sempre stato più importante dei singoli ninja.
[Post Quarta Guerra Mondiale dei Ninja, GaaraIno, qualche accenno a ShikaTema. Accenno a una one sided KankuSaku. Storia a cadenza mensile]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ino Yamanaka, Kakashi Hatake, Kankuro, Sabaku no Gaara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Naruto Shippuuden, Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Capitolo II: Odore di foglie e terra marce

 

Gli abitanti del Villaggio della Sabbia avevano compreso che una tempesta stava arrivando. Abituati com’erano al deserto, dentro cui erano maturati come cactus sulle rocce impervie, l’avevano riconosciuta immediatamente grazie a quell’improvviso cambio di pressione che aveva scaldato l’aria sulle braccia nude, a quel tocco graffiante delle particelle di sabbia sulle narici.

Quando avevano scorto l’orizzonte limpido macchiarsi di una linea di foschia, avevano afferrato di colpo la gravità della situazione: restavano poche ore prima che la tempesta si riversasse all’interno della conca naturale dove sorgeva il villaggio, riempiendola di polvere e morte.

Per questo, i ninja erano corsi dai consiglieri del villaggio, perché impartissero gli ordini necessari a creare una barriera di chakra che contrastasse l’avanzata della sabbia per mettere in salvo i civili: Baki li comandava con il pugno di ferro, controllando che nemmeno una persona fosse lasciata senza aiuto. Anche i deboli che, un tempo, avrebbe disprezzato.

Per questo, i due fratelli maggiori del Kazekage avevano raggiunto la sua Residenza in fretta, per buttarlo giù dal letto, domandandosi come fosse possibile che l’uomo in grado di percepire ogni minima variazione del deserto, non avesse ancora intuito il pericolo.

Proprio per questo, quel letto intonso di fronte agli occhi di Temari e Kankurō apparve una minaccia più grande della distruzione che si annunciava alle loro porte.

 

Lo rimirarono come se Gaara fosse là, addormentato, e gli angoli piegati del lenzuolo, sgualciti dal vento che si stava alzando, stessero sfiorando quel viso emaciato, da malato, oppure quelle braccia sottili che risaltavano dentro le tuniche ampie di cui spesso si rivestiva.

La stessa stoffa che Temari aveva visto ciondolare, quella sera, dai polsi del Kazekage mentre strisciava le mani tremanti sulla fronte solcata da uno strano sudore freddo. Le parve di rivederlo là, quel suo piccolo e pestifero fratello, il terzo uomo da cui avrebbe sempre tratto una marea di guai, eppure che non poteva smettere di amare con tutta sé stessa.

Percepì quella fortissima commozione avvinghiarle il petto in quell’istante. Il rimpianto la costrinse a mordersi il labbro inferiore, unico lusso che potesse concedersi.

 

Kankurō rifiutò persino quella magrissima consolazione. «Temari, cosa facciamo?» la sorella maggiore non avrebbe saputo cosa rispondere a quella voce prosciugata di qualunque sfumatura, una maschera coprente come la pittura tradizionale che il fratello si cospargeva sul viso. Il ninja la scrutava senza realmente vederla con quegli occhi marrone scuro e i suoi vestiti neri parevano indossati da una delle sue marionette, tanto era impercettibile il movimento del respiro.

Temari deglutì a vuoto, ma si riprese dal suo confinamento mentale ritornando a quel vento da cui i loro abiti venivano strattonati, sempre più forte e fragoroso, a quell’urgenza che li aveva sospinti nell’unica tana in cui credevano vi fosse rifugio e che, tuttavia, li aveva traditi. D’improvviso, si accorse di uno strano sentore di cui la camera di Gaara era pervasa: un odore marcescente, da cui rievocava ricordi che acuivano quella tremenda sensazione di rimpianto.

 

Allora indossò la sua apparenza indifferente, perché calzasse con quella del familiare con cui aveva convissuto sin da quando aveva memoria.

«Quello per cui siamo stati addestrati, Kankurō. Proteggiamo il villaggio.» la voce con cui gli rispose, fredda, la ferì. Poteva percepire quell’inconfondibile sapore ferroso sulla lingua, anche se non aveva perso nemmeno una goccia di sangue.

L’odore putrescente li inseguì mentre partivano senza emettere un suono, come ombre quali erano.

 

Così giunse la tempesta. Temari e Kankurō ebbero il tempo d’informare il consiglio della scomparsa del loro leader. Furono in grado di partecipare alla preparazione della barriera di chakra che avrebbe protetto l’abitato. Si erano mossi per tempo, ignorando la paura in cui le loro viscere erano state attanagliate e la frenesia dell’animo. Avevano fatto tutto quanto in loro potere, prima che la tempesta li raggiungesse.

In principio, nessuno di loro volle dubitare su quanto conoscessero del deserto e sui suoi fenomeni atmosferici.

Quella mareggiata arida bussò forte contro la barriera innalzata. Picchiò così tanto da costringere i ninja specializzati nel controllo del chakra a darsi cambi repentini per mantenere la protezione. Alcuni vennero tolti di peso dal loro compito, con le labbra semiaperte da cui fiottava un rivolo di sangue, per via della fatica, o con gli occhi rivolti in alto, in procinto di svenire. Nonostante fossero segnali bizzarri, gli abitanti del villaggio continuavano a riporre una fiducia incondizionata nell’operato dei ninja.

 

Dalla loro parte, dopotutto, avevano il sangue dell’attuale Kazekage e di quello precedente: Temari e Kankurō erano due copie dei loro genitori e, sebbene avessero ben poche similitudini con il fratello minore, lavoravano senza sosta esattamente come lui. Temari planava sopra il suo ventaglio d’acciaio, le mani e le pieghe dello strumento macchiate di sangue per evocare a sé i fedeli kamatari, le bestie abili nell’uso del chakra con cui aveva stretto un patto tanti anni prima.

A terra, il fratello più piccolo guizzava da una parte all’altra del villaggio, le marionette seguivano i suoi comandi condotte dall’esperienza di una vita, cercando chiunque non si fosse reso conto del pericolo e conducendolo verso un rifugio sicuro.

Erano la perfetta sintesi della sicurezza che gli abitanti del villaggio avevano ricevuto in tutti quegli anni. Non potevano, in alcun modo, dubitare di loro.

 

Non lo sapevano. Non potevano intuirlo in alcun modo: le maschere dei due giovani, una composta di pittura e l’altra di pura forza di volontà, erano un miraggio dietro cui non risiedeva un’oasi di pace, ma il deserto, arido e ricolmo dei suoi pericoli.

Temari aveva sospettato che Kankurō avesse afferrato qualcosa, tuttavia sapeva di essere l’unica a cui quell’odore terribile avesse richiamato un pozzo senza fondo di ricordi. Il sangue le copriva la pelle delle braccia e la carne lacerata bruciava a contatto con l’aria contro cui sferzava volando sul suo ventaglio, ma lei non era più nel suo corpo da tempo immemore. Vedeva il fondo di quella caduta libera, una luce rivelatoria o ingannevole che fosse.

Quest’odore insopportabile… sa di foglie e terra marce.

 

Quella strana riflessione, affiorata dal subconscio, la stordì peggio del dolore o della concentrazione. Riportava il suo sguardo acquamarina indietro, a quel passato da cui sperava d’essersi allontanata per sempre, ma che tornava a tormentarla.

Non si era accorta che la tempesta di sabbia l’aveva capito. Uno stridio sospetto crebbe sopra di lei e, imprigionata com’era nei suoi pensieri, Temari scorse a malapena qualche granello di sabbia centellinare dal soffitto della barriera.

La donna era completamente avvinta da quel viaggio dove era di nuovo una bambina dal viso d’ingenua spavalderia e si perdeva in quegli sprazzi di sensazioni passate: percepiva il caldo sole di una stagione sempre uguale a sé stessa, la pelle sudata dentro i vestiti leggeri e avviluppata in un alone di straordinaria caparbietà, in cui ogni bambino si sarebbe sentito capace di conquistare il mondo…

Sulla luce in fondo al pozzo della memoria si delineò una figura in ombra e lei la braccò con l’ostinazione tipica dell’età infantile, desiderando l’ebbrezza di un’avventura che le avrebbe permesso di ottenere le adulazioni dei suoi insegnanti e le occhiate orgogliose del padre…

 

Proprio mentre quella penombra ingannevole si dissolveva rivelandole il corpicino mingherlino di un bambino, la kunoichi si rese conto che non c’era acqua sul fondo: era il riflesso della pietra ad averla ingannata così facilmente.  

Gaara?!

Lo stesso fratellino che aveva sperato di abbracciare nei suoi pensieri. Gli stessi capelli rossi, lo stesso incarnato cianotico, le stesse mani dalle dita smilze. Il sorriso di un mostro sulle labbra sottili. La paura le strinse le viscere. Dalle profondità dei ricordi, trasse una voce distante, l’ancora di salvezza per quando quel suo piccolo, diabolico, fratello aveva cercato di sfidare il suo diritto alla sopravvivenza. Rammentava persino le mani nodose della sua balia che le accarezzavano i capelli scomposti, ordinando le sue paure e gettandoci sopra un fascio di speranza.

«Vedrai, piccola Temari… Arriverà il vento di foglie e terra marcia e so lo porterà via… Non dovremo più avere niente a che fare con quel…»

 

Poi, con un assordante rumore di vetri in frantumi, la barriera di chakra si spezzò. Polvere e morte si riversarono nella tana che Gaara, Temari e Kankurō avevano giurato di proteggere. La kunoichi serrò lo sguardo. Non ebbe il tempo di fare alcunché.

Allora è vero…

Il pensiero le crollo addosso così come la sabbia. Avvertì il peso della sua stretta mortale sui polmoni. Vide l’oscurità arida della polvere che le entrava negli occhi spalancati. Boccheggiava, il suono gracchiante dei suoi ansimi le riempì le orecchie. Ai limiti del suo sguardo rifulsero tanti punti di luce accecanti, dove le parve di scorgere il viso devastato di Kankurō.

Si rese conto della propria superficialità.

 

«Sorellona!»

L’urlo del fratello era un velo leggero, inghiottito dal rombo secco della sabbia. Temari ci si aggrappò come un’ancora di salvezza, cercando disperatamente la forza di reagire. Il sangue ardeva sulle sue braccia e richiamava a sé i kamatari, li guidava verso il punto in cui quel turbinio la stava trascinando, sempre più in basso, lontana dal suo elemento.

Vide quelle povere creature che la tallonavano, che tentavano di perforare il pulviscolo consistente come una parete di roccia per seguirla ovunque stesse andando. Eppure, quella tempesta aveva una sua volontà, più forte e terribile di un banale patto di sangue. Temari non si stupì quando vide i kamatari avvinti dalle correnti di quel mulinello asciutto, quando rimirò le nuvole di fumo che producevano poco prima di sparire, rompendo il legame con lei per sopravvivere. Anche lei, dopotutto, aveva temuto che una persona a lei vicina le strappasse la vita.

«Gaara… cosa ti ho fatto fratellino?»

Il senso di colpa morì nella tosse e così la kunoichi concluse il volo nella bufera. Precipitò per terra inghiottendo terra e pulviscolo. Non riuscì nemmeno a sentire l’impatto, tanto il suo istinto era proteso verso quell’ossigeno assente nell’atmosfera.

È tutto inutile…

S’accasciò sul terreno, non riuscendo nemmeno a piangere: la sabbia la stava prosciugando del tutto. Rombava imperterrita attorno a lei, impedendole di capire quanta distruzione stesse portando alla sua casa. Alla sua gente.

 

Avrei dovuto… Avrei dovuto fare di più per tutti voi.

I respiri di Temari si erano fatti brevi e pieni di sabbia. Gli occhi stavano perdendo vitalità. Proprio quando stava per cedere a ciò che si celava oltre l’oscurità, il passato riemerse ancora, ma questa volta per confortarla.

Sarebbe stato bello vedere con te l’alba… mio pezzo di cuore…

Quasi rise di fronte a quel pensiero. Immaginò il viso appuntito dell’uomo che amava, i suoi occhi dal taglio allungato e quei suoi capelli neri e cespugliosi. Le sembrava proprio di osservarlo là, con lei, mentre la metteva seduta con le sue braccia all’apparenza gracili, che nonostante tutto erano in grado di farla sentire accolta come sotto una coperta. Odorava persino l’inconfondibile gusto di sigaretta su per le narici e quella sua voce secca, disperata, che rimbombava nelle sue orecchie con un suono ovattato.

Già… Mi sarebbe piaciuto vedere quel cespuglio di capelli sulla testa di un bambino… Temari bofonchiò una risata. Non riusciva nemmeno ad alzare il braccio per accarezzare la guancia un po’ bagnata del miraggio da cui era tratta in salvo.

 

Poi, quel ragazzo dagli occhi neri e acuti d’una volpe premette le labbra dal sapore di fumo sulla bocca di Temari, immettendole nuova aria in circolo. Lei inarcò la schiena, esterrefatta. Il cuore batté più forte: l’uomo stava premendo le mani contro il suo petto, donando un nuovo ritmo vitale all’organo che minacciava di fermarsi. Temari allargò gli occhi. Non si era accorta di essere tornata alla realtà.

S’issò a sedere e il mondo prese a girarle intorno.

 

«Stupida! Stai giù!» eccolo là, Shikamaru, di fianco a lei! Gli occhi verde acqua di Temari lo fissavano senza vederlo per davvero. Avvertiva soltanto la stretta delle sue mani calde contro la pelle fredda delle braccia e la forza con cui la ristendeva di nuovo per terra. Qualcosa luccicava agli angoli degli occhi di quello scemo.

«Dannazione, Temari! Kankurō ci ha detto tutto, volevi suicidarti?!»

Kankurō?! La domanda del ragazzo passò in secondo piano. Temari si rialzò appoggiandosi sui gomiti, ignorando le proteste di Shikamaru. La testa stava smettendo di girarle e, adesso, squadrava la situazione meglio di prima.

La tempesta di sabbia infuriava ancora, ma non era più con loro. Batteva ferocemente di nuovo contro una barriera di chakra, su cui si stendeva continuando a oscurare il villaggio. Eppure, il riverbero bluastro del chakra le permise di distinguere chiaramente le case e gli abitanti del villaggio, tutti liberi dal giogo del terribile fenomeno atmosferico.

«Cosa… Cosa è successo?» chiese di rimando a Shikamaru, ma prima che lui aprisse bocca per rimproverarla, una voce attrasse la sua attenzione. «Santo cielo, Temari!» ora che il frastuono della tempesta era attutito, la donna poté udire i passi rapidi e la voce conosciuta di qualcun altro.

 

«Ino…» era davvero la kunoichi del Villaggio della Foglia quella che li raggiunse ai limitari del perimetro della barriera, anche se quest’ultima stentò a riconoscere la donna del Villaggio della Sabbia: la sorella del Quinto Kazekage giaceva con i capelli biondo sabbia stravolti dal vento. Screpolature s’affacciavano sulle labbra e sul viso bianco come un lenzuolo. Il vestito nero era stracciato mostrando lividi su gambe e braccia. Il petto le si alzava tremante, come se stesse reimparando a respirare normalmente. Una vena si chiuse nella testa di Ino e fissò il compagno di team irritata.

«Shikamaru, sei uno scemo! Dovevi chiamarmi immediatamente!» sbottò infine, spostando vigorosamente il ragazzo e accostandosi di fianco alla donna convalescente, le mani protese all’altezza del suo cuore. Un velo di chakra le cinse i palmi, stillando energia guaritrice sull’incavo del seno di Temari fino al resto del corpo.

La donna prese un profondo respiro, gemendo: aria e sangue circolavano veloci e, d’improvviso, sentì le forze che le tornavano. «Mi… mi sono distratto» il pigolio di Shikamaru era così tenero che Temari non resistette: cercò la sua mano a tentoni e la strinse forte. Riconobbe immediatamente il callo sul pollice derivato dall’accendino. Lui contraccambiò la presa e le si accostò vicino, le guance rosa d’imbarazzo e altre emozioni difficili da distinguere.

«Abbi pazienza, Ino… Credeva che gli sarei morta di fronte» la ragazza sbuffò, ma non osò dire null’altro. Lei e Shikamaru capivano benissimo cosa si provasse di fronte a una persona cara sul punto di morire.

Restarono in silenzio per qualche istante, offrendo il tempo a Temari di ritornare pienamente in sé. Poi l’aiutarono ad alzarsi e si misero in cammino verso il centro di comando improvvisato dove Baki, Kankurō e il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia discutevano animosamente.

 

«La tempesta ci ha preso due ore dopo che ci eravamo accampati: stavo facendo il mio turno di guardia quando ho visto una strana linea scura all’orizzonte, ma quel furbone di Shikamaru non mi voleva dare retta!»

«Che seccatura che sei, Ino…» replicò l’uomo accostando Temari più vicino a sé, le guance rosa d’imbarazzo. Per tutta risposta, la kunoichi del Villaggio della Sabbia non poteva smettere di sogghignare: conosceva bene quel ragazzo dall’espressione perennemente stanca e i continui battibecchi che lui e la sua compagna di team si rivolgevano. Trovava divertente il modo in cui reagiva a una banale presa in giro e, se fosse stato per lei, l’avrebbe fatto ogni giorno della sua vita.

Se solo fossi così audace anche con te, fratellino…

Quell’abbraccio non dato ritornò vivido per ferirla con la propria fragilità. Questa volta, fu lei a stringersi di più a Shikamaru, appigliandosi al suo fianco con forza. Lui capì, o quantomeno colse cosa si celava dietro quella sua occhiata assente. Sei sempre troppo abile nel capire cosa mi passi per la testa… Pensò Temari avvertendo le dita dell’uomo che le accarezzavano le spalle, donandole un minimo sollievo.

Tuttavia, la sensazione sparì quasi subito in puro imbarazzo quando la donna scorse lo sguardo sornione di Ino da cui erano osservati con molta attenzione.

 

«Insomma, morale della favola: il Sesto Hokage ci passa vicino, capisce che io ho ragione e ci ordina di correre qui ad aiutarvi! Abbiamo dovuto attraversare una dozzina di chilometri dentro una bolla di chakra» «Questo vuol dire che il Villaggio della Sabbia è circondato dalla tempesta?» Temari era grata che Ino non avesse infierito con una delle sue battute. Le piaceva prenderli in giro, ma la kunoichi della Foglia aveva carpito che la sofferenza dell’altra non era dovuta soltanto a quell’incontro ravvicinato con la morte. Il suo sguardo era un mare smosso, dove fra le onde scure si sollevavano più dubbi che pensieri.

«Proprio così, anche se è un po’ strano: abbiamo studiato il clima del Paese del Vento per prepararci alla traversata nel deserto e questo non doveva essere periodo di tempeste… Credo che l’Hokage sappia qualcosa e abbia voluto parlarne immediatamente con tuo fratello e quel vecchiaccio dalle labbra secche.»

«Dannazione, Ino! Riesci a stare seria per un momento?» Shikamaru roteò gli occhi, ma non ebbe la forza d’insistere: tutt’attorno a loro osservavano i danni che la scarsa presenza della tempesta aveva causato al villaggio. Brandelli di parete cadevano dai bordi degli edifici. Ninja medico correvano fra le vie del villaggio, trasportando barelle con i feriti, oppure cullando in braccio bambini dagli sguardi atterriti, su cui gocciolavano rivoli di sangue freschi. Era del tutto comprensibile che la sua amica cercasse di distrarsi da quella situazione che rievocava la distruzione della guerra.

Anche tu… anche tu cerchi di sfuggire a qualcosa, eh ragazza tosta?

 

Shikamaru la scrutava in quei frangenti in cui lei non ci avrebbe badato, rimirando quei suoi capelli tendenti al riccio e desiderando di accarezzarli con le dita. Si limitava a sorreggere quell’anima che pareva sul punto di andare in pezzi in ogni momento e ripensava all’Hokage, a quello sguardo nero e impenetrabile con cui li aveva guidati sino a lì, scagliando una sfilza di fulmini viola contro il vento e la sabbia, sparendo fra le spire della bufera per uscirne più serio e scuro in volto.

Hokage… cos’hai visto nell’ombra?

Domande a cui, presto, avrebbe dato una risposta.

 

La prossimità del quartier generale di fortuna fu preannunciata da una certa confusione e da urla ben poco piacevoli. «Kankurō!» esclamò Temari liberandosi improvvisamente dalla stretta e correndo verso il luogo di provenienza delle grida, ancora celato dalla figura di un edificio. «Aspetta Temari!» Shikamaru la raggiunse immediatamente, ma la donna sembrava che si fosse ripresa del tutto.

«Ehi, aspettatemi!» sentirono entrambi Ino distante come se fosse stata spinta via lontano, a centinaia di chilometri. Di fronte a loro, Temari e Shikamaru assistettero a qualcosa che non si sarebbero mai aspettati. La bocca della donna reagì d’impulso a quella scena, rimbrottando contro l’unica persona su cui avesse una qualche sorta d’influenza.

«Cosa diavolo stai facendo Kankurō?!» il suo fratello di mezzo, il suo scontroso fratellino, era ritto, con fili di chakra che s’allungavano dalle sue dita per manipolare il corpo artificiale di Sasori, la marionetta. Questa molleggiava a mezz’aria in attesa degli ordini del suo padrone, mentre tutt’attorno a essi si ergeva un muro concentrico di ninja della Foglia pronti ad attaccare, con i kunai, shuriken, spille e pergamene impregnate di chakra ben alte di fronte a loro.

Con l’istinto forgiato dall’addestramento ninja, Temari estrasse una pergamena simile alle altre. Da essa si riprese il ventaglio che aveva perso nella tempesta, dopo aver formato con le mani i sigilli necessari al richiamo del suo strumento. Lo aprì, pronta a scuoterlo nel caso qualcuno avesse tentato di far del male al fratello.

Se ha evocato Sasori significa che la situazione è peggio di quanto sembra…

Il ragionamento di Temari venne interrotto dalla voce violenta del fratello, ancora graffiante per via della sabbia in gola.

 

«Non capisci, Temari! Quel pallone gonfiato ci sta… sta offendendo la nostra gente e oltraggia il nostro Kazekage!» la kunoichi non comprese subito. Setacciò il gruppo di persone ammassate ai confini della scena per incrociare Baki. Lo notò fra un gruppo di ninja della Sabbia che stavano puntando le armi, a loro volta, contro il gruppo di ninja della Foglia che minacciava Kankurō.

Poi lo vide. Il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia stava ritto di fronte a Kankurō, come la statua di un autorevole leader qual era. I capelli argentei scintillavano anche nella penombra causata dalla tempesta e sulla faccia, nascosta per metà dalla mascherina fino al naso, spiccavano gli occhi nero pece.

Uno sguardo intenso e pericoloso, rivolto a lei.

«’sera Temari. Potresti dire con il tuo… fratellino di smettersela, prima che si faccia male?» le parlò con tono cortese, fin troppo per il modo in cui i suoi muscoli erano tesi e la sua espressione affilata come una lama. Temari deglutì a vuoto, pur allentando la posizione di guardia.

«Non dargli ascolto! Questo traditore cerca volontariamente di minare l’alleanza fra di noi e la Foglia! Ha osato…»

«Ha detto che c’è Gaara dietro tutto questo?»

 

La domanda di Temari zampillò da lei come se non l’avesse mai pronunciata. Era una cascata che precipitava ghiacciata su tutto il manipolo in tensione, cogliendoli di sorpresa. La fissarono tutti quanti spiazzati. Le loro armi si abbassarono. Persino Baki, il suo indecifrabile maestro, le rivolse un’occhiata frastornata.

L’unico che continuò a fissarla privo del benché minimo cedimento fu l’Hokage. Le si avvicinò a passi lenti, mostrandole un improvviso interesse. «Posso chiederti come fai a saperlo, Temari della Sabbia?» c’era una strana forma di rispetto in quella richiesta, la stessa attenzione con cui aveva visto l’Hokage rivolgersi a Gaara in tanti incontri diplomatici. Per un attimo, la turbò.

Avvertì a malapena la presenza di Shikamaru e Ino al suo fianco, probabilmente rimasti indietro per non animare ulteriormente quegli istanti di tensione. Le dita di Shikamaru le sfiorarono inavvertitamente il braccio. Allora si riprese.

«Perché le mie preghiere sono state esaudite, Hokage» deglutì ancora, sabbia e l’odore di terra e foglie marce le inondarono il palato. «Cosa intendi dire?» l’Hokage aveva quasi uno sguardo lucente. La luna fece capolino da quella foschia perenne e dorata.

 

«La strega dell’est… Nocnitsa è venuto a prenderlo.»

 

Continua nel Capitolo III: Le streghe dell’animo umano

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: Fenici_Bianche