Anime & Manga > Bungou Stray Dogs
Segui la storia  |       
Autore: futacookies    13/12/2020    1 recensioni
{soukoku - post Dead Apple - non tiene conto degli avvenimenti della terza stagione dell'anime - happy ending}
Dopo aver quasi distrutto Yokohama nel suo scontro con Shibusawa, Chuuya Nakahara entra nella lista nera del governo: considerato un pericolo pubblico, ancor più poiché sottotenente della Port Mafia, va eliminato. Ango avverte Dazai nel tentativo di risparmiargli un’ennesima sofferenza. Si presentano a quest’ultimo due possibilità: lasciar morire il suo storico partner, oppure cercare di salvarlo; deciso a volerne evitare la morte, Dazai prova quindi a spingerlo ad unirsi all’Agenzia dei Detective Armati, dove non sarebbe più visto come una minaccia. Tuttavia convincere uno dei fedelissimi di Mori a voltargli le spalle è più difficile del previsto, e per strappargli la promessa di abbandonare la Port Mafia saranno necessarie misure drastiche.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ango Sakaguchi, Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 2

(parte seconda)



 

Kunikida era il nuovo partner di Dazai. Almeno, questo era quello che gli aveva detto la dottoressa. In realtà lui non l’aveva ancora visto, da quando era iniziata la sua prigionia, considerando che Dazai era quasi onnipresente per tenerlo sotto controllo. Doveva ammettere che però ne era incuriosito: sapeva perfettamente che ci voleva un autocontrollo formidabile per riuscire a sopportare Dazai, oltre che un’incredibile intelligenza per seguire qualunque via percorresse la sua mente contorta durante una missione. Ne era anche, forse in piccolissima parte , intimorito.

Non si aspettava comunque di vederlo. Invece si era presentato in un noiosissimo pomeriggio, forse una settimana dopo la sua cattura, mentre stava ancora maledicendo Dazai e i suoi capricci e quel bacio che proprio non riusciva a togliersi dalla testa. All’inizio, in realtà, era entrato il ragazzo-tigre, quello per cui tutta la Port Mafia aveva perso la testa oltre che la taglia: Mori-san a volte ne era ancora amareggiato -. Aveva fatto un gran baccano trascinando una sedia, si era scusato aveva proprio detto: “Scusa per il disturbo, Nakahara-san” e poi se n’era andato in tutta fretta. 

Poi era arrivato Kunikida: la sua ombra, particolarmente lunga, era arrivata prima di lui. Si era schiarito la voce, si era sistemato il cravattino che portava al collo e si era seduto. Chuuya non aveva protestato, non si era lamentato, non aveva alzato la voce traspariva, dalla sua calma assoluta, un senso di severità che di certo non gli avrebbe condonato il comportamento che sia Dazai che la dottoressa aveva ignorato e talvolta trovato divertente. Aveva l’impressione di trovarsi davanti ad un insegnante particolarmente impietoso.

«Non sono qui per fare conversazione.», annunciò, brusco.

Chuuya annuì. A quel punto lui sembrò rilassarsi un poco, almeno quanto bastava per perdere la postura perfetta mantenuta fino a quel momento.

«Suppongo che il motivo della mia visita sia abbastanza evidente.», continuò.

Chuuya scrollò le spalle. Non ne aveva la minima idea. 

«Chiaramente», iniziò, guardandolo dall’alto verso il basso, «per Dazai.»

Era irritante. Chuuya, costretto per terra, veniva torreggiato da questo spilungone minaccioso che affermava di essere lì per Dazai. Che significava, per Dazai? Su richiesta di Dazai? Per il bene di Dazai? Per lamentarsi di Dazai? Cosa avrebbe dovuto farsene di quello che gli avrebbe detto? Non sarebbero state certo le parole di uno che si era sobbarcato l’ingrato compito di essere partner di Dazai che l’avrebbero convinto ad unirsi all’Agenzia.

«Penso tu sappia quanto fastidio possa dare Dazai senza ulteriori stimoli esterni.», spiegò. «Da quando ti ha portato qui cosa che non avrei mai concesso, se non avesse approfittato di un mio particolare momento di debolezza è diventato fisicamente doloroso sopportarlo.», aggiunse. «Ormai si presenta qui soltanto quando sa che è il suo turno di fare la guardia, sospira, mette disordine tra i miei documenti, tampina il presidente affinché ti lasci sostenere l’esame di ammissione benché nessuno qui pensa che tu sia tagliato per l’Agenzia.»

Chuuya si dimenò, a disagio. Non c’era bisogno che gli ricordassero che lui era un criminale e che di solito si combattevano, piuttosto che intavolare conversazioni su quanto Dazai fosse una spina nel fianco. Era stata una sua scelta, quella di unirsi alla Port Mafia, e sarebbe stata altrettanto sua la scelta di andarsene, se mai un giorno l’avesse voluto di certo non avrebbe permesso a Dazai e i suoi colleghi squinternati di occuparsi della faccenda al posto suo. Non che Dazai gliel’avesse chiesto, quando poteva, di lasciare la Port Mafia. Non che l’avrebbe seguito, se l’avesse fatto. 

«Convertire criminali non rientra nelle mie mansioni. Io mi limito a seguire i miei ideali, non a impartirli ad altri.», proseguì, ignorando qualunque turbamento Chuuya stesse mostrando. «Ma è evidente che Dazai ti sia particolarmente affezionato. Ed è innegabile», disse, impedendogli di controbattere, «che la mia efficienza lavorativa dipenda dalla tranquillità dell’ufficio, che è chiaramente soggetta agli stati umorali di Dazai. Motivo per cui diventa imperativo che tu accetti la sua proposta di unirti all’Agenzia.», concluse, serissimo, sistemandosi gli occhiali sul naso.

C’erano talmente tante cose assurde, in quello che stava dicendo, che non potevano non essere vere. Se c’era un momento per protestare, era onestamente quello. Poteva sforzarsi e capire che Dazai voleva trascinarlo all’Agenzia per salvarlo dal governo e da qualunque terribile fine gli sarebbe toccata, ma che fosse costretto a cedere per- per cosa? Assicurare l’efficienza lavorativa del gigantesco imbecille che gli si parava davanti? Ci credeva, che questo Kunikida si trovava bene con Dazai. 

«Inoltre», andò avanti, mentre Chuuya ancora stava processando l’incessante sequela di insulti che avrebbe dovuto rivolgergli, «è ovvio che privare la Port Mafia di un’abilità potente come la tua contribuirebbe sensibilmente alla sicurezza di Yokohama. Senza considerare l’ancor più ovvio aspetto che pure non era mia intenzione sottolineare che avresti la possibilità di redimerti dei tuoi crimini passati.», lo osservò per qualche istante e Chuuya si sentì esposto al suo sguardo indiscreto e indagatore. «Sarebbe di certo un’esistenza più felice, quella in cui puoi metterti al servizio della giustizia.»

 

******

 

Kunikida aveva terminato il suo strampalato sermone del fuoco e se n’era andato senza dargli la possibilità di una risposta. Il che, a conti fatti, era una fortuna, perché Chuuya non avrebbe davvero saputo cosa rispondere. Quale giustizia?, avrebbe voluto chiedergli. C’era una giustizia, nella Port Mafia, ed era terribile e mieteva continuamente vittime. Era l’unica giustizia che avesse mai conosciuto e al cui servizio si fosse messo. Anche la giustizia dell’Agenzia era costata a molti: se in fondo erano la stessa giustizia, a cosa sarebbe servito cambiare bandiera? La giustizia del governo, della Divisione per il Controllo delle Abilità Speciali, lo voleva morto benché molti, in quelle quattro mura, avessero commesso crimini ben peggiori dei suoi.

E seppure fosse stata diversa, la giustizia dell’Agenzia, seppure fosse stata un ideale luminoso e autentico, avrebbe davvero migliorato la sua vita? Gli era sempre andata bene, la sua vita, e non c’era predica che potesse fargli sorgere il dubbio che quello che avesse non fosse abbastanza. 

Gli avevano detto che Dazai era diverso. Chuuya, per orgoglio e amor proprio, lo aveva continuato a negare, ma c’era, nella sua mente, un’immagine di Dazai che semplicemente non combaciava con quella che si ritrovava ormai quotidianamente davanti agli occhi, benché si sforzasse di limarla. Che Dazai avesse scoperto una felicità una serenità? che gli era negata ai tempi della Port Mafia? Che servire quella giustizia lo avesse davvero reso una persona migliore? Che non fosse più il suo Dazai?

«Chuuya~»

«Fanculo, Dazai.», sibilò tra i denti. «Se mandi un altro dei tuoi colleghi a perorare la tua causa di merda appena mi libero vi ammazzo tutti.»

«Oh?», Dazai, appena entrato dalla porta, sembrò incuriosito dal suo scatto d’ira. «Ah, Kenji-kun aveva detto qualcosa su Kunikida, prima.», scrollò le spalle. Probabilmente non aveva ascoltato nulla. «Be’, spero che non ti abbia spaventato, Kunikida sa essere-»

«Un idiota.», lo interruppe, pensando che si era davvero piegato a chiedergli di unirsi all’Agenzia pur di lavorare in pace.

Dazai emise un verso di approvazione e si avvicinò. 

«E per caso», iniziò, chinandosi verso di lui, «ti ha convinto?»

Chuuya fece una smorfia. «Tu che dici?», rispose.

«Sì?», tentò.

«Stare qui non ti ha reso migliore.», osservò Chuuya. «Ti ha reso solo più stupido. Se fossi rimasto nella Port Mafia avresti immediatamente capito che era inutile insistere e ti saresti concentrato su un obiettivo che avresti effettivamente potuto raggiungere.»

«Mi rende stupido, voler salvare le persone che-»

«Non tutti hanno bisogno di essere salvati, Dazai.», commentò, impietoso, mentre Dazai si sedeva accanto a lui. «Non tutti vogliono essere salvati. Non siamo tutti come te.»

«Ce l’hai ancora con me perché me ne sono andato?»

«Non ce l’ho con te perché te ne sei andato», sbottò, irritato. «Ma perché l’hai fatto senza di me.», cominciò a sbattere un piede per terra. «Dio, Dazai, eravamo una squadra, No? Partner e-», si fermò prima di concludere la frase. Amanti. A volte faceva ancora male pensarci. «Invece dalla sera alla mattina eri scomparso. Introvabile. Senza nemmeno lasciare una traccia. E tutto quello che il Boss aveva da dire a riguardo era che non si aspettava di rivederti presto.», fece una pausa, lanciandogli un’occhiata di disprezzo. «Hai idea di come mi sia sentito?»

«Vuoi dire che mi avresti seguito?», domandò Dazai, fissandolo dubbioso.

«Chi sa.», commentò, sarcastico. «È troppo tardi per scoprirlo.»

«Chuuya-»

«Chuuya un corno.», lo interruppe. «Sono stanco, Dazai. Vattene e basta.»

Dazai emise un lamento se non lo avesse mandato via così decisamente forse sarebbe rimasto. Ma più lo guardava e più si sentiva confuso. Più lo guardava e più pensava che forse, se le situazioni fossero state diverse, adesso ci sarebbe ancora speranza per loro. Più lo guardava e più si convinceva che il passo per raggiungere Dazai fosse infinitesimamente piccolo e che fosse anche il caso di compierlo. Quindi era meglio che se ne andasse, che quei pochi giorni che gli restavano finissero in fretta e che la Divisione delle Abilità Speciali facesse di lui quello che voleva cosa che, in ogni caso, Mori-san non avrebbe permesso. Non era sicuro che l’Agenzia ne fosse a conoscenza, o, in tal caso, quanto sapesse, ma i rapporti tra la mafia e il governo era regolati da accordi molto più ferrei di quelli stabiliti con loro.

 

******

 

«Cosa c’è?», chiese, leggermente irritato.

Quel giorno il pranzo gliel’aveva portato Kyouka-chan. Si sentiva sempre a disagio con lei: meno cerimoniosa della tigre mannara, meno pomposa di quel Kunikida che comunque non si era più fatto vedere , non aveva la prontezza di spirito della dottoressa e grazie al cielo non era fastidiosa come Dazai. Era, però, tragicamente silenziosa. Di solito apriva la porta, gli consegnava il suo vassoio e se ne andava quasi in apnea. Non oggi. Oggi era entrata, aveva lasciato il vassoio accanto a lui e aveva esitato: si era fermata ad osservarlo per un paio di istanti, indecisa, poi si era avviata verso l’uscita. Adesso stava indugiando vicino alla porta, fissando trucemente il pomello; aveva già sollevato la mano un paio di volte, per poi lasciarla ricadere. Chiaramente voleva fare dire? qualcosa. Sperava solo che non si trattasse una strampalata idea di Dazai.

«Dazai-san mi ha salvata.», gli disse infine. Ritornò sui suoi passi e si inginocchiò di fronte a lui.

Chuuya non sapeva poi molto della storia di Kyouka-chan e quel poco che sapeva gliel’aveva detto Ane-san, che continuava a lanciare improperi contro il ragazzetto-tigre che gliel’aveva portata via. Era tuttavia a conoscenza del fatto che per un periodo Akutagawa si fosse occupato di lei e l’esperienza doveva certamente averla segnata. La Port Mafia non era un centro d’accoglienza: i bambini che raccoglieva orfani, teppistelli, scappati di casa diventavano informatori, spacciatori, assassini. Anche lui era stato un ragazzino solo e tradito e aveva messo il suo potere al servizio di Mori-san, che gli aveva dato un ruolo e una parvenza di famiglia. Si sarebbe comunque unito a lui, se gli si fosse presentata una possibilità diversa?

L'abilità di Kyouka, Demone Biancaneve, apparve alle sue spalle.

«Demone Biancaneve ha ucciso i miei genitori. E nei sei mesi in cui sono stata con Akutagawa, trentacinque persone. La mia abilità è fatta per uccidere ed ero convinta non potesse essere altrimenti.»

La sua voce era controllata, quasi distaccata mentre parlava. Più che una ragazzina, gli dava l’impressione di essere un’impietosa divinità multi centenaria. Non doveva essere semplice, discutere con un perfetto sconosciuto di traumi e ferite che avrebbe di certo preferito lasciare nel passato, eppure non provava vergogna mentre gli elencava i suoi crimini.

«Pensavo che se non ci fosse stato altro modo per vivere che continuare ad uccidere, allora tanto valeva morire.», fece una pausa, fissandolo intensamente. Il suo sguardo, freddo eppure sereno, lo metteva a disagio. 

«Ero disposta a morire ero pronta a morire. E poi Dazai-san mi ha detto che lui aveva commesso crimini indicibili eppure adesso fa il possibile per aiutare gli altri, e mi ha detto che se ce l’ha fatta lui, allora ci potevo riuscire anch’io.»

Si alzò, scrollando un po’ di polvere dal kimono. Non smise di guardarlo negli occhi.

«Se ti è stata data la possibilità di cambiare, allora dovresti coglierla. Tutto qui.»

Chuuya osservò mesto la sua schiena che si allontanava. Era così facile, lasciarsi il passato alle spalle? Bastava soltanto cogliere una possibilità? Emise un verso di stizza. Non avrebbe dovuto abbandonarsi a certi pensieri questo era esattamente il tipo di dubbio che Dazai avrebbe voluto instillare in lui. Che gli importava, quanto fosse facile lasciarsi il passato alle spalle? Lui non l’avrebbe fatto. Non avrebbe ceduto ai petulanti capricci di Dazai e non avrebbe seguito i consigli di una quattordicenne, benché quest’ultima fosse riuscita a sbarazzarsi delle catene della Port Mafia. Gli andava davvero bene la sua vita? Era un’esistenza a cui si abituato rassegnato? , perciò non aveva mai sperato che potesse essere diversa migliore? 

Eppure, più tempo trascorreva in quello sgabuzzino, più diventava difficile negare che forse Dazai era davvero cambiato, che ogni sua azione non era soltanto per dare pace al fantasma di Odasaku, ma animata da un sincero desiderio di proteggere gli altri che lui stesso rientrasse tra gli altri che Dazai voleva proteggere era un pensiero che rendeva ancora più terrificante l’intera faccenda.

Aveva convissuto per anni con la certezza che qualunque sentimento Dazai avesse mai provato per lui, se mai ne avesse provati, non era stato abbastanza per tenerli insieme mentre il suo mondo cadeva a pezzi. Quando l’aveva perso non ci aveva impiegato molto a convincersi che forse era stato meglio così che continuare a vivere in quella farsa di relazione soltanto per il suo stupido attaccamento era, per l’appunto, stupido. E adesso Dazai proclamava che voleva salvarlo e che lo amava ancora. Che non aveva mai smesso. E la cosa peggiore era che lui ci voleva credere davvero ci voleva credere disperatamente, con ogni fibra del suo essere, e non poteva fare a meno di odiarsi per questo. Era debole.

Solo un altro paio di giorni. Doveva resistere solo un altro paio di giorni e poi si sarebbe potuto liberare della presenza di Dazai e di quella possibilità che insistevano ad offrirgli, quella mano tesa nel vuoto che non avrebbe mai afferrato, quella porta verso il tramonto che non avrebbe mai varcato apparteneva all’oscurità, lui, a vicoli bui e ordini concitati e alla sciocca illusione che non ci fosse altro, oltre quello.

 

******

 

«Chuuya~»

«Per l’ultima volta, Dazai, non mi unirò al tuo gruppo di fuori di testa!»

Dazai sollevò entrambe le mani in segno di resa.

«Lo sappiamo, lo sappiamo.», commentò. Poi gli fece notare le chiavi che teneva in mano. «Sono qui per proporti un accordo.», iniziò a spiegare. «Vedi queste? Servono per aprire le tue manette.», fece dondolare le chiavi dalle sue dita. «Prendilo come il riscatto che non abbiamo chiesto alla Port Mafia quando ti abbiamo catturato.»

«E il governo?»

«Potremmo sempre dire che sei riuscito a scappare. Sei o non sei un pericolo pubblico?»

Chuuya mascherò la sua risata con un colpo di tosse. Qualunque proposta avanzasse Dazai, dopo averlo accontentato sarebbe stato libero di tornare a casa, ai suoi crimini e alla sua esistenza senza speranza senza dubbi e senza la tentazione di cedere alla sempre più allettante possibilità di accettare il cambiamento. 

«Cosa ti serve?», domandò, cercando di apparire distaccato. 

«Una mano.», rispose, scrollando le spalle. «Il governo ci ha chiesto di indagare su un’organizzazione straniera che ha messo base a Yokohama. Abbiamo trovato il loro nascondiglio e oggi dovremmo tendere un’imboscata. Saresti d’aiuto.»

«Poi me ne potrò andare?»

«Sì.», promise Dazai. «Sarai libero come l’aria.», aggiunse, facendo svolazzare le dita.

Chuuya ci pensò per qualche istante non gli sarebbe costato nulla, andare con loro e collaborare pur di potersene andare. Era anche curioso dell’opportunità che gli si presentava: se mai avesse voluto accettare di lavorare per l’Agenzia, be’, quello era un assaggio della vita che avrebbe vissuto che avrebbe potuto vivere, se fosse stato meno codardo. 

«Okay. Va bene. Solo per questa volta.», specificò, mentre Dazai si avvicinava per liberarlo. «E poi me ne vado.», aggiunse, sgranchendosi finalmente i polsi.

«Certo.», acconsentì Dazai.

«Bene.»

«Già.»

«Ah, Dazai?», lo chiamò, aspettando che si voltasse per sferrargli un pugno sotto la mascella. «Questo è perché mi hai tenuto rinchiuso qui due settimane.» 

Poi afferrò il suo cravattino e lo baciò. Dazai rimase immobile in un primo momento, facendogli credere che lo avrebbe rifiutato. Quando stava quasi per allontanarsi, gli afferrò i capelli e rispose con forza, la sua lingua che si faceva spazio nella sua bocca, una mano che gli sosteneva la nuca per poter approfondire ancora di più il contatto. Era anche più bello di come se lo ricordava.

«E questo per cos’è?», chiese Dazai, una domanda appena sussurrata sulle sue labbra. Chuuya scrollò le spalle e sgusciò fuori dalla stanza prima che Dazai potesse fare altre domande. 

«Allora, stupidi detective, ho sentito che avete bisogno del mio aiuto per portare a termine i vostri incarichi»

La dottoressa ghignò. Kunikida ridusse gli occhi a due fessure.

«Allora hai accettato, Nakahara-san!», esclamò Atsushi, tirandosi in piedi. 

«Be’, l’alternativa era finire nelle mani del governo.», spiegò candidamente Chuuya, appoggiandosi a una scrivania.

«Già.», rispose prontamente un piccoletto con gli occhiali che non ancora mai visto. Il suo sguardo lo metteva a disagio. «Bel cappello», gli concesse, indicando con il mento il basco che portava in testa.

«Bene.», cominciò Dazai. «Visto che ci siamo tutti», i suoi occhi si soffermarono per un istante su Chuuya, prima di includere il resto dei presenti, «direi che possiamo anche fare un riassunto di quello a cui stiamo per andare incontro. Kunikida, prego.», concluse, sollecitando l’altro a prendere il suo posto.

Chuuya si aspettava qualche commento infastidito, o almeno una forma di protesta da parte di Kunikida, ma quest’ultimo si alzò senza un lamento e fece esattamente quello che gli aveva chiesto Dazai. 

«Abbiamo a che fare con un’organizzazione criminale che negli ultimi tre mesi ha causato il rapimento di una serie di dignitari e politici di vario livello e il loro rilascio dietro lauto riscatto. La Divisione per il controllo delle Abilità Speciali non sembrava venirne a capo e perciò ci ha chiesto di occuparcene.», fece una pausa, poi aggiunse: «Il nostro obiettivo è entrare nel loro quartier generale, liberare gli ostaggi e arrestare le menti a capo dell’organizzazione. Ci sono domande?»

Chuuya rimase interdetto per qualche istante lui aveva molte domande. Avevano intenzione di andare lì senza un piano? O peggio, il loro piano era semplicemente andare lì e improvvisare? Mori-san non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Avrebbe richiesto una dettagliata spiegazione di ogni singolo passaggio e almeno un piano di riserva, in caso le cose si mettessero male. Questo comportamento era da selvaggi. Fuori di testa. Si guardò intorno, in attesa che si levasse qualche dubbio simile ai suoi, ma l’unica cosa che trovò fu lo sguardo apologetico di Dazai che gli spiegò, senza troppi giri di parole, che lì le cose erano diverse. 

«Ho bisogno di una sigaretta.», annunciò e in un primo momento non fece caso al levarsi di un lamento comune. Poi Yosano-sensei gli si parò davanti, indicando prima il cartello vietato fumare e poi lanciandosi in una sgridata sugli effetti negativi del fumo e sul perché quando si sarebbe ammalato di tumore ai polmoni lei non lo avrebbe curato. Chuuya avrebbe voluto controbattere che, grazie tanto, lui non sarebbe venuto a farsi curare da lei, ma vide che i toni della tirata non si smorzavano e quindi ripose in segno di resa il portasigarette.

 

******

 

«Voi siete una banda di idioti.», riferì a Dazai e quest’ultimo si limitò ad accogliere il suo commento con un verso concorde. Dazai era orribilmente di buon umore il che non faceva che farlo incupire ancora di più, perché qualunque cosa lo rendesse così allegro non poteva che essere negativa.

«Kunikida-kun!», esclamò Dazai, dandogli una pacca sulla spalla e ignorando completamente il minaccioso suggerimento di stare zitto, visto che speravano nell’effetto sorpresa , «Non ti sembra un giorno perfetto per morire?», chiese, allegro. 

Kunikida sbuffò senza neanche degnarlo di uno sguardo. Il tipo col basco, Ranpo-san, si lasciò scappare un colpo di tosse. Il disagio di Chuuya aumentò. 

Aveva accettato solo perché Dazai gli aveva promesso che poi sarebbe potuto tornare alla Port Mafia non avrebbe voluto assistere a queste comiche scenette familiari, non avrebbe dovuto fargli male sapere che quella era la quotidianità di Dazai e che non sarebbe mai stata anche la sua. Aveva accettato e avrebbe portato a termine la sua missione e non si sarebbe lamentato e non ci avrebbe pensato più al diavolo Dazai: qualunque cosa fosse successa in quelle due settimane era già un fantasma che apparteneva al passato.

Kunikida fece cenno di fermarsi e si bloccarono tutti immediatamente: guardò verso l’altro lato della sala, dove dovevano farsi strada Atsushi-kun e gli altri. Quando li vide, dopo lo scorrere di qualche manciata di secondi, fece loro segno di aggirare il gruppo di malviventi che stava controllando gli ostaggi.

«Adesso», spiegò Kunikida, esplicitamente rivolto a lui, «cerchiamo di mettere questi tizi, chiaramente dei gregari, al tappeto, senza fare troppa confusione.»

Gli lanciò uno sguardo dubbioso, come se volesse mettere in dubbio la sua capacità di non fare confusione, e poi si rivolse a Ranpo: «Ranpo-san, tu dovresti restare indietro con Kenji per liberare gli ostaggi e portarli al sicuro.»

Ranpo arricciò il naso.

«Se ne può occupare Tanizaki-kun.»

«Potremmo aver bisogno di Neve Sottile.», obiettò Kunikida, che continuava a lanciare occhiate agli ostaggi legati sul pavimento.

«Allora Yosano.», protestò Ranpo, che pareva essere intenzionato a proseguire con loro a tutti i costi.

«Potremmo aver bisogno anche di lei.», aggiunse Kunikida, impaziente.

«Stai dicendo che non avete bisogno di me?»

Kunikida sembrò mortificato: chinò il capo e si lanciò in una serie di scuse, parlando di come ovviamente avrebbero avuto sempre bisogno del più brillante detective dell’Agenzia, anzi di Yokohama, anzi del Giappone e che non era assolutamente sua intenzione suggerire che sarebbero riusciti a portare a termine l’incarico senza l’aiuto del più prezioso membro dell’Agenzia. Chuuya pensò che sarebbe scoppiato a piangere.

«Va bene.», disse alla fine, chiaramente sconfitto, «Se ne può occupare Tanizaki.»

«Bene.», commentò Dazai, giungendo le mani, «Adesso che siamo tutti d’accordo, potremmo occuparci di quelli?», chiese, indicando due uomini nerboruti che stavano correndo verso di loro.

Chuuya sentì a malapena Kunikida dire: «Tsk.», prima che cacciasse un foglietto di carta e facesse apparire un teaser. 

«È così che mi avete beccato, l’altra volta?», domandò a Dazai, che restò pigramente dietro di loro, mentre Chuuya sferrò un calcio che fece cadere l’altro uomo, che Kunikida si premurò di tramortire.

Dazai scrollò le spalle. «Tu sei stato molto più facile da battere, chibi

Chuuya non voleva fare davvero brutta figura con i colleghi di Dazai, perché probabilmente lui si era già dilungato con storie che lo facessero sembrare ridicolo e stupido e incapace e non aveva alcuna intenzione di dar loro motivo di credere che ci fosse anche solo un briciolo di verità nelle sue parole. Perciò non voleva davvero cominciare a litigare nel mezzo di una spedizione in cui avrebbe dovuto fungere da supporto anche perché fino a quel momento la sua utilità era stata pari a zero. Ma l’urlo di indignazione partì prima che potesse lucidamente riflettere sul fatto che Dazai avesse aperto bocca proprio per suscitargli quella reazione.

Qualunque risposta Dazai potesse volergli dare fu interrotta da Kunikida, che gli diede una botta in testa e gli intimò di pensare a fare il suo lavoro. Dazai, straordinariamente, obbedì. Si lanciò davanti a loro, ricongiungendosi con gli altri membri e liberando gli ostaggi. Mentre spiegava sommariamente la situazione, indicando appunto Kenji e Tanizaki che li avrebbero scortati in un luogo sicuro, Chuuya non poté fare a meno di notare lo sguardo malinconico con cui li osservava. 

«Sai, Chuuya-kun», lo chiamò la dottoressa, affiancandosi a lui, «non devi per forza sentirti così a disagio.»

Chuuya guardò Dazai, che stava arruffando i capelli di Atsushi probabilmente congratulandosi per la moltitudine di corpi semisvenuti ai loro piedi e il suo disagio non fece che aumentare.

«Avevi ragione, sensei.», borbottò, quasi più a se stesso che rivolto a lei, «Non è più il mio Dazai.»

La dottoressa gli rivolse un verso interrogativo, ma fu distratta da uno degli scagnozzi che cercò di rialzarsi e colpì prontamente con il piatto del machete. Se avesse dovuto scegliere un membro dell’Agenzia di cui avere davvero paura, era lei.

«Su, andiamo avanti.», li incoraggiò Kunikida, «Ho l’impressione che non sarà sempre così facile.»

 

******

 

«Via, via!», esclamò Dazai, rompendo il silenzio che diventava sempre più teso ogni volta che sbirciavano in una stanza e la trovavano desolatamente vuota. «Non c’è bisogno di fare così!», aggiunse, parandosi di fronte a loro. «Seppure il più potente portatore di abilità dovesse attaccarci, mi basterebbe stendere un braccio per neutralizzarlo, quindi-», quindi perché hai chiesto il mio aiuto?, avrebbe voluto chiedergli Chuuya. «-non c’è bisogno di farmi vedere quei musi lunghi!»

Yosano-sensei ridacchiò, Ranpo-san annuì, Atsushi sembrò sorridere sinceramente e anche Kyouka, che era pronta a sfoderare il suo pugnale e la sua ben più minacciosa abilità al minimo rumore, si rilassò. Chuuya continuò ad osservare Dazai, che adesso di era posto alla testa del loro corteo e dovette sforzarsi per reprimere un moto d’affetto. Era diverso, certo, ma questo Dazai che si preoccupava dei suoi compagni e cercava di fare la cosa giusta non era poi così male era un Dazai di cui avrebbe potuto innamorarsi.

Innamorarsi di Dazai il solo pensiero avrebbe dovuto farlo innervosire. Invece c’era una pletora di possibilità ai suoi piedi che non aspettavano altro che essere colte. Gli sarebbe andato bene, tornare alla Port Mafia dopo aver avuto un assaggio di un’altra vita, una che avrebbe potuto davvero renderlo felice? Sarebbe bastata la fedeltà nei confronti del Boss per legarlo ad una dimensione sempre più vaga e lontana?

Sbuffò, infastidito. Non era certo il momento per certi pensieri. Magari, dopo, quando avrebbe portato a termine il suo incarico, avrebbe trovato il coraggio di ingoiare il suo orgoglio e chiedere di poter restare chiedere a Dazai di accoglierlo nella sua vita come non aveva fatto anni prima. Oppure sarebbe semplicemente scappato e avrebbe finto che le ultime due settimane e tutto il tumulto interiore che gli avevano causato in realtà non fossero mai esistite.

«Be’, questa è l’ultima porta.», annunciò Dazai, piazzandosi di fronte ad essa. «Se non c’è nessuno nemmeno qui significa che chiunque sia dietro questi crimini è riuscito a s-»

Non riuscì a terminare la frase che la porta fu scardinata e lanciata contro di loro.

«Dazai!», urlò Chuuya, che si aspettava che fosse stato colpito ma mentre lui era impegnato a preoccuparsi inutilmente, Dazai si era chinato e Demone Biancaneve aveva tranciato l’ammasso di ferraglia, che era spezzato sopra le loro teste. 

«Che c’è, ti stai preoccupando per me?», chiese Dazai a bruciapelo, ma Chuuya lo ignorò completamente e si buttò nella mischia. 

C’erano almeno una decina brutti ceffi nello stanzone in cui erano entrati, e sembravano tutti dotati di abilità Chuuya calcolò che se si fosse mosso abbastanza rapidamente sarebbe riuscito ad abbatterne un paio prima che riuscissero ad attaccare. Certo che per buttarsi in un covo di personaggi del genere i membri dell’Agenzia dovevano avere una sfacciataggine assurda se qualcuno fosse stato ferito, alla dottoressa sarebbe bastato un dito per curarlo, ma era comunque un comportamento da sconsiderati. 

«Vacci piano con la tua gravità.», commentò Ranpo, fermandolo prima che potesse lanciarsi contro i primi avversari. «Non è adatta al combattimento al chiuso.»

«E noi cerchiamo di non fare vittime, se possibile.», precisò Kunikida.

E allora perché sono qui?, avrebbe voluto strillare, ma fu superato da Atsushi, che già sfoderava gli artigli, e non ebbe neanche il tempo di protestare.

Fu attaccato alle spalle e nonostante il bruciore dei reni riuscì a saltare abbastanza in alto per schivare un secondo colpo. Fece cenno agli altri di dispersi e si diede lo slancio per atterrare sul tavolo, che poi spedì immediatamente contro il suo avversario. A pensarci bene, fu quasi una fortuna che questo fosse riuscito a spostarsi di lato, perché altrimenti Chuuya era sicuro che gli avrebbe fracassato il cranio. Cercare di combattere con delle limitazioni non solo territoriali, ma anche morali, diventava molto più difficile. Tutte le strategie a cui era abituato improvvisamente non servivano più a nulla e come se non bastasse non riusciva a regolare la sua forza d’urto quale sarebbe stato l'attacco che avrebbe ucciso qualcuno o che avrebbe fatto collassare l’edificio?

Recuperò una delle gambe del tavolo, ormai in frantumi, e la spedì nello stomaco dell’altro, che si accartocciò su se stesso per il dolore. Kunikida ne approfittò per tramortirlo e ammanettarlo. Si scambiarono uno sguardo d’intesa male e poi Chuuya si guardò intorno per accertarsi che stessero tutti bene malissimo.

La prima persona che vide, con un certo disappunto, fu Dazai. Dazai non era mai stato amante della lotta, in particolare dei corpo a corpo che lo costringevano ad uno spreco di energie che probabilmente neanche possedeva, per cui Chuuya avrebbe voluto urlargli di avere almeno la decenza di farsi da parte e lasciarli lavorare in pace. Invece si rese conto, con disappunto ancora maggiore, seguendo la sua figura snella che praticamente danzava da un punto all’altro della stanza, che non era affatto d’intralcio: si muoveva tra i vari combattenti, allungando talvolta le dita, lasciando l’avversario indifeso abbastanza a lungo perché fosse messo fuori gioco.

«Non male, eh?», gli chiese Ranpo, scuotendolo dalla sensazione di immobilità che lo aveva invaso mentre si accertava che Dazai fosse effettivamente al sicuro e non stesse in realtà saltando da un pericolo all’altro.

«Perché sono qui?», domandò in risposta, afferrando una mattonella staccatasi dal pavimento e mandandola, con una parabola perfetta, su un braccio che stava strattonando la dottoressa.

«Per dare una mano.», gli rispose con una scrollata di spalle.

Chuuya grugnì. Si sentiva preso per il culo.

«Perché sono davvero qui?», ritentò, lanciandogli un’occhiata penetrante. 

Ranpo sbuffò e si sistemò meglio gli occhiali sul naso.

«Perché volevamo capire se fossi davvero capace di comportanti- be’, come uno di noi.»

Come uno di loro. Come se in realtà fosse stato una qualche bestia selvatica che stavano decidendo se valesse la pena addomesticare e forse era davvero così. 

«Non dovrei dirtelo», continuò Ranpo e allora stai zitto, avrebbe voluto intimargli , «ma questo dovrebbe essere il tuo esame di ammissione. Se dovesse andare tutto-»

Qualunque altra cosa Ranpo avesse aggiunto fu zittita da uno sparo. 

Chuuya si voltò in tempo per vedere una figura sottile allontanarsi per una rampa di scale laterale il suo primo istinto fu quello di muoversi per seguire il fuggitivo. Poi ruotò il capo quanto bastava per incrociare gli occhi sbarrati di Kyouka. Una sensazione quasi animale gli suggeriva di restare fermò lì, a fissare il muro oltre le spalle di Kyouka. Poi sentì Kunikida e Atsushi strillare il nome di Dazai e vide con orrore Yosano-sensei, con la camicia già quasi zuppa di sangue, che cercava di tamponargli una ferita. 

Si gettò immediatamente accanto a lui forse c’erano altri, in quella stanza, che avevano più diritto di stargli affianco in un momento del genere, ma con una punta di egoismo volle convincersi che Dazai non avrebbe voluto qualcun’altro mentre non poteva fare altro che restare steso, immobile, ferito, vulnerabile.

«Idiota-», mugugnò, chinandosi verso di lui.

«Ehi!», Dazai protestò flebilmente, «Non è colpa mia se mi hanno sparato.», aggiunse, e poi fu scosso da più colpi di tosse. 

Chuuya alzò lo sguardo quanto bastava per incontrare quello in preda al panico della dottoressa, che non riusciva in nessun modo a fermare l’emorragia e cercava, invano, di usare la sua abilità su di lui.

Solo quando Ranpo, scuotendo la testa, si chinò su di lei per allontanarla da Dazai, Chuuya realizzò quanto fosse terribile la realtà che stava per abbattersi su di loro. 

Una parte di lui, irrazionale e già distrutta dal dolore, voleva gridare che Dazai semplicemente non poteva morire. In fondo solo una persona praticamente immortale avrebbe potuto tentare di suicidarsi così spesso e sopravvivere ogni volta Dazai non poteva morire perché non ne era capace e perché c’erano così tante persone che avevano bisogno di lui. Perché Chuuya aveva bisogno di lui: anche solo per odiarlo, per potergli rinfacciare una volta in più che lo aveva abbandonato. Per baciarlo ancora una volta, per permettergli di guidarlo verso quegli scenari di salvezza che aveva voluto mostrargli a tutti i costi. 

«Chuuya-», lo chiamò, il volto contratto dal dolore per la ferita.

«Stai zitto.», lo minacciò. «Kunikida ha già chiamato un’ambulanza e presto sarei come nuovo, come se non fosse successo nient-»

«Chuuya.», lo richiamò, con una voce così ferma da far scomparire il resto: le proteste della dottoressa che ancora sperava di salvarlo, i singhiozzi di Atsushi, le dita di Kunikida che tamburellavano inquiete sul suo taccuino, i respiri pesanti dei criminali ormai fatti prigionieri. L’unica cosa che esisteva, in quel momento e forse solo per pochi altri momenti era Dazai.

«Promettimi», gli disse a fatica, «che ti prenderai cura di loro.»

«Dazai, maledizione, cosa diamine stai dicendo?», protestò, ma Dazai gli strinse il polso, facendo una smorfia per lo sforzo.

«Promettimi», ripeté, «che ti occuperai di loro al posto mio.»

Chuuya restò in silenzio. Non c’era bisogno che fosse lui a badare i suoi colleghi, perché se proprio ci teneva allora Dazai avrebbe anche potuto sopravvivere abbastanza a lungo per farlo personalmente e l’avrebbe fatto, Chuuya ne era sicuro, se solo fosse riuscito a farlo stare tranquillo finché non fossero arrivati i soccorsi, allora sicuramente tutto si sarebbe sistemato e non ci sarebbe stato bisogno di promesse strappate in punto di-

«Promettimelo!», minacciò Dazai, con uno slancio di energie che doveva essere costato ogni briciolo di energia rimastogli, perché poi si accasciò tra le sue braccia, con occhi appena socchiusi e un respiro lentissimo.

«Io-», esitò. Poi la mano di Dazai, dolorosamente familiare, scivolò nella sua. «Sì. Sì, va bene.», accettò. «Certo.», aggiunse, ricambiando dolcemente la sua stretta.  

«Bene.», fu l’ultimo commento di Dazai, sussurrato così debolmente che Chuuya ebbe l’impressione di esserselo immaginato. 

Restò paralizzato, con il corpo ormai privo di vita di Dazai tra le braccia per quelli che sembrarono istanti interminabili. Poi Yosano-sensei fu di nuovo in ginocchio, afferrando il polso di Dazai per trovare un sentore di battito. Chuuya non aveva bisogno di guardarla per sapere che non c’era. Non c’era più niente. Non c’era più battito, non c’era più Dazai, non c’era più la flebile speranza che gli aveva permesso di mantenersi lucido negli ultimi minuti. 

Restarono tutti in silenzio per altri, interminabili istanti. Poi le sirene della polizia e dell’ormai inutile ambulanza li riscossero dal loro torpore. Il primo a parlare fu Ranpo.

«Mi occuperò io del-», fece una pausa, distogliendo lo sguardo da Chuuya, «-cadavere. E del rapporto alla polizia.»

«Non se ne parla!», ruggì Chuuya non avrebbe abbandonato Dazai nemmeno se cadavere. 

«Nessuno di voi è nelle condizioni per farlo.», si oppose Ranpo, piazzandosi a braccia incrociate di fronte a lui. «Tornate all’Agenzia. E riposate.», consigliò, addolcendosi appena.

«Ranpo-san ha ragione, dovremmo andare.», concordò Kunikida, atono. Lanciò un ultimo, sofferto sguardo a Dazai e poi si avviò a grandi passi verso l’uscita. 

«Chuuya-san, andiamo.», lo esortò Atsushi, le guance ancora bagnate da lacrimoni. 

Si abbassò accanto a lui, chiuse gli occhi di Dazai e poi, rialzandosi, tirò Chuuya su con lui. E Chuuya si lasciò trascinare, troppo stordito per pensare qualunque altra cosa se non che, se non fosse stato vincolato dalla promessa appena fatta, avrebbe ridotto in polvere l’edificio e lasciato che seppellisse tutti loro.







 

 


 

Note - in ordine:

  • Il sermone del fuoco di Kunikida può sembrare così stupido da parte sua da sfiorare l’OOC, ma alla fine era soltanto mosso dal desiderio di lavorare in pace. Il dialogo con Kunikida, e poi quello con Kyouka chiudono questa miniserie di confronti estranei a Dazai - volevo che Chuuya interagisse con quanti più membri dell’Agenzia possibili senza che la cosa risultasse forzata (e spero di esserci riuscita). 
  • L’impressione di Chuuya di Kunikida come insegnante impietoso è un riferimento nemmeno tanto velato al fatto che Kunikida appunto lavorasse come insegnante prima di unirsi all’ADA. 
  • Per quanto riguarda Kyouka, non sono sicura che il tempo trascorso alla Port Mafia e le persone uccise in quel periodo siano effettivamente informazioni corrette ma spero che la mia memoria non mi abbia tradito (in caso contrario, be’, sorry).
  • Non credo di averlo menzionato nelle note precedenti - anche se a questo punto dal testo risulta evidente - ma si parte dal presupposto (ahimé, off-canon) che Chuuya e Dazai abbiano avuto una relazione prima della defezione di quest’ultimo. 
  • I membri dell’Agenzia che non hanno un modus operandi ma si buttano più o meno confusamente in qualunque missione ci sia da portare a termine viene a) da numerose situazioni in cui hanno dato prova di essere completamente disorganizzati e b) dal fatto che le loro abilità sono abbastanza formidabili da concedere loro una linea d’azione così spericolata. 
  • Yosano-sensei contro il fumo mi è sembrata un’aggiunta ovvia perché lei viene dal campo medico e anche se non mi sembra che Chuuya nell’anime fumi, nel manga (o forse nell’antologia) ci sono sicuramente un paio di scene in cui lo fa. 

Ora, per quanto riguarda la morte di Dazai e l’abilità di Yosano: recentemente ho completato la lettura della light novel 55 minutes che, oltre a darmi un gran mal di testa, mi ha anche fornito spiegazioni a riguardo: l’abilità di Yosano potrebbe funzionare su Dazai solo nel momento in cui non dovesse più arrivare sangue al cervello (che è l’effettiva “sede di controllo” delle abilità) ma dovesse ancora esserci battito. Si tratta di una situazione estrema con possibilità di riuscita minuscole per cui, be’, a Dazai è andata male (tra l’altro viene anche confermato - cosa che penso sia stata anche citata nel corrente arc - che Dazai sa manipolare il proprio battito cardiaco al punto di riuscire a fingerne l’arresto in maniera superficialmente convincente).

Il terzo e ultimo capitolo non so quando arriverà, perché pur essendo già terminato ha comunque bisogno di una pesante revisione e di una parziale riscrizione e non ho idea di quando effettivamente avrò il tempo o la forza per occuparmi di una mansione del genere. Spero che fino a questo punto la storia vi sia piaciuta, io mi sono divertita davvero moltissimo a scriverla e per una volta sono soddisfatta del risultato!

A presto! Fede ❤

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bungou Stray Dogs / Vai alla pagina dell'autore: futacookies