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Autore: LondonRiver16    12/12/2020    3 recensioni
Sam e Gabriel avevano detto addio all’appartamento in Salisbury Willows tre anni prima. Ai loro occhi, l’opera di raggranellare i risparmi, chiedere un prestito, comprare un’abitazione con gli interni da ristrutturare e trasferircisi ben prima di aver allacciato le utenze era stata la promessa più consistente e tenace che avessero fatto l’uno all’altro, i voti anticipati di un matrimonio e di un futuro famigliare su cui non avevano ancora riflettuto in termini concreti. Non ancora, almeno.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Briciole di crostata sulle lenzuola'
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13. Miele e cannella

 

- 11 febbraio 2017 -

 

I pianti disperati di non uno, ma ben due neonati frantumarono il silenzio notturno della casa in contemporanea. O perlomeno così parve alle orecchie di coloro che vennero strappati bruscamente dal loro meritatissimo e già precario sonno.

In realtà, come Sam e Gabriel avevano ben presto imparato a loro spese, era molto più probabile che uno dei bambini avesse attivato le sirene per primo e solo dopo qualche istante di confusione l’altro avesse pensato bene di dargli man forte. Come era solito ricordare loro Castiel a ogni lamentela sospinta, la massima in base alla quale quei cuccioli d’uomo sembravano condurre le proprie vite era “C’è sempre una buona ragione per scoppiare in lacrime, papà”. Ma il pensiero di essere stati altrettanto molesti per i propri genitori, nei primi mesi di vita, bastava a consolare la coppia solo per rari e brevi momenti.

Fra i gemiti di dolore dovuti alla sveglia repentina e alle troppe poche ore di riposo alle spalle, Gabriel fu il primo a trascinarsi a sedere a lato del letto. Fu Sam, ad ogni modo, ancora con la testa sul cuscino, a biascicare le prime parole di senso compiuto.

- Sei sveglio? - farfugliò, lasciandosi comprendere a malapena attraverso lenzuola e piumone.

- Solo un morto non si sveglierebbe, con questi strilli - bofonchiò Gabriel, passandosi una mano sul viso mentre usava l’altra per allontanarsi qualche ciuffo di capelli dalla faccia.

Ogni tanto aveva la sensazione che, se la terza guerra mondiale fosse scoppiata sul loro portico, né lui né Sam avrebbero avuto modo di accorgersene, presi com’erano a sedare crisi di pianto con pappe, ninna nanne, passeggiatine lungo il corridoio e cambi di pannolini ventiquattr’ore su ventiquattro.

A essere onesti, tranne durante i primissimi giorni di assestamento, Gabriel non aveva mai smesso di recarsi al lavoro con regolarità. L’urgenza e la necessità di tenere aperto l’ortofrutta sia per non deludere i propri affezionati clienti, sia per garantire un’entrata economica stabile alla famiglia – avevano l’aspetto positivo di garantirgli una decina di ore di pausa quasi giornaliera dagli incostanti, atroci ritmi dei suoi figli.

Sam era il buon samaritano che si era preso qualche mese di permesso non pagato per motivi famigliari. Una volta che i bambini avessero raggiunto un’età che i loro genitori avrebbero considerato adatta – o, per meglio dire, quando il cuore di Sam e quello di Gabriel avrebbero smesso di spezzarsi al pensiero di affidarli alle cure di qualche estraneo – c’era una previdente iscrizione anticipata all’asilo nido più vicino alla biblioteca universitaria che li aspettava.

E Sam era anche l’eroe che durante la maggior parte di quei brutali risvegli notturni insisteva affinché Gabriel rimanesse a letto e cercasse di riprendere sonno, bofonchiando che il giorno dopo il negozio non si sarebbe gestito da solo mentre a lui si chiudevano le palpebre. Ma quella era la notte tra venerdì e sabato e Gabriel non gli avrebbe permesso di occuparsi da solo di due neonati urlanti, nemmeno per tutti gli sbadigli del mondo. Nei due giorni successivi avrebbero avuto tempo sufficiente per alternarsi in brevi ma indispensabili sonnellini, tra una poppata e l’altra.

Fu solo dopo aver indossato alla cieca qualche indumento caldo e trascinando le pantofole che si affrettarono in corridoio e si precipitarono nella stanzetta dei gemelli con le facce ancora stropicciate dal sonno. Nella penombra mitigata soltanto dal riflesso della luna sul manto di neve che rivestiva il giardino e i campi circostanti, le due culle di legno pitturato di bianco e foderate di tessuto color arancia erano entrambe addossate all’unica parete libera.

Senza seguire alcuno schema prestabilito, Sam, che era stato il primo a valicare la soglia, accorse a lato del rifugio morbido di Alexander, il quale stava strillando due volte tanto sua sorella. I neo-genitori avevano imparato a dare il merito a dei polmoni particolarmente portati e a tranquillizzare lui per primo, quando possibile, se volevano sperare di convincere anche la sua supportiva gemella.

- Shh, Alec, shh. Che cosa succede? Che cos’è successo al mio bambino? Va tutto bene, tutto bene - passò subito a consolarlo Sam, dopo averlo sollevato dalla culla ed esserselo sistemato prono lungo l’avambraccio, come gli aveva mostrato suo fratello per quando si aveva a che fare con bambini agitati e facilmente irritabili.

Alle sue spalle, Gabriel stava apprestandosi a fare lo stesso per placare il pianto di Susie, dopo averla infagottata dolcemente nella coperta di lana color gelso che la bambina aveva finito per ammucchiare in fondo alla culla mentre si dimenava per la disperazione.

- Siamo inconsolabili, eh? Hai fatto un brutto sogno, cucciola? Era finito il latte? Brutto, brutto sogno.

- A proposito, - annunciò Sam, mentre le coccole riuscivano nell’intento di abbassare di qualche decibel il volume delle lamentele di Alec e a ridurre le lacrime di Susie a dei singhiozzi convinti, - vado a scaldare i biberon. Torno subito.

- Grazie, Samshine - gli sorrise Gabriel, splendendo oltre la stanchezza quando suo marito si chinò per lasciargli un bacio lieve sulle labbra e i bambini regalarono a entrambi mezzo secondo di silenzio.

Sam non indugiò oltre prima di avventurarsi in corridoio e al piano di sotto senza mai smettere di ninnare Alexander, lasciando Gabriel alla melodia serena che aveva già iniziato a canticchiare a mezza voce per Susie.

Se la musica, le innumerevoli canzoni che conosceva a memoria e i toni caldi e rassicuranti della sua voce erano tutte parti congeniali della migliore strategia che Gabriel avesse architettato per riaccompagnare i loro figli nel mondo dei sogni, Sam era solito affidarsi al ritmo calmo dei propri passi. Le sue passeggiate lunghe e ripetitive – nell’attesa dell’arrivo di un clima più mite, il ragazzo doveva accontentarsi delle stanze e delle scalinate della casa di campagna –, accompagnate da mugolii sommessi per nulla paragonabili alle ninna nanne di Gabriel, funzionavano con Susie e Alec. Grazie a qualche bizzarro miracolo, ciò che Sam aveva improvvisato durante le sue prime notti in bianco con due neonati riusciva a fondersi bene con la cadenza del respiro dei suoi bambini, rabbonendola. Era così, con quella semplicità lampante e inaspettata, che Sam aveva scoperto la sfolgorante, incredibile sensazione di poter essere un buon padre.

Tornò al piano di sopra con due biberon di latte a temperatura ottimale, uno con cui stava già provvedendo a sfamare Alec e l’altro affondato nella tasca della vestaglia. Alec finì di mangiare mentre sua sorella iniziava, aiutata da Gabriel e dai modi delicatissimi che metteva in campo con i due frugoletti. L’uomo aveva prelevato il biberon dalle mani del compagno con gratitudine, senza smettere di cantare.

- Isn’t she pretty? Truly the angels’ best. Boy, I’m so happy we have been Heaven blessed…

Dopo aver adagiato nel suo lettino confortevole un neonato ormai abbandonatosi a un sonno profondo e soddisfatto, Sam rimase un po’ in disparte a godersi la magia canora con cui Gabriel stava ipnotizzando Susie, facendole pian piano crollare le palpebre. Il più giovane della coppia non riusciva a smettere di sorridere, innamorato quanto durante quelli che erano stati i loro immensi, primi mesi di stupida gioia. Davvero, gli sembrava che non fossero mai finiti. Con il matrimonio e l’arrivo dei gemelli ne erano solo iniziati altri, di diverso tipo, molto più massacranti ma altrettanto e forse ancora più densi di felicità.

Una volta che anche Susie fu ripiombata tra le braccia di Morfeo, sia Sam che Gabriel rimasero immobili per qualche istante sul ciglio delle culle, godendosi la pace di quei visini rilassati, privi di ogni cognizione del mondo che andasse oltre la sicurezza delle braccia dei loro genitori.

- Miele e Cannella fuori gioco - dichiarò Gabriel compiaciuto, malgrado fosse stremato. - Un’altra grande vittoria per l’imbattibile duo.

Sam ridacchiò in silenzio, scuotendo il capo.

Susie aveva già un nome teneramente corto e Alexander era diventato Alec nell’istante in cui Castiel aveva fatto notare che per i primi anni il bimbo avrebbe avuto difficoltà a pronunciare la x, ma ovviamente Gabriel era balzato sul treno in corsa dei soprannomi alla prima occasione utile. Non appena i pigmenti dei capelli dei bambini avevano cominciato a distinguersi e Alec si era fatto biondo come un cherubino alla stessa velocità con cui le prime ciocche di Susie avevano assunto delle sfumature rosso fuoco, Gabriel li aveva soprannominati Miele e Cannella. Lo stesso Sam lo trovava divertente – e molto, molto tenero – a patto che suo marito non esagerasse.

- Torniamo a letto, imbattibile?

- Ti prego, sì. Sto morendo di sonno.

 

Sam si risvegliò meno di un’ora dopo, stuzzicato da un sospetto taciturno e senza nome. Forse, guidata da quel presentimento, la sua coscienza si era resa conto che Gabriel non era più accanto a lui.

D’istinto Sam allungò una mano per scoprire che il lato del letto lasciato vuoto da suo marito era desolatamente freddo. Mentre si tirava nuovamente a sedere con un grugnito, il trentatreenne si chiese come fosse possibile che i bambini fossero riusciti a svegliare Gabriel senza destare lui, che aveva un sonno molto più leggero.

Fu con la testa che lo supplicava di farla tornare in posizione orizzontale e le palpebre ancora semi-chiuse che si infilò di nuovo la vestaglia sopra il pigiama e si avviò verso la camera dei gemelli con tutte le intenzioni di non lasciare che suo marito gestisse da solo quelle due testoline calde.

Non è possibile che gli sia tornata fame dopo così poco tempo, rifletté mentre indovinava un passo dopo l’altro. Forse c’era bisogno di un cambio di pannolini.

Quando arrivò sulla soglia, scorse suo marito di schiena, in piedi tra le due culle, con le braccia lungo i fianchi. La luce bianca delle loro notti invernali rischiarava metà del suo profilo inamovibile.

- Dormono?

La domanda sussurrata da Sam non scosse Gabriel, che annuì compito.

- Come angeli.

- Scusami, Gabe - sospirò l’altro ragazzo, avvicinandosi lentamente e con prudenza. - Non so come, ma questa volta non li ho sentiti. Avresti dovuto svegliare anche me quando hanno iniziato a piangere. Pensavo che i patti fossero chiari.

Si aspettava che suo marito rispondesse al suo sorrisetto furbo con un sogghigno scaltro e una protesta misurata ma incontestabile – “Quali patti? Non esiste nessun patto, signor Winchester, e se anche esistesse, tu lo avresti già ignorato decine di volte”. Ma non accadde nulla di tutto ciò. Gabriel non mosse un muscolo.

- Non si sono svegliati - sussurrò soltanto.

Sam, fermo due passi più indietro, si accigliò.

- Allora cosa ci fai in piedi? Non eri sfinito?

- Non riuscivo a riprendere sonno. Ci ho provato, ma non c’è stato verso.

Sam stava per offrirgli una camomilla, della valeriana, o almeno il consiglio di avvolgersi in una coperta mentre si dedicava alla contemplazione di quel piccolo miracolo in Terra che erano i gemelli, perché così, con addosso solo un pigiama di cotone sottile e i piedi nudi, rischiava di prendersi un raffreddore. Ma non fece in tempo ad aprire bocca.

- Devi promettermi una cosa, Sam.

Attribuendo la serietà del suo tono alla spossatezza, Sam sorrise mentre gli si avvicinava a sufficienza da potergli massaggiare le spalle tese. Ancora una volta, erroneamente, incolpò le lunghe ore che Gabriel passava a spostare e sistemare cassette di frutta e verdura e a camminare da un capo all’altro del negozio per servire i clienti.

- Che cosa? Sentiamo.

Gabriel esitò solo per un altro paio di secondi, il tempo sufficiente perché suo marito si accorgesse che fuori aveva ricominciato a nevicare e ora fiocchi grossi come cubetti di ghiaccio sfilavano copiosi fuori dalla finestra senza tende della stanzetta dei gemelli.

- Dovessi mai incontrare o anche solo sentir parlare di un certo Jeffrey Sanders, dovrai correre a dirmelo.

- E chi sarebbe costui? - domandò Sam con tiepida curiosità, insistendo all’altezza delle scapole.

- Jeffrey Vincent Sanders - recitò Gabriel in tono tetro, incapace di godersi la grazia di quel contatto. - Il tizio di cui ho portato il cognome, per qualche anno.

Le dita di Sam smisero di premere contro la sua pelle quasi all’istante e poco dopo il ragazzo, folgorato da quelle parole, riabbassò le braccia e pensò con cautela alle sue prossime mosse, a quelle che sarebbero state le parole che avrebbe scelto.

Gabriel non gli aveva mai rivelato quel particolare del suo passato. Certo, gli aveva parlato ancora e ancora dell’incubo a occhi aperti che era stata la vita con suo padre fino ai suoi dodici anni, ne aveva avuto bisogno in diversi momenti della loro vita assieme e Sam era stato un porto sicuro per lui, così come lo stesso Gabriel lo era stato quando si trattava dei ricordi di Lucifer che ritornavano prepotentemente a galla. Ma mai che Gabriel gli avesse confidato con quale cognome fosse stato registrato all’anagrafe alla nascita. E mai, mai prima di allora aveva pronunciato il nome del mostro della sua infanzia.

Bastò che Sam gli mettesse una mano sulla spalla perché Gabriel si voltasse completamente verso di lui, privo di buone ragioni per nascondergli il suo viso pallido e tirato e gli occhi vigili, all’erta.

- Gabe, perché mai dovrei… - cominciò Sam con un filo di voce, prima di realizzare tutto d’un tratto: - Hai paura per i bambini.

- Se mai dovesse tornare a cercare me o mia madre e scoprire che adesso ci sono Alec e Susie… - si affrettò a spiegare Gabriel, facendo spaziare lo sguardo tra i due corpicini dormienti dei piccoli prima di deglutire e tornare agli occhi di suo marito con rinnovato vigore. Sam avrebbe scommesso di avere davanti lo stesso sguardo che Gabriel aveva ostentato a dodici anni, poco prima di trascinare sua madre lontano dall’esistenza che stava per ucciderli entrambi. - Non gli si deve avvicinare, Sam. Non voglio che quell’essere abbia nemmeno la possibilità di guardarli, e se…

- Ehi, ehi, ehi - intervenne Sam, ponendo un freno alla sua ansia crescente posandogli entrambe le mani sulle spalle. - Vieni con me, su. Se si svegliano, siamo finiti - tentò di sdrammatizzare prima che la situazione gli sfuggisse di mano.

Spezzato dalla sua arrendevolezza, lo condusse in corridoio e prestò estrema attenzione mentre accostava la porta della camera dei gemelli, quindi lo raggiunse nella stanza matrimoniale che condividevano. Solo allora, sciolto fino al midollo dalla postazione di difesa che Gabriel assumeva così di rado, con le braccia strette attorno al corpo e lo sguardo che sfuggiva al suo, si arrischiò ad avventurarsi oltre.

- Come ti è anche solo venuta in mente una cosa del genere? - sospirò, preoccupato.

- Stavo pensando - disse Gabriel, facendo spallucce come un adolescente ritroso. - Sono così piccoli, Sam. Così fragili. Sono i nostri figli, non voglio che… ho paura che gli venga fatto del male, e se lui… se lui...

- Okay. Va bene - lo bloccò di nuovo Sam.

Aveva riconosciuto il principio di una crisi che, almeno nel caso di Gabriel, era sempre saggio fermare prima che l’uomo andasse in iperventilazione e il tutto sfociasse in un attacco di panico perfettamente evitabile. Non sarebbe stata la prima volta.

- Ascoltami, adesso - aggiunse, per tenere l’attenzione di Gabriel fissa su di sé mentre gli si sedeva accanto, sul ciglio del letto, e posava una mano sulle sue. I suoi occhi erano due pozzi di sincerità cui quelli di Gabriel si aggrapparono come all’ultima fune di salvataggio rimasta. - È normale temere per la sicurezza dei propri figli. Soprattutto ora, perché tutto è nuovo e ci sentiamo ancora piuttosto inadeguati per badare a loro. Ma non lo siamo, okay? Ce la faremo e quei due cosini sono e saranno fantastici - lo incoraggiò con un ampio sorriso, e notò che bastava il pensiero di Alec e Susie a farlo calmare e concentrare sul presente. - Per quanto riguarda tuo padre, non c’è alcun motivo per cui dovrebbe venire a sapere dei bambini o venire qui a cercare te. Quanti anni sono passati da quando tu e tua madre siete arrivati a Sioux Falls?

- Ventisei - mormorò lui all’istante.

- E lui non si è mai fatto vedere. Giusto?

- Sì, ma se sapesse comunque che siamo qui e…

- Un uomo del genere? - lo spinse a ragionare Sam, premuroso ma risoluto. - Se avesse saputo che eravate qui, sarebbe arrivato molto tempo fa. Lo sai anche tu. So che lo sai. E capisco che il panico da genitore sia una compagnia difficile, ma devi fidarti di me su questa cosa, va bene? Tuo padre non toccherà mai questa famiglia. Mai più.

Mentre parlava, lo aveva stretto a sé e Gabriel lo aveva lasciato fare. Non erano molte le occasioni in cui aveva bisogno che qualcuno si prendesse cura della sua vulnerabilità a quel livello – era molto meno disponibile di Sam, in questo. Ma, quando succedeva, Sam sapeva come comportarsi e Gabriel aveva imparato ad arrendersi a quella parte di sé. Era l’unico modo in cui poteva funzionare.

- Potresti comunque promettermelo, per favore? - domandò il maggiore tenendo gli occhi chiusi, consapevole di suonare come un ragazzino che avesse il semplice, assurdo bisogno di sentire che andava tutto bene. - Solo per farmi stare tranquillo. Promettimi che se mai sentirai quel nome…

Sam sciolse l’abbraccio solo per poterlo guardare dritto negli occhi mentre giurava.

- Prenderò i bambini, me li caricherò uno per braccio, correrò dritto filato da te e lo denunceremo prima ancora che possa presentarsi. Te lo prometto.

Quell’immagine riuscì a strappare un mezzo sorriso al maggiore della coppia.

- Grazie.

Subito dopo, più o meno di comune, tacito accordo, entrambi crollarono con le schiene contro il materasso e Sam continuò a carezzare sovrappensiero la pelle tesa che il pigiama lasciava esposta sopra la clavicola destra di Gabriel, mentre il maggiore iniziava a giocherellare con un ciuffo dei capelli di Sam.

- Non succederà niente di male - promise il più giovane a mezza voce, sapendo che a suo marito non avrebbe fatto male qualche rassicurazione in più. - Né a te, né a me, né ai gemelli.

Seppe che Gabe era tornato quando lo sentì sbuffare in un accenno di risata.

- Finché non raggiungeranno l’adolescenza. Poi vedrai.

- Oh, poi faranno esplodere la casa. Ma ce ne preoccuperemo una volta arrivati lì, che ne dici?

Diresse lo sguardo poco più in basso, verso destra, e lo vide sorridere nel buio senza più il peso dei macigni del passato addosso.

- Dico che è un ottimo piano, Sammich - lo sentì bisbigliare prima che i suoi baci battezzassero quella notte come irreversibilmente insonne.

 

 




Angolino dell’autrice

Lo ammetto senza riserve: sto usando questa storia per rilassarmi, quando il dramma a cui do libero sfogo in “Blu di maggio” diventa troppo da gestire e ho bisogno di una piccola pausa. Ma questo non vuol dire che debba essere tutto rose e fiori, no? Non sia mai che scriva una storia tutta fluff e niente angst, suvvia.

Per quanto riguarda le tempistiche della storia, penso ve ne siate già accorte se siete arrivate fin qui, ma ora questo aspetto si acuirà: ci saranno salti temporali anche ingenti, di mesi, ma più spesso di anni, tra un capitolo e l’altro. Ma saranno sempre collegati tra loro, ovviamente, e terranno conto di ciò che già sappiamo di Sam, Gabriel, Dean, Castiel e tutti gli altri. Andremo ad approfondire.

Quindi a presto con la continuazione di questa avventura famigliare. Se vorrete, ci sentiremo nelle recensioni – un grazie enorme a tutte coloro che continuano a lasciarne!




   
 
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