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Autore: Enchalott    07/12/2020    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Senza tregua
 
Manawydan estrasse la spada di corallo nero dal cinto di squame e la brandì, fendendo l’essenza alabastrina del suo regno sottomarino. La lama irregolare luccicò nella penombra azzurrata e fluttuante.
Il Pelopi placò la furia, ma l’energia devastante che faceva ribollire le onde, sormontando la sua sacra volontà, non si esaurì. Il dio del Mare emise un profondo sospiro: se il duello fosse continuato su quei toni, l’oceano avrebbe inondato le terre emerse, non sarebbe riuscito ad ammansirlo.
«E così ti sei deciso, ragazzo. Forse ho avuto torto a giudicarti con tanta severità.»
Tastò la Chiave Oceanica e ne avvertì l’insolito calore.
«Capisco cosa mi chiedi e lo farò, se mi sarà possibile. Solo mi domando che ne sarà di te. Sei davvero cambiato, Anthos di Iomhar?»
I marosi furibondi persero d’intensità, ma l’inesorabile fine era al principio. Tenne l’arma sollevata. Non avvertì risposta, solo quel potere familiare che stava incrinando il cosmo intero.
«Tsk! Sei sempre stato uno sbruffone, ragazzo.»
Si lasciò sfuggire un sorriso accondiscendente, persino comprensivo.
«Ben ti sta, Irkalla. Innamorarti di una mortale…»
 

 
«Quanto ho udito è sufficiente per dannarti in eterno, Amathira. Le mie decisioni non peccheranno né in correttezza né in severità» asserì Kalemi con calma raggelante «Tuttavia non è con te che desidero conferire, bensì con il sommo Reshkigal.»
La dea del Cielo abbassò lo sguardo, avvampando per la vergogna. Il Custode delle anime chinò il capo davanti al principe e la treccia color platino gli scese sull’omero.
«Conosco la tua lealtà e comprendo le motivazioni che ti hanno spinto a nascondere quella donna indegna» continuò il dio del Tempo «Non intendo accusarti o punirti, poiché il tuo intento ha avvalorato la tua nobiltà d’animo. Ma non tollererò ambiguità.»
Il dio della Morte inarcò un sopracciglio, soppesando la dichiarazione che sembrava mettere in dubbio la stima espressa poco prima. Kalemi andò al punto.
«Come ti schieri, Reshkigal? Con la compagna che ti sei scelto o con me?»
«Con mio fratello. Sta affrontando deamhan per noi.»
«Lieto di apprendere che il tuo affetto non sia mutato. Se Irkalla prevarrà su Ishkur e continuerò a guidare il pantheon, Amathira subirà il meritato castigo. Il Distruttore ne deciderà le sorti. Manterrai intatti i sentimenti positivi per lui e la fedeltà a me?»
«Amerò lui e rispetterò te, qualunque sia la sentenza che mi separerà da colei che ho scelto. Ma non credo che mio fratello desideri tornare.»
Kalemi spalancò gli occhi verdi.
«Quindi è vero che non ha ritegno. Che non riconosce autorità, pur mantenendo un’indiscutibile cortesia, e che non gli importa di ciò che pensano gli altri. Va bene, ne terrò conto. Nondimeno sposare un essere umano varca qualunque deroga, sebbene per noi l’effimera vita di una donna sia un battito di ciglia nella linea del tempo. Ammetto di sentirmi combattuto.»
La volta del Palazzo delle Anime oscillò, scossa dagli eventi apocalittici provenienti dal mondo in cui il dio della Distruzione si era reincarnato.
«Per ora, mio principe, è Irkalla che sta combattendo» fece presente Reshkigal.
Kalemi annuì e il viso attraente si velò di sincera preoccupazione.
«Suppongo di essere una seconda scelta.»
«Tutti lo siamo, maestà.»
In quel momento un bambino uscì di corsa dall’edificio e si precipitò tra le braccia della dea del Cielo, affondando il viso nel suo abito indaco.
«Perché piangi, mamma? Per il terremoto? Non aver paura, ci siamo papà ed io!»
«Sei molto coraggioso, Yasha» disse Amathira, asciugandosi le lacrime.
Il dio della Morte osservò il figlio con tenerezza, mentre il sovrano celeste strinse con rammarico l’elsa della spada a due lame.
«È difficile stabilire il confine della giustizia, se un’equità trascina con sé delle conseguenze inique.»
Un’altra scossa fece vibrare il pantheon.
 

 
Anthos non si mosse, attendendo che l’effetto del suo potere scemasse e che il Nemico si manifestasse in forma fisica. L’aveva provocato a sufficienza, aveva giocato d’anticipo stuzzicandone l’astio e spalancando la sua tana con irrispettosa faccia tosta.
Yfrenn-ammri era una piaga suppurata che infestava l’universo, un marciume ormai privo di contenimento: ammorbava ogni cosa, corrompendola in un declino destinato a trascinare ogni esistenza. Consentire al pozzo di riversarsi nel creato era una mossa azzardata, ma l’unica possibile: avendola attuata in prima persona, contava di controllarne gli effetti. Governare il tempo tuttavia, andava oltre le sue facoltà e quello a disposizione era esiguo.
Un grumo di buio assoluto s’addensò e acquisì corpo, mimetizzato al traboccare dell’oscurità. Il dio del Nulla si materializzò alla stregua di fumo vorticante, prese concretezza in una veste nera. Abbassò il cappuccio, un sorriso perfido gli distorse i lineamenti. Le iridi vinaccia baluginarono d’imperterrito odio sotto il Diadema.
«Giungi in autonomia al patibolo, Irkalla. Si tratta di follia o di spirito di sacrificio?»
«Di allergia alla tua presenza.»
Il Traditore sogghignò e le tre shad si illuminarono, pronte a guidare l’energia oscura che esalava da ogni sua fibra.
«Vanti l’ardire di trascinare quaggiù la tua donna e il suo morboso cane da guardia! Non vi è bastata la lezione? Pagheranno per primi il prezzo della tua albagia!»
Il reggente scosse il capo con voluto scherno.
«Come sei distante dalla verità, erkun-lug. Non puoi distinguerla dalla menzogna perché l’invidia e il risentimento ti ottenebrano l’intelletto. E pensare che ho percorso un tratto sul tuo medesimo sentiero.»
L’essere tenebroso ringhiò di rabbia. Sollevò le braccia e fece scaturire un’aura corrotta, oscura, ostile: la scagliò e al suo passaggio la terra si sciolse come neve a primavera.
Irkalla scansò con una mano, seguendone il percorso verso l’alto. L’energia malvagia deflagrò, espandendosi oltre la barriera che aveva eretto, ululando alla stregua di uno sciame di demoni liberati dai vincoli millenari. Il buio si sommò a quello che saturava la contingenza.
Ishkur eruppe in una risata sgradevole, preparandosi a entrare nel vivo dello scontro.
«Se avessi mirato a te, saresti oblio.»
«Se la tua mira funzionasse, mi sarei mosso.»
Il Distruttore concentrò l’energia tra le mani: gli occhi d’ambra divennero metallo fuso, i semicerchi sulla fronte presero vita, fiammeggiando tra i capelli sciolti. La stoffa preziosa degli abiti si gonfiò, schioccando al vento.
«Non mi fai paura» sibilò il Nemico «Colpirai questo mondo. I tuoi tanto decantati poteri mi attraverseranno senza nuocermi. Sai bene chi pagherà al mio posto.»
Anthos scagliò l’effusione luminosa, che investì la controparte, schiantandosi al suolo con un boato terrificante. La superficie si crepò per l’impatto.
Ishkur si ricompose alle spalle del rivale, privo di danni apprezzabili, e lo colpì con una bolla di energia rossastra. Irkalla avvertì il bruciore dell’essenza demoniaca ustionargli la pelle e fu scagliato a distanza: riuscì a restare in piedi nonostante il colpo. La sua essenza divina assorbì l’emanazione nefasta, ma il suo corpo umano dovette fare i conti con il dolore intenso.
Il dio del Nulla era in grado di spostarsi in seno all’oscurità e il fatto che Yfrenn-ammri avesse impregnato Iomhar non giocava a suo favore. Il principe non perse la calma e si raddrizzò, fiducioso nel piano che aveva elaborato. Non avrebbe sostenuto altri colpi come quello e gli sarebbe stato difficile evitarli.
«Fa male, vero?» lo canzonò il Nemico.
Il gioiello del Sud luccicò nei tre colori. Impossibile opporsi alla sua legge di catalizzatore. L’energia di Ishkur aumentò a dismisura vibrando di odio primitivo, abbattendosi con una potenza smisurata. Irkalla rispose con pari impeto e le due effusioni si scontrarono a mezza via, provocando un dissesto nel cosmo. Lo squarcio che spaccava la terra rigurgitò magma bollente e il firmamento fu inciso da graffiature livide.
«Stai facendo il mio gioco» osservò l’essere deamhan «Anche se riesci a schivare gli assalti, gli esiti sulla realtà presente mi portano dove desidero! A governare l’inesistenza nella sua entità primigenia!»
Il reggente non ebbe dubbi sulla veridicità dell’affermazione. Intorno a lui, nonostante lo scudo difensivo, il male dilagava vorace in meno del previsto. Portò l’attacco a distanza ridotta, senza consentire al Nemico di attingere al Diadema.
Ishkur accusò l’offensiva, mettendosi al sicuro con un ruggito di collera. Non si liberò della tunica scura, che sventolava in brandelli laceri ma lo occultava a sufficienza, garantendogli il beneficio della sorpresa. Rispose con un’esplosione di oscurità dirompente: l’attacco si intensificò, arroventando l’aria. Rabbia pura, male nella forma più feroce, tenebra e assenza di ogni forma d’amore.
Anthos fu colto di striscio, ma l’impatto bastò a ferirlo. Il mantello si stracciò, dilaniato dall’urto. Finì a terra in una scia di schegge e frammenti, percependo il latrare lugubre dei demoni che facevano parte della manifestazione energetica e che reclamavano la sua vita.
Un altro colpo come questo e…
«Certo che per essere il dio più valoroso del pantheon sei patetico» sogghignò il Nemico, appagato dalla sua sofferenza.
Il Distruttore scelse di non guarirsi per risparmiare le forze e fu costretto ad abbandonare la difesa che aveva costruito intorno al territorio dello scontro. L’entità malvagia non offriva punti deboli o scoperti. Per quanto le sue doti fossero complete in riferimento ai limiti della sua forma umana, non era riuscito a infliggergli sufficiente danno. Eppure avrebbe dovuto distrarlo, farlo sentire vincitore e affogarlo nella sua detestabile baldanza. Solo allora avrebbe messo in atto la seconda parte del progetto.
Se ci arriverò vivo, ovviamente.
«Cosa attendi, Irkalla? Che qualche divinità giunga in tuo aiuto? No, aspetta! Forse che la tua misera sposa mortale corra a salvarti con il suo Crescente o speri che il tuo sacrificio la possa risparmiare da me? Illuso!»
«Salvare me? Perché non te, Shion?»
I tratti alterati del Traditore si deformarono all’insulto costituito dal nome umano e deamhan imperversò dentro di lui, un riflusso incontenibile di atrocità e buio.
«Te la porterò via! Lo farò un istante prima di annullarti, costringendoti a guardare! Proverai il dolore più straziante che esista!»
«Quella pena è già dentro di me. Le tue minacce non mi tangono. Combatti!»
Il duello riprese senza requie, spargendo sangue sul suolo maledetto del Nord.
 
Narsas strinse a sé la principessa, come se fosse l’unico atto in grado di salvaguardarla, quando invece era la luce scarlatta del Crescente a respingere le orde deamhan che cercavano di carpire le loro anime.
Quando lo sbarramento tracciato dal reggente si dissolse, l’intensità dell’ombra incrementò.
Adara si appressò al ragazzo, lasciando che la sostenesse, tanto era ponderosa la stilettata al ventre. L’Imis’eli reagiva all’aggressione del male in risonanza al combattimento che impegnava le due divinità reincarnate: non esserne testimone aumentò inquietudine, tanto da farle quasi perdere il precario controllo.
«Narsas! Qualcosa sta andando storto!»
«Sì, l’ho captato anch’io.»
«Ho paura.»
«Non ti chiedo di non averne, Adara. Solo di fare in modo che la tua fiducia e la tua concentrazione le siano superiori.»
La regina di Iomhar gli posò la fronte sull’omero e le sembrò di cingere un altro: era dimagrito, le membra si erano assottigliate, risultavano fragili sotto gli spessi abiti nordici che ingannavano la vista. La contiguità con il suo corpo restituiva la sensazione dello sporgere delle ossa sottopelle, il respiro era affannato, le spalle curve sotto il peso dell’arco e della faretra. Sollevò il viso, in preda a un nuovo motivo di sconforto e incontrò il suo sguardo: emanava fierezza, malinconia e amore. Non era cambiato, era sereno in spregio alla morte che lo stava prendendo con sé.
Adara acquisì coscienza della parola fine, travalicando la promessa di accettare la morte di Narsas. Specchiata nelle sue iridi ardenti, capì che subirla con passiva rassegnazione non era l’unico modo per affrontarla. Ne esisteva un altro, che non l’avrebbe vista spaurita e rinunciataria. C’era qualcosa di se stessa che non avrebbe tollerato: permettere che fosse l’arciere a infonderle il coraggio, a supportarla. Scoprì in sé una risorsa sopita, che aveva acquistato straordinaria tenacia. L’aveva appresa da lui e da Anthos: resilienza.
 
Narsas serrò il pugno, le yamhnai gli si conficcarono nel palmo rammentandogli che stava custodendo il Medaglione e la moglie del reggente. Che aveva dato la sua parola.
La tentazione di rivelare a Adara in extremis ciò che provava era insostenibile, tanto più che le lusinghe di deamhan iniziavano a penetrargli la mente spingendo in quella direzione. Resistette, si svuotò da ogni pensiero, escludendo dalle percezioni i sussurri carichi di blandizie dei servi dell’oscurità che li attorniavano insaziabili. Funzionò per poco: i demoni intaccarono il raccoglimento interiore attraverso immagini ardue da scacciare. Sebbene li avesse già respinti, il loro potere si era accresciuto e il koreyon abbatteva le sue ultime difese fisiche e psicologiche. La visione della vita che non avrebbe mai avuto prese corpo a prescindere dalla volontà e gli fu difficile opporre resistenza.
«La vuoi? Noi possiamo concederla.»
Era il deserto, tinto di colori struggenti, popolato di tende bianche, ove la sua gente non doveva affrontare le tenebre e lui non era condannato al marchio.
«È sufficiente che giurare fedeltà al Nulla.»
Sull’ingresso del padiglione ornato delle insegne di bailye, Adara gli sorrideva, reggendo un bambino che era il suo ritratto.
«Non resistere, non negare i tuoi desideri, noi li conosciamo tutti.»
Lui si avvicinava e baciava entrambi con trasporto. Poi affidava suo figlio a Phylana e chiudeva dietro a sé la tenda, rimanendo con sua moglie. I vestiti di lei cadevano al suolo e lui la guardava, sapendo che era sua e basta.
«È tuo diritto. La carica di principe, una sposa di sangue reale, una discendenza da colei che brami. Chiedilo! Chiedi tutto a noi!»
Adara gli premeva addosso il corpo e lui poteva sentirne l’ardore, sfiorarne il calore, inalarne il profumo, poteva non rinunciare, non lasciarla andare, non…
 
Gridò di dolore e si obbligò a tornare in sé, le tempie pulsavano spasmodiche per lo sforzo di restare pulito, integro, probo. Inalò l’ossigeno e respirò come se l’aria avesse un sapore amaro.
Le dita di lei asciugarono le lacrime che gli erano scese sulle guance. Evitò di guardarla per timore di confondere la realtà e le illusioni.
«Non ascoltarli, Narsas. So cosa stanno tentando.»
Il ragazzo tremò, pensando che i daimar avrebbero potuto mostrarle la medesima allucinazione, palesandole quanto sarebbe dovuto morire con lui. Si accasciò a terra senza fiato, avvertendo il morso del freddo e quello altrettanto feroce del koreyon. Adara si piegò su di lui, continuò a stringerlo forte senza estinguere la luminosità cremisi che lottava per entrambi.
«Tocca a me proteggerti» gli disse «Tu hai un patto da mantenere. Non so cosa vi siate detti tu e Anthos, ma vi conosco a sufficienza per capire che qualcosa tra voi è giunto a una risoluzione. Ci troviamo qui per uno scopo preciso. È così?»
«Sì.»
«Allora lascia che pensi al resto. Per riuscire a mettervi d’accordo, deve trattarsi di qualcosa fuori dall’ordinario.»
«Non mi chiedi i dettagli?»
«Mi fido. È un onore ricambiare il tuo affetto e la tua dedizione, in mille anni non riuscirei a restituire quanto mi hai donato. Perdonami se oggi mi sono aggrappata a te, ma lo sconforto di un attimo ha ripreso il sopravvento. Non accadrà più, te lo prometto. Sarò degna del mio nome. Degna di mio marito, degna di te.»
Lui si lasciò cingere. Appoggiò il capo sulla sua spalla e si ristorò nell’abbraccio, serrando nella destra il Medaglione. Si erano scambiati le parti e, in quell’apocalisse di male dilagante, era Adara a vegliare su di lui. Il compito che si era assunto era concluso: vederla nei panni della regina di Iomhar, intenta a difendere il Nord, lo colmava d’orgoglio. Saperla capace di reagire al destino senza lasciarsi intimorire dalle ombre lo confortava. Percepire il bagliore rosso del Crescente scaturire dal suo corpo senza ne fosse piegata o terrorizzata alimentava la convinzione che quello non sarebbe stato l’ultimo giorno del mondo. Conoscere la realtà in cui una semplice mortale possedeva il cuore del dio della Distruzione - e viceversa - lo riempiva di gioia. Avrebbe realizzato senza rimpianti quanto lo aveva spinto a lasciare il deserto. Qualcosa vibrò nell’aria e scosse la terra con rinnovata violenza. Il gioiello del Nord divenne gelido, pungendogli la mano.
«Aiutami ad alzarmi. Il sommo Irkalla ci sta chiamando.»
 
Màrsali percepì attraverso i dehalbh il piegarsi dell’esistente all’essenza maligna che infuriava, libera dalle catene di Yfrenn-ammri. Osservò il cielo venato dalle ferite violacee, che ansava nell’agonia come una creatura viva.
Principe Anthos…
L’energia del reggente aveva una sfumatura diversa. Non riusciva a spiegarne il motivo, come non era in grado di focalizzarsi sulla presenza di Irkalla: era certa che la divinità si fosse manifestata, ma la modalità era sconosciuta.
Ai piedi del picco su cui gli abitanti di Jarlath avevano trovato rifugio, l’acqua saliva mugghiando. Rimbombi simili a tuoni scuotevano l’aria fredda, rintronando i cuori trepidanti. Kesthar attirò la sua attenzione sulle spire oscure che s’innalzavano con velocità e bramosia più intense di quelle dell’inondazione.
«Deamhan. È qui per noi.»
Il guardiano delle prigioni impugnò l’ascia a due lame.
«Che vengano. Troveranno occasione di digiuno. Non permetterò che affondino le luride fauci in queste anime!»
Màrsali gli sorrise, sollevando le braccia: i segni azzurri sulla sua pelle si accesero di un lucore benigno e rassicurante.
«Cittadini di Iomhar, la dannazione scagliata dalla divina Amathira giunge per reclamare la nostra resa. Viene il tempo in cui il dio della Distruzione si rende unico arbitro del fato. Ma è anche il giorno in cui il più piccolo può fare la differenza. Noi, che viviamo nel gelido Nord e sentiamo che gli innocenti non devono scontare una colpa mai commessa, ci opporremo al destino. Noi, che siamo vissuti senza esalare un lamento in questa terra condannata, non cederemo ai servi del Nulla. Rinforzeremo la decisione del reggente e non ci tireremo indietro. Proteggeremo ciò che amiamo e mostreremo che in un luogo maledetto possono germogliare i fiori!»
Le persone radunate fecero eco, stringendosi le une alle altre, armate del loro coraggio e della loro determinazione. Dessri si unì commossa alle voci, sentendosi parte di una sorte cui non si sarebbe rassegnata. Ciò che le era stato detto da uno straniero valoroso era vero: mettere in lizza se stessa per non morire da viva significava amare il mondo in tutte le sue forme.
«Anthos, fiore di ghiaccio» sussurrò Màrsali «Anche voi siete sbocciato in quest’era di sofferenza, ma ora il vostro cuore è caldo, umano. Siamo al vostro fianco!»
   
 
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