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Autore: Slytherin_Divergent    07/12/2020    1 recensioni
Kenjirou non ha mai visto un essere umano. È convinto del fatto che siano creature mostruose e senza scupoli, pronte a sacrificare tutto per dei pezzi di carta e di metallo.
Eita non ha mai visto una sirena. È sempre stato affascinato dalle leggende e ha passato tutta la vita a sognare di volerne incontrare una.
Kenjirou si rende conto del fatto che la sua vita cambia radicalmente quando viene catturato dagli umani durante una tempesta. Mentre si trova sulla nave dove viene tenuto prigioniero non riesce a pensare ad altro che al fatto che sta per morire. Eita, invece, disperso durante la tempesta, non vede l'ora di potergli parlare.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Shiratorizawa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Eita riprese conoscenza a tempesta conclusa. Quando aprì gli occhi il sole splendeva alto in cielo e non c'era traccia di nuvole. Si voltò a pancia all'insù mugugnando di dolore nel sentire fitte dolorose alla schiena e si scrollò dal viso la sabbia fastidiosa.
Quando i suoi occhi si furono finalmente abituati alla luce accecante del primo pomeriggio il biondo si tirò a sedere e si guardò intorno cercando con lo sguardo Tsutomu. Ricordava di esser salito sull'albero maestro assieme a lui poco prima che un fulmine colpisse il ponte della nave e che il pilastro su cui erano arrampicati si schiantasse in mare. Dovevano essere naufragati sull'isola che avevano visto con il cannocchiale.
Il corvino non si vedeva da nessuna parte e per un attimo Eita si domandò se non fosse affogato in mare, poi Tsutomu comparve da dietro una palma con due grosse noci di cocco strette tra le braccia.
«Oh, ti sei svegliato. Avevo iniziato a temere che fossi morto.» il corvino si sedette di fianco al suo senpai e li porse una noce.
«Dove le hai trovate?» Eita si voltò verso al foresta dietro di loro ma non vide alcuna palma da cocco. L'altro fece un vago gesto per indicare dietro di loro.
«Mentre eri svenuto sono andato in esplorazione. Sono all'interno della foresta.» sbatté la noce su un grosso masso al suo fianco e quella si spaccò in due. Dalla crepa schizzò fuori il latte bianco e Tsutomu si portò il frutto sopra la testa per bere.
Eita spostò lo sguardo sul mare che ora era una calma tavola piatta di un azzurro intenso. Nessuna nave in vista o ormeggiata. Nessuna scialuppa di salvataggio in avvicinamento. Nessun pezzo di legno che potesse indicare che l'imbarcazione fosse colata a picco. Davanti a loro c'era solo l'orizzonte piatto.
«Credi che siano affondati?» Tsutomu si cacciò in bocca un grosso pezzo di cocco appena staccato dall'interno della noce.
«No.» Eita si tornò a stendere sulla sabbia con un sospiro. «Insomma, se fossero affondati si vedrebbero dei detriti di nave in giro, no?»
«E se ci hanno abbandonati qui sull'isola e se ne sono andati?» per un attimo Eita fu tentato di tirare un pugno a Tsutomu per il semplice fatto di aver pensato una cosa così stupida, ma poi si convinse del fatto che per poter ritrovare la loro ciurma avrebbe potuto aver bisogno dell'aiuto del suo kohai quindi si limitò a tirargli un'occhiataccia.
«Non pensarlo nemmeno.» il biondo si alzò e si sgranchì le gambe. «Innanzitutto, voglio andare a controllare che non siano ormeggiati da qualche parte sull'isola.»
Il corvino quasi si strozzò con il pezzo di cocco che stava masticando. «Vuoi dire che... hai intenzione di fare tutto il giro dell'isola?»
«Si.»
«Hai visto che è enorme, vero?»
«Si.»
«E che è abitata.»
«Si.»
«E che ci saranno almeno duemila persone in quella città.»
«Si.»
«Più non so quante guardie reali.»
«Si.»
«E ti ricordi che l'ultima volta che abbiamo incontrato le guardie reali ci hanno quasi impalato la testa su una forca, vero?»
«Già. Quello è stato brutto.»
Tsutomu lanciò dietro di sé il resto della noce di cocco. «Meraviglioso. Perché siamo ancora qui? Ho voglia di una bel boccale di birra.»
 
Kenjirou non rivolse la parola a Taichi per due ore buone e si aspettava che da un momento all'altro quello saltasse su come una belva inviperita e lo linciasse in quale brutale modo o che si incazzasse senza motivo come i suoi genitori gli avevano sempre raccontato. Non successe nulla di tutto ciò, anche perché Taichi riteneva molto più produttivo affilare il proprio pugnale che perdere tempo in insulti e conversazioni di circostanza. Il primo a sbroccare fu, quindi, il castano.
«Perché mi tenete prigioniero?! Cosa vi aspettate, che vi dia dell'oro?! Che vi conceda dei superpoteri?! O forse volete schiavizzarmi?!» sbottò. «Non otterrete niente da me! Non vi darò niente!»
Il biondo sollevò lo sguardo dal suo lavoro di fino e fissò Kenjirou per qualche secondo, indeciso su come iniziare a prenderlo per il culo per tanta idiozia. Alla fine si limitò a rispondere con un semplice: «Non lo so, chiedilo a Soekawa-san.»
Kenjirou si sarebbe aspettato di tutto tranne che quello, e con quanta tranquillità lo aveva detto!, constatò irritato. Afferrò i bordi della vasca e si sporse verso di lui. «Se pensate di potermi fregare, beh, sappiate che non ce la farete! Conosco i vostri sporchi giochetti, umano!»
Taichi rimpianse il momento in cui Jin lo aveva messo di guardia, o anche solo uno di quei momenti che avevano colonizzato le due ore precedenti e in cui Kenjirou era rimasto con la testa sott'acqua e facendo risalire bollicine d'aria che raggiunta la superficie del liquido trasparente scoppiavano con dei sonori plop. Tirò un profondo respiro per mantenere la calma e non sbottare in faccia a quel tizio sconosciuto che di lui proprio non gliene poteva importare di meno.
«Senti, Shimeru,» attaccò. Kenjirou lo interruppe subito.
«Shirabu.» sibilò. «Shirabu-sama, per te.»
Taichi lo ignorò brutalmente. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era una lezione di galanteria. «Senti, in questo momento tu sei letteralmente l'ultimo di tutti i nostri problemi. Hai capito? L'ultimo. Ora come ora non potrebbe importarcene di meno di te, quindi vedi di tornare a metterti come prima o di stare in qualche modo zitto, perché non mi va proprio di stare a sentirti blaterare cazzate su come non potremo fregarti e cose varie.»
Kenjirou sentì le guance avvampare ma non rispose. Si tornò a nascondere sotto la superficie dell'acqua bollendo d'irritazione e d'orgoglio bruciato mentre Taichi tornava a concentrare la sua attenzione sul proprio pugnale. Si ripromise che semmai la prima persona che avesse accoltellato non si fosse rivelata essere Kenjirou, avrebbe perso altre due ore per affilare quella lama solo per poterla poi piantare nella lingua biforcuta dell'altro per farlo stare zitto.
 
Satori si rivelò essere una pessima guida e soprattutto un pessimo capitano in facente funzione. Lui, Hayato, Yunohama e Sagae erano sbarcati con una scialuppa di salvataggio sulla costa settentrionale dell'isola pronti a controllare se Tsutomu ed Eita si trovavano lì. Nel giro di mezz'ora invece che ritrovarsi nella città vicina si trovarono immersi nella fitta vegetazione.
«Tendou, dove ci stai portando?!» Hayato affiancò il rosso che continuava a canticchiare allegramente mentre si arrampicava su per il fianco sconnesso della montagna.
«Fidati di me, Hayato-kun.» ribatté Satori.
«Ti sei accorto del fatto che stiamo continuando a salire da mezz'ora quando dovremmo rimanere in pianura, vero?» Yunohama alzò lo sguardo dal terriccio erboso solo per scontrarsi con il naso sulla schiena di Satori che si era improvvisamente fermato, pensieroso.
«Sagae-kun, tu cosa ne pensi?» Yuushou si guardò intorno e strinse di più l'elsa della spada, pronto a sfoderarla in caso di bisogno.
«Abbiamo sbagliato la direzione.» gli occhi dei suoi senpai furono immediatamente su di lui. Deglutì, ma si costrinse a continuare. «Ecco... la città che abbiamo visto quando è caduto l'albero maestro era a sud-est, mentre la montagna a sud-ovest. Noi abbiamo dovuto circumnavigare la montagna e abbiamo ormeggiato la nave a nord-ovest, nell'insenatura, poi con la scialuppa di salvataggio siamo approdati nella costa nord e tu ti sei diretto verso sud, ma poi hai girato a sinistra, quindi verso ovest e non verso est...»
Hayato ebbe un piccolo fremito all'occhio e mormorò: «E perché non lo hai avvertito prima?»
«Non ne ero sicuro. Abbiamo iniziato a salire da poco e quando abbiamo visto l'isola da lontano era immersa nella nebbia. Per quanto potevamo saperne poteva esserci una seconda montagna al centro del posto.» ribatté. Notando gli sguardi accigliati dei suoi compagni sospirò e indicò dietro di loro il palo di legno piantato nel terreno. «Ho letto quel cartello.»
Il cartello in questione era una semplice tavola di legno appuntata con un chiodo arrugginito in un albero intagliato che recitava la frase "Un'ora alla città" con affianco una freccia che indicava la sinistra. Yunohama sospirò e Satori gli batté con un sorriso una mano sulla spalla.
«Su, Yunohama-kun! È solo un'ora di cammino!» e si diresse a sinistra.

   
 
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