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Autore: ONLYKORINE    13/12/2020    4 recensioni
Lisa torna a Springfield dopo la laurea in veterinaria, non è contentissima, perché non le piace tanto la sua città. Avrebbe preferito passare l'estate, come tutte le altre, a Cambridge, dove ha frequentato il college.
Tornando a casa incontra vecchie conoscenti, nuovi amici, ex fidanzati e si rende conto di non aver un gran rapporto con i suoi fratelli. Per fortuna sarà solo un'estate.
(LisaxNelson)
Prometto di cambiare la trama con una migliore. Prometto prometto.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bart Simpson, Lisa Simpson, Nelson Muntz, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L’uscita con Milhouse

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“Te lo ripeto: solo da amici, va bene?” Lisa cercò di mettere le cose in chiaro un’ultima volta prima di salire sull’auto sportiva di Milhouse.
“Certo, certo, come vuoi tu, mia principessa.”
Lisa sbuffò alzando gli occhi al cielo, già pentita di aver accettato, quando, una volta seduta, guardò l’auto dall’interno: era una macchina sportiva di ultimo modello, probabilmente. Non che lei ci capisse molto, ma sapeva ancora come giravano alcune cose.
“Bella macchina” si complimentò.
“Sì. Me l’ha regalata la mamma” spiegò lui.
Come? Lisa dovette trasformare una risata in un colpo di tosse. “Uhm… Tua madre?”
“Sì. Adesso lavoro con lei, sai?”
“Oh, bella cosa”. O no?
Milhouse alzò le spalle mentre metteva in moto l’auto e si spostarono dal marciapiede.
“Penso di sì, ma non la vedo mai. Facciamo orari diversi e mi ha messo a lavorare in un altro piano. Non posso dire che sono suo figlio e non possiamo mangiare insieme.”
Lisa spalancò gli occhi e fece un sorriso tirato per l’imbarazzo di quello che aveva detto. Uno di quei sorrisi che mettono in mostra solo i denti. Tutti. Sembrava un emoticon. Richiuse la bocca appena se ne accorse.
Dopo un po’ di giri per le vie serali di Springfield, il ragazzo prese la strada per PineHill, dove le coppiette andavano a imboscarsi nella pineta sulla collina, e Lisa si agitò.
“Milhouse, ho detto che uscivamo da amici…”
“Non preoccuparti, Lisa. Vedrai che sarà bello.”
Cosa? Cosa sarebbe stato bello? “Cosa?”
“Chiacchieriamo, dai” concesse lui.
Lisa non era del tutto convinta, ma non disse niente. Quando spense la macchina, allineata nel parcheggio della collina insieme alle altre, la ragazza non seppe più cosa dire. Cosa poteva raccontare a Milhouse? Niente. Assolutamente niente. Ma come al solito lui le aveva fatto pena e aveva accettato di uscirci. Ora se ne stava pentendo.
“Non mi dici niente?” le chiese lui dopo un po’.
Lisa, pensando che se non avesse aperto bocca lui ci avrebbe provato, disse la prima cosa stupida che le venne in mente. E il guaio è che non ci mise molto.
“Ieri ho avuto un problema con la macchina e Nelson mi ha aiutato”. La ragazza si sarebbe voluta strozzare da sola.
“Nelson? A quanto pare non è che abbia fatto molto da quando andavamo a scuola! Vive in quel posto orribile e pieno di ogni schifezza immaginabile. Sai che ha un cane cattivissimo che scatena contro la gente?” Lisa spalancò gli occhi: ma chi, Batman? Poteva sembrare un cane cattivissimo, ma in verità era molto dolce, pensò. Si guardò la mano, che il cane di Nelson aveva annusato e leccato con dolcezza e con cui lei gli aveva fatto le coccole.
“Non penso che…” cercò di interromperlo, ma Milhouse, forse reduce dal giorno prima, ce l’aveva a morte con il ragazzo e continuò la sua tiritera.
“Mia madre ha detto che hanno firmato una petizione, prima della fine del mese gli sequestreranno tutto se non ripulisce il cortile. Tu non sai quante cose ha davanti a casa sua: vecchie lavatrici, macchine, vecchi trattori, ha anche la carrozza di un treno. Ci fa i festini di notte, invita i suoi amici criminali e giocano d’azzardo insieme alle prostitute!”
Lisa non riusciva a crederci. Stava quasi per ridere, perché lei non aveva visto né trattori né vagoni e la tiritera dell’amico le sembrava un gran chiacchiericcio da bar, però aveva detto anche una cosa interessante…
“Che petizione?” chiese.
Milhouse, contento di avere l’attenzione della ragazza, continuò sulla sua strada. “Una petizione per cui gli porteranno via tutto: l’immondizia, la casa, anche il carro attrezzi e l’officina!”
Lisa sgranò gli occhi: gli avrebbero portato via tutto? Davvero? E quando? Ma poi… “Ma la casa è sua?” Milhouse alzò le spalle come se la cosa non gli interessasse e disse solamente: “Basta che lo buttino fuori dalla città…”
“Perché? Bart dice che non dà più fastidio a nessuno…”
“Bart!” La voce di Milhouse si fece carica di rabbia e il corpo gli vibrò di indignazione. Lisa capì il vero motivo per cui ce l’avesse a morte con Nelson. “Sei geloso di Bart? Perché ha detto che si frequentano?”
“Loro non si frequentano!” urlò il ragazzo, innervosito. Lisa decise di non infierire ulteriormente e stette zitta, un po’ preoccupata per l’amico e un po’ per il futuro dell’officina di Nelson.
Dopo poco il braccio del ragazzo si posò sul suo poggiatesta e lui si sporse pericolosamente verso di lei. “Milhouse, cosa stai facendo?”
Le labbra del ragazzo si arricciarono e si avvicinò ancora, sempre di più. Lisa si appiattì contro la portiera della macchina e cercò di tenerlo a bada. “Ascolta, io…”
“Sì, anch’io!” gridò Milhouse saltandole addosso. Lisa si bloccò nella posizione in cui era perché non si aspettava una cosa simile e il ragazzo ne approfittò per prenderla per le spalle e spingerla verso il finestrino. Si avvicinò ancora e le sue labbra si posarono violentemente su quelle di Lisa, mentre la sua lingua la invadeva.
“Milhouse, no. Avevamo detto che…”
“Dai, Lisa, diamine! Ti prego, solo qualche bacio!” Lisa scosse la testa e sospirò quando lui la baciò ancora, ma venne scossa da un brivido di disgusto quando la sua saliva le imbrattò le labbra. “No, no. Non…” disse lei, scostandolo e pulendosi le labbra con l’orlo della maglietta.
“Ma allora cosa siamo venuti a fare? Dai, dolcezza, ti ricordi quando abbiamo fatto l’amore? Quanto è stato bello, eh?”
Lisa, che al termine ‘dolcezza’ pensò a un altro ragazzo, si spazientì e lo ammonì: “Milhouse, è stato un disastro! Tu hai pianto e non è stato… sì, ecco un granchè…”
“Allora rifacciamolo! Ti giuro che stavolta…”
“Milhouse, ti prego, basta, non voglio far l’amore con te, siamo usciti da amici!”
“Ma quali amici, Lisa, io ti voglio!” Il ragazzo si sporse ancora e quando Lisa capì che non sarebbe riuscita a farlo smettere, aprì la portiera e scese dalla macchina. “Ma dove vai? Non puoi tornare a Springfield a piedi!” gridò lui.
“Oh, sì che posso!” borbottò Lisa, stringendosi nel golfino e guardandosi intorno: c’erano un sacco di macchine, in fila sulla collina, con la vista delle luci notturne della città, in alcune poteva vedere distintamente le ombre dei ragazzi avvinghiati a baciarsi. Qualche macchina aveva tirato dritto sulla piccola piazzola e si era avventurata nella pineta, dove c’era più privacy e i ragazzi facevano di più che scambiarsi qualche bacio.
La ragazza si voltò e si incamminò lungo la strada che scendeva verso la città: quante miglia erano? Sicuramente non troppe.

 

***

 

Dannati ragazzini che si imboscavano nella pineta dopo la pioggia! Nelson risalì sul suo automezzo e sbuffò. Ma poi sorrise quando contò le banconote che aveva in tasca: aveva quasi trecento dollari.
Non era la prima volta che qualcuno di quei mocciosi neopatentati si impantanasse nel fango e chiamasse il suo servizio per farsi aiutare. E capitava spesso che fossero ricchi figli di papà, a cui non andava di essere presi in giro da genitori e amici, o non volessero far sapere dov’erano o con chi, e gli chiedessero di tenere la bocca chiusa. E allora lì iniziava il suo momento.
Nelson mise in moto il carro attrezzi e abbassò il finestrino per godersi l’aria della sera: di solito non adorava particolarmente l’estate, non da quando non era più un adolescente, ma le ultime sere erano state serene e lui si era sentito bene, come quando la sera stappava una bottiglia di Duff sotto il portico di casa sua.
Fuori dalla pineta, oltrepassò il parcheggio pieno di macchine sportive e imboccò la strada buia che tornava a Springfield. Si strofinò un occhio quando vide qualcosa sul ciglio della strada e rallentò: non c’erano lampioni lì, infatti era per questo che Pinehill piaceva molto a chi preferiva discrezione. Quando notò che la creatura che camminava sul bordo della strada era una ragazza, di cui si distingueva nella notte solo la gonna che le sbatteva contro le gambe a ogni passo, rallentò ancora e tirò giù il finestrino dalla parte del passeggero. Chi diavolo poteva essere che scendeva a piedi dalla collina degli amori? Qualcuna che aveva sorpreso il fidanzato con un’altra? No, immaginò Nelson, altrimenti ci sarebbero state grida e schiamazzi e lui non aveva sentito niente. Forse… Una che aveva cambiato idea?
Mentre faceva queste supposizioni la ragazza inciampò e si sporse troppo verso la carreggiata, tanto da costringerlo a frenare bruscamente per non investirla e a suonare il clacson.

 

Lisa aveva sentito il rumore del motore e aveva visto le luci dei fari già da un po’ ma, immaginando che fosse Milhouse che la stesse cercando, aveva deciso di non girarsi. Fu quella maledetta radice che sporgeva fuori dal terreno a farla inciampare e lei per poco non cadde per terra.
Il suono del clacson la colse comunque di sorpresa e si ritrovò a gridare, girandosi verso la strada. Voleva farle avere un infarto?
“Lisa!” gridò una voce che riconobbe bene.
“Nelson?” chiese, di nuovo nel giro di due giorni, ma questa volta si scoprì molto più felice del giorno prima.
“Tutto… a posto?” Nelson si sporse verso il finestrino dal lato passeggero e lei annuì, abbracciandosi le spalle, nel fresco della sera.

 

“Vuoi un passaggio?” le chiese, quando lei fece quel gesto con le braccia. Cosa diavolo ci faceva lì? Con chi era venuta? Lisa annuì ancora e lui, allungando il braccio, le aprì la portiera, invitandola a salire.

 

Lisa ci pensò forse un secondo, o forse due, ma quando vide i fari di un’auto scendere la strada dal parcheggio, preferì accettare il passaggio e salire, tirandosi dietro lo sportello. “Grazie” disse solamente. Sperò che lui non le chiedesse cosa ci facesse lì, perché si sentiva un’emerita stupida ad aver creduto che Milhouse avesse accettato di uscire come semplici amici. Così preferì parlare lei. “A qualcuno si è scaricata la batteria dell’auto?” chiese, tentando di essere simpatica.
Il sorriso che si disegnò sul viso del ragazzo non aveva niente a che fare con il ghigno che lui aveva da ragazzino e lei si sentì un po’ strana, in quel momento. Forse era colpa della poca luce che c’era, che le faceva immaginare cose che non c’erano.

 

“A volte qualcuno rimane impantanato nel fango.”
Nelson non disse nient’altro. Non disse che di solito lo chiamavano alle ore più disparate o con pretese più o meno assurde. Non disse che lui li guardava tutti con sufficienza, loro, le loro macchine costose e i loro soldi.
“Mi spiace, quindi lavori sempre?” Come? Nelson si voltò verso la ragazza. Lei non lo aveva ancora guardato con sufficienza. Eppure era l’unica che potesse. O l’unica a cui lui lo avrebbe lasciato fare. Ma non voleva dire che i soldi guadagnati così erano i più facili, si sentiva… un ingannatore.
“E tu che facevi? Di solito non si torna a piedi da PineHill…” Nelson, che aveva imparato che l’attacco è la miglior difesa, decise di sviare la domanda, ma aveva sottovalutato la ragazza, che non si scompose minimamente.
“Se non vuoi rispondere, basta che non rispondi, Nelson”. Il suo naso si arricciò mentre parlava e lui pensò che c’era ancora quella ragazzina di otto anni che ricordava benissimo, lì sotto da qualche parte.

 

“Anche tu” rispose Nelson e Lisa sentì le guance calde.
Non prestò attenzione a dove stessero andando e quando si fermarono, vedendo che non erano nella via di casa sua, dove i suoi abitavano da sempre, un po’ si agitò: cosa aveva pensato Nelson quando le aveva offerto il passaggio? Lei aveva pensato che lui l’avrebbe riaccompagnata a casa e invece… Oddio, possibile che tutti i ragazzi fossero uguali? Possibile che ci fosse un altro posto come PineHill? La tristezza un po’ le fece male. Era troppo ingenua?
“Dove siamo?” chiese, sporgendosi verso il finestrino per guardare fuori: ma era tutto buio e non riusciva a vedere niente.

“Dove siamo?”
Il tono di voce della ragazza era sospettoso e Nelson non seppe se esserne contento o meno. Ma decise di non dar corda a certi pensieri e disse solamente: “Sembra che tu abbia bisogno di un gelato”.
“Gelato?” Lisa si voltò verso di lui e, probabilmente, vide il diner al di là della strada solo in quel momento, a giudicare dalla sua faccia.
“Sì” continuò Nelson, indicando il locale. “Sai, stamattina ho trovato questi sotto la porta di casa e ho pensato che il modo migliore per spenderli sia proprio il gelato…” Mostrò una banconota da venti dollari piegata.

 

Lisa aggrottò le sopracciglia riconoscendo il denaro che lei gli aveva infilato, con un biglietto, sotto la porta quando quella mattina era andata da lui per pagarlo e non lo aveva trovato.
“E quindi?” chiese, ancora stranita.
“Non vuoi una coppa di gelato con panna montata e noccioline? Ok, ti porto a casa…” La sua mano scattò alla chiave per riaccendere il carro attrezzi, quando Lisa si sentì smarrita.
“No, ok. Va bene il gelato. Ma la panna deve essere tanta” disse lei, indicandolo con il dito. Stava già pregustando il freddo del cioccolato sulla lingua, socchiudendo gli occhi all’idea delle righe che avrebbe mostrato il ricciolo di panna montata, mentre si vedeva già con il cucchiaino a rompere la crosticina bianca che si formava quando era a contatto con il freddo del gelato.

 

Nelson scese e aspettò che lei lo raggiungesse da quel lato del mezzo, prima di attraversare. Cercò comunque di non toccarla, non sfiorarla, non fare… niente. Si infilò le mani in tasca e lì le tenne fino a quando non entrarono nel locale.
Il ragazzo conosceva benissimo il diner: ci aveva lavorato sua madre, lo conoscevano tutti ed Ellie ci faceva il turno del pranzo, ora che non andava a scuola.
Il bancone lungo e lucido, con gli sgabelli e le tovagliette, i contenitori di condimenti e lo zucchero in barattolo lo fecero subito sentire a casa. Alle medie, quando sua madre aveva iniziato a frequentare Trevor e aveva iniziato ad avere un’esistenza equilibrata, Nelson ci aveva passato interi pomeriggi, su quel bancone. Ed era proprio lì che aveva conosciuto Trevor. E anche Ellie. Voltò lo sguardo e riconobbe con gli occhi della mente i tavoli e i divanetti rossi, la plastica rumorosa e consumata, i menù infilati con cura dietro ai barattoli di maionese e ketchup.
“Sicuro che qui ci sia il gelato?” gli chiese la sua accompagnatrice e Nelson dovette ammettere che forse non era stata una buona idea portarla lì, ma Lisa aveva quella faccia triste e lui aveva pensato subito a quando sua madre gli preparava la Happy Cup, come la chiamava lei, per risollevargli il morale quando era particolarmente giù.

 

“Sì, certo” rispose lui e le fece cenno di sedersi. Lisa si strinse nelle spalle e si avvicinò a un tavolo, strisciando sul divanetto di finta pelle e andando a sedersi vicino alla vetrina.
“Come va la mano?” gli chiese.
Lui alzò una spalla, si sedette di fronte a lei e poi si guardò la mano: non era messa malissimo, però, dopo il lavoro alla pineta, tutte e due non sembravano molto pulite. “Vado in bagno”.
Lisa non disse niente e guardò di nuovo fuori dalla vetrina.

 

Nelson uscì dal bagno e per un attimo pensò che lei non ci sarebbe stata. E invece era ancora lì. Lisa era seduta esattamente dove era dieci minuti prima, stava guardando il menù e sorrideva da sola. Era cambiata, dall’ultima volta che l’aveva vista o che le aveva parlato. Era più alta, più formosa, più… bella. Diavolo, Lisa Simpson era bella. MA questo, Nelson lo aveva sempre saputo. Lei era bella e intelligente. Sapeva anche che se ne sarebbe andata, un giorno, e aveva pensato che non sarebbe tornata più. E invece eccola lì. Lì, al diner di Springfield. Con lui. Ma che gli era venuto in mente? Doveva portarla a casa! Ecco cosa avrebbe dovuto fare: portarla a casa. E invece no.
“Nelson!” La voce di Ellie lo fece girare e quando vide la ragazza che usciva dalla stanza sul retro del bancone, tornò indietro di due passi.
“Ellie. Che fai qui?” La ragazza, con ancora il camice addosso, stava lavorando, ma di solito finiva alle quattro del pomeriggio.
“Sto coprendo anche il turno di Trisha. Tu, invece?” Scrollò le spalle: non sapeva bene cosa dire. “Beh, mi va benissimo, mi dai un passaggio a casa? Finisco fra quaranta minuti”.
Lui stava per risponderle qualcosa quando lei continuò, ma alzando la voce di un’ottava, come minimo. “Ma sei qui con una ragazza!” Nelson si voltò verso il tavolo dove era seduta Lisa, l’unico occupato nel locale e notò che lei li stava guardando tutti e due.
“Non è come pensi… Non è un…”
“A me sembra proprio una ragazza, Nelson!” Ellie ridacchiò e a Nelson ricordò molto la bambina che era stata anni prima.
“Non intendevo…”
“Oddio, che ottuso che sei! Ho capito cosa intendevi!” disse lei, avvicinandosi al tavolo, ma girando la testa verso di lui per sorridergli. “Non preoccuparti, faccio da sola!”

 

Lisa aveva sentito quella ragazza gridare il nome di Nelson con gioia e aveva alzato la testa, incuriosita, ma poi loro avevano parlato sottovoce e non aveva sentito cosa si fossero detti. Aveva continuato a osservarli, ma poi quando si erano voltati verso di lei, lui l’aveva beccata a guardarli e si era sentita un’intrusa. Chi era quella ragazza? E perché era così contenta di vedere Nelson?
Ma a lei cosa interessava? Erano fatti loro! Ma non riuscì a non guardarli. E a non sentire un po’ di emozione che le stringeva il petto.
Quando la ragazza si incamminò verso di lei, con un’andatura baldanzosa e gioiosa, Lisa notò che Nelson aveva una faccia preoccupata. Che fosse la sua ragazza e andasse da lei a chiederle cosa ci faceva al tavolo con lui? Un po’ preoccupata, anche se innocente, la guardò avvicinarsi.
“Ciao! Sono Ellie, Ellie Reed!” si presentò la ragazza, porgendole la mano. Lisa rimase un po’ stupita e guardò Nelson prima di stringerla. Lui alzò le spalle e si sedette di nuovo davanti a lei.
“Io sono Lisa Simpson…”
“Lisa Simpson? Lisa? Simpson? Davvero?” La ragazza impazzì alla notizia: i suoi occhi si spalancarono e anche la sua bocca fece lo stesso. Si voltò prima verso Nelson e poi ancora verso di lei e poi di nuovo verso il ragazzo.
Lisa, che ancora stringeva la sua mano, spalancò gli occhi preoccupata: che era successo? Perché quella ragazza conosceva il suo nome? E perché gridava contenta in quel modo?
“Sì, l’ultima volta che ho controllato era ancora il mio nome…”
“Oh, Nelson, perché non mi hai mai detto che conoscevi Lisa Simpson?” la ragazza si girò verso di lui e lui si strinse nelle spalle.
“Non pensavo fosse così importante.”
Lisa cercò di non rimanerci male: per un attimo aveva sperato che fosse stato proprio Nelson a parlare di lei alla ragazza. A… Ellie. C’era da dire che era simpatica, comunque. Suo fratello le aveva dato un bentornato molto più contenuto.
“Non pensavi fosse importante? Ma… Tu sai chi è lei?” chiese ancora Ellie.
“La sorella di Bart Simpson?” provò a dire.
Lisa si morse un labbro. Forte. Lei era la sorella di Bart Simpson per Nelson? Eh, sì, effettivamente, lei era proprio quello. Cos’altro avrebbe potuto essere? La fidanzatina di quando aveva dieci anni? Una storia durata un battito di ciglia? Chissà se Nelson sapeva di essere stato il suo primo bacio…
“Forse intendi Maggie Simpson? Comunque… Lei è la leggenda dello Springfield West High!” La ragazza, no, Ellie, perché dopo una presentazione del genere, da quel momento in poi sarebbe stata Ellie, continuò a raccontare con gli occhi spalancati. “Lei è la prima studentessa a essere uscita con il massimo dei voti dal liceo di Springfield West. Attiva in tantissime attività extrascolastiche, ha manifestato contro la vivisezione di rane e altri animali, ha fondato un club per i diritti delle donne, ha scritto per il giornalino della scuola e il giorno del ballo scolastico si è rifiutata di…”
“Ok, basta, basta…”
Lisa interruppe la ragazza quando arrivò al fatto che avesse saltato il ballo scolastico per protesta. Sua madre le aveva detto di non farlo. Aveva rifiutato tre inviti al ballo, anche se solo uno degno di nota, ed era rimasta ferma sulla sua decisione di protesta. Ma era stata l’unica. L’unica a non essere andata al suo ultimo ballo. E le altre ragazze, al College, avevano parlato tutte del ballo, nessuna non c’era andata per protesta. Neanche quelle che non avevano ricevuto nessun invito. C’erano andate da sole o in compagnia di altre amiche e si erano divertite.
Anche Kristen parlava ancora del Prom.

 

Nelson vide lo sguardo triste di Lisa e intervenne per fermare l’uragano Ellie. “Ellie, puoi farci portare una Happy Cup e una coca?”
Il ragazzo avrebbe preferito prendere una birra, una pinta di birra, se avesse potuto scegliere, vista la situazione in cui si era cacciato, ma alla fine aveva deciso per la coca cola. Qualcosa gli suggeriva che avrebbe dovuto essere lucido.
“Una Happy Cup? Perché? Che è successo?” chiese la ragazza, alzandosi dal divanetto e guardando verso le cucine. “Se è per te, Lisa, la faccio io. Sarò un onore. Vedrai che funzionerà!”
Ellie scappò via, tornò dietro il bancone e si intrufolò nel retro.
Nelson la guardò sparire e poi riposò lo sguardo su Lisa.
“Che voleva dire?” chiese lei, con la fronte aggrottata.
“La Happy Cup era un’invenzione di mia madre. Una grossa coppa di gelato quando la tua giornata è andata male o sei triste. Ti aiuta a farti tornare il sorriso”. Nelson alzò le spalle.

 

Lisa formò un cerchio perfetto con le labbra, ma non disse niente. Nelson pensava che lei avesse bisogno di un po’ di gelato. Perché pensava che fosse triste. Sentì le guance arrossarsi: lui aveva capito che era successo qualcosa di spiacevole? Tipo tutta la sua vita? Annuì e decise di tacere. Decise anche di tacitare il suo petto che implorava spiegazioni su quella giovane ragazza bellissima e ultra intraprendente che sembrava avere con Nelson una confidenza che lei gli invidiò tantissimo, così deviò l’argomento su qualcosa che per lei era molto più sicuro e stabile.
“Tua madre?” chiese soltanto: la madre di Nelson era abbastanza famosa a scuola, era stata abbandonata dal marito e faceva la spogliarellista per mantenere lei e il figlio. E anche se poi si era saputo che lui non l’aveva veramente abbandonata, non era cambiato molto e lei non sembrava proprio un esempio di materna virtù.

 

Nelson immaginava quello che tutti pensavano di sua madre quindi la domanda non lo stupì più di tanto. Ma si sentì in dovere di dare onore alla sua memoria.
“Quando avevo undici anni mia madre iniziò a frequentare un tipo. Io non lo capii subito, ma era una brava persona, uno a posto. In poco tempo lei mollò il suo lavoro e iniziò a servire qui, in questo diner e la nostra vita si normalizzò un po’. Non molto, ma un po’…”

 

Lisa ascoltava Nelson parlare di sua madre e della sua infanzia senza dire niente. Lui non la guardava negli occhi, ma raccontava solo quello che era successo. Senza grandi discorsi, senza cerimonie, solo… come accaddero le cose. La sua vita era cambiata una volta finite le elementari e quando aveva cominciato le medie, sua madre si era trovata un compagno. Un compagno vero, non come gli altri, aveva chiarito lui. Ecco quando Nelson era cambiato. Era bastata una vita normale.
“Così sei cambiato…” disse lei.
“Chi? Io? No, non sono cambiato per niente. Mi sono adeguato. Mia madre mi costringeva a stare qui il pomeriggio e controllava che facessi i compiti. La odiavo. Non ero più libero di andare in giro con gli altri e…”
Gli altri… Lisa li ricordava, gli altri bulli con cui lui girava: Patata, Secco e Spada. Erano tutti più grandi di Nelson. Chissà che fine avevano fatto.

 

Nelson si agitò un po’ sul divanetto. Lei non aveva capito. Pensava che lui fosse cambiato. E più le spiegava che lui non era cambiato per niente, più continuava a guardarlo con quel sorriso. Bellissimo, fra l’altro. I suoi denti bianchi brillavano e lui non era neanche sicuro che una cosa del genere potesse accadere.
“Frequentavo gli altri di nascosto e mia madre mi sgridava quando se ne accorgeva. E poi mi presentò Trevor. All’inizio odiavo Trevor. Pensavo fosse come tutti gli altri: che volesse far colpo su mia madre e fingesse di interessarsi a me. Ma poi ho capito: lui… ci teneva. Loro erano insieme da un po’ e quando andammo ad abitare insieme, mi insegnò a stare al mondo.”
Nelson fece una pausa pensando a quando, a quindici anni, lui e gli altri avevano rotto una gamba a un ragazzino e Trevor, che lo aveva scoperto, aveva promesso di non parlarne con sua madre soltanto a determinate condizioni. Nelson aveva accettato, sua madre lo aveva minacciato con l’iscrizione a una scuola militare e pensava che sarebbe stato più facile stare alle condizioni di Trevor.
Invece se n’era pentito: Trevor lo aveva obbligato a presentarsi a casa del ragazzo che avevano pestato, a scusarsi davanti ai suoi genitori e lo aveva obbligato ad andare a casa sua ogni giorno finché lui non aveva tolto il gesso e ripreso a camminare da solo. Aveva dovuto servire il ragazzo, aiutarlo e obbedirgli. All’inizio era stato umiliante, i primi due giorni erano stati una lezione amara, in quanto lui si era voluto vendicare, ma poi, avevano iniziato a farsi compagnia a vicenda e ora, Nelson, poteva tranquillamente sostenere che Steve Sprike fosse uno dei suoi migliori amici. Era stata una lezione di vita, ma Nelson non lo aveva capito subito.
“E ora?”
Nelson ritornò al presente e non seppe cosa gli stava chiedendo la ragazza. “Ora cosa?”
“Tua madre. Lavora ancora qui?”
“No, mia madre è morta qualche anno fa…”

 

Oh, cavolo. La madre di Nelson era morta. “Oh, mi spiace, io…”
“Non preoccuparti” disse lui, scuotendo le spalle. Ma poi il suo sguardo si voltò verso il bancone del locale.
Non sapendo più cosa dire chiese di Trevor. Che fine aveva fatto, almeno lui? Era ancora in zona?
La voce di Ellie, che reggeva un vassoio con una grossa coppa di gelato e una coca, interruppe i suoi pensieri, rispondendo alla sua domanda: “Trevor? Il vecchio è a casa che guarda il baseball, ci scommetto. Anzi, di sicuro dormirà e quando lo sveglierò mi dirà che non stava dormendo!”
Come? Lisa non riusciva a concentrarsi mentre la mano esperta di Ellie le appoggiava davanti la più bella coppa gelato che avesse mai visto, intanto che la ragazza parlava.
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“Ellie…” Nelson cercò di sgridare la ragazza, ma non riuscì ad andare avanti.
“Sì, Nelson, lo so, lo so… ‘Ellie non chiamare tuo padre vecchio solo perché non vuole che ti faccia un tatuaggio o il piercing sulla lingua…’ ne abbiamo già parlato, dai, lasciami sfogare…”
“Padre?” La voce di Lisa arrivò un po’ stranita da dietro la coppa gelato. Nelson la guardò e cercò di scusarsi con un’occhiata che comunque lei non poté vedere.
“Non parlavate di Trevor Reed, fratellone?” Ellie si fece graziosamente curiosa mentre gli rivolgeva la domanda.

 

Il padre di Ellie. Il compagno della madre di Nelson era il padre di Ellie. Mentre la ragazza continuava a guardarla stranita, Lisa prese il cucchiaino e lo affondò nella panna fino a rompere la famosa crosticina a contatto con il gelato. Sorrise mentre portava il suo bottino alle labbra: buonissimo.
“Quindi siete fratelli?” chiese, mentre affogava il cucchiaino nel gelato.
Oh, la Happy Cup stava funzionando davvero.


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***Eccomi! La storia va avanti, anche se io sono ancora insicura... Spero che a qualcuno piaccia. :-)

 

   
 
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