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Autore: Slytherin_Divergent    14/12/2020    1 recensioni
Kenjirou non ha mai visto un essere umano. È convinto del fatto che siano creature mostruose e senza scupoli, pronte a sacrificare tutto per dei pezzi di carta e di metallo.
Eita non ha mai visto una sirena. È sempre stato affascinato dalle leggende e ha passato tutta la vita a sognare di volerne incontrare una.
Kenjirou si rende conto del fatto che la sua vita cambia radicalmente quando viene catturato dagli umani durante una tempesta. Mentre si trova sulla nave dove viene tenuto prigioniero non riesce a pensare ad altro che al fatto che sta per morire. Eita, invece, disperso durante la tempesta, non vede l'ora di potergli parlare.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Shiratorizawa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Kenjirou aveva capito che i due naufraghi erano rientrati in base quando dalla botola di legno intrecciato aveva sentito il chiacchiericcio concitato e aveva visto le persone correre da una parte all'altra mentre Jin e Reon, il vicecapitano, sparavano ordini per far salpare la nave diretti chissà dove.
Si aggrappò al bordo della vasca e osservò il movimento frenetico dei pirati che passavano sopra la botola facendola cigolare. Shirabu si ritrovò a sperare che quella si spezzasse sotto al peso di uno di loro e che quello si facesse molto male cadendo per le scale. Il suo flusso di coscienza fu spezzato dal movimento del legno che veniva sollevato.
Kenjirou sollevò le mani dalla vasca e fece per tuffarsi in acqua, ma si bloccò non appena il ragazzo che era entrato nella stiva si voltò verso di lui. Quello non poteva essere un umano, si ritrovò a pensare il castano. Era troppo bello per essere un umano. Non poteva decisamente essere un umano, decise.
Eita guardò il ragazzo di fronte a lui affascinato. Aveva i capelli bagnati e la frangetta dal taglio perfetto era appiccicata alla fronte. Lo sguardo che gli rivolse l'altro quando Eita si voltò verso di lui fu di sincera sorpresa. Lo vide socchiudere le labbra e guardarlo come se avesse appena visto un grosso mucchio d'oro – o di perle, si ricordò Semi.
Kenjirou si riscosse quasi subito e non appena si rese conto di essersi incantato si voltò di scatto e si affrettò ad immergersi sott'acqua. Si rannicchiò in un angolo e chiuse gli occhi, prendendosi le guance tra le dita. Sentì il volto bruciare sotto i suoi polpastrelli. Era arrossito, era decisamente e dannatamente arrossito per un umano. Un umano! Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa di nausea mentre il suo cuore ancora martellava nel petto. Si sentì viscido e provò disgusto per se stesso per aver anche solo pensato che quell'umano potesse essere attraente.
Eita era ignaro dei pensieri dell'altro. Si appoggiò alla vasca e si sporse con un grosso, genuino sorriso a coronargli il viso. Si perse nell'osservare Kenjirou che era rannicchiato poco sotto di lui. Si teneva le guance con le mani e i capelli oscillavano, mossi dal movimento dell'acqua dovuto alla nave che era ormai salpata.
Kenjirou era proprio come Eita si era sempre immaginato le sirene: dalla vita in su era un semplice ragazzo, petto asciutto e un accenno di muscoli sulle braccia, la pelle chiara e senza imperfezioni. Sulla schiena si trovavano parecchie scaglie violacee che partivano rade dalle spalle per poi infittirsi man mano che ci si avvicinava alla coda. Quella sarà stata lunga più di un metro: le scaglie erano più grandi di quelle sulla schiena e rilucevano di un rosa misto ad azzurro ai raggi del sole che filtravano attraverso la botola. Le pinne erano otto: tutte larghe e sottili, quasi come fossero veli di seta finissima e pregiatissima, erano di un bianco candido che rifletteva giochi di luce violacea. Due cingevano la vita di Kenjirou e nascondevano l'attaccatura della coda al corpo, altre due, le più piccole, si trovavano verso il basso e a poche decine di centimetri dalle due pinne finali, più robuste e grandi, sovrapposte tra loro in modo tale da formare delle balze.
Mentre osservava le pinne muoversi silenziose in acqua – sicuramente un fremito involontario di Kenjirou – Eita si ritrovò a pensare che in tutta la sua vita non aveva visto nulla di tanto bello, nemmeno le casse piene d'oro. Si risvegliò dai suoi pensieri solo quando Jin scese le scale e lo chiamò.
«Tutto okay?» il biondo annuì. «Ti ha già insultato?»
Eita spostò riluttante lo sguardo da Kenjirou al loro comandante. Ridacchiava. «No. Lo farà?»
«Molto probabilmente. Ma qui l'esperto sei tu. Sicuramente sai meglio di noi come trattarlo.» e se ne andò lasciandoli nuovamente soli.
Kenjirou si sentiva offeso e ferito dal fatto che quegli umani si fossero fatti quell'idea di lui. Non era una cattiva persona e non era un maleducato, ma come si aspettavano che reagisse ad un rapimento? Che li ringraziasse?
«Ciao.» il castano non si mosse di mezza virgola quando Eita lo salutò. Il biondo stentava ancora a crederci. Stava parlando con una sirena, una vera sirena. Vedendo che l'altro non lo considerava, continuò: «Io sono Eita Semi. Come ti chiami?»
Kenjirou giunse per la seconda volta alla conclusione del fatto che non presentarsi sarebbe stato più scortese di qualunque insulto. Non voleva che gli umani lo considerassero alla stregua di un animale, quindi mostrar loro che poteva parlare e che poteva ragionare perfettamente quanto loro lo spronò a rispondere: «Kenjirou Shirabu.»
Eita non si aspettava tutta quella collaborazione e il suo sorriso si allargò ancora di più sentendolo rispondere. Nonostante si trovasse sott'acqua riuscì ad udire alla perfezione la sua voce e rimase ammaliato dal vedere le piccole bollicine d'aria risalire e scoppiettare sulla superficie del liquido trasparente.
«Ciao, Shirabu. Mi hanno detto che non hai mangiato nulla.» Kenjirou si morse un labbro e non rispose. «Quindi prima di salpare ho detto loro di prendere un secchio di alghe.»
Il castano fece scattare un sopracciglio verso l'alto. Come faceva a sapere cosa lui mangiasse?, si chiese prima di giungere alla conclusione del fatto che poco importava: sicuramente non avevano saputo riconoscere le alghe tossiche da quelle commestibili e avevano raccolto quelle spiaggiate a riva, marce.
Eita sapeva perfettamente cosa Kenjirou stesse pensando. Da come lo aveva descritto brevemente Jin e dalla lunga serie di aggettivi negativi che gli aveva appioppato addosso Hayato al biondo non fu difficile immaginare tutti i pregiudizi che il castano avesse su loro umani. «Ho anche delle vongole, se le vuoi. E delle cozze.»
Kenjirou fece scattare lo sguardo verso l'alto e osservò Eita per qualche secondo. Il biondo gli fece segno di alzarsi e il castano si tirò quindi su. Sollevò dapprima solamente occhi e naso sopra il livello dell'acqua, poi tutta la testa e infine si aggrappò al bordo della vasca per poter sbirciare oltre. Quell'umano sapeva decisamente troppe cose su di loro, constatò mentre osservava i tre secchi con alghe, cozze e vongole in condizioni impeccabili e appena pescate, tra l'altro.
«Le cozze.» borbottò Kenjirou, indicando le conchiglie nere chiuse. Eita appese il secchio ad uno dei ganci della vasca cosicché il castano potesse pescare da solo il suo pranzo. Shirabu non se lo fece ripetere due volte e afferrò una cozza.
Non si era reso conto del fatto di aver così tanta fame fino a quando non si era accorto di aver spazzolato in pochi minuti tutto il contenuto del secchio. Eita lo osservava stupito, mentre con un coltello tentata di aprire una vongola particolarmente ostica e grande. Kenjirou roteò gli occhi e gliela strappo di mano, battendola una volta e con precisione sul bordo della vasca. Quella si aprì di scatto.
«Perché la mangi se non sai nemmeno aprirla?» domandò, masticando pigramente un'alga. Eita sorrise divertito.
«Non le ho mai mangiate crude prima d'ora. Le cuociamo e quelle si aprono.» il sopracciglio del castano scattò ancora una volta verso l'alto. Le cuocevano?
«Voi umani siete strani.» rispose, continuando a spiluccare l'alga con i denti. Eita rise e per un attimo Kenjirou s'immobilizzò, ritrovandosi a pensare che era proprio una bella voce, quella. Poi si schiaffeggiò mentalmente. Idiota, pensò.
Mangiarono in silenzio e fino a quando tutti e tre i secchi non furono vuoti nessuno dei due spiccicò parola. Kenjirou apriva le vongole più ostiche per Eita e quello tagliava con il coltello le alghe troppo grandi.
«Cosa ne farete di me?» Kenjirou parlò di scatto, senza pensare, rivolto quasi più a se stesso che ad Eita, lo sguardo rivolto verso l'oblò da cui vedeva il mare agitarsi e spingere assieme al vento la nave verso una meta a lui sconosciuta.
Eita strinse le labbra e alzò lo sguardo osservando il cielo azzurro. Non aveva ancora parlato con Jin riguardo le sorti di Shirabu. Si erano guardati negli occhi quando Semi era salito nuovamente sulla nave e avevano deciso silenziosamente che quel discorso sarebbe stato fatto in privato dopo cena. Lui la sua idea l'aveva chiara in testa e comprendeva un viaggio di sola andata per l'Inghilterra per Shirabu e un viaggio di ritorno per loro al fianco di Wakatoshi – o del suo eventuale cadavere. Era sicuro del fatto che anche Satori pensasse la stessa cosa: Kenjirou era uno sconosciuto di immenso valore capitato a pennello per poter scagionare tutti loro dalla ghigliottina e ritrovare il loro capitano scomparso. Non era altrettanto sicuro del fatto che Jin e Reon avrebbero pensato la stessa cosa.
«Semi?» Kenjirou deglutì mentre osservava lo sguardo del biondo, puntato per terra e con una strana luce negli occhi. Eita si riscosse all'udire la voce di Shirabu.
«Eh? Scusa, mi ero incantato.» borbottò, alzandosi dal gradino dove si era seduto e prendendo i secchi. Li lasciò in un angolo della stiva e si voltò verso Kenjirou, come ad esortarlo a ripetere quello che aveva detto prima.
«Ti ho chiesto cosa avete intenzione di fare con me. L'altro tizio ha detto che quando saresti arrivato tu, che conoscevi noi sirene, avreste deciso.» tirò un profondo respiro. «Voglio essere lasciato andare.»
Eita lo fissò dritto negli occhi e ci lesse dentro decisione, ma anche disperazione. Quel ragazzo aveva tanta paura quanta arroganza e presunzione.
«Ti farò sapere la nostra decisione stasera. Se hai bisogno di me sono sul ponte. Basta gridare.» Eita non rimase un secondo di più sottocoperta ed uscì all'aria aperta, lasciando Shirabu con senso d'oppressione e fastidio all'altezza del petto.

Prima ancora che Eita aprisse bocca Jin sapeva già cosa gli avrebbe detto. «No.»
Semi fece scattare un sopracciglio verso l'alto. «No?»
Jin annuì. «No.»
«No, cosa?»
«Non lo consegneremo agli inglesi sperando che si mettano a cercare Ushijima. Ne abbiamo già parlato.» Eita si morse l'interno della guancia per non sbottagli contro che Wakatoshi, al suo posto, lo avrebbe fatto e anche tre volte di fila. Senza pensarci un secondo di più.
«Soewaka-kun, capisco che ti piaccia fare il capitano, ma-» Jin alzò una mano e zittì Satori prima che potesse terminare la frase.
«Non se ne parla. E' un essere vivente come noi.» il castano guardò severamente Eita. «Tu meglio di tutti dovresti saperlo, ma vuoi comunque darlo in pasto al governo inglese e per cosa? Per farti consegnare una bara con dentro un cadavere o sganciare in giro ancora più soldati inglesi che invece che cercare la salma del nostro capitano terranno d'occhio noi?»
Eita chiuse gli occhi e contò fino a cinque per calmarsi. Non bastò, quindi contò fino a dieci. «E allora cosa vuoi fare? Ormai siamo a cinquanta chilometri di distanza da dove lo abbiamo preso e gli hai anche fatto costruire una vasca. Vuoi veramente sprecare un'occasione d'oro come questa solo perché è un altro essere vivente?»
Jin chiuse gli occhi e contò a sua volta fino a dieci. Sapeva che Eita aveva ragione: avrebbero dovuto utilizzare quel tizio come escamotage per liberarsi una volta per tutta delle false accuse e per farsi consegnare il loro capitano nel caso fosse rinchiuso in qualche prigione inglese. Non lo avrebbe mai ammesso, ma anche Jin sperava ed era certo del fatto che Wakatoshi fosse vivo. Uno come lui non poteva morire affogato in una tempesta e di certo se fosse stato veramente giustiziato allora la voce si sarebbe spara in tutti i territori inglesi. No, doveva essere vivo. Disperso, ma vivo.
Reon e Jin si guardarono per qualche secondo. Nemmeno Reon era entusiasta del piano di Eita e Satori. Si sentiva quasi deluso dal biondo: lui, che più di chiunque altro aveva desiderato per anni incontrare una sirena; lui, che ogni sera a tavola aveva una nuova leggenda, una nuova storia da raccontar loro; lui, che ogni volta che si affacciava sul ponte si sporgeva per osservare la superficie dell'acqua come un bambini troppo curioso. Ora era diventato lui, colui pronto a sacrificare il sogno di una vita, una vita sconosciuta, a darla in pasto al governo inglese e a render pubblica la notizia dell'esistenza di quelle creature sovrannaturali, e tutto solo per salvare una persona che oramai tutti credevano morta. Certo, sarebbe stato bello sbarcare nella Gran Bretagna, caricare Kenjirou su un carro, dirgli addio, per poi vedere il loro capitano scendere da un destriero bianco. Uno scambio crudele ma giusto e necessario.
«D'accordo.» Jin sospirò e guardò Eita. Lo sguardo del biondo s'illuminò e il volto del ragazzo si aprì in un sorriso. «Ma ad una condizione.»
Satori e Semi si fecero improvvisamente attenti. «Spara.»
«Shirabu non dovrà sapere nulla e nemmeno il resto dell'equipaggio. Quando dovremmo fare lo scambio ci saremo solo noi quattro e Hayato.»
Satori inclinò la testa di alto. «Gli altri non... Dovranno sapere nulla?»
Eita rabbrividì. «Shirabu vorrà sapere.»
«E allora mentigli.» Jin si alzò e superò Semi in silenzio. «Se sapesse che lo stiamo per consegnare nelle mani dei suoi assassini di certo striscerebbe in mare con la sua sola forza di volontà.»
«Sì, lo so.» mormorò Eita, sentendosi improvvisamente in colpa. Cosa avevano appena fatto?

   
 
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