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Autore: throughmyhead    10/12/2020    0 recensioni
Hirugami Sachiro, studente modello di veterinaria, vince una borsa di studio e si ritrova catapultato nella realtà dei salvataggi in mare.
L’oceano non sarà l’unica cosa a rubargli il cuore.
(Una piccola storia che ha la pretesa di cantare, per quello che può, le bellezze e i dolori del mare e dell’amore.)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kourai Hoshiumi, Sachiro Hirugami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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2.


Sachiro trascorse anche il secondo giorno in mare. La mattinata passò tranquillamente fra rilevamenti e misurazioni di alghe, coralli e ricci marini. Hakuba Gao sembrava essere al settimo cielo, osservando dagli schermi le diverse specie coralline e registrandone con minuzia la mappatura. Sachiro si immerse con lui per recuperare dei campioni da analizzare. Le immersioni gli stavano piacendo più del previsto; con la muta e la bombola di ossigeno si sentiva un astronauta. Fluttuava con leggerezza in acqua come nell’atmosfera, in quel mondo che pochi altri avevano la fortuna di poter esplorare. 
Quando risalirono sulla Kamomedai l’atmosfera, però, sembrava essere cambiata. Nella plancia il capitano Murphy e il ragazzo dai capelli bianchi e dal nome particolare - Hoshiumi - stavano discutendo animatamente, mentre Nishinoya controllava le apparecchiature del ponte di comando con espressione turbata. Sachiro si avvicinò a quest’ultimo, che spiegò la situazione. 
“Sono ore che i radar segnalano la presenza di un’imbarcazione ferma al largo. La sua attività non è tracciata e non ha risposto al mio tentativo di comunicare via radio. Ho paura si tratti di cacciatori di frodo.”
“Non abbiamo il permesso di fare ispezioni o controlli su altre navi, lo sai bene” stava dicendo nel frattempo il capitano, quasi esasperato.
“Avviciniamoci comunque, possiamo fermarli se stanno facendo qualcosa di illegale e poi segnalarli alle autorità!” ribatté con convinzione Hoshiumi.
Nishinoya sembrava essere d’accordo con lui. “La faccenda è decisamente sospetta”.
Alla fine il capitano Murphy si massaggiò le tempie e sospirò. “Va bene, va bene. Ricordatevi solo che la Kamomedai è una nave di ricerca e di soccorso. Niente scontri con le baleniere tipo quelli di Seashepherd, sono stato chiaro?”
Hoshiumi sollevò i pollici, soddisfatto, e Nishinoya fece partire i motori. 
Come i due avevano sospettato, in mare non stava succedendo niente di buono.
Murphy uscì sul ponte per osservare il mare con un binocolo, e Hirugami lo seguì. A quanto pare, Hoshiumi aveva un fiuto speciale per le attività illegali, ma l’intervento che la Kamomedai poteva fare contro pirati e pescatori di frodo era piuttosto limitato. Il problema era che a Hoshiumi non sembrava importare. 
Nishinoya li raggiunse all’improvviso. “È un peschereccio. Ha iniziato a muoversi non appena siamo entrati nel suo raggio visivo, ma ancora non risponde via radio.”
Il capitano annuì. Ogni traccia di sorriso era scomparsa dal suo volto. “Informa subito le autorità e manda loro tutti i dati disponibili su quella nave” ordinò mentre continuava a studiare l’orizzonte. “Stanno già tagliando la corda”.
Quando la Kamomedai raggiunse il punto dove prima l’altra imbarcazione era ferma, ad aspettarli non rimanevano che delle boe che galleggiavano in mare, alle quali sembravano essere legate delle esche. 
“Scendo a vedere il fondale” esclamò Hoshiumi, che aveva già iniziato ad infilarsi la muta da sub.
“Ti accompagno” propose Sachiro. 
Una volta sott’acqua Hirugami sentì raggelarsi il sangue.
Il fondale era ricoperto da cadaveri di pesci mutilati.
Erano squali, alle quali erano state tagliate le pinne, che probabilmente erano stati rigettati in mare ancora agonizzanti.
“Siamo arrivati tardi” sussurrò, una volta riemerso in superficie, con gli occhi che bruciavano per qualcosa che non era il sale del mare. 
“Abbiamo abbastanza prove perché la guardia costiera possa intervenire. Non siamo stati del tutto inutili.” commentò Hoshiumi, lo sguardo ancora fisso sul mare. 
“Domani sicuramente andrà meglio” aveva detto Gao nel viaggio di ritorno, cercando di risollevare l’umore generale.
 
Le cose non andarono affatto meglio. 
Sembrava che la scena del giorno precedente si stesse ripetendo: Nishinoya concentrato sui segnali della schermata radar, Hoshiumi intento a convincere il capitano a partire immediatamente, e quest’ultimo preoccupato per i limiti di intervento che potevano avere. Nuovamente, la Kamomedai sembrò arrivare tardi.
“Hanno tagliato delle reti dal cassero facendole cadere in mare” osservò Hoshiumi.
“Pesca a strascico?” domandò il capitano Murphy, inorridito.
“Già. Sembrano reti derivanti.”
Sachiro non sapeva cosa fossero, ma capì che si trattava di pesca non autorizzata. Una piattaforma circondata da taniche vuote e galleggianti era abbandonata in acqua. Da questa struttura, un intrico di fili di nylon si gettava nel mare, scendendo metri e metri in profondità. 
“Sono reti da pesca illegali, lunghe anche chilometri, che si muovono con le correnti e raccolgono tutto. Pesci, invertebrati, coralli, alghe…” spiegò il capitano. “Tartarughe. Cetacei. Qualsiasi cosa. Sono muri della morte per tutte le specie, anche quelle protette. Avanti, prepariamo la carrucola”.
Sachiro restò a guardare l’equipaggio adoperarsi per ritirare le reti. Restò a guardare metri e metri di spaghi di polipropilene e fili di nylon intrecciato, pesci vivi rimasti impigliati in quella ragnatela artificiale, che si dimenavano nel tentativo di sfuggirvi, e tanti altri, molti di più, che si erano arresi molto prima.
Era completamente paralizzato, come se quell’ammasso di fili da pesca stesse stringendo e schiacciando anche lui fino a farlo sanguinare. Era questo quello che succedeva là fuori, tutti i giorni? Era questo il modo in cui gli uomini sfruttavano il mare? La realtà che si era ritrovato sbattuto in faccia era talmente cruda da farlo rabbrividire e nauseare.
Qualcuno afferrò il suo braccio e prese a strattonarlo.
Il groviglio di pensieri che lo stavano pietrificando sembrò sciogliersi davanti agli occhi grandi di Hoshiumi che lo fissavano indecifrabili. Sachiro non capiva se quella che vi vedeva riflessa era preoccupazione, determinazione o presunzione.
“Hey! Cosa fai lì impalato? La stiamo togliendo dall’acqua. Questa rete non ucciderà più. Smetti di fissare il vuoto come uno scemo e vieni a darci una mano!”
Quelle parole furono l’ultima spinta che lo fece tornare padrone di sé. Lasciò da parte ogni pensiero che lo feriva e tornò nei panni dell’inamovibile.
 
Quando la Kamomedai attraccò al porto, Sachiro sentiva ancora nell’aria attorno a sé il sale, la plastica e il sangue. Il signor Murphy si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla, premuroso.
“Come ti senti?” chiese. 
Hirugami ci mise un minuto buono a rispondere.
“Io… Forse non ero preparato a certe cose.”
Il superiore annuì, comprensivo. “È molto pesante, e non ci si fa mai davvero l’abitudine. Che ne dici domani di stare in ospedale, a occuparti delle vasche degli animali in guarigione? Vedrai che sarà una giornata più piacevole.”
Sachiro sfoderò il suo sorriso migliore e si congedò frettolosamente. Si lasciò alle spalle la banchina e si infilò in un vicolo, fra le piccole case del porto, in silenzio. Strinse le mani in un pugno.
Era frustrante. Era la cosa più frustrante che gli fosse mai capitata. 
Qualcuno là fuori si divertiva a fare del mare un cimitero, e lui non aveva potuto fermarlo. Non si era mai sentito così inutile. 
Senza pensarci, si ritrovò a strisciare le nocche contro il muro di pietra. Spinse finché non vide il sangue macchiare la roccia e creare una striscia perfetta dopo il passaggio della sua mano.
Non sentiva nulla.
“Cosa stracazzo stai facendo?!?”
Qualcosa lo afferrò per lo zaino e lo allontanò dal muro.
Sachiro si voltò e vide davanti a sé, ancora una volta, il ragazzo dai capelli bianchi. L’espressione seria con cui era solito guardare il mare e con cui lo aveva richiamato sulla nave era scomparsa, e al suo posto vi era lo sguardo più incredulo e sconcertato che avesse mai visto qualcuno rivolgergli.
“Io…” Sachiro tentò di fargugliare qualcosa. 
Hoshiumi prese fra le mani la sua, preoccupato. Delle gocce scarlatte macchiarono le sue dita.
“…io non sono più tanto sicuro che un lavoro del genere possa fare per me” si sentì confessare. Un senso di impotenza e inadeguatezza avevano sostituito completamente l’euforia dell’incontro con la megattera del primo giorno. Si sentiva perduto.
“Uhm. Okay.” disse Hoshiumi, dopo averlo fissato per un altro paio di minuti buoni. “Allora non farlo. Puoi stare in laboratorio o alle vasche in clinica. Non è mica un problema.“ disse come se stesse solo constatando l’ovvio. 
Per Sachiro, però, quell’ovvietà fu invece una specie di rivoluzione.
Era come se si fosse dimenticato di essere uno studente di veterinaria. Era come se si fosse dimenticato di tutte le cose buone che aveva fatto, e di tutte quelle che avrebbe continuato a fare. Sachiro si rese conto improvvisamente che non aveva il potere di fermare tutte le atrocità che succedevano in mare, e che andava bene così, non poteva pretendere da sé stesso una cosa del genere, e in ogni caso, nessuno si aspettava che lo facesse. Poteva fare la differenza curando gli animali nel modo che conosceva, con le arti mediche e con le sue mani, in una sala operatoria sterile. Il mondo non sarebbe finito se lui avesse deciso di non andare in mare, né se non fosse riuscito a salvare qualsiasi creatura avrebbe incontrato sul suo percorso. Per Dio, la vita sarebbe continuata anche se avesse deciso di fare qualcosa tipo il pallavolista al posto del veterinario, e nessuno gliene avrebbe fatto una colpa. Quel pensiero così semplice lo confortò immensamente. 
Era lui che voleva fare questo. Era il suo desiderio di aiutare gli animali che lo aveva portato in mare, era una decisione che aveva preso lui stesso, mosso dai suoi ideali.
Hoshiumi nel frattempo aveva iniziato a tamponare un fazzoletto sulle sue ferite - che ora, con la lucidità riacquistata, iniziavano a bruciare facendosi sentire. Sachiro fece un piccolo respiro prima di parlare.
“Hai ragione. È solo che… vorrei aver potuto fare qualcosa”.
Il piccoletto sorrise. “La morte non si può evitare. Fa parte del mondo quanto la vita. E struggersi per le vite che non si riescono a salvare occupa tempo che possiamo invece dedicare a quelle che riusciamo a salvare. E poi, non preoccuparti. L’oceano non è come noi. L’oceano è forte!” gli sorrise.
Sachiro pensò che Hoshiumi Korai era davvero qualcosa di assurdo: in certi istanti non sembrava che un ragazzino sfacciato, pieno di sé e privo di tatto; ma poi se ne usciva con quelle piccole perle di saggezza e una delicatezza impensabile, mentre si premurava di asciugare il sangue dalle sue ferite. La cura che stava dedicando alla sua mano, il modo in cui prima, sulla nave, aveva capito che aveva bisogno che qualcuno lo riportasse in sé, la maturità inaspettata delle sue parole… era tutto inaspettato e meraviglioso.
La sua attenzione, poi, si spostò completamente sul paio di occhi grandi e rotondi con cui lo stava fissando. Erano di un verde oliva talmente pallido e particolare, che colpiti dalla luce del sole si schiarivano al punto da diventare gialli. Lo stavano guardando come se potessero scandagliare il fondo della sua anima.
“Io ho imparato un sacco di tempo fa quanto sono piccolo e debole. Ma questo non mi impedisce di fare del mio meglio ogni giorno. Debole non vuol dire incapace o incompetente! Siamo tutti in grado di fare qualcosa, di dare una mano… e non per forza facendo le stesse cose! È questo il bello! E poi, conoscere i propri limiti ci permette di reagire e perfezionarci. Comunque, io ci passerei dell’acqua ossigenata qua sopra” concluse dando un’ultima occhiata alle sue nocche, per poi infilare le mani in tasca e dargli le spalle, accennando ad andarsene. “ma questo lo saprai meglio di me, immagino!” aggiunse strafottente, prima di svoltare l’angolo e scomparire, rapido come era arrivato.
Sachiro rimase a guardare il vuoto davanti a sé, mentre le parole di quel ragazzo mettevano radici dentro di lui.
Hoshiumi Korai sarà anche stato piccolo di statura, ma Sachiro non poté fare a meno di pensare che aveva invece la presenza di un gigante.




 

Okay, sono pienamente consapevole di essere stata un po’ pesante in questo capitolo… è che non posso scrivere una storia sul mare e ignorare le problematiche della nostra realtà :) L’oceano è un po’ come l’amore: senza, non potremmo vivere. E noi che abbiamo la fortuna di affacciarci su uno dei mari più belli del mondo, ma anche uno dei più sfruttati, dobbiamo ricordarcelo e agire coscienziosamente, anche nel nostro piccolo!
Non sono del mestiere quindi mi scuso se qualche descrizione prettamente nautica non rispecchia fedelmente la realtà, ho cercato in ogni caso di fare del mio meglio per sembrare sensata XD

Hoshiumi nel manga fa un sacco di discorsi intelligenti riguardo le debolezze e i punti di forza di una persona - “we aren’t limited to only one way of being great!” - e sono sicura che Hirugami lo ammira anche per tutte le perle di saggezza che gli ha regalato inconsapevolmente :')
Sperando di riuscire ad aggiornare prima di Natale 2021... XD alla prossima! :3

 

   
 
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