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Autore: Baudelaire    12/12/2020    4 recensioni
Questa storia è liberamente ispirata alla saga di Harry Potter, ma al femminile.
Ho voluto cimentarmi, a modo mio, su questo tema.
Rebecca Bonner è una Strega Bianca e la sua vita sta per cambiare per sempre...
La stella di Amtara diCristina è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dana Collins



Capitolo 5
“IMPATTO”
 
Entrarono in classe seguite da un gruppo di ragazze, che le superarono in fretta e andarono ad occupare i posti in fondo. Barbara, che li aveva adocchiati per prima, le incenerì con lo sguardo e seguì Rebecca, che le aveva indicato dei posti liberi in seconda fila.
Il professor Garou non era ancora arrivato. Rebecca notò che su ogni banco c’era la copia di un libro dal titolo “Origine ed evoluzione della Stregoneria Bianca”. Lo aprì sfogliandolo velocemente. Era scritto in caratteri minuscoli, senza illustrazioni, a parte alcune tavole a colori nelle ultime pagine.
Sospirò. L’aspettava un duro anno di lavoro. E la cattiva impressione che gli aveva fatto il professor Garou quella mattina non era un buon auspicio. Rebecca apparteneva a quel genere di persone che impiegavano dieci secondi per farsi un’idea di chi avevano di fronte. In genere, si fidava del suo istinto ed era molto difficile farle cambiare opinione. Sapeva che si trattava di un limite, non di un pregio. Anche sua madre le aveva spesso rimproverato questa sua eccessiva rigidità.
“Spesso le apparenze ingannano, Rebecca.” – le aveva detto. “A volte vediamo solo quello che vogliamo vedere e ci basiamo sui nostri stupidi pregiudizi. E così, ci rifiutiamo di andare oltre, perdendoci il meglio delle persone.”
Ma Rebecca non ne era troppo convinta. Per lei, l’istinto non sbagliava. Mai. E l’istinto le diceva che del professor Garou non c’era da fidarsi.
Il brusio in classe, improvvisamente, si spense. Rebecca alzò gli occhi dal libro e si voltò.
Sulla soglia era apparsa la figura alta e magra del professore, che scrutava con occhi indagatori le nuove allieve. Alcune abbassarono istintivamente lo sguardo, fingendo di frugare distrattamente nella borsa o mostrando un improvviso interesse per le proprie unghie.
Senza dire una parola, il professore avanzò verso la cattedra, appoggiò i libri, sedette e rivolse la sua attenzione al registro di classe.
Per qualche minuto non si sentì volare una mosca. Tutte tacevano, in attesa dell’inizio della lezione e intimorite dall’atteggiamento dell’insegnante. A nessuna era sfuggito che Garou non si era nemmeno degnato di salutare.
Quando ebbe firmato il registro, senza alzare la testa, disse:
“Andate a pagina 5 e leggete l’introduzione.” 
Tutte obbedirono e per qualche minuto il silenzio fu interrotto solo dal rumore delle pagine sfogliate. Rebecca scoprì che l’introduzione era una lunga e noiosa pappardella di otto pagine sulla nascita della Magia Bianca. A pagina quattro le si chiusero gli occhi e soffocò uno sbadiglio. Dopo la noiosa introduzione in Sala Professori, aveva sperato un inizio un pochino più vivace. Alzò gli occhi e si accorse, sorpresa, che il professore la stava fissando. Non riuscì a definire il significato di quegli occhi scuri fissi nei suoi, ma non distolse lo sguardo fino a quando non fu lui, con un gesto secco, ad intimarle la continuazione della lettura.
Rebecca tornò a concentrarsi sul libro, con la sgradevole sensazione di sentirsi continuamente osservata. Lesse per altri dieci minuti, senza capire una parola. La sua mente era altrove.
Garou aspettò che tutte terminassero la lettura.
“Come vi ho anticipato questa mattina,” – disse – “quest’anno studieremo la nascita della Magia Bianca e di quella Nera, i primi processi dell’Inquisizione e le origini della Guerra dei Due Mondi. Il libro che avete davanti sarà la vostra bibbia per i prossimi tre anni, per quanto riguarda la mia materia. Tratta ogni argomento in maniera approfondita e lo porterete con voi fino al termine dei vostri studi ad Amtara. Sì?”
Angela Garrett, la ragazza con i capelli neri e il naso a patata, aveva appena alzato la mano.
“Mi scusi, professore. Volevo chiederglielo stamattina in Sala Professori ma non c’è stato il tempo. Ha elencato tutti gli argomenti di studio di quest’anno ma…” – Angela esitò, cercando le parole giuste – “beh… ecco… mi domandavo …non dovremmo studiare anche il Demone Supremo?”
Rebecca tornò a guardare Garou e l’espressione dei suoi occhi l’allarmò. Fissava Angela con un misto tra il sorpreso e l’irritato.
Dovremmo studiare.” – ripeté lentamente, scandendo le parole e ponendo l’accento sulla prima.
Angela arrossì con violenza. Qualcosa nell’atteggiamento del professore le suggerì che avrebbe fatto meglio a tacere.
“Angela Garrett, giusto?”
Angela annuì. Il rossore sul suo viso si estese fino alla radice dei capelli. Sentiva gli occhi delle compagne puntati addosso come spilli infuocati e avvertì l’improvviso desiderio di sprofondare nel pavimento.
“Che cosa ti fa pensare che… dovresti studiare il Demone Supremo nelle mie lezioni?”
Angela non rispose.
Garou la fissava, in attesa.
“Sto aspettando.”
“Io…credevo…” – le parole le morirono in gola.
“Dimmi, Garrett, non ti ha spiegato nessuno che, ad oggi, il mondo della Magia Bianca non conosce nulla riguardo al passato di Posimaar?”
“S-sì.” – mugolò Angela, ormai prossima alle lacrime.
“Quindi, ritengo sarai d’accordo con me quando dico che non è … effettivamente possibile studiare alcunché lo riguardi, a parte, naturalmente, i recenti attacchi delle Streghe Nere.”
Angela avrebbe voluto morire.
“Non ho sentito la risposta.” – disse Garou.
“Sì.”
“Sì cosa?”
“S-sì professore.”
“Mm.” – mormorò compiaciuto. “La prossima volta che ti verrà in mente una domanda stupida, fammi la cortesia, pensaci due volte prima di alzare la mano.”
Garou distolse l’attenzione da Angela e cominciò la lezione.
Rebecca si girò a guardarla. Era paonazza e fissava il libro che aveva sul banco.
Rebecca fremeva dalla rabbia. Che bisogno c’era di trattare Angela in quel modo? Era necessario umiliarla così, davanti a tutte, il primo giorno di scuola?
Non ascoltò una parola della lezione.
Sua madre si era sempre sbagliata: la prima impressione era davvero sempre quella giusta.
 
“Povera Angela.” – disse Barbara. “Non la finiva più di piangere.”
Erano appena uscite dall’aula e camminavano lungo il corridoio, con i libri sottobraccio, verso Lingue Demoniache.
“Già.” – disse Brenda, in tono depresso. “Non c’è male come inizio, eh?”
“Me lo sentivo che di lui non c’era da fidarsi.” – disse Rebecca con rabbia. “Fin dal primo momento in cui ha aperto bocca. E’ semplicemente odioso.”
Una ragazza le superò di corsa, singhiozzando rumorosamente. Accorgendosi che si trattava di Angela,  Rebecca fece per seguirla, ma Brenda la fermò.
“Forse è meglio lasciarla sola, almeno per un po’.”
Rebecca la guardò, esitante, poi annuì. Era meglio darle il tempo di calmarsi. La guardarono sparire dietro l’angolo, poi si incamminarono verso l’aula della professoressa Poliglotter.
La stanza era molto più grande di quella di Garou e trovarono subito posto agli ultimi banchi. Appena sedettero, Barbara si coprì lo stomaco con una mano, per attutire il suo brontolio sordo.
“Ho una fame da lupi.” – borbottò.
Rebecca guardò l’orologio. Era mezzogiorno passato e il pranzo veniva servito all’una. Aveva praticamente saltato la colazione, ma quello che era accaduto con Garou l’aveva messa di cattivo umore, togliendole l’appetito. Sperava che con Lingue Demoniache fosse andata meglio.
“Buongiorno a tutte.” – disse la professoressa Poliglotter entrando in classe.
“Se non altro questa saluta.” – mormorò Barbara rivolta a Rebecca.
Dopo aver firmato il registro, si alzò e distribuì a tutte una copia di “Nozioni di base di Orchese.”
Rebecca lesse il titolo, stralunata.
“Che diavolo è Orchese?!” – sussurrò alle gemelle.
“La lingua degli Orchi.” – spiegò Brenda, sottovoce.
Rebecca alzò un sopracciglio, perplessa. Fino ad allora non aveva nemmeno immaginato che gli Orchi parlassero una lingua diversa e si rese improvvisamente conto che, nonostante gli insegnamenti di Banita, aveva ancora molto da imparare. Ma in che modo, in nome del cielo, conoscere la lingua degli Orchi sarebbe mai potuto tornare utile nella difesa di un Protetto?
La Poliglotter le annoiò per tre quarti d’ora con una descrizione dettagliata degli Orchi e del loro stile di vita, costringendole a prendere appunti. Con la mano dolorante, Rebecca sbirciò l’orologio. Mancava ormai una manciata di minuti all’una e la campanella che annunciava l’ora di pranzo sarebbe suonata di lì a poco. Era stata una mattinata estenuante e aveva assoluto bisogno della cucina degli Gnomi per ritemprarsi a dovere.
Quando la Poliglotter terminò la spiegazione, Rebecca posò la penna, cominciando a radunare i libri nella borsa.
“Ora, prima di congedarvi, mi piacerebbe sentire qualcuna di voi leggere un brano in Orchese.”
Rebecca impallidì. Lanciò un’occhiata allarmata a Brenda e Barbara. Dalle loro espressioni, intuì che anche loro, come lei, non avrebbero saputo riconoscere una parola in Orchese da una in Vampirese.
Il resto della classe non era messo meglio. Tutte osservarono, con crescente orrore, il dito della professoressa scorrere lento e inesorabile sul registro di classe, come la punta di un pugnale che accarezza lentamente la pelle un attimo prima di affondare spietato nella carne. Rebecca avvertì un brivido lungo la schiena, con uno sgradevole presentimento.
Il dito si fermò e le labbra della Poliglotter si dischiusero per emettere il verdetto finale.
“Bonner!” – esclamò.
Come in un sogno, Rebecca sbatté le palpebre, fissandola inebetita.
“Rebecca Bonner?” – ripeté la professoressa, corrugando l’ampia fronte solcata dalle rughe e guardandosi attorno.
Rebecca pensò di essere sul punto di svenire. Si sentiva le gambe molli e le membra intorpidite. Qualcuno le toccò la spalla. Si voltò e vide Barbara.
“Rebecca.” – le disse in un sussurro, facendole segno di alzarsi.
Non si mosse.
“Rebecca, per amor del cielo!” – ripeté Barbara.
Con uno sforzo sovrumano, Rebecca fece leva con le mani sul banco e si alzò in piedi.
La Poliglotter la guardò. “Ah, eccoti. Per favore, apri a pagina 37, Bonner e comincia a leggere il capitolo 7.”
Come un automa, Rebecca aprì il libro. Il silenzio in classe era glaciale. Tutte la fissavano, con il cuore colmo di gratitudine per non trovarsi al suo posto. Barbara e Brenda trattenevano il fiato, consapevoli del disastro imminente.
Rebecca fissò la prima riga, senza capire una parola. Proprio come Angela durante la lezione di Garou, desiderò che una voragine si spalancasse nel pavimento, per inghiottirla e risparmiarle l’umiliazione che stava per abbattersi su di lei come un’onda anomala su una piccola imbarcazione. Quel pensiero le fece tornare in mente Harry White e la sera in cui l’aveva salvata. Forse, dopotutto, non sarebbe stato male morire annegata.
“Allora?” – la incalzò la Poliglotter, cominciando a spazientirsi.
Messa alle strette, Rebecca, disperata, cominciò a leggere, incespicando come se avesse la lingua incollata al palato. Non aveva la minima idea di quello che stava leggendo e quando la Poliglotter le disse che poteva bastare, non ebbe il coraggio di alzare la testa dal libro, sentendosi avvampare.
La professoressa la fissò per alcuni secondi, come incerta sul da farsi.
“Puoi sederti, Bonner.” – disse infine.
Rebecca, che si era aspettata il peggio, si affrettò ad obbedire.
Con la coda dell’occhio vide i volti sorpresi di Brenda e Barbara. Era possibile che avesse letto in modo corretto? Represse un sorriso, ringraziando la sua buona sorte. Brenda catturò la sua attenzione e alzò un pollice in segno di vittoria.
Finalmente, la campanella suonò e tutte si alzarono e uscirono. Rebecca radunò i libri e si apprestò a seguire Brenda e Barbara fuori dall’aula.
“Un momento, Bonner!” – la bloccò l’insegnante.
Il suo cuore sprofondò. Deglutì e si girò verso le gemelle, lanciando loro uno sguardo disperato. Le due amiche la fissavano, impotenti.
“Ti aspettiamo qui fuori.” - fu tutto quello che riuscirono a dirle.
Sentendosi morire, Rebecca le guardò uscire e, con il cuore che le martellava nel petto, si voltò per avvicinarsi alla cattedra.
La Poliglotter le porse un foglio. Rebecca lesse:
“Spiegare l’origine dell’Orchese e la sua evoluzione nei secoli.”
“Da consegnare entro lunedì prossimo.”
Rebecca la guardò sgomenta, senza rispondere.
“Approfondire l’argomento ti farà bene.” – spiegò la Poliglotter.
“Potrei almeno sapere il motivo?” Lo stupore iniziale si stava tramutando in rabbia. “Che cos’ho fatto?”
La Poliglotter corrugò la fronte. “Dimmi, Bonner, cos’hai capito del brano che hai letto poco fa?”
Rebecca esitò. Se avesse detto la verità, si sarebbe data la zappa sui piedi da sola. Ma l’insegnante la conosceva già, era inutile mentire.
“Neanche una parola.” – rispose, sentendosi una stupida.
“L’hai detto.”
“Ma se non vado errato, sono qui apposta per imparare. O no?” Il suo coraggio stupì perfino se stessa.
“Mettiamo in chiaro una cosa, Bonner.” – disse la Poliglotter, punta sul vivo. “In tre anni non si possono imparare le Lingue Demoniache.”
Allora lei che ci sta a fare, qui?
“Forse non ti ha spiegato nessuno che ad Amtara è richiesto avere almeno le basi delle Lingue?”
“Le basi?” – ripeté Rebecca, sconcertata. “Ma sono pronta a scommettere che nessun’altra…”
“Questo starà a me giudicarlo.” – la interruppe. “Mi è già capitato in passato qualcosa del genere…”
Chissà come mai…
“…E non ho lasciato correre.”
Rebecca si domandò se avesse per caso fatto espellere qualche allieva anche lei, come la Rudolf. Forse non era stata una buona idea disfare la valigia….
“Preparerai questa relazione per lunedì. Poi vedremo il da farsi.”
“Ha intenzione di mandarmi via?”
Quella domanda colse la Poliglotter del tutto impreparata.
“Perché se è così, può dirlo subito e me ne vado.”
“La tua sfacciataggine ha dell’incredibile, Bonner. Comunque, se credi di cavartela con un’espulsione, ti sbagli di grosso. E poi, chi ti ha messo in testa queste idee assurde?”
Rebecca non rispose. Forse, dopotutto, la Poliglotter non era come la Rudolf…
“Come ti ho detto,” – ripeté la professoressa alzandosi e radunando le sue cose, “voglio quel compito per lunedì. E questo è tutto.”
Rebecca rimase a guardarla mentre usciva dall’aula, con una sgradevole fitta alla bocca dello stomaco.
 
“Illuminatemi!” – sbottò Rebecca irritata, mezz’ora dopo, in un’affollata Sala da Pranzo.  “Che cosa le fa pensare che io sia in grado di leggere in Orchese il primo giorno di scuola? E soprattutto, a che diavolo ci serve conoscere la lingua di quegli stramaledetti Orchi? E perché nessuno mi ha detto che bisognava studiare Lingue Demoniache da autodidatta per essere ammesse qui dentro?” Addentò con furia una coscia di pollo fritto.
“Scusa, posso rispondere ad una sola domanda alla volta.” – disse Barbara.
“Ho parlato con alcune del terzo anno.” – disse Brenda. “Non c’è niente di vero. E’ tutta una paranoia della Poliglotter.”
“Una … paranoia?” – ripeté Rebecca, incredula.
“Proprio così. Pretende che arriviamo qui sapendo leggere le Lingue, ma in realtà non siamo tenute a farlo.”
“E la Collins sa di avere assunto una pazza furiosa?” – domandò Rebecca.
Brenda alzò le spalle.
“Quindi, se vado dalla preside e le spiego ogni cosa, non sarò tenuta a fare la relazione, giusto?” – ragionò Rebecca.
“Sì, ma ti sconsiglio di farlo.” – disse Brenda.
“E per quale ragione?”
“Perché potresti inimicarti la Poliglotter per il resto dell’anno.”
“Cosa?”
“Preferisci una punizione o nove mesi di tartassamenti? A te la scelta.”
“Ma è assurdo!” – protestò Rebecca.
“Sì, lo è. Ma a quanto pare sono poche le cose… normali in questa diamine di scuola. Guarda Garou con Angela!”
“Sì, ma almeno lei non dovrà fare lavori extra.”
“Non è bello nemmeno essere umiliate così davanti alla classe.” – considerò Barbara.
Rebecca sospirò. “Allora che devo fare?” – chiese, sconfitta.
“Ti aiuteremo noi a fare il compito.” – disse Brenda.
“Certo!” – esclamò Barbara.
 “Vedrai, basterà copiare qua e là da qualche libro in biblioteca, non  sarà difficile.” – la consolò Brenda.
“Se lo dici tu.” – mormorò Rebecca depressa.
   
 
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