Capitolo
II: Odore di foglie e terra marce
Gli
abitanti del Villaggio della
Sabbia avevano compreso che una tempesta stava arrivando. Abituati
com’erano al
deserto, dentro cui erano maturati come cactus sulle rocce impervie,
l’avevano
riconosciuta immediatamente grazie a quell’improvviso cambio
di pressione che
aveva scaldato l’aria sulle braccia nude, a quel tocco
graffiante delle
particelle di sabbia sulle narici.
Quando
avevano scorto l’orizzonte
limpido macchiarsi di una linea di foschia, avevano afferrato di colpo
la
gravità della situazione: restavano poche ore prima che la
tempesta si
riversasse all’interno della conca naturale dove sorgeva il
villaggio,
riempiendola di polvere e morte.
Per
questo, i ninja erano corsi
dai consiglieri del villaggio, perché impartissero gli
ordini necessari a
creare una barriera di chakra che contrastasse l’avanzata
della sabbia per
mettere in salvo i civili: Baki li comandava con il pugno di ferro,
controllando che nemmeno una persona fosse lasciata senza aiuto. Anche
i deboli
che, un tempo, avrebbe disprezzato.
Per
questo, i due fratelli
maggiori del Kazekage avevano raggiunto la sua Residenza in fretta, per
buttarlo giù dal letto, domandandosi come fosse possibile
che l’uomo in grado
di percepire ogni minima variazione del deserto, non avesse ancora
intuito il
pericolo.
Proprio
per questo, quel letto intonso
di fronte agli occhi di Temari e Kankurō apparve una minaccia
più grande della
distruzione che si annunciava alle loro porte.
Lo
rimirarono come se Gaara fosse
là, addormentato, e gli angoli piegati del lenzuolo,
sgualciti dal vento che si
stava alzando, stessero sfiorando quel viso emaciato, da malato, oppure
quelle
braccia sottili che risaltavano dentro le tuniche ampie di cui spesso
si
rivestiva.
La
stessa stoffa che Temari aveva
visto ciondolare, quella sera, dai polsi del Kazekage mentre strisciava
le mani
tremanti sulla fronte solcata da uno strano sudore freddo. Le parve di
rivederlo
là, quel suo piccolo e pestifero fratello, il terzo uomo da
cui avrebbe sempre
tratto una marea di guai, eppure che non poteva smettere di amare con
tutta sé
stessa.
Percepì
quella fortissima
commozione avvinghiarle il petto in quell’istante. Il
rimpianto la costrinse a
mordersi il labbro inferiore, unico lusso che potesse concedersi.
Kankurō
rifiutò persino quella
magrissima consolazione. «Temari, cosa
facciamo?» la sorella
maggiore non avrebbe saputo cosa rispondere a quella voce prosciugata
di
qualunque sfumatura, una maschera coprente come la pittura tradizionale
che il
fratello si cospargeva sul viso. Il ninja la scrutava senza realmente
vederla
con quegli occhi marrone scuro e i suoi vestiti neri parevano indossati
da una
delle sue marionette, tanto era impercettibile il movimento del
respiro.
Temari
deglutì a vuoto, ma si
riprese dal suo confinamento mentale ritornando a quel vento da cui i
loro
abiti venivano strattonati, sempre più forte e fragoroso, a
quell’urgenza che
li aveva sospinti nell’unica tana in cui credevano vi fosse
rifugio e che, tuttavia,
li aveva traditi. D’improvviso, si accorse di uno strano
sentore di cui la
camera di Gaara era pervasa: un odore marcescente, da cui rievocava
ricordi che
acuivano quella tremenda sensazione di rimpianto.
Allora
indossò la sua apparenza
indifferente, perché calzasse con quella del familiare con
cui aveva convissuto
sin da quando aveva memoria.
«Quello
per cui siamo stati
addestrati, Kankurō. Proteggiamo il
villaggio.» la voce con cui gli
rispose, fredda, la ferì. Poteva percepire
quell’inconfondibile sapore ferroso sulla
lingua, anche se non aveva perso nemmeno una goccia di sangue.
L’odore
putrescente li inseguì
mentre partivano senza emettere un suono, come ombre quali erano.
Così
giunse la tempesta. Temari e
Kankurō ebbero il tempo d’informare il consiglio della
scomparsa del loro
leader. Furono in grado di partecipare alla preparazione della barriera
di
chakra che avrebbe protetto l’abitato. Si erano mossi per
tempo, ignorando la
paura in cui le loro viscere erano state attanagliate e la frenesia
dell’animo.
Avevano fatto tutto quanto in loro potere, prima che la tempesta li
raggiungesse.
In
principio, nessuno di loro
volle dubitare su quanto conoscessero del deserto e sui suoi fenomeni
atmosferici.
Quella
mareggiata arida bussò
forte contro la barriera innalzata. Picchiò così
tanto da costringere i ninja
specializzati nel controllo del chakra a darsi cambi repentini per
mantenere la
protezione. Alcuni vennero tolti di peso dal loro compito, con le
labbra
semiaperte da cui fiottava un rivolo di sangue, per via della fatica, o
con gli
occhi rivolti in alto, in procinto di svenire. Nonostante fossero
segnali
bizzarri, gli abitanti del villaggio continuavano a riporre una fiducia
incondizionata nell’operato dei ninja.
Dalla
loro parte, dopotutto,
avevano il sangue dell’attuale Kazekage
e di quello precedente: Temari e
Kankurō erano due copie dei loro genitori e, sebbene avessero ben poche
similitudini con il fratello minore, lavoravano senza sosta esattamente
come
lui. Temari planava sopra il suo ventaglio d’acciaio, le mani
e le pieghe dello
strumento macchiate di sangue per evocare a sé i fedeli
kamatari, le bestie
abili nell’uso del chakra con cui aveva stretto un patto
tanti anni prima.
A
terra, il fratello più piccolo
guizzava da una parte all’altra del villaggio, le marionette
seguivano i suoi
comandi condotte dall’esperienza di una vita, cercando
chiunque non si fosse
reso conto del pericolo e conducendolo verso un rifugio sicuro.
Erano
la perfetta sintesi della
sicurezza che gli abitanti del villaggio avevano ricevuto in tutti
quegli anni.
Non potevano, in alcun modo, dubitare di loro.
Non
lo sapevano. Non potevano
intuirlo in alcun modo: le maschere dei due giovani, una composta di
pittura e
l’altra di pura forza di volontà, erano un
miraggio dietro cui non risiedeva
un’oasi di pace, ma il deserto, arido e ricolmo dei suoi
pericoli.
Temari
aveva sospettato che
Kankurō avesse afferrato qualcosa, tuttavia sapeva
di essere l’unica a
cui quell’odore terribile avesse richiamato un pozzo senza
fondo di ricordi. Il
sangue le copriva la pelle delle braccia e la carne lacerata bruciava a
contatto
con l’aria contro cui sferzava volando sul suo ventaglio, ma lei
non era più
nel suo corpo da tempo immemore. Vedeva il fondo di quella
caduta libera,
una luce rivelatoria o ingannevole che fosse.
Quest’odore
insopportabile… sa di
foglie e terra marce.
Quella
strana riflessione,
affiorata dal subconscio, la stordì peggio del dolore o
della concentrazione.
Riportava il suo sguardo acquamarina indietro, a quel passato da cui
sperava d’essersi
allontanata per sempre, ma che tornava a tormentarla.
Non
si era accorta che la tempesta
di sabbia l’aveva capito. Uno stridio
sospetto crebbe sopra di lei e,
imprigionata com’era nei suoi pensieri, Temari scorse a
malapena qualche
granello di sabbia centellinare dal soffitto della barriera.
La
donna era completamente avvinta
da quel viaggio dove era di nuovo una bambina dal viso
d’ingenua spavalderia e
si perdeva in quegli sprazzi di sensazioni passate: percepiva il caldo
sole di
una stagione sempre uguale a sé stessa, la pelle sudata
dentro i vestiti
leggeri e avviluppata in un alone di straordinaria
caparbietà, in cui ogni
bambino si sarebbe sentito capace di conquistare il mondo…
Sulla
luce in fondo al pozzo della
memoria si delineò una figura in ombra e lei la
braccò con l’ostinazione tipica
dell’età infantile, desiderando
l’ebbrezza di un’avventura che le avrebbe
permesso di ottenere le adulazioni dei suoi insegnanti e le occhiate
orgogliose
del padre…
Proprio
mentre quella penombra
ingannevole si dissolveva rivelandole il corpicino mingherlino di un
bambino,
la kunoichi si rese conto che non c’era acqua sul fondo: era
il riflesso della
pietra ad averla ingannata così facilmente.
Gaara?!
Lo
stesso fratellino che aveva
sperato di abbracciare nei suoi pensieri. Gli stessi capelli rossi, lo
stesso
incarnato cianotico, le stesse mani dalle dita smilze. Il sorriso di un
mostro
sulle labbra sottili. La paura le strinse le viscere. Dalle
profondità dei
ricordi, trasse una voce distante, l’ancora di salvezza per
quando quel suo
piccolo, diabolico, fratello aveva
cercato di sfidare il suo
diritto alla sopravvivenza. Rammentava persino le mani nodose della sua
balia
che le accarezzavano i capelli scomposti, ordinando le sue paure e
gettandoci
sopra un fascio di speranza.
«Vedrai,
piccola Temari… Arriverà
il vento di foglie e terra marcia e so lo porterà
via… Non dovremo più avere
niente a che fare con quel…»
Poi,
con un assordante rumore di
vetri in frantumi, la barriera di chakra si spezzò. Polvere
e morte si
riversarono nella tana che Gaara, Temari e Kankurō avevano giurato di
proteggere. La kunoichi serrò lo sguardo. Non ebbe il tempo
di fare alcunché.
Allora
è vero…
Il
pensiero le crollo addosso così
come la sabbia. Avvertì il peso della sua stretta mortale
sui polmoni. Vide
l’oscurità arida della polvere che le entrava
negli occhi spalancati.
Boccheggiava, il suono gracchiante dei suoi ansimi le riempì
le orecchie. Ai
limiti del suo sguardo rifulsero tanti punti di luce accecanti,
dove le
parve di scorgere il viso devastato di Kankurō.
Si
rese conto della propria
superficialità.
«Sorellona!»
L’urlo
del fratello era un velo
leggero, inghiottito dal rombo secco della sabbia. Temari ci si
aggrappò come
un’ancora di salvezza, cercando disperatamente la forza di
reagire. Il sangue
ardeva sulle sue braccia e richiamava a sé i kamatari, li
guidava verso il
punto in cui quel turbinio la stava trascinando, sempre più in
basso,
lontana dal suo elemento.
Vide
quelle povere creature che la
tallonavano, che tentavano di perforare il pulviscolo consistente come
una
parete di roccia per seguirla ovunque stesse andando. Eppure, quella
tempesta
aveva una sua volontà, più forte e terribile di
un banale patto di sangue.
Temari non si stupì quando vide i kamatari avvinti dalle
correnti di quel
mulinello asciutto, quando rimirò le nuvole di fumo che
producevano poco prima
di sparire, rompendo il legame con lei per sopravvivere. Anche lei,
dopotutto,
aveva temuto che una persona a lei vicina le strappasse la vita.
«Gaara…
cosa ti ho fatto
fratellino?»
Il
senso di colpa morì nella tosse
e così la kunoichi concluse il volo nella bufera.
Precipitò per terra
inghiottendo terra e pulviscolo. Non riuscì nemmeno a
sentire l’impatto, tanto
il suo istinto era proteso verso quell’ossigeno assente
nell’atmosfera.
È
tutto inutile…
S’accasciò
sul terreno, non
riuscendo nemmeno a piangere: la sabbia la stava prosciugando del
tutto.
Rombava imperterrita attorno a lei, impedendole di capire quanta
distruzione stesse
portando alla sua casa. Alla sua gente.
Avrei
dovuto…
Avrei dovuto fare di più per tutti voi.
I
respiri di Temari si erano fatti
brevi e pieni di sabbia. Gli occhi stavano perdendo
vitalità. Proprio quando
stava per cedere a ciò che si celava oltre
l’oscurità, il passato riemerse ancora,
ma questa volta per confortarla.
Sarebbe
stato bello vedere con te
l’alba… mio pezzo di cuore…
Quasi
rise di fronte a quel
pensiero. Immaginò il viso appuntito dell’uomo che
amava, i suoi occhi dal
taglio allungato e quei suoi capelli neri e cespugliosi. Le sembrava
proprio di
osservarlo là, con lei, mentre la metteva seduta con le sue
braccia all’apparenza
gracili, che nonostante tutto erano in grado di farla sentire accolta
come sotto
una coperta. Odorava persino l’inconfondibile gusto di
sigaretta su per le
narici e quella sua voce secca, disperata, che
rimbombava nelle sue
orecchie con un suono ovattato.
Già…
Mi sarebbe piaciuto vedere
quel cespuglio di capelli sulla testa di un bambino…
Temari bofonchiò una risata. Non riusciva nemmeno ad alzare
il braccio per
accarezzare la guancia un po’ bagnata del miraggio da cui era
tratta in salvo.
Poi,
quel ragazzo dagli occhi neri
e acuti d’una volpe premette le labbra dal sapore di fumo
sulla bocca di
Temari, immettendole nuova aria in circolo. Lei inarcò la
schiena,
esterrefatta. Il cuore batté più forte:
l’uomo stava premendo le mani contro il
suo petto, donando un nuovo ritmo vitale all’organo che
minacciava di fermarsi.
Temari allargò gli occhi. Non si era accorta di essere
tornata alla realtà.
S’issò
a sedere e il mondo prese a
girarle intorno.
«Stupida!
Stai giù!»
eccolo là, Shikamaru, di fianco a lei! Gli occhi verde acqua
di Temari lo
fissavano senza vederlo per davvero. Avvertiva soltanto la stretta
delle sue
mani calde contro la pelle fredda delle braccia e la forza con cui la
ristendeva di nuovo per terra. Qualcosa luccicava agli angoli degli
occhi di
quello scemo.
«Dannazione,
Temari! Kankurō ci ha
detto tutto, volevi suicidarti?!»
Kankurō?!
La domanda del ragazzo passò in secondo piano. Temari si
rialzò appoggiandosi
sui gomiti, ignorando le proteste di Shikamaru. La testa stava
smettendo di
girarle e, adesso, squadrava la situazione meglio di prima.
La
tempesta di sabbia infuriava
ancora, ma non era più con loro. Batteva
ferocemente di nuovo contro una
barriera di chakra, su cui si stendeva continuando a oscurare il
villaggio.
Eppure, il riverbero bluastro del chakra le permise di distinguere
chiaramente
le case e gli abitanti del villaggio, tutti liberi dal giogo del
terribile fenomeno
atmosferico.
«Cosa…
Cosa è successo?»
chiese di rimando a Shikamaru, ma prima che lui aprisse bocca per
rimproverarla, una voce attrasse la sua attenzione. «Santo
cielo, Temari!»
ora che il frastuono della tempesta era attutito, la donna
poté udire i passi
rapidi e la voce conosciuta di qualcun altro.
«Ino…»
era davvero la kunoichi del
Villaggio della Foglia quella che li raggiunse ai limitari del
perimetro della
barriera, anche se quest’ultima stentò a
riconoscere la donna del Villaggio
della Sabbia: la sorella del Quinto Kazekage giaceva con i capelli
biondo
sabbia stravolti dal vento. Screpolature s’affacciavano sulle
labbra e sul viso
bianco come un lenzuolo. Il vestito nero era stracciato mostrando
lividi su
gambe e braccia. Il petto le si alzava tremante, come se stesse
reimparando a
respirare normalmente. Una vena si chiuse nella testa di Ino e
fissò il
compagno di team irritata.
«Shikamaru,
sei uno scemo! Dovevi
chiamarmi immediatamente!» sbottò infine,
spostando vigorosamente il ragazzo e
accostandosi di fianco alla donna convalescente, le mani protese
all’altezza
del suo cuore. Un velo di chakra le cinse i palmi, stillando energia
guaritrice
sull’incavo del seno di Temari fino al resto del corpo.
La
donna prese un profondo
respiro, gemendo: aria e sangue circolavano veloci e,
d’improvviso, sentì le
forze che le tornavano. «Mi… mi sono distratto»
il pigolio di Shikamaru
era così tenero che Temari non
resistette: cercò la sua mano a tentoni e
la strinse forte. Riconobbe immediatamente il callo sul pollice
derivato
dall’accendino. Lui contraccambiò la presa e le si
accostò vicino, le guance
rosa d’imbarazzo e altre emozioni difficili da distinguere.
«Abbi
pazienza, Ino… Credeva che
gli sarei morta di fronte» la ragazza sbuffò, ma
non osò dire null’altro. Lei e
Shikamaru capivano benissimo cosa si provasse di fronte a una persona
cara sul
punto di morire.
Restarono
in silenzio per qualche
istante, offrendo il tempo a Temari di ritornare pienamente in
sé. Poi l’aiutarono
ad alzarsi e si misero in cammino verso il centro di comando
improvvisato dove
Baki, Kankurō e il Sesto Hokage del Villaggio della Foglia discutevano
animosamente.
«La
tempesta ci ha preso due ore
dopo che ci eravamo accampati: stavo facendo il mio turno di guardia
quando ho
visto una strana linea scura all’orizzonte, ma quel furbone
di Shikamaru non mi
voleva dare retta!»
«Che
seccatura che sei, Ino…» replicò
l’uomo accostando Temari più vicino a
sé, le guance rosa d’imbarazzo. Per tutta
risposta, la kunoichi del Villaggio della Sabbia non poteva smettere di
sogghignare: conosceva bene quel ragazzo dall’espressione
perennemente stanca e
i continui battibecchi che lui e la sua compagna di team si
rivolgevano. Trovava
divertente il modo in cui reagiva a una banale presa in giro e, se
fosse stato
per lei, l’avrebbe fatto ogni giorno della sua vita.
Se
solo fossi così audace anche
con te, fratellino…
Quell’abbraccio
non dato ritornò
vivido per ferirla con la propria fragilità. Questa volta,
fu lei a stringersi
di più a Shikamaru, appigliandosi al suo fianco con forza.
Lui capì, o
quantomeno colse cosa si celava dietro quella sua occhiata assente. Sei
sempre troppo abile nel capire cosa mi passi per la testa… Pensò
Temari
avvertendo le dita dell’uomo che le accarezzavano le spalle,
donandole un
minimo sollievo.
Tuttavia,
la sensazione sparì
quasi subito in puro imbarazzo quando la donna scorse lo sguardo
sornione di
Ino da cui erano osservati con molta attenzione.
«Insomma,
morale della favola: il
Sesto Hokage ci passa vicino, capisce che io ho ragione e ci ordina di
correre
qui ad aiutarvi! Abbiamo dovuto attraversare una dozzina di chilometri
dentro
una bolla di chakra» «Questo vuol dire che il
Villaggio della Sabbia è
circondato dalla tempesta?» Temari era grata che Ino non
avesse infierito con
una delle sue battute. Le piaceva prenderli in giro, ma la kunoichi
della
Foglia aveva carpito che la sofferenza dell’altra non era
dovuta soltanto a
quell’incontro ravvicinato con la morte. Il suo sguardo era
un mare smosso,
dove fra le onde scure si sollevavano più dubbi che pensieri.
«Proprio
così, anche se è un po’
strano: abbiamo studiato il clima del Paese del Vento per prepararci
alla
traversata nel deserto e questo non doveva essere periodo di
tempeste… Credo
che l’Hokage sappia qualcosa e abbia voluto parlarne
immediatamente con tuo
fratello e quel vecchiaccio dalle labbra secche.»
«Dannazione,
Ino! Riesci a stare
seria per un momento?» Shikamaru roteò gli occhi,
ma non ebbe la forza d’insistere:
tutt’attorno a loro osservavano i danni che la scarsa
presenza della tempesta
aveva causato al villaggio. Brandelli di parete cadevano dai bordi
degli edifici.
Ninja medico correvano fra le vie del villaggio, trasportando barelle
con i feriti,
oppure cullando in braccio bambini dagli sguardi atterriti, su cui
gocciolavano
rivoli di sangue freschi. Era del tutto comprensibile che la sua amica
cercasse
di distrarsi da quella situazione che rievocava la distruzione della
guerra.
Anche
tu… anche tu cerchi di
sfuggire a qualcosa, eh ragazza tosta?
Shikamaru
la scrutava in quei
frangenti in cui lei non ci avrebbe badato, rimirando quei suoi capelli
tendenti
al riccio e desiderando di accarezzarli con le dita. Si limitava a
sorreggere
quell’anima che pareva sul punto di andare in pezzi in ogni
momento e ripensava
all’Hokage, a quello sguardo nero e impenetrabile con cui li
aveva guidati sino
a lì, scagliando una sfilza di fulmini viola contro il vento
e la sabbia,
sparendo fra le spire della bufera per uscirne più serio e
scuro in volto.
Hokage…
cos’hai visto nell’ombra?
Domande
a cui, presto, avrebbe
dato una risposta.
La
prossimità del quartier
generale di fortuna fu preannunciata da una certa confusione e da urla
ben poco
piacevoli. «Kankurō!» esclamò Temari
liberandosi improvvisamente dalla stretta
e correndo verso il luogo di provenienza delle grida, ancora celato
dalla
figura di un edificio. «Aspetta Temari!» Shikamaru
la raggiunse immediatamente,
ma la donna sembrava che si fosse ripresa del tutto.
«Ehi,
aspettatemi!» sentirono
entrambi Ino distante come se fosse stata spinta via lontano, a
centinaia di
chilometri. Di fronte a loro, Temari e Shikamaru assistettero a
qualcosa che
non si sarebbero mai aspettati. La bocca della donna reagì
d’impulso a quella
scena, rimbrottando contro l’unica persona su cui avesse una
qualche sorta d’influenza.
«Cosa
diavolo stai facendo Kankurō?!»
il suo fratello di mezzo, il suo scontroso
fratellino, era ritto, con
fili di chakra che s’allungavano dalle sue dita per
manipolare il corpo
artificiale di Sasori, la marionetta. Questa
molleggiava a mezz’aria in
attesa degli ordini del suo padrone, mentre tutt’attorno a
essi si ergeva un
muro concentrico di ninja della Foglia pronti ad attaccare, con i
kunai,
shuriken, spille e pergamene impregnate di chakra ben alte di fronte a
loro.
Con
l’istinto forgiato dall’addestramento
ninja, Temari estrasse una pergamena simile alle altre. Da essa si
riprese il
ventaglio che aveva perso nella tempesta, dopo aver formato con le mani
i
sigilli necessari al richiamo del suo strumento. Lo aprì,
pronta a scuoterlo
nel caso qualcuno avesse tentato di far del male al fratello.
Se
ha evocato Sasori significa che la situazione è
peggio di quanto sembra…
Il
ragionamento di Temari venne
interrotto dalla voce violenta del fratello, ancora graffiante per via
della
sabbia in gola.
«Non
capisci, Temari! Quel pallone
gonfiato ci sta… sta offendendo la
nostra gente e oltraggia il nostro
Kazekage!» la kunoichi non comprese subito.
Setacciò il gruppo di persone
ammassate ai confini della scena per incrociare Baki. Lo
notò fra un gruppo di
ninja della Sabbia che stavano puntando le armi, a loro volta, contro
il gruppo
di ninja della Foglia che minacciava Kankurō.
Poi
lo vide. Il Sesto Hokage del
Villaggio della Foglia stava ritto di fronte a Kankurō, come la statua
di un
autorevole leader qual era. I capelli argentei scintillavano anche
nella
penombra causata dalla tempesta e sulla faccia, nascosta per
metà dalla
mascherina fino al naso, spiccavano gli occhi nero pece.
Uno
sguardo intenso e pericoloso,
rivolto a lei.
«’sera
Temari. Potresti
dire con il tuo… fratellino di
smettersela, prima che si faccia male?»
le parlò con tono cortese, fin troppo per il modo in cui i
suoi muscoli erano tesi
e la sua espressione affilata come una lama. Temari deglutì
a vuoto, pur allentando
la posizione di guardia.
«Non
dargli ascolto! Questo traditore
cerca volontariamente di minare l’alleanza fra di
noi e la Foglia! Ha osato…»
«Ha
detto che c’è Gaara dietro
tutto questo?»
La
domanda di Temari zampillò da
lei come se non l’avesse mai pronunciata. Era una cascata che
precipitava
ghiacciata su tutto il manipolo in tensione, cogliendoli di sorpresa.
La
fissarono tutti quanti spiazzati. Le loro armi si abbassarono. Persino
Baki, il
suo indecifrabile maestro, le rivolse un’occhiata frastornata.
L’unico
che continuò a fissarla
privo del benché minimo cedimento fu l’Hokage. Le
si avvicinò a passi lenti,
mostrandole un improvviso interesse. «Posso chiederti come
fai a saperlo, Temari
della Sabbia?» c’era una strana forma di
rispetto in quella richiesta, la
stessa attenzione con cui aveva visto l’Hokage rivolgersi a
Gaara in tanti
incontri diplomatici. Per un attimo, la turbò.
Avvertì
a malapena la presenza di
Shikamaru e Ino al suo fianco, probabilmente rimasti indietro per non
animare
ulteriormente quegli istanti di tensione. Le dita di Shikamaru le
sfiorarono
inavvertitamente il braccio. Allora si riprese.
«Perché
le mie preghiere sono
state esaudite, Hokage»
deglutì ancora, sabbia e l’odore di terra e
foglie marce le inondarono il palato. «Cosa intendi
dire?» l’Hokage aveva quasi
uno sguardo lucente. La luna fece capolino da quella foschia perenne e
dorata.
«La
strega dell’est… Nocnitsa è
venuto a prenderlo.»
Continua
nel Capitolo III: Le streghe dell’animo umano