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Autore: lapacechenonho    09/12/2020    3 recensioni
L’anziana coppia che abitava ormai quella casa da moltissimi anni, era seduta nella veranda che molto tempo addietro era stato uno degli elementi fondamentali per la scelta dell’abitazione. Per volere di lei, ovviamente, lui si sarebbe accontentato di vivere sotto un ponte purché al suo fianco ci fosse lei. Si godevano la brezza fresca di quel primo settembre, una data che nel tempo era stata un momento importante, e adesso riguardavano a tutti quei momenti con un pizzico di malinconia tipico degli anziani quando ripensano alla loro vita.
Questa storia partecipa alla challenge “Things you said“ indetta da Juriaka sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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20- 015: Things you said over the phone (Le cose che hai detto al telefono).
 
Harry camminava nervoso in quella casa che ormai poteva definire a tutti gli effetti casa sua. Erano circa le undici del mattino e non avrebbe avuto lezione fino al pomeriggio, Ginny aveva un provino per le Holyhead Harpies e l’aveva rassicurato che gli avrebbe fatto sapere qualcosa non appena avrebbe scoperto l’esito della prova. Aveva insistito perché lui non l’accompagnasse, sostenendo che poi l’attenzione sarebbe ricaduta su di lui e non sulle sue abilità. E poi c’era quel piccolo problemino che ancora non lo avevano detto ai signori Weasley. Ad essere onesto, Harry era terrorizzato all’idea di doverlo dire alla famiglia di lei: i Weasley erano quanto di più simile ad una famiglia che avesse mai avuto, gli sembrava in qualche modo di tradire la loro fiducia. Riusciva ad immaginare chiaramente gli sguardi omicidi di Bill e lo capiva, ci era già passato con Ron.
Cercando di non pensare a quando sarebbe morto per mano dei fratelli Weasley, iniziò a rassettare la cucina, lo fece senza magia in modo tale da impiegare più tempo possibile.
Aspettava un Patronus a forma di cavallo da un momento all’altro ma tutto in quella casa a più piani taceva, anche il ritratto della madre di Sirius. Il silenzio venne squarciato dallo squillo del telefono. Era strano che squillasse, Harry aveva scelto di comprarlo solo per quando era in giro per la Londra Babbana,  sapeva che c’era Ginny ad aspettarlo a Grimmauld Place e non poteva evocare un Patronus.
Sospettoso si avvicinò alla cornetta e la sollevò: «Pronto?»
«Signorina ha messo la cornetta al contrario, ma non ha mai usato un telefono?» rispose una voce maschile dall’altro lato del telefono. Harry stava giusto per riattaccare convinto che l’altra persona avesse sbagliato numero.
«Harry!» la voce familiare di Ginny attivò tutti i suoi sensi.
«Ginny…come…cosa…» farfugliò confuso. Da quello che sapeva, Ginny non sapeva usare manco il telefono da cui adesso stava parlando, figuriamoci un telefono pubblico.
«Sono nella Londra Babbana» chiarì. «Un signore mi ha aiutato a capire come funziona questo fetelono». Harry dovette reprimere una risata perché sapeva che Ginny non l’avrebbe presa troppo a ridere, anzi, gli avrebbe attaccato il telefono in faccia e lui non avrebbe mai saputo com’erano andati i provini.
«Si chiama telefono» rispose Harry ridacchiando. Ginny non rispose, probabilmente aveva messo su un’espressione imbronciata. «Come mai sei nella Londra Babbana?» chiese cambiando discorso.
«Oh…ho finito i provini e ho pensato di fare un giro. Non potevo mandarti un Patronus, per questo ti ho chiamato» spiegò.
«Un Pratronus? Ma di che cosa sta parlando?» domandò la voce di prima.
«Si faccia gli affari suoi!» esclamò Ginny piccata. Harry trattenne un’altra risata.
«Ginny, tesoro, forse dovresti chiudere la porta della cabina telefonica così le persone fuori non ti sentano» suggerì sorridendo. Gli mancava poco e sarebbe scoppiato a ridere senza alcuna dignità.
«Ah…» mormorò piano Ginny. Un tonfo in lontananza e un «Ficcanaso!» esclamato dalla sua ragazza, fecero capire ad Harry che finalmente la porta della cabina era stata chiusa.
«Quindi come sono andati i provini?» domandò arrivando al punto. Improvvisamente era serio e l’aria divertita era svanita dal suo volto, si sentiva teso come se quella risposta determinasse il suo futuro e non quello di Ginny.
«Mi hanno presa Harry! Faccio parte delle Holyhead Harpies!» Harry spalancò gli occhi emozionato. Sapeva che Ginny aveva tutte le carte in regola per diventare una giocatrice di Quidditch professionista, ma avere la certezza che a breve lo sarebbe stato davvero faceva scoppiare il cuore di Harry dalla felicità.
«È una notizia bellissima, Ginny!» esclamò. Avrebbe voluto baciarla e abbracciarla, stringerla forte e festeggiare insieme a lei quel nuovo inizio.
«Quando Gwenog Jones ha detto di avermi presa non ci credevo, ero al settimo cielo!» commentò. Era elettrizzata, Harry lo percepiva dalla voce, sorrise quasi senza rendersene conto. D’improvviso non gli importava più se a lui andava tutto male, voleva solo che lei fosse felice; gli bastava quello per sorridere.
«Te lo meriti. Come tuo ex-capitano te l’avevo detto che avevi tutte le carte in regola per farcela» le ricordò. Ginny fece una risata leggera, appena udibile attraverso il telefono, poi cambiò argomento: «Sai che c’era anche Angelina?»
«Angelina Johnson?» si accertò.
«Conosci altre Angelina?» chiese retorica con un pizzico di gelosia nella voce.
«No, chiedevo solo conferma!» si difese prima che la conversazione degenerasse. Un sospiro divertito raggiunse l’orecchio di Harry.
«E non era da sola! C’era anche George!» continuò incurante del piccolo scambio di battute appena avvenuto.
«Be’, sarà andato lì a sostenere la sua amica, erano grandi amici quando andavano a scuola, no?» cercò di ricordarsi mentre giocava col filo attorcigliato del telefono.
«Be’, se la metti così, anche noi siamo grandi amici…» c’era un che di maliziosamente sfacciato nella sua voce che fecero capire ad Harry che forse George ed Angelina non erano poi così tanto grandi amici. «Devo andare Harry, il tizio fuori mi sta indicando l’or-» ma cadde la linea. Harry rise pensando che probabilmente aveva finito di gettoni e che un’altra chiamata sarebbe arrivata solo quando il malcapitato avrebbe finito di spiegare per la seconda volta come funziona una cabina telefonica.
Guardò quell’aggeggio Babbano posto su una mensola vicino alla cucina e scoppiò a ridere. Rise perché Ginny era maledettamente imbranata con tutto ciò che aveva a che fare con il mondo Babbano e rise perché la donna della sua vita stava finalmente realizzando i suoi sogni.
 
«Mi ricordo ancora la faccia di quel signore!» esclamò Ginny. Aveva le lacrime agli occhi per le troppe risate, probabilmente la scena era stata molto più divertente vissuta da lei, che quanto aveva percepito lui dalla cornetta del telefono. «Mi avrà preso per una matta scappata dall’ospedale, parlavo di Patronus e non sapevo come si usava un telefono!»
«Meno male che non mi hai richiamato più ma ti sei limitata a cercare un vicolo nascosto per smaterializzarti!» rispose Harry, ricordando altri momenti legati a quella vicenda; anche lui rideva di gusto.
Si sistemarono un po’ più comodi sul divano, le gambe stavano cominciando ad anchilosarsi tanto era il tempo che avevano passato in quella posizione. Il movimento fece smuovere l’odore di Harry, l’odore che Ginny sentiva ogni volta che si trovava vicino all’Amortentia.
«È cambiato tutto da quel momento» disse tornando alla realtà e concentrandosi sui ricordi della loro storia d’amore.
«E per la prima volta in meglio!» esclamò Harry che ancora faticava a credere quanto fosse migliorata la sua vita dopo la morte di Voldemort. «Abbiamo deciso di dire ai tuoi che stavamo insieme…» rammentò sovrappensiero.
«Io mi ricordo meglio ciò che hai detto alla fine della cena» mormorò Ginny fissando lo sguardo nelle iridi verdi e luminose di Harry. Non si soffermò troppo: un’altra storia aveva iniziato a prendere forma nella sua mente.


 

   
 
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