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Autore: MarcieMame    11/12/2020    1 recensioni
Un rospo! Cosa ci faceva un rospo sulle scale di un appartamento al centro di Londra? Non era sicura neanche di averne mai visto uno di persona, ma era certa che di solito si trovassero in pozze d’acqua fangosa o giardini umidi o cose del genere. Invece eccolo lì, piccolo, marroncino, viscido e decisamente bitorzoluto, con gli occhietti sporgenti semichiusi.
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Storia partecipante al Calendario dell'Avvento di Fanwriter.it
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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1 — L’uomo del mistero

Il nuovo inquilino del numero 24 di Hepsbury Lane era decisamente misterioso. A partire dal suo arrivo, tredici mesi prima, Martha non era mai riuscita a dargli un’occhiata, né lui si era mai disturbato a presentarsi. E siccome la casa apparteneva a una zia di Martha, anche se una lontana, lei considerava che sarebbe stato giusto e cortese farlo.
Essendo un’insegnante delle elementari non scusava facilmente la maleducazione, ma in tutta franchezza era ben altro a darle da pensare.

Spesso, la sera, sentiva il suono di un pianoforte provenire dal piano di sopra, ma non le sembrava che il precedente inquilino ne avesse mai avuto uno, e quando quello nuovo si era trasferito lo aveva fatto così in fretta da farle domandare se possedesse alcunché.

Ogni tanto, quando tornava a casa dal lavoro, lanciava un’occhiata alla finestra alta, solo per notare una strana luce, non dissimile da quella di uno fuoco scoppiettante; ma questo era decisamente impossibile, visto che la casa non aveva mai avuto un camino.

Un paio di volte avrebbe giurato che più di due piedi stessero percorrendo a gran passi il pavimento, o aveva addirittura sentito ridere, discutere o persino cantare sonoramente molte voci diverse.
Nonostante ciò, non importava quanto a lungo restasse sveglia, spiando tra le tende, non aveva mai visto nessuno entrare o uscire dalla casa.

Era così piena di curiosità da prendere l’abitudine di sedere sulla poltrona proprio di fianco alla sua porta d’ingresso, correggendo i compiti degli studenti mentre aguzzava le orecchie per un qualunque suono proveniente dall’appartamento di sopra, o sperando di udire il leggero scricchiolio delle scale dell’atrio.
Ma non importa quanta attenzione facesse, per più di un anno l’uomo del mistero non fece mai la sua apparizione.

 
Quando Martha si svegliò, la mattina di quel 5 dicembre, si prospettava una giornata fredda. Il cielo fuori dalla sua finestra era basso, bianchissimo, e prometteva la prima nevicata d’autunno. Rimase seduta nel letto per un paio di minuti, fissando la finestra.
Fitzgerald alzò la testa dalla sua cuccia di plaid, con quella sua solita aria altezzosa, come a dire “ah, era ora che ti svegliassi, pigrona”.

Sbadigliando, Martha infilò le pantofole di lana, scivolò dentro la calda vestaglia di pile, e si trascinò verso la piccola cucina. Aveva ancora dei piatti da lavare, visto che la sera prima non era riuscita a trovare la voglia di farlo, ma in compenso, sul tavolino quadrato, spiccava una pila ordinata di fogli con vivide note rosse appuntate in una grafia ordinata. Frugò nel frigorifero tirando fuori un paio di uova, e mise a tostare il pane, per poi versare la colazione anche a Fitzgerald, che era emerso dalla camera con il suo solito passo compunto.

“Ecco, milord, si serva pure” sbadigliò, e mentre la colazione si cuoceva inforcò gli occhiali e ciabattò svogliatamente fuori dal suo appartamento per procurarsi la copia giornaliera del Times, con una presina ancora in mano e i capelli, striati di grigio, aggrovigliati in una treccia disfatta.

Gli interni del numero 24 non erano né nuovi, né belli, né molto ben tenuti. Una lisa moquette gialla, che offendeva l’occhio già quando era nuova, ricopriva tutto il pian terreno e le strette scale che portavano a quello superiore. Il sottoscala era occupato dalla caldaia, in barba a ogni norma di sicurezza vigente, e ciò faceva sì che d’inverno, nelle giornate particolarmente umide (ossia, per gli standard di Londra, praticamente sempre) dai gradini emanasse un leggero vapore. Ne risultava che l’unica finestra del pian terreno fosse sempre un po’ appannata, donando un’aria ancora più lugubre all’ambiente, appena illuminato dalla luce lattiginosa del mattino.

Stava trascinandosi lungo la moquette, quando all’improvviso sentì qualcosa di orrendamente gommoso sotto una delle pantofole, seguito da un terribile suono viscido. Fece un salto indietro, rischiando di inciampare sulle scale, e guardò in basso con giustificato terrore.

C’era qualcosa, una piccola sagoma bitorzoluta all’angolo del primo gradino. Con un po’ di apprensione si chinò, aguzzando la vista, cercando di capire che cosa potesse essere. D’un tratto la sagoma sobbalzò.

Martha tentò contemporaneamente di urlare e trattenere il fiato, il che risultò in convulsi colpi di tosse e lacrime brucianti.

Un rospo! Cosa ci faceva un rospo sulle scale di un appartamento al centro di Londra? Non era sicura neanche di averne mai visto uno di persona, ma era certa che di solito si trovassero in pozze d’acqua fangosa o giardini umidi o cose del genere. Invece eccolo lì, piccolo, marroncino, viscido e decisamente bitorzoluto, con gli occhietti sporgenti semichiusi.

Il rospo si mosse di nuovo, stavolta più debolmente, e Martha sentì un’improvvisa ondata di panico travolgerle la spina dorsale. Il senso di colpa di aver potenzialmente ucciso una povera creatura che stava solo cercando di fare le scale, peraltro molto ripide, la inondò senza preavviso, e si ritrovò a mugugnare saltellando da un piede all’altro in modo ben poco dignitoso.

“Oh! Oh! Cosa faccio? Che cosa faccio?!”

Fu colta da un lampo di iniziativa, e preso il coraggio a due mani, in questo caso sotto forma di presina a fiori, afferrò la creatura. Era più fredda e più leggera di quanto pensasse. Completamente impreparata, l’unica cosa che riuscì a fare fu lanciarsi lungo l’impulso del momento e precipitarsi di corsa lungo le scale, per poi bussare freneticamente alla porta dello sconosciuto, misterioso vicino.

“Ehilà! C’è nessuno? È permesso? C’è…?”

Dopo qualche secondo la porta si spalancò, senza far rumore, il che provocò a Martha l’ennesimo spavento della mattinata.
Sulla soglia c’era un uomo basso e tracagnotto, con occhialetti da vista ovali, un grosso naso rosso da gnomo e un sorriso cordiale.

“Ah, buongiorno a lei, signorina. Come posso esserle utile?”

Martha lo fissò trasecolata, guardando il rospo, poi l’omino e poi di nuovo il rospo.

“Io… lei… le scale…”

Anche lo sguardo dell’uomo si posò sul rospo, e aggrottò la fronte, contrito.

“Ah” commentò “vedo che Francis ha di nuovo tentato di darsi alla macchia. Parola mia, è più sfuggente di Sirius Black in persona- ma venga dentro, mia cara, non resti lì sulla porta. Gradisce una tazza di tè?”

Costernata, Martha fece cenno di sì con la testa, che ronzava di mille domande.

La prima delle quali sicuramente era: ma la porta del piano di sopra, era sempre stata viola?
  
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