-
Nelson
si coprì con
l’accappatoio e si guardò la mano: era rossa,
dannazione. Ci mancava solo
quello. Imprecò e si diresse verso la camera da letto,
strofinandosi i capelli
con una salvietta e la mano buona.
Il cellulare, posato poco
prima sul comodino, suonò e vibrò e il ragazzo
guardò il display prima di
rispondere: Ellie.
“Pronto!”
“Ciao, tesoro!” Nelson
sorrise: non c’erano guai in vista.
“Ciao, Ellie. Tutto bene?”
“Sì. Stasera ceniamo
insieme”. Non era una domanda. Ellie era un terremoto.
“Davvero?”
“Sì. O hai altro da fare?”.
Nelson sentiva chiaramente che stava facendo qualcosa mentre era al
telefono
con lui.
“No, assolutamente. E dove
mangiamo?” chiese, anche se sapeva già la risposta.
“Da te!”
“E chi cucina?” Sapeva che
Ellie adorava quel giochino fra di loro.
“Se cucino io dobbiamo
chiamare i pompieri, lo sai”. Ellie rise mentre si muoveva.
Nelson immaginò che
avesse il telefono incastrato fra la spalla e il viso.
L’aveva vista truccarsi
così un sacco di volte. Chissà se anche Lisa lo
faceva quando era al telefono.
Ma forse lei non si truccava…
“Chi?” chiese la ragazza
al di là della conversazione. Nelson capì di aver
parlato senza riflettere e
tossì.
“Cosa? Non ho detto
niente, deve essere stata un’interferenza. Allora, vieni
qui?” chiese, per
deviare l’argomento. Sperò di non aver nominato
Lisa chiaramente come lo aveva
pensato.
“Sì. Vengo lì e mi cucini
qualcosa di buono, ok?”
“Ok. Come vieni?”
Nelson non vide Ellie
alzare le spalle, ma se la immaginò benissimo e sorrise.
“Vengo con l’auto del
vecchio. Stasera…”
“Ellie! Avete litigato
ancora?” Nelson sospirò: ogni volta che Ellie
litigava con suo padre, lo
chiamava sempre ‘il vecchio’.
“Poi ti spiego. Vengo alle
sette, ciao!”
Nelson appoggiò il
telefono sospirando. Il guaio era che di solito era d’accordo
con Trevor e
doveva subirsi lo stesso tutte le lamentele della ragazza.
Si alzò dal letto e
continuò ad asciugarsi i capelli. Cosa avrebbe potuto
cucinare?
***
“Mamma?”
Lisa si affacciò
in cucina e guardò sua madre china sul piano di lavoro.
Quando si voltò verso
di lei vide chiaramente il suo viso invecchiato, le rughe vicino agli
occhi,
quelle sulla fronte e come la pelle gialla avesse perso la
luminosità che la
ragazza pensava indelebile. Ma poi Marge sorrise e tornò
giovane come Lisa la
ricordava.
“Tesoro, sei tornata!”
esclamò, come se il fatto che fosse tornata a casa solo dopo
quattro anni le
dava la possibilità di sparire tutte le volte che varcava la
soglia di casa.
“Sì. Avevo detto che sarei
tornata, quando sono uscita.”
Si avvicinò a lei e la
guardò tagliare le verdure per la cena. Per fortuna si era
ricordata che non
mangiava carne. Lisa sorrise.
“Richard verrà? Quando ce
lo farai conoscere?” Lisa si bloccò di colpo:
aveva allungato una mano per
prendere delle noci dal portafrutta, ma si immobilizzò con
il braccio in aria.
“Mamma… Devo dirti una
cosa…”
“No! Vi siete lasciati? Mi
dispiace!” Sua madre non la fece neanche finire di parlare e
Lisa non riuscì a contraddirla.
Non avrebbe detto niente. Non c’era differenza fra un
‘essersi lasciati’ e un
‘non essere mai stati insieme’ se alla fine il
risultato era lo stesso, giusto?
Marge continuò a tarolare di amori passati e perduti, di
porte e portoni e di
pesci nel mare mentre continuava ad affettare le verdure.
“…E poi chi lo sa, magari
troverai un bel ragazzo proprio qui, a Springfield!”
finì il suo monologo la
madre. Lisa non disse niente: Springfield non le aveva riservato un
buon bentornato per pensare di
rimanerci, ma
non voleva ancora discutere con sua madre.
In quel momento, dalla
finestra del salotto si vide una macchina sportiva parcheggiare sul
vialetto di
casa Simpson e buttare giù la cassetta delle lettere. Homer
si alzò dal divano
senza quell’agilità che tanto non aveva mai
posseduto neanche da giovane e aprì
la porta urlando: “Milhouse! Brutto idiota, hai di nuovo
rotto la cassetta
della posta!”
“Mi scusi, Homer…” rispose
il ragazzo scendendo dall’auto e guardando sconsolato il
danno.
“Chiamami Signor Simpson!”
gridò Homer prima di sbattere la porta e ritornare a sedersi
sul divano.
“Speriamo solo che non sia
Milhouse, ne siamo scampati una volta…”
sussurrò sua madre più a se stessa che
a Lisa, mentre osservava la scena dalla porta della cucina.
Lisa sospirò. Era stata
con Milhouse al liceo. Aveva praticamente odiato il liceo, dopo il
primo anno,
quando ancora non aveva capito come funzionasse davvero. Era odiata da
tutti,
era definita la secchiona della scuola e qualche volta aveva fatto la
spia
quando qualcuno infrangeva le regole. Solo le lezioni erano
interessanti, ma la
maggior parte dei professori insegnava senza impegno né
voglia e questo si
sentiva benissimo. Lei ce l’aveva messa tutta, aveva
organizzato corsi
extrascolastici, manifestazioni e aveva lavorato per il giornalino
scolastico.
Ma gli altri studenti non apprezzavano il suo impegno nel sociale o il
suo
essere insistente, così alla fine, la lasciavano sola. Aveva
fatto un sacco di
cose, ma la sua mancanza di socializzazione aveva reso quegli anni un
po’
pesanti.
O forse la odiavano perché
stava con Milhouse? Poteva essere. Lisa ridacchiò portando
la mano davanti alla
bocca e cercò di rassicurare sua madre:
“È bastata una volta anche per me,
mamma”. Una volta durata un anno e mezzo e la sua
verginità, ma una volta sola.
“Vai da tuo fratello e
digli che sta arrivando Milhouse. Che non scappi detto a Bart cosa
c’è per cena
o quel piccolo scroccone tenterà di invitarsi: sua madre gli
fa mangiare
surgelati e non li scongela sempre!”
Lisa annuì spalancando gli
occhi e salì le scale per tornare al primo piano.
Passò davanti alla camera di
Bart e lo sentì imprecare mentre giocava ai videogiochi.
Bussò, ma non gli
rispose, bussò ancora, ma lui non la invitò a
entrare.
“Babi…” Lisa aprì piano la
porta della stanza di suo fratello e lo chiamò, prima di
fare irruzione, ma lui
le dava le spalle, aveva le cuffie nelle orecchie e stava giocando alla
play
mentre dava ordini a qualcuno. “Babi…”
Bart sobbalzò quando la sorella gli
toccò la spalla e imprecò ancora.
“Lisa, diamine! Mi hai
fatto morire!” Bart la guardò malissimo e poi
toccò qualcosa vicino
all’orecchio. “J-red, mi spiace,
c’è quella rompiballe di mia sorella, ci
becchiamo domani. Stessa ora”.
“Cavolo, Lisa, sei tornata
oggi e già mi hai fracassato la…”
“Bart! Ma ti sembra il
modo di darmi il bentornato?” esclamò Lisa,
contrariata dal suo comportamento.
“Ma ti ho salutato
stamattina! Quando sei tornata, no?” Lisa sbuffò.
Ma era impensabile che suo
fratello non fosse maturato neanche un pochino? Poco pochino?
“Dai, siediti qui
e guardami mentre gioco… ma stai zitta!” Lisa
alzò gli occhi al cielo, ma si
sedette sul piccolo divanetto accanto al fratello.
“Sta arrivando Milhouse”
gli comunicò, mentre Bart riniziava a giocare, questa volta
da solo.
“Cosa c’è per cena?”
chiese lui, come se le cose fossero collegate.
“Non lo so. Cos’è che non
piace a Milhouse? Surgelati?” Bart scoppiò a
ridere e le diede una pacca sulla
coscia. “Ascolta…” riniziò a
parlare, subito dopo, sussurrando. “Oggi la
macchina della mamma non si accendeva più
e…”
“È la batteria che inizia
a fare le bizze. Papone ha detto che la settimana prossima la va a
comprare.
No, lo ha detto due settimane fa…” Bart non la
guardò e alzò il joypad come se
dovesse accompagnare il protagonista del videogame nella sua corsa.
“Ecco! Beh, l’ho cambiata
io. Ne ho presa una usata.”
Bart
smise di giocare e si
voltò verso la sorella. “Cosa hai fatto? E
l’hai montata tu?”
Sua sorella lo aveva fatto
davvero? Lisa si morse le labbra e guardò da
un’altra parte.
“No, Babi… Mi hanno
aiutato… L’ha fatto un tipo…”
Bart tornò a giocare: aveva molto più senso.
“Quanto ti ha preso? Ti ha
fregato?”
“Non lo so, io penso di
no… Ha voluto venti dollari” rispose.
“Se te ne ha chiesti venti
vuol dire che potevi tranquillamente tirare a dieci! Devo andare a
farmeli
ridare?“
Lisa
rise: un po’ per
l’atteggiamento del fratello e un po’
perché aveva capito perché Nelson pensava
di chiedere di più a Bart.
“Penso che venti fosse il
prezzo giusto” rispose. Ma tanto Bart aveva alzato le spalle
come per dire
‘come vuoi’ e aveva ripreso a giocare, senza
calcolarla più di tanto.
“Dove sei andata a fartelo
fare?”
Lisa si morse di nuovo il
labbro inferiore, indecisa se dirglielo o meno. “Da Nelson
Muntz”.
Bart non staccò gli occhi
dallo schermo. “Nelson è bravo. Hai fatto
bene”.
Oh. Davvero? Lisa si
incuriosì: non si era neanche voltato verso di lei come
prima. “Lo pensi
davvero?”
Suo fratello alzò le
spalle. “Penso sia il meccanico migliore, qui a
Springfield”. La ragazza aprì
la bocca, ma non disse niente.
“Ma… Da quand’è che sei
amico di Nelson?”
Bart alzò di nuovo le
spalle. “Ci siamo trovati alla Springfield University
insieme. Non lo vedevo
dalle elementari… Ti ricordi che ha frequentato la Middle
Town e non quella
dove siamo andati noi?” Lisa annuì: loro gli anni
delle medie e del liceo li
avevano fatti in una scuola diversa da quella di Nelson.
“Ecco, poi ci siamo
trovati all’università. Abbiamo fatto amicizia
lì. Lui era… diverso. Non so
bene… Non mi sono fatto tante domande. Ora ci tiriamo pugni
sul ring in
palestra invece che nel cortile della scuola. È ancora
più forte di me, ma
almeno adesso è divertente”. Bart sorrise e Lisa
si meravigliò ancora. Tirarsi
pugni era divertente? Doveva essere una cosa da maschi, visto che non
la capiva.
“Sei
amico di Nelson!” La
voce lagnosa di Milhouse fece girare Bart verso la porta.
“Milhouse, stai
origliando?”
“Perché sei amico di
Nelson? Sono io, il tuo migliore amico! Non è lui il tuo
migliore amico, vero,
Bart?”
“Beh, Milhouse, non è che tu
sia proprio…” Il colpo che Bart ricevette da Lisa
lo mise in guardia e cercò di
cambiare strategia. “È che quando se
andato al college non c’era più nessuno
che…” Questa volta, invece, venne interrotto
direttamente dall’amico.
“Ma non dovevi sostituirmi!
Sono io il tuo amico…”
Bart sbuffò: come odiava
Milhouse quando faceva così la femminuccia. Era proprio
odioso.
Milhouse
aveva quel tono
che a Lisa non era proprio mancato. Sembrava avesse ancora dieci anni
invece di
ventiquattro.
“Milhouse, sono sicura che
tu sia ancora un caro amico di Bart, vero Bart?” Milhouse
spalancò gli occhi,
probabilmente non si era accorto che c’era anche lei. Lisa
non lo vedeva dalla
fine del liceo. Così come non aveva visto nessun altro.
“Lisa! Sei tornata! Come
sei bella!” Il ragazzo, totalmente scordatosi del problema
‘miglior amico di
Bart’, ora la stava guardando con uno sguardo un
po’ viscido. Lisa ebbe un
brivido.
“Già…”
“Posso baciarti?” chiese,
avvicinandosi e sporgendo le labbra verso di lei.
“Oddio, Babi, aiutami” sussurrò.
“Hei,
Milhouse, prendi un
joypad, se vinci contro di me, puoi fermarti a cena.”
Il ragazzo dai capelli blu
sorrise e annuì. I suoi occhiali si spostarono nel movimento
e dovette
sistemarseli. Lisa si alzò dal divanetto per far posto
all’amico, ma lui riuscì
a fermarla prima che riuscisse a scappare dalla camera.
“Però potremmo uscire
insieme, cosa dici, Lisa? Sono passati tanti
anni…” buttò lì la proposta,
bloccandole la strada.
Lei non riuscì a negargli
anche quello e sospirò. “Da amici,
però” concesse.
“Certo, da amici. Una
chiacchierata e basta. Domani?”
Lisa, pensando che lui
volesse invitarla fuori a mangiare, cercò di far morire
subito qualsiasi
iniziativa che implicava l’impegno di troppo tempo.
“Ok, domani dopo cena. Da
amici” chiarì. Milhouse non era di certo il tipo
di ragazzo a cui avrebbe
annusato il dopobarba nel mobiletto del bagno.
Si sentì le guance rosse,
di nuovo, al pensiero di quello che aveva fatto nel pomeriggio e, con
una
scusa, uscì velocemente dalla stanza.
Entrò in camera sua e
prese in mano il sax. O amico sax. Lo accarezzò e lo
avvicinò alla bocca.
Quando chiuse gli occhi e iniziò a soffiare,
però, nessuna melodia uscì dallo
strumento. O dal cuore di Lisa.
“Hai
visto?” chiese
Milhouse, eccitato, a Bart.
“Cosa?”
“È diventata rossa: le
piaccio ancora!”
“Sarai diventato
daltonico”. Il rumore dello scapaccione che gli
rifilò Bart si sentì anche in
cucina.
-
-