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Autore: throughmyhead    08/10/2020    2 recensioni
Hirugami Sachiro, studente modello di veterinaria, vince una borsa di studio e si ritrova catapultato nella realtà dei salvataggi in mare.
L’oceano non sarà l’unica cosa a rubargli il cuore.
(Una piccola storia che ha la pretesa di cantare, per quello che può, le bellezze e i dolori del mare e dell’amore.)
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kourai Hoshiumi, Sachiro Hirugami
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hola :D
Questa volta provo a cimentarmi in una multicapitolo su due personaggi non troppo famosi nel fandom italiano, ma che a me piacciono moltissimo. Le loro backstories sono fra le mie preferite e Hoshiumi a mio parere è un ottimo personaggio: tralasciando il suo character design favoloso, a primo attrito risulta quasi antipatico per la sua esuberanza e voglia di attenzioni, ma dietro a quella maschera di ostentata sicurezza si nasconde una personalità molto più complessa e profonda. Hoshiumi sa di essere in svantaggio, sa di dover dare molto più degli altri per rimanere in campo ed essere loro pari, sa di non poter mostrare punti deboli. Ha lavorato tanto, giorno dopo giorno, per raffinare le sue abilità e guadagnarsi il suo posto fra i migliori. Hirugami prova una pressione simile, viste le aspettative che tutti hanno nei suoi confronti, e a sua volta si nasconde dietro un muro costruito appositamente per non far trasparire le sue debolezze, un muro che gli lascia difficile mostrare la sua parte sensibile ed empatica. Insomma, trovo che entrambi nelle loro contraddizioni siano molto umani. Ma ora la smetto di blaterare (leggetevi il manga di haikyuu, davvero, è una meraviglia) e vi lascio alla lettura.
Non parlerò di pallavolo in questo AU, ma spero di riuscire a regalarvi una bella storia. Il tema del mare è un argomento talmente complesso e meraviglioso che spero davvero di non rovinarlo con delle banalità. ^^"
Le parole che mi hanno ispirato sono quelle della canzone di Kenshi Yonezu che ho usato anche come titolo della storia (è un pezzo stupendooo).
Lasciate una piccola recensione se vi piace l’idea, anche solo come incentivo per me a continuare a scrivere (e soprattutto se avete critiche costruttive su come migliorare il mio modo di farlo, lo apprezzerei davvero tanto).
See ya!



 

1.
 

Hirugami Sachiro aprì le finestre e rimase abbagliato dalla luce del mattino. Respirò a fondo l’aria di salsedine e guardò in lontananza, dove dai piccoli spiragli liberi fra i muri delle case del porto si intravedeva il mare.
Quando si era iscritto alla facoltà di veterinaria, mai si sarebbe aspettato di vincere un concorso per uno stage di sei mesi al National Marine Life Center, uno dei centri di recupero animali marini e ricerca e conservazione più rinominati al mondo. Alla fine, tutti i sacrifici e tutto il tempo passato sui libri lo avevano premiato: Sachiro era considerato da tutti un ragazzo prodigio, ma nessuno sapeva quanta costanza e impegno servivano per rispondere all’aspettativa di studente modello che gli altri avevano di lui.
Quello era il suo primo giorno, e si sentiva carico come non mai. Si presentò all’ufficio indicato con un buon quarto d’ora di anticipo, curioso di sapere con cosa lo avrebbero fatto iniziare: lo avrebbero spedito in mare aperto per delle ricognizioni, in ambulatorio a trattare gli animali feriti, o in qualche laboratorio sottomarino a fare osservazioni e registrare dati?
Un uomo sulla cinquantina piombò nella stanza e si presentò come Aaron Murphy, il coordinatore della divisione Recupero e Soccorso, nonché responsabile del suo stage.
“Per essere arrivato qui in mezzo all’oceano devi essere un bravo studente. Hai già fatto qualche esperienza sul campo?” gli chiese, dopo le presentazioni.
“Ho fatto tirocinio in alcune cliniche veterinarie di città, ma a parte qualche tartaruga non ho esperienze dirette con gli animali marini, signore”.
Il signor Murphy rise a gran voce e accompagnò Sachiro fuori dall’ufficio con delle piccole pacche sulla schiena. “Allora oggi partiamo col botto. Farai un giro di ricognizione sulla Kamomedai, giusto per farti un’idea su cosa c’è là fuori. Non tutto il sapere sta sui libri, sai?”.
Raggiunsero in una manciata di minuti il molo, dove, fra qualche barca a vela e dei pescherecci, ormeggiava una grossa nave da ricerca bianca, sulla cui murata torreggiava, in blu, la scritta Kamomedai. Hirugami pensò che quei colori erano perfetti per una nave che portava il nome dei gabbiani.
Il signor Murphy ne era il capitano, e ne approfittò per mostrargli le cabine interne e la plancia. I laboratori erano attrezzati con ecoscandagli, sensori e telecamere subacquee, rendendo la nave perfetta per gli studi oceanografici. Sachiro non conosceva in modo approfondito quelle tecnologie, ma non era quella la sua area di interesse. A parte lui, infatti, i restanti studenti ad aver vinto lo stage al National Marine Life Center provenivano dal corso di biologia ed ecologia marina.
Hirugami fece la conoscenza di Hakuba Gao, un ragazzone che superava i due metri, anche lui arrivato da poco, e di Nishinoya Yuu, un ufficiale di coperta famoso per la sua esperienza in mare aperto e per l’aria da lupo di mare veterano che gli procurava con facilità il rispetto di tutti, nonostante la bassa statura.
Mentre i nuovi arrivati iniziavano a chiacchierare fra loro, la Kamomedai salpò. Hirugami ne approfittò per uscire sul ponte e raggiungere la prua. Non gli interessava particolarmente stringere amicizie in quel frangente, dal momento che se ne sarebbe andato dopo qualche mese. Gli interessava solo imparare qualcosa del mare - no, dal mare.
L’oceano era meraviglioso. La nave avanzava increspando la superficie dell’acqua, una distesa infinita limpida e cristallina. Il vento gli sferzava giocosamente il volto, scompigliandogli i capelli e inumidendogli gli occhi. Hirugami si godette quel momento perfetto. Era come se il mare gli stesse dando il benvenuto con quel vento che sapeva di libertà antica, quasi dimenticata.
Dopo un paio di minuti passati a osservare quel blu, si accorse della presenza di una seconda persona, sull’altro lato della prua.
Un ragazzo dai capelli completamente bianchi, mossi dal vento con tanta leggerezza da sembrare delle piume. Anche lui sembrava perso a guardare il mare.
Indossava una maglietta azzurra con la scritta Marine Animal Rescue Specialist sulla schiena. Sachiro dubitava esistesse questa figura professionale - probabilmente era una di quelle magliette con le frasi ad effetto di cui erano piene le bancarelle di fiere e festival; e non doveva essere nemmeno uno studente come lui o Gao, perché il signor Murphy non si era premurato di farglielo conoscere.
Fissava in religioso silenzio la superficie dell’acqua, con un’espressione di totale concentrazione. Sachiro non ebbe il coraggio di disturbarlo. Se faceva parte dell’equipaggio della Kamomedai, probabilmente avrebbero avuto modo di presentarsi più tardi.
Hirugami tornò a guardare l’orizzonte, quando improvvisamente il ragazzo lanciò un grido.
“AH-HA! Beccata!” disse in tono trionfante, puntando il dito verso un punto indefinito davanti a sé, prima di girare i tacchi e sfrecciare sottocoperta.
Sachiro scrutò con maggiore attenzione l’acqua, accorgendosi dopo un paio di minuti della presenza di qualcosa che di tanto in tanto ne increspava la superficie, lanciando dei piccoli spruzzi nell’aria.
“Una megattera” sussurrò, sentendosi improvvisamente mancare la voce quando notò la rete da pesca che avvolgeva il suo dorso.
Non fece in tempo a raggiungere la stiva che il capitano Murphy gli gettò fra le mani una tuta da sub. “La taglia dovrebbe essere giusta. Ricordati di prendere una bombola di ossigeno dopo esserti cambiato”.
Sachiro sbatté le palpebre un paio di volte, poi lasciò che la parte razionale del suo cervello prendesse il comando. Nelle situazioni di stress, infatti, Hirugami era famoso per riuscire a restare lucido e a mantenere la concentrazione. Lo faceva estraniandosi da sé, osservando e giudicando le proprie azioni come uno spettatore esterno, mettendo a tacere completamente qualsiasi emozione avvertita.
I suoi compagni di università lo chiamavano l’inamovibile per complimentare il suo sangue freddo, ma quel soprannome non lo faceva impazzire. In realtà, questa sua capacità di non farsi prendere dal panico era solitamente ristretta all’ambito lavorativo: Hirugami desiderava avere quel tipo di controllo anche nella sua vita privata, dove invece le emozioni e l’impulsività prendevano molte volte il sopravvento. Era quella, pensava, la sua debolezza: il troppo sentire.
In pochi minuti un gommone fu in acqua, e Sachiro si ritrovò seduto sul bordo con la schiena rivolta verso il mare, insieme al capitano Murphy, a Nishinoya e al ragazzo dai capelli bianchi.
“La pinna pettorale sinistra è incastrata nella rete, dobbiamo assolutamente liberarla” spiegò il capitano.
La balena, probabilmente impaurita, continuava a nuotare per non lasciarsi avvicinare. Nishinoya accese il motore a tutta birra e annullò il più possibile le distanze.
“Vado io per primo!” Hirugami sentì gridare, prima di vedere il ragazzo del quale ancora non sapeva il nome buttarsi in mare, armato solamente di un misero boccaglio. Gli altri presenti non batterono ciglio a riguardo, quindi Sachiro dedusse che quel tipo di comportamento non era, contrariamente al suo giudizio personale, considerabile come tentativo di suicidio.
Sachiro poi non era troppo sicuro del fatto che buttarsi in mare per districare una balena da una rete da pesca rientrasse fra le competenze di un veterinario, ma non avrebbe protestato. Si limitò a ringraziare il cielo per aver completato con successo il corso di sub qualche settimana prima.
Nishinoya gli porse un coltello decisamente grande e affilato, spiegandogli come consumare le corde in modo da liberare la megattera.
Non gli restava che buttarsi.
Quel tuffo all’indietro gli sembrava il salto nel vuoto più grande da affrontare. Impedì ai suoi pensieri di andare oltre - non era quello il momento di perdersi in riflessioni inutili sul fatto che forse vivere e diventare adulti era esattamente così, un tuffo in un mare sconosciuto quando meno ci si aspettava di doverlo fare - fece un respiro, chiuse gli occhi e si lasciò cadere.
L’impatto non fu dei più piacevoli. L’acqua era molto più gelida di quanto avrebbe pensato, e capì presto che avrebbe dovuto nuotare, e anche piuttosto velocemente, se non voleva essere lasciato indietro dal gommone e dalla balena stessa.
Non era mai stato così vicino a un’animale così grande, e si sentì improvvisamente vacillare, impietrito e meravigliato dalla maestosità di quanto si trovava davanti ai suoi occhi.
Il ragazzo dai capelli bianchi - come diamine si chiamava? - nuotava senza sosta, rapidissimo. con un paio di bracciate riuscì ad aggrapparsi alla rete da pesca, e si ritrovò così a farsi trascinare dalla megattera, che sembrava finalmente aver rallentato il ritmo. In men che non si dica estrasse la lama del suo coltello e prese a tagliare la prima corda.
Vedere quel piccoletto all’opera lo ridestò dai pensieri. Iniziò a nuotare e non si arrestò finché non sentì sotto il palmo la pelle spessa e resistente della balena. Il cuore probabilmente gli stava scoppiando, ma ignorò anche quello.
La rete era molto spessa, ma per fortuna non era di metallo. Pazientemente tagliò e resecò un pezzo di corda dopo l’altro, liberando un poco alla volta la megattera.
Quanto tempo era passato da quando si era immerso? Sembrava fossero passati un paio di minuti e un paio di ore insieme, e Sachiro si era dimenticato di chiedere quale fosse la capienza della bombola di ossigeno.
Si ricordò improvvisamente che il ragazzo immerso con lui non aveva nemmeno quella, e cercò la sua figura con improvvisa preoccupazione.
Quest’ultimo si teneva in equilibrio sul dorso della balena, mentre continuava a sfilacciare la rete che intrappolava l’animale. Ogni tanto, spingendosi con i piedi, risaliva in superficie per prendere fiato, prima di tornare ad accomodarsi sull’animale.
Sembrava talmente a suo agio, quasi danzasse nell’acqua, in compagnia di un amico di vecchia data. Sachiro sentì l’ammirazione crescergli dentro. Quel tipo doveva conoscere davvero bene il mare.
Finalmente la rete si allentò totalmente e la balena fu libera. Dei solchi profondi segnavano i punti in cui le corde avevano stretto troppo la sua pinna, ma non c’erano ferite aperte. Se la sarebbe cavata.
Sachiro rimase a guardarla scivolare dolcemente nell’acqua più profonda, finché non si fu allontanata.
Risalì in superficie e vide le mani tese del capitano Murphy e di Nishinoya, che lo aiutarono con un sorriso a risalire sul gommone.
Sentì, poi, il suono profondo della megattera, un canto di gratitudine che gli mise la pelle d’oca.


Una volta asciugato e rivestito all’interno della Kamomedai, Hirugami si mise a cercare il giovane dai capelli bianchi. Non sapeva esattamente cosa voleva chiedergli, ma sentiva che doveva ritrovarlo, fargli almeno i complimenti per la destrezza con cui si muoveva in mare e sulla balena.
Lo trovò sul ponte, appoggiato al parapetto blu, che guardava distrattamente la costa avvicinarsi. 
“Hey... Sei stato davvero bravo, prima, in acqua” disse approcciandolo.
Il ragazzo lo guardò e Sachiro pensò che non aveva mai visto due occhi così. Erano decisamente grandi, di un verde particolarissimo, quasi trasparente, e contornati da ciglia scure che davano l’impressione di disegnargli una lunga linea sulle palpebre. Sembravano quelli di un gabbiano.
“Grazie! Lo so!” rispose lui, sollevando il mento e sfoderando un ghigno. Hirugami per poco non si mise a ridere: forse con quella presunzione un pavone sarebbe stato l’animale più corretto a cui associarlo, piuttosto che un gabbiano.
“Sono Hirugami Sachiro, lo studente di veterinaria” continuò comunque con un sorriso gentile, allungando il braccio per presentarsi come si deve con una stretta di mano.
“Oh. Io sono Hoshiumi Korai! Soccorritore volontario!” Esclamò quest’ultimo, ignorando completamente la sua mano e portando invece il pollice verso il proprio petto, come avrebbe fatto un bambino. Che problemi aveva questo tipo?
Stavolta, però, Hirugami sentì un sorriso sincero farsi strada involontariamente sul suo viso.
Il suo nome, Sachiro, gli era sempre piaciuto, perché i segni con cui era scritto volevano dire “buona fortuna”.
Hoshiumi era scritto con i caratteri di “oceano” e “stella”. Il suo nome, invece, aveva le parole “luce che arriva”. Come un lampo nel cielo sopra un mare in tempesta. Una stella cadente che illumina all’improvviso le onde.
Hirugami pensò che non aveva mai trovato un nome più appropriato ad una personalità come quello. Ed ebbe l’impressione che, nel bene o nel male, quello era anche un nome che non sarebbe mai stato capace di dimenticare.


 

   
 
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