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Autore: Alyeska707    11/12/2020    3 recensioni
una vecchia palazzina
arte, musica, agape ed eros, sentimenti e nostalgie
qual è il prezzo del successo?
dove conduce l'amore?
ma esiste davvero, la purezza?
♒︎
─ dal testo: ❝ Piccola. Stretta. Letteralmente a pezzi. Duncan aveva affittato una topaia, non una casa. Però era la sua topaia, ed era a pezzi esattamente come lui: un bordello, il disordine, una grezza anti-eleganza… ma non è affascinante, la distruzione? Agli occhi del punk, eccome: la distruzione era il suo riflesso specchiato.❞
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Courtney, Duncan, Gwen, Heather, Trent | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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CAPITOLO 1


Duncan aveva gustato quel caffè, alla fine, con amarezza, nonostante la correzione col brandy e la punta di zucchero. Non era sapore di fumo quello che gli era rimasto tra i denti, quanto di… sconfitta? Sì, perché che gusto c’era ad abitare affianco ad una ragazza tanto interessante, se conviveva col fidanzato? Amaro. Anche trascurabile, tuttavia: bastava una telefonata a Lindsay, la cameriera biondina che gli aveva lasciato il numero la settimana prima, per ricevere compagnia. Non aveva davvero voglia della sua risatina civettuola, però.
In quel momento, una chiamata: Courtney. La silenziò senza rispondere. In realtà non aveva voglia di nessuna ragazza in quel momento, concluse. Il suo solo desiderio era di rilassarsi, anche se per farlo non poteva contare sull’amico Geoff. Gli venne da ridere al pensiero di lui, seduto tutto composto all’ennesimo colloquio, intento ad elencare le sue strabilianti capacità: «Mi piace… mh… surfare, e ho… un tatuaggio sul sedere, lo vuole vedere?» Duncan scoppiò a ridere, riusciva perfettamente a visualizzare la scena! Si era concluso così l’ultimo colloquio di cui gli aveva parlato l’amico. Duncan l’aveva deriso così tanto, che Geoff aveva deciso che non sarebbe più entrato nel dettaglio delle sue discussioni lavorative con lui. Per qualche astrusa ragione, era deciso ad entrare nel campo del giornalismo anche se lui, di notizie o scrittura, non s’interessava per niente. Quell’astrusa ragione, in realtà, si chiamava Bridgette. Come avrebbe potuto, Geoff, vivere insieme a lei dignitosamente, continuando a pulire tavole da surf? Era quello che ripeteva ogni giorno, tra un sospiro e l’altro, abbassandosi il cappello da cowboy sugli occhi per la vergogna. Chissà se l’ha levato almeno per il colloquio, pensò Duncan.

Ricominciò a cercare negli scatoloni: ecco dov’erano finiti i suoi vinili! Ne scelse uno: Never Mind the Bollocks, Here's the Sex Pistols. Sorrise, anzi no: sogghignò. Sì, perchè sapeva che quello che avrebbe rilassato lui, avrebbe spaccato il timpano a chiunque altro: bordello, disordine, grezza anti-eleganza… affascinante.
Il sorrisetto di Duncan, però, si spense rapidamente, appena realizzò che sì, si era portato dietro tutti i suoi vinili preferiti, ma che no, il giradischi non l’aveva. Lasciò cadere la testa all’indietro, liberando un’imprecazione, perché i suoi soldi erano contati per la sopravvivenza; doveva trovarsi un lavoretto o combinarne una delle sue, vendere qualcosina spacciandola come di immenso valore, commettere qualche furto di poca importanza… ma non poteva permettersi nemmeno di sognarlo, il giradischi. Ci penso su per un po’, rigirandosi la custodia del disco tra le mani. E per la seconda volta quel giorno, chiese l’aiuto di Gwen.

Bussò alla sua porta appoggiandosi allo stipite, imbronciato. Non gli piaceva chiedere aiuto. A lui piaceva sentirsi indipendente, col controllo ben saldo tra le mani… e invece si ritrovò lì, con le converse slacciate e la canottiera alla rovescia e senza l'onnipresente collare borchiato (abbandonato in bagno, da quando l’aveva tolto per fare una doccia) davanti a Gwen che, con un sorriso soddisfatto, gli domandava: «Ti serve altro? Sono già diventata un tuo punto di riferimento, vedo. Che onore.»
Duncan sollevò gli occhi al cielo.
«Un giradischi» mugugnò, in un modo che risultò alquanto incomprensibile.
«Cosa?»
«Hai un giradischi? Perché io no, però ho dei vinili.»
«Questa sì che è una storia triste» commentò Gwen. «Dev’essere proprio la tua giornata fortunata, Duncan.» Si allontanò senza dare ulteriori spiegazioni e tornò dopo qualche minuto con una valigetta beige tra le mani. Sembrava pesante, a giudicare da come la teneva Gwen, ma non si rivelò affatto così, secondo la percezione del punk. L’aprì con una mano: un bellissimo giradischi portatile. Era già pronto a sfilare una lista di scuse per tenerselo a vita.
«Si dà il caso che Trent lavori in un negozio di strumenti musicali. Di quelli ne abbiamo un paio. Puoi tenerlo quanto vuoi.»
Questa sì che era una fantastica coincidenza.
«In un negozio di articoli musicali, hai detto?»
Gwen annuì. «Sì, suona la chitarra ed è riuscito a compensare questa sua passione col lavoro. È molto soddisfatto.»
Duncan ne approfittò subito: «E stanno cercando qualcun altro, per lavorare lì?» 
«I-Io… non ne ho idea» ammise Gwen. «Posso chiederlo a Trent.» Lo chiamò subito dopo, invitandolo ad avvicinarsi.

A Trent Duncan non piaceva, così a prima impressione. Gli suggeriva soltanto, giustamente, quel tipico ragazzo che fa di tutto per apparire spesso, e se ne frega del resto. Sperava anche che Gwen non ci legasse troppo. No, non gli piaceva, si confermò mentalmente anche in quel momento, vedendolo sulla porta. Però Trent era prima di tutto una buona persona. Se quel Duncan, che non gli piaceva, cercava un lavoro, evidentemente ne aveva bisogno. Tutti hanno bisogno di un guadagno. Se poteva aiutarlo, decise, l’avrebbe fatto.
«Avremmo bisogno di una mano, in effetti. Se non hai altri impegni puoi venire con me in negozio. Inizio il turno tra mezz’ora, è appena dietro l’angolo. Posso presentarti al capo.»
Duncan acconsentì, senza scomporsi. Trent lo avvisò che avrebbe bussato alla sua porta al momento di andare. Duncan acconsentì di nuovo, e ognuno tornò nel rispettivo appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.


*****
 
«E suoni qualche strumento, Duncan?»
«Suono qualsiasi cosa che faccia confusione, amico.»
A Trent venne da ridere. Forse il suo giudizio iniziale era stato troppo severo, Duncan sembrava un tipo amichevole, alla fine.
«Avrei dovuto intuirlo sentendo le urla di Johnny Rotten poco fa. Pareti sottili. Ti piacciono i Sex Pistols?»
«Già, mi piacciono. Tu invece suoni un’acustica scommetto, se la camicia scozzese e gli stivaletti da donna non mentono.» Inarcò le sopracciglia, provocatorio. Sorvolò sull’indizio che gli aveva dato Gwen poco prima. Si divertiva a stuzzicare la gente, soprattutto quella che non lo convinceva affatto. L’immagine del bravo ragazzo era passata di moda da un bel po’ di tempo, andiamo, che noia!

No, cambiò di nuovo idea Trent: non così tanto amichevole.

«Sì amico, un’acustica. Qualche sera mi esibisco anche, sai, nei localetti che cercano di accalappiarsi i clienti.»
«E tu gli fai accalappiare i clienti?» chiese retorico, con evidente stupore. «Non devi essere così male, allora.»
Così male? Lui non era affatto male, era bravo! Sì, Trent era convinto di avere del talento. Anche Gwen glielo diceva, ogni volta che suonava per lei. Gli chiedeva sempre il bis di ogni brano, e lui era più che felice di accontentarla. In realtà gli bastava averla nei paraggi, per sentirsi felice… la sua Gwen: un angelo a cui piace giocare col fuoco. Era proprio questa ambiguità della sua personalità a intrigarlo tanto. Sì, perché Gwen si poneva come una sfacciata menefreghista, come una dark che vede il mondo in bianco e nero, ma i colori che vedeva, in realtà, erano più vividi e saturi di quelli che percepisce la vista di un uomo comune. Lei era nutrita da una speranza esorbitante, anche se si ostinava a nasconderla, la vedeva come una debolezza… «Credere troppo a qualcosa» gli aveva confidato una sera «non fa altro che creare aspettative e illusioni. E se fallissi, Trent? Come potrei sopportare il fallimento, dopo aver costruito tutti questi progetti?» I piani di Gwen erano ambiziosi, questo era vero, ma il suo talento, era convinto il chitarrista, era ancora più radicato del proprio: ogni volta che Trent la vedeva con un pennello in mano, rimaneva incantato. No, non è del tutto vero: in realtà rimaneva incantato ogni volta che guardava Gwen e basta, ma mentre dipingeva… era una vera musa, un’ispirazione, e il modo in cui stendeva il colore, in cui l’amalgamava, confondeva, ricreava… incredibile. I suoi soggetti erano originali, la tecnica tutta sua. Sarebbe riuscita a farsi esporre, Trent ne era certo. E l’avrebbe sostenuta, sempre.
«Ehi, sei andato in trance, amico?» lo riprese Duncan dopo un paio di minuti. Se c’era una cosa che l’annoiava più dello stereotipo di serena bontà in persona, era non sentirsi ascoltato. Era troppo interessante, lui, per venire snobbato.
«Scusa» ammise Trent. «Mi ero perso nei miei pensieri.»
«E me ne sono accorto…»
 «Comunque siamo arrivati» lo informò Trent, sforzandosi per mantenere vivo il sorriso amichevole che, in realtà, in cuor suo non sentiva proprio. Gli indicò la vetrina, occupata da una serie di chitarre elettriche appese dall’alto, prima di entrare.
«Trent» un omone alto e grosso – e losco, secondo il personale parere di Duncan – si avvicinò a loro. «C’è una chitarra da accordare, ci pensi tu?»
«Sì, Chef. Mi metto subito al lavoro.»
Chef? Chef era il suo nome? Davvero? Duncan si morse il labbro per non scoppiare a ridere, perché no, quello non era il momento, quello era un colloquio, circa, e lui non era scemo come Geoff.
«Prima però volevo presentarti Duncan. Sperava di poter dare una mano.»
Non speravo di poter dare una mano, riformulò mentalmente il punk, pensavo soltanto che mi servono dei soldi.
«Duncan, eh» disse Chef, osservandolo per un po’. «Hai un… curriculum?» Domanda a vuoto, lo sapeva già mentre la stava formulando: il punk era a mani vuote, e infatti rispose scuotendo la testa. Lui non ci credeva davvero, nell’importanza di un pezzo di carta. Andiamo, lui era in grado di fare di tutto!
«Un… documento?»
«Le assicuro che mi chiamo Duncan Nelson, signore. E la mia fedina penale è immacolata. Serve altro?» No, non era davvero immacolata, quella fedina, ma era meglio far credere a quello Chef il contrario.
«Mh» disse l’altro. «Sì, Duncan. Puoi andare. La tua immagine rispecchia questo posto. Puoi iniziare… lucidando gli strumenti? In base all’operato di oggi, penserò se assumerti o meno.»
Duncan sollevò la mano all’altezza della fronte, per il tipico saluto militare: «Non la deluderò, signore!» Troppo sarcasmo? Probabile. Chef gli rifilò un’occhiataccia.
«E piantala di chiamarmi signore, ragazzino. Chiamami Chef. E ora trova uno straccio e mettiti a lucidare. Trent, apriamo! I clienti arriveranno presto.»




Buonasera, cari lettori!
Eccoci di nuovo qui, ormai entrati nell'atmosfera della storia, col primo vero capitolo (primo di una sfilza, ho così tante idee!)
Sì, non sono riuscita a trattenermi: ho inserito vinili e Sex Pistols. Andiamo, non è la band perfetta per uno come Duncan?
E sì, sì lo so: Chef in queste vesti è un po'... come dire... sconvolgente. Ma se questo Chef vi ha sconvolti ehi, aspettate di vedere chi comparirà (e come) nel prossimo capitolo! (io già lo so eheh )
Come al solito, fatemi sapere le vostre impressioni, positive o meno che siano! Quale personaggio vi ispira di più, per il momento? 
E se avete qualche aspettativa per il continuo... ehi, rivelatemela! Che chissà, potrebbe illuminarmi in modo sconvolgente e portarmi a ribaltare tutto ;)
Grazie per la lettura, a presto!

Alyeska
   
 
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