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Autore: Red Owl    06/12/2020    1 recensioni
Quando il suo convento viene saccheggiato, la giovane Neve, figlia dei Conti di Nevelunga, si ritrova nelle mani di briganti senza scrupoli. Quando scoprono la sua identità, i suoi rapitori decidono di chiedere un riscatto a suo fratello, l'attuale Conte, e di riconsegnarla alle sue amorevoli cure.
Falco e Neve non si vedono da più di dieci anni, ma la ragazza non ha dubbi: sarebbe meglio vivere da schiava, piuttosto che tornare da lui. Ma l'accordo è ormai fatto e Neve non vi si può sottrarre. E allora è forse giunto il momento di fare ciò che sua madre le ha raccomandato prima di scomparire per sempre dalla sua vita: smettere di avere paura e avviarsi lungo la Strada del Lupo già percorsa dai suoi antenati.
C'è solo un problema: Neve ha capito ormai da molti anni di essere tutt'altro tipo di animale.
Storia di un viaggio solitario (o forse no), prologo di un vecchio racconto che forse prima o poi pubblicherò, ma che può esistere benissimo anche da sola.
AVVERTIMENTI: contiene scene di violenza, sesso e dinamiche famigliari tutt'altro che idilliache.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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L’alba arrivò senza che Neve fosse riuscita a scivolare in un sonno veramente ristoratore. Aveva attraversato le interminabili ore notturne immersa in un dormiveglia inquieto, accompagnata dal respiro leggero di Clara e dai mille fruscii che giungevano dal mondo al di fuori della tenda.

Quando la luce grigia delle prime ore della mattina la illuminò, la giovane gettò indietro la coperta ruvida che l’aveva tenuta al caldo e subito si sfilò di dosso il saio, rimanendo solo con la biancheria intima.

La sua compagna di tenda dormiva ancora, ma lei aveva ormai deciso che era inutile perdere tempo: restare a languire distesa sul materasso non avrebbe reso più sopportabile il resto della giornata. La giovane raggiunse l’angolo della tenda nel quale era stato riposto un catino con dell’acqua pulita e vi immerse le mani, stringendo i denti quando il liquido freddo le aggredì la pelle. Si lavò sommariamente, strofinandosi con vigore il viso e il torso e pettinando all’indietro i capelli biondi, prima di raccoglierli in una treccia che era appena un poco meno severa di quella che portava quando era al convento.

Senza permettersi di fermarsi e pensare, afferrò poi una delle sottane che Mikel aveva portato loro il giorno prima. La sera precedente lei e Clara avevano esaminato gli abiti che erano stati loro offerti e se li erano spartiti a seconda di gusti e dimensioni: a Neve era toccata una gonna di lana tinta di un blu polveroso, con l’orlo decorato con un semplice motivo floreale, una camicia che forse un tempo era stata bianca, ma che ora aveva assunto una sgradevole tinta giallognola, segno di un lavaggio approssimativo, e un consunto corpetto di una spessa stoffa marrone. 

Erano abiti poveri, dalla fattura semplice, ma, una volta che li ebbe indossati, Neve si passò più volte le mani sui fianchi, esaminando il modo in cui il corpetto le disegnava la forma della vita: abituata com’era al saio, persino quei vestiti da contadina le parevano troppo attillati, troppo poco modesti.

Be’, ma che ci posso fare? Si chiese, tornando a sedersi sul materasso e calzando gli stivaletti neri che erano il suo unico paio di scarpe da un paio di anni. Erano scarpe solide, robuste e ormai perfettamente adattate alla forma del suo piede e Neve era felice che Mikel le avesse permesso di tenerli.

Quando, più tardi, il giovane bandito che giorni prima aveva cavalcato con Clara venne a chiamarle, il cielo si stava appena tingendo dell’azzurro della mattina.

Avete dormito bene, signorine?” 

La voce di Mikel risuonò chiara e forte tra le tende e Neve gli lanciò un’occhiata carica d’astio. Quando vide che Lisi era in piedi al suo fianco, però, sgranò gli occhi e fu sul punto di correre da lei per chiederle come stava e per assicurarsi che l’uomo l’avesse trattata con riguardo. La giovane bruna però chinò il capo, quasi come se si vergognasse di incontrare il suo sguardo.

Oh, pensò la ragazza, turbata da quel gesto. Con la fronte aggrottata, Neve si guardò attorno, esaminando rapidamente l’ambiente che la circondava: se c’erano state delle altre monache, lì, ora non c’erano più. I banditi dovevano averle trasferite altrove; forse le avevano già vendute ai pirati che le avrebbero trasportate dall’altra parte dell’oceano. Il pensiero le riempì lo stomaco di rabbia e di nausea e la giovane si costrinse a respirare a fondo per calmarsi.

Il campo era meno affollato di quanto si fosse aspettata: i suoi abitanti erano forse ancora addormentati o, più probabilmente, l’avevano già lasciato per occuparsi delle loro faccende quotidiane, qualsiasi esse fossero. Ad accogliere lei e Clara c’era solo uno sparuto gruppetto di persone: oltre a Mikel e a Lisi, c’erano Ciela e suo padre, il giovane che le aveva condotte fuori dalla tenda, il bandito più anziano che aveva cavalcato con Neve il giorno in cui il convento era stato assaltato e due altri uomini che la ragazza non aveva mai visto.

Facciamo le presentazioni” disse Mikel con un mezzo sorriso. “Passeremo parecchio tempo insieme ed è importante conoscerci.”

Ne faccio volentieri a meno, pensò Neve con una smorfia. Però non disse niente e l’uomo prese il silenzio suo e di Clara come un assenso.

Aro già lo conoscete”, disse l’uomo, indicando il giovanotto riccio che le aveva svegliate quella mattina, “così come conoscete Gert ed Eitan, il papà della nostra piccola Ciela.”

Sul volto dell’uomo dalla pelle scura - Eitan, evidentemente - passò un lampo e Neve ricordò che il bandito non era affatto felice che sua figlia partisse per Nevelunga con l’intento di restarci.

Questi due gentiluomini che ci accompagneranno sono invece Yorik e Hinn” continuò Mikel. “Siate gentili con loro.”

Neve percorse i due briganti con un’occhiata rapida: il primo era un uomo apparentemente sulla trentina, con capelli scuri e occhi di una strana sfumatura ambrata, mentre il secondo era più giovane e minuto e aveva gli occhi sottili e i lunghi capelli neri dei nomadi delle pianure.

La giovane fece un piccolo cenno d’assenso. “Bene” disse, con una voce che sperava lasciasse intendere tutto il suo disinteresse per l’identità di quelle persone. Per quanto la riguardava, i loro nomi non avevano alcuna importanza: erano dei criminali, e tanto bastava per identificarli.

In sella, allora!” esclamò Mikel battendo le mani. Poi si rivolse ai suoi uomini. “Gert, tu cavalcherai con la contessina, visto che ormai la conosci. Yorik, tu gli darai il cambio.  Aro e Hinn, voi invece prendete l’anatroccolo: non vi darà problemi.”

Nell’udire quelle parole, il visetto di Clara si contrasse e per un istante Neve sperò che la ragazzina desse un qualche cenno di ribellione. Prima che potesse vedere se il suo desiderio si concretizzasse o meno, però, Gert le posò una mano sulla spalla e la sospinse verso la stessa giumenta grigia che Neve aveva già conosciuto il giorno in cui era stata portata via dal convento.

Non ci legate le mani, questa volta?” chiese, quando l’uomo si fu sistemato in sella alle sue spalle.

Questa volta no” confermò il brigante. “Mikel pensa che non siate così stupide da provare a scappare.”

Ah” commentò Neve, mentre la sua mente correva ai piani di fuga, tutt’altro che vaghi, che aveva maturato nelle notti precedenti. Erano davvero idee tanto sciocche?

Comunque nemmeno io penso che siate stupide” continuò il brigante che rispondeva al nome di Gert.

Oh?” fece la ragazza, stupita da quel riconoscimento inaspettato. L’uomo non aveva scambiato che poche parole con lei e con Clara e dunque non aveva davvero alcun elemento per giudicare il loro carattere. Sta forse cercando di entrare nelle mie grazie? Si chiese la giovane. Pensa forse che potrò metterlo in buona luce con Falco? Era un pensiero davvero ingenuo, che dimostrava quanto poco quegli uomini conoscessero in realtà suo fratello.

Il brigante non aggiunse altro e Neve, che nonostante l’apparente apertura dell’uomo non aveva comunque intenzione di fare conversazione, si rassegnò a cavalcare in silenzio, la mente piena di pensieri inquieti.

Nelle ore che seguirono, la giovane si scoprì più volte a studiare il paesaggio che stavano attraversando, adocchiando una scarpata o una macchia di alberi particolarmente fitta e chiedendosi se avrebbe potuto gettarsi giù di sella, rotolare a terra e svanire nel fitto del bosco. In un paio di occasioni si ritrovò a flettere i muscoli delle gambe, stringendole sui fianchi della giumenta come per darsi lo slancio necessario per sgusciare via dalla morbida presa di Gert. Ogni volta, però, desistette, conscia che non sarebbe riuscita ad andare lontano. Lei e il suo custode cavalcavano alle spalle di Mikel e Lisi: tra la giumenta grigia e il baio del capo dei briganti c’erano circa una decina di metri, e altri dieci ce n’erano tra loro e il cavallo che trasportava Clara e Aro. Lo spazio sarebbe forse stato sufficiente per tentare una mossa avventata, se non fosse stato per Yorik che, in sella a un pesante cavallo morello, seguiva come un’ombra la giumenta di Gert.

Da quando avevano lasciato il campo, il bandito non aveva pronunciato una singola parola, ma Neve aveva più volte avvertito su di sé il peso del suo sguardo. Quel suo studiarla in silenzio la metteva a disagio e la ragazza non ci aveva messo molto a decidere che quell’uomo non le piaceva. O, più precisamente, che le piaceva ancor meno di quanto non le piacessero i suoi compari.

Quando giunsero sulle rive di un torrente che scorreva gorgogliante tra le piante, Mikel fermò il cavallo e levò una mano per attirare l’attenzione dei suoi uomini. “Facciamo una pausa” ordinò. “Non vorrei che le signore si stancassero troppo.”

Hai fame?” chiese Gert a Neve mentre l’aiutava a smontare da cavallo.

Lei scrollò le spalle. “Un po’” mormorò. In realtà il pensiero di ingerire qualcosa le dava il voltastomaco, ma era ben consapevole di dover mangiare per tenersi in forze. Se fosse stata fiaccata dalla fatica e dalla fame, il viaggio verso Nevelunga sarebbe stato ancora più insopportabile; senza contare che, se mai le si fosse presentata una possibilità di fuga, avrebbe rischiato di essere troppo debole per sfruttarla.

Lei e Clara furono fatte sedere poco distanti dalla riva del ruscello e Lisi le raggiunse alcuni minuti dopo, portando loro un pezzo di pane e un po’ di formaggio duro. “Come state?” chiese loro la giovane bruna.

Noi stiamo bene” mormorò Clara, posandosi in grembo il cibo che Lisi le aveva offerto.

Vedendo che non pareva avere intenzione di toccarlo, Neve le posò una mano sul braccio. “Mangia” le disse, prima di rivolgersi alla giovane bruna. “Tu invece come stai?”

Lisi abbassò lo sguardo e sulle sue guance comparve un leggero rossore. “Non posso dire di stare male” mormorò, flettendo nervosamente le dita fino ad affondare le unghie nella stoffa dell’abito azzurro che qualcuno le aveva fatto indossare. Neve non poté fare a meno di notare che pareva di una fattura migliore di quelli che erano stati invece consegnati a lei e a Clara. “Mikel mi tratta con riguardo, quindi suppongo di non potermi lamentare più di tanto, ma…”

Ma?” la incalzò Neve.

Lisi incontrò i suoi occhi e le rivolse un sorriso quasi timido, diverso dagli sguardi che si erano scambiate in tutti gli anni che avevano passato insieme. “Non posso fare finta di non essere sua prigioniera. Lui può anche sforzarsi di essere gentile, ma la sua gentilezza non cambia il fatto che è un… un mostro, ecco.”

Neve arricciò il naso. Lei li avevi visti, i mostri, e Mikel, per quanto spregevole, era su un altro livello: era solo un volgare bandito e non avrebbe avuto alcuna possibilità in un confronto contro un mostro vero. Tuttavia non v’era alcun motivo per contraddire l’amica. “Certo che no” disse allora, concordando con l’affermazione di Lisi. “Dev’essere davvero stupido, se crede di farti dimenticare il modo in cui ci ha trattate… il modo in cui ha trattato le nostre sorelle, soprattutto!”

Già” sussurrò la giovane bruna, ma i suoi occhi scivolarono via da quelli dell’amica.

Non mi sembra molto convinta, osservò Neve aggrottando leggermente la fronte. Non era la prima volta che l’atteggiamento di Lisi nei confronti di Mikel la confondeva. E, non per la prima volta, si chiese se la sua amica fosse in un qualche modo attratta dall’uomo. Se pensava in maniera oggettiva, doveva ammettere che il bandito era piuttosto attraente: aveva un viso dai tratti piacevoli, un naso dritto e una mascella forte, penetranti occhi azzurri e un accenno di curata barba castana che dava al suo volto un aspetto virile. Per quanto la riguardava, però, Mikel avrebbe anche potuto essere l’uomo più bello del mondo e i suoi crimini l’avrebbero comunque reso ripugnante ai suoi occhi: ma Lisi la pensava come lei?

Ciò che la ragazza le aveva detto poco prima le faceva supporre che sì, la sua amica era in grado di giudicare la situazione in cui si trovava in maniera oggettiva, ma nei suoi occhi Neve credeva ora di leggere una risposta diversa.

E comunque, si disse ancora la ragazza, turbata da quello che le sembrava quasi un tradimento della giovane bruna, ha fatto anche lei un voto di castità: se n’è forse già scordata?

Strappando con i denti un pezzo di pane, Neve si ritrovò per la prima volta a chiedersi quanto sarebbe cambiato il loro stile di vita, ora che avevano lasciato il convento. Non erano passati che pochi giorni e già aveva perso la costanza nel recitare le preghiere che la Superiora e le altre consorelle anziane le avevano insegnato quand’era poco più di una bambina. Non va bene, si rimproverò con una smorfia. Gli Dei erano gli unici a poterla aiutare, in quel momento, e lei era sempre stata molto devota alla Madre: cosa n’era stato di quella devozione?

E poi… la castità. Il pensiero le strappò quasi un sorriso. Non si illudeva certo di vivere tanto a lungo da trovarsi nelle condizioni di mettere in discussione il suo voto di castità. Sebbene, rispetto a qualche giorno prima, fosse ora meno sicura delle intenzioni di Falco nei suoi confronti, continuava a pensare che lo scopo ultimo di suo fratello fosse di ucciderla.

E se intendesse invece darmi in sposa a qualcuno? Si chiese con un tremito improvviso. L’idea non l’aveva mai sfiorata prima d’allora, ma non sarebbe stata né la prima né l’ultima nobildonna costretta a un matrimonio di convenienza, venduta a un partito conveniente in cambio di terre o favori. Neve si immaginò con un marito al fianco - e, dal momento che sarebbe stato Falco a combinare il matrimonio, se lo immaginò vecchio, e orrendo, e crudele - e qualcosa in lei si ribellò. 

No, sibilò la creatura nel suo petto, e Neve sentì sotto i denti il sapore del sangue, il gusto della pelle che si rompeva, e nelle mani le parve di stringere un osso fino a spezzarlo. Oh, si sarebbe presa cura di suo marito, come no!

Inorridita da quel pensiero, nauseata dal sentore metallico che le pareva di sentire sulla lingua, la giovane lasciò che il pane e il formaggio che ancora stringeva tra le dita le cadessero in grembo.

Ehi!” fece Lisi, posandole una mano sulla spalla con espressione preoccupata. “Va tutto bene?”

Neve deglutì. “Sì”, mormorò, “va tutto bene.” 

   
 
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