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Autore: asthma    08/12/2020    3 recensioni
La sera ti avevo vista, eri proprio lì, seduta in camera, la schiena contro la testata del letto, le gambe sotto le coperte, gli occhiali sul naso. E la mattina non c'eri più. C'eri. Ma non c'eri. Eppure ti avevo vista, mi avevi parlato. La sera prima.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dumbo, Brooklyn
Inno alla misantropia perduta
11 novembre 2020
37°F


Watson,

sono terribilmente affranto dalla facilità con cui mi sono lasciato plasmare da te. Otto anni fa ero una persona completamente diversa prima di fare la tua conoscenza. Quella misantropia che mi caratterizzava era il mio schermo protettivo al riparo da un mondo crudele e distruttivo. Poche e rare sono state le persone in grado di trapassarlo. Pochissime e rarissime sono state le occasioni in cui ho scelto deliberatamente di abbassarlo per concedermi il lusso di intrattenere relazioni interpersonali. Per l'esattezza sono state tre le volte che rimembro: Alistair Moore, Irene Adler, Joan Watson. Overdose di eroina dopo trent'anni di sobrietà, spietata assassina di fama internazionale, cancro all'utero. Ognuna di queste situazioni mi ha reso sempre più consapevole di quanto fragile sia in effetti l'esistenza umana, di quanto superficiali e passeggere siano i rapporti interpersonali e di quanto necessaria sia invece la misantropia. Mai come in questi mesi ne sono stato più convinto.
Quando venni a conoscenza della morte di Alistair e di tutte le circostanze che l'avevano causata risentii innegabilmente della notizia. Fui ossessionato dal pensiero che una sorte del genere potesse toccare a me. Portai il lutto per diverse settimane, il suo volto accompagnò parecchi dei miei sogni, tuttavia il dolore a mano a mano si dissolse, come sale in un bicchiere d'acqua, lasciando al suo posto solo un sapore amaro. Non posso nascondere, invece, come la tua partenza abbia creato in me una voragine incolmabile. Un peso sullo stomaco che mi accompagna da sette mesi. Giorno e notte.
I tuoi vestiti sono ancora al loro posto, nessuno ha più toccato le grucce nel tuo armadio, il letto è ancora sfatto, la porta chiusa a chiave. A volte la riapro, entro, e mi siedo sulla poltrona all'angolo della stanza. Mi siedo e osservo. Mi sembra di sentire la tua voce: «Sherlock, perché Clyde è vestito da squalo?», «Sherlock, ho tutte le piume di Romolo nel letto. Ho detto che in camera non voglio ucc– no, non dirò quella parola, non ho dodici anni». Poi il telefono squilla, il mio flusso di coscienza si interrompe. È il capitano Bell: «Raggiungimi al distretto». Raggiungimi, dice. Un verbo al singolare che ora uccide.
Eppure mi è impossibile ritornare a quello stato misantropico primordiale. Mi hai plasmato, Watson. Mi hai insegnato che le emozioni, pur negative che siano, fanno parte dell'esperienza di vita, sono l'equivalente delle sinapsi. Non tra cellule nervose e gli organi periferici di reazione, ma tra le persone. Mi hai bisezionato come un cadavere, hai fatto fuoriuscire le mie emozioni, mi hai reso vulnerabile e poi mi hai abbandonato a me stesso.

Forse troverò la forza di perdonarti un giorno. Prima devo perdonare me stesso per averti persa.

S.H.

   
 
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