Com'ero rimasto aggrappato disperatamente alla vita quella notte di tanti anni prima, lo ero in quel momento a quelle lenzuola.
Seta, bianca come la luna piena nel cielo d'estate, liscia come la mia pelle. Odoravano di pulito, di costoso profumo, di sangue.
Immacolate, com'era un tempo il mio sorriso.
Di quel maledetto giorno mi rimangono i suoni, gli odori, i sapori, le ombre, il dolore.
Tacevo, con le mani abbandonate ai lati del capo.
I lunghi capelli erano sparpagliati sul letto, macchiato da quel liquido scarlatto, che scorreva, come un minuscolo fiume, dal mio naso e dalla mia bocca, semiaperta, ansimante.
La vittima era sola a curarsi le ferite.
Inesorabile, il mio presente scorreva infinito.
Tra le dita tremanti stringevo un pugnale, un bellissimo stiletto la cui lama affilata era abbracciata dalla coda di un drago d'argento, tra le cui fauci risplendeva un rubino scarlatto.
C'era silenzio nella stanza. Si avvertiva a malapena il fruscio dei tendaggi leggeri che oscillavano con il vento. L'oscurità mi pervadeva, a meno di un raggio argenteo che faceva scintillare la punta di quella meravigliosa arma.
L'avevo guardata, per poi perdendomi tra le pieghe e le incisioni del metallo. L'avevo alzata e me la ero avvicinata al viso.
Mi ero voltato appena. Con l'altra mano, tremante, avevo raccolto la chioma, chiudendola nel pugno.
Un impeto di rabbia aveva pervaso il mio corpo, scorrendomi nelle vene, solleticandomi i nervi, facendomi contrarre i muscoli, che erano scattati.
Una lacrima si mischiò al sangue sul mio viso ed io strinsi i denti.
Un taglio secco, veloce, perfetto, come solo io avrei potuto. Le ciocche s'erano infrante sul giaciglio senza alcun rumore.
Chiusi gli occhi. Sospirai piano. Con il dorso della mano mi asciugai le guance, il naso, la bocca. Abbandonai il coltello.
Un battito di cuore. Dalle mie labbra socchiuse sfuggì un lamento.
Singhiozzai, non so per quanto tempo.
No, non avevo alcuna intenzione di smettere. Quella volta avevo deciso che non mi sarei fermato, avrei pianto fino a morirne. Fino a che i tremiti non mi avrebbero fermato il cuore.
Prima o poi, i lividi sarebbero scomparsi, le cicatrici si sarebbero schiarite, i brividi non mi avrebbero più percorso la pelle, gli incubi mi avrebbero lasciato in pace, mi ero giurato.
Una promessa che si era infranta in quel preciso istante. Io ero solo un ragazzo spaventato, un corpo stanco, pelle martoriata da segni visibili e non, profondi fino all'osso.
Un male indescrivibile si riversò nel mio petto. In esso riconobbi la consapevolezza.
Mi portai le ginocchia fredde al petto.
Io.
Ero.
Solo.