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Autore: Nike90Wyatt    15/12/2020    3 recensioni
Una lettera da Milano sconvolge la vita di Marinette Dupain-Cheng, paladina di Parigi nei panni di Ladybug e neo Guardiana della Miracle Box; una serie di circostanze, insieme ai suggerimenti dell’inseparabile Tikki e dei suoi genitori, la spingeranno a prendere una decisione che stravolgerà il suo futuro e le sue relazioni.
Intanto, Gabriel Agreste, ossessionato dalla vendetta nel nome di sua moglie Emilie, vola in Tibet, accompagnato dalla sua fedele assistente, nonché amica e complice, Nathalie Sancoeur, con un unico obiettivo: scoprire i segreti dei Miraculous che si celano tra le mura del Tempio dei Guardiani.
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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20

La luce era svanita.

Nathalie sollevò il busto, puntellando le mani sul pavimento. La testa volteggiava, gli arti formicolavano. Quanto tempo era passato?

Quando Gabriel aveva schioccato le dita, un bagliore l’aveva investita con una tale intensità da mozzarle il respiro. Per un momento, una grande serenità le aveva scaldato l’anima, finché non era caduta a terra ed aveva perso i sensi.

Strizzò gli occhi, la cripta riacquistò colore e nitidezza. Un singhiozzo intermittente echeggiava tra le mura. Nathalie si alzò, si spolverò il vestito e scosse la testa. Accanto alla capsula criogenica giacevano i due Kwami, Tikki e Plagg. Accanto a loro, sparsi a terra, le spille della Farfalla e del Pavone, gli orecchini della Coccinella e l’anello del Gatto Nero. Al di là della capsula, sporgevano un paio di mocassini beige, di pregevole fattura.

«Gabriel.» Nathalie aggirò la capsula. Gabriel era steso a terra, il torace si sollevava e si abbassava a ritmo del respiro. Era vivo.

«Nat… Nathalie.» Una voce sommessa, strozzata dal pianto.

Si voltò. Una donna reggeva tra le braccia il corpo esanime di Adrien. «Emilie.» Il volto era ben diverso da quello che era solita vedere all’interno della capsula. Le guance rosate erano solcate dalle lacrime, gli occhi colmi di venature.

«Che cosa gli è successo?»

Nathalie gli controllò il polso. Il battito era lento, la pelle aveva assunto una tinta lattifera. Il cuore le sobbalzò nel petto. «Non può essere...»

«Cosa non può essere?» urlò Emilie. «Cos’è successo a mio figlio?»

Un tremendo sospetto si fece largo nella mente di Nathalie. Adrien si trovava nelle stesse condizioni di… «Mettiamolo lì dentro.» Indicò la capsula. Se la sua ipotesi fosse stata giusta, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Scosse Emilie per una spalla. «Muoviti. Possiamo ancora salvarlo.»

Lo sollevarono dalle due estremità e lo adagiarono nella capsula. Nathalie girò una manopola: il vetro si richiuse. Adrien sembrava dormire.

«Nathalie… Che è accaduto a mio figlio?» chiese Emilie a denti stretti.

«Temo che lui sia stato sacrificato dal potere dei Miraculous per far risvegliare te.»

Un rantolio alle loro spalle le fece sobbalzare. Gabriel si sollevò da terra, massaggiandosi il retro del collo. Agitò la testa e si inforcò gli occhiali. La gioia si dipinse sul suo volto quando incrociò lo sguardo di sua moglie. «Amore mio.» Le andò incontro a braccia larga.

Emilie sollevò una mano e gli tirò uno schiaffo in pieno viso.

Gabriel si massaggiò la guancia colorata di rosso cremisi. «Perché?» Lei indicò la capsula. «Adrien… No! Com’è potuto accadere? Avevo calcolato tutto nei minimi dettagli.» Annichilì.

Emilie minacciò un altro schiaffo. «Trova immediatamente una soluzione, Gabriel. Riporta nostro figlio tra noi, o giuro che me la paghi.»

«Io… Io… Non ho idea di come sia potuto succedere.» Gabriel si gettò sul vetro. «Figlio mio. Non è possibile.»

Nathalie si impose di rimanere lucida. I Miraculous nascondevano decine e decine di poteri segreti. Doveva esserci una soluzione. «So chi ci può aiutare.» Non attese risposta dai coniugi Agreste. Si precipitò all’ascensore e risalì fino a giungere nello studio di Gabriel.

Percorse i corridoi della villa, diretta alla sua camera. Estrasse la chiave di ferro dalla tasca e la girò nella toppa. Abbassò la maniglia.

La porta si aprì di scatto dall’interno, il bordo impattò sulla sua fronte con violenza. Nathalie barcollò tenendosi la testa con una mano. Due braccia le avvolsero il collo e la tirarono all’indietro. Si divincolò dalla stretta gettandosi in avanti.

Marinette si avventò su di lei e la spinse sul muro. L’impatto fu brutale. I muscoli della schiena bruciavano dal dolore.

«Ti prego ascoltami.»

Marinette la ignorò e caricò ancora, la spalla colpì lo sterno di Nathalie, facendole uscire tutto il fiato che aveva in corpo. La trascinò a terra.

Nathalie rotolò su un lato, liberò un braccio e lo cinse intorno alla gola di Marinette. «Ho bisogno del tuo aiuto, fermati ti prego.»

La ragazza grugnì di rabbia. Tirò su la manica della giacca di Nathalie, scoprendole il polso, e lo addentò. Una volta libera, tirò una gomitata nell’addome. Si alzò da terra, afferrò il vaso di decoro dal tavolino accanto al muro e lo sollevò sopra la testa.

Nathalie tese le mani in avanti. «Adrien è in pericolo!»

Marinette esitò. «Che cosa significa?»

La fronte le pulsava di dolore. «Ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di te.»

«Che cos’ha? Parla!»

«Solo tu puoi capirlo.» Nathalie emise versi di dolore, rialzandosi da terra. «Ti porto da lui, ma ti prego, placa la tua ira.»

In tutta risposta Marinette scagliò sul muro il vaso, che si frantumò in mille pezzi. Fece un cenno secco con la testa. Il taglio poco sopra l’arcata sopraccigliare si era cicatrizzato.

Nathalie annuì. «Seguimi.» Fece strada verso lo studio di Gabriel. Camminando nei corridoi, si tastò il polso. I segni dei denti erano ben visibili.

«Non aspettarti scuse» ringhiò Marinette.

«Non me le aspettavo.»

Si posizionarono davanti al quadro di Emilie. Nathalie cercò i pulsanti accarezzandone la superficie. «Stammi vicino.» Premette e il meccanismo scattò. Il pavimento sotto i loro piedi si mosse verso il basso.

«Dove stiamo andando?» chiese Marinette. «Cos’è questo posto?»

«Il luogo dove riposava Emilie Graham de Vanilly. O, se preferisci, il covo di Papillon.»

«Perché lo stai aiutando?»

Nathalie si strofinò gli occhi. «Non ho mai voluto che arrivasse a tanto. Speravo che un giorno avrebbe capito che tutto questo era una follia.»

«Ne sei innamorata, vero?»

Nathalie non rispose, ma sapeva che Marinette aveva già compreso tutto.

L’ascensore si fermò nella cripta. Marinette sgranò gli occhi e corse subito accanto al suo Kwami. «Tikki! Tikki svegliati!» Le avvicinò un biscotto alle labbra.

Tikki arricciò il naso ed aprì la bocca. «Marinette… Perdonami, non ho potuto fare nulla per fermarlo.»

«Non importa, amica mia. Riprendi le forze, così ce ne andremo da qui.»

«Aiutalo.» Tikki sollevò una zampetta ed indicò il Kwami nero steso a pochi passi da lei.

«Plagg?» Marinette gli fu subito accanto e porse un biscotto anche a lui. «So che preferiresti altro, ma per ora dovrai accontentarti.»

Alzò la testa e si ritrovò faccia a faccia con Emilie. «Aiutalo, ti prego» supplicò la donna.

«Adrien…» Marinette si avvicinò alla capsula. Poggiò le mani sul vetro ed iniziò a piangere. «Eri tu… Sei sempre stato tu...» Batté i pugni sul vetro.

Gabriel si trovava in uno stato di trance: osservava la scena in silenzio, ma il suo sguardo suggeriva che la mente vagava altrove.

«È stato il potere dei Miraculous a ridurlo in questo stato.» Nathalie strinse una mano sulla spalla di Marinette. «Tu sei l’unica che può sapere se c’è un modo per riportarlo indietro.»

Emilie singhiozzò. «Prendete me al suo posto, non importa. Mio figlio deve vivere.»

Marinette si voltò come una furia e mollò un mal rovescio a Nathalie. Si allontanò.

«Marinette» gridarono all’unisono Tikki e Plagg.

Si fermò e scosse la testa. «Avevi ragione, Tikki. Sono stata una sciocca a pensare di poter affrontare Papillon. Non sarei dovuta venire da sola.» Nel palmo aveva gli orecchini, l’anello e le due spille. Doveva averli raccolti quando si era chinata accanto a Tikki. «Rinuncio a voi.» I Kwami scomparvero, risucchiati dai gioielli.

Nathalie le afferrò un braccio. «Non puoi andartene. Tu sei la Guardiana della Miracle Box, tu sei Ladybug. Devi aiutarci.»

«Devo aiutarvi?» Marinette si liberò con uno strattone. Li guardò tutti con disprezzo. «Perché mai? Questo scempio è opera vostra. Io ho cercato di impedire questa follia, ma ho fallito. Ho fallito in tutto. Wang Fu si sbagliava: io non ero adatta a sopportare il peso di questa responsabilità.» Girò i tacchi e se ne andò.

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Il cellulare vibrò sul tavolino. Era Juleka.

Luka sorrise ed accettò la chiamata. «Ehi, sorellina. Come va lì?» La mattina presto, la classe di Juleka era partita per una gita di tre giorni ad Avignone. Gli studenti dell’ultimo anno avevano aderito con entusiasmo all’iniziativa, che per poco non saltava a causa dell’attacco akuma. Per fortuna, Ladybug e Chat Noir avevano risolto la situazione e ristabilito l’ordine. «Solo due ore e già senti la mia mancanza?»

«Siamo tutti molto preoccupati qui.»

Luka aggrottò la fronte. «Per quale motivo?»

«Né Marinette, né Adrien si sono presentati. Nessuno di loro aveva avvisato che non sarebbe venuto.»

«Avete provato a chiamarli?»

«Nino sta provando a chiamare villa Agreste da stamattina, ma nessuno risponde. Alya, invece, ha parlato con la madre di Marinette: ha detto che è indisposta, ma dev’esserci qualcosa sotto. Anche con la febbre altissima, Marinette ha sempre risposto alle nostre chiamate. Oggi, invece, il telefono squilla a vuoto. Pensavamo che tu...»

«Non dire altro. Farò un salto a casa di Marinette e passerò anche da Adrien, per assicurarmi che stiano bene.»

Dall’altro capo del telefono giunse una risatina. «Grazie, fratellone.»

Luka chiuse la chiamata, si infilò le scarpe e risalì sul ponte del Liberty. Prese la bicicletta e si avviò.

Cosa poteva essere successo? Non era da Marinette non avvisare i suoi amici, né, tanto meno, ignorare del tutto le loro chiamate. E Adrien? Spesso era capitato che saltasse riunioni con i compagni o attività extra scolastiche per i suoi impegni da modello, o per qualche capriccio del padre. Ma anche lui avvertiva subito Nino con un messaggio che sarebbe mancato all’appuntamento.

Davanti alla boulangerie Dupain-Cheng era parcheggiata una lussuosa Mercedes nera. Luka riconobbe alla guida il Gorilla, l’uomo che accompagnava spesso Adrien in qualità di guardia del corpo.

Che si fosse recato da Marinette perché non rispondeva nemmeno a lui?

Luka appoggiò accanto al muro la bicicletta, chiuse la catena intorno alla ruota anteriore e ad un’inferriata lì accanto, ed entrò nel locale. All’ingresso incrociò una donna in un elegante completo, giacca e pantaloni, bianco. I capelli biondi le ricadevano di lato su una spalla, arrivando fino al seno. Aveva un’aria familiare.

Luka le tenne la porta aperta.

«Grazie.» Gli occhi verdi erano gonfi, colmi di lacrime. Gli sfilò accanto, lasciandosi dietro una fragranza di gardenie.

«Luka!» Sabine Cheng lo salutò da dietro al bancone. Non aveva il solito volto solare, ma un’espressione cupa, malinconica.

«Buongiorno, Madame. Sono qui per vedere Marinette. So che non è potuta andare alla gita perché non sta bene e vorrei poter vedere come sta.»

«Oh, dalle urla che ho sentito non credo stia bene.» Sabine abbassò lo sguardo. «Non so se sia una buona idea, al momento. Ma, forse, vedere una faccia amica potrebbe aiutarla a star meglio.»

«Le urla?»

«Non sta a me raccontarti cosa sta succedendo. Ha pregato di mantenere il riserbo. Solo lei deciderà cosa dirti. Va pure, io non posso allontanarmi da qui. Mio marito è fuori per una consegna e qualcuno deve restare nel negozio.»

Luka la ringraziò con un cenno della testa e passò per la porta sul retro. Mentre saliva le scale cercò una spiegazione a ciò che gli aveva detto Madame Cheng: c’entrava forse quella donna all’ingresso? Perché aveva la sensazione di averla già vista?

Attraversò il salotto e bussò alla botola.

Non ci fu risposta.

Bussò di nuovo con più forza e si annunciò: «Marinette? Sono Luka. Sono venuto a vedere come stai.»

Nulla.

Si fece coraggio ed aprì la botola. Nella stanza aleggiava un profumo di gardenie, lo stesso profumo della donna bionda. Era stata lì.

Sulla scrivania erano sparsi fogli, c’era un libro dall’aspetto antico, un tablet, due orecchini, un anello, due spille dalla strana forma.

Marinette se ne stava rannicchiata in un angolo, la testa sprofondata tra le ginocchia strette al petto. Alzò la testa quanto bastava per guardare. «Luka, cosa fai qui?» Sul sopracciglio sinistro era attaccato un piccolo cerotto.

«Sono qui per te.» Si inginocchiò accanto a lei, le accarezzò la testa e le passò un braccio intorno alle spalle. «Non voglio vederti così. Perché piangi?»

Marinette scosse il capo. «Ti conviene andartene o anche tu soffrirai.»

«Non vado da nessuna parte, invece. Ti ho promesso che sarei stato sempre al tuo fianco in qualunque cosa e così ho intenzione di fare. Dimmi, si tratta di Alessio?»

Marinette emise uno sbuffo.

Perché non voleva parlare con nessuno? Che le aveva fatto quella donna per ridurla in questo stato?

Poi Luka capì. “Che si tratti di…” Era rischioso parlarne, senza contare che lei stessa aveva detto di non farne mai parola con nessuno. “Al diavolo la cautela!” «Si tratta dei Miraculous?»

Marinette lo guardò. Il suo sguardo confermò che il punto era stato centrato. «Cosa c’entrano i Miraculous? Perché mi fai questa domanda?» La voce diventò tremula, non per le lacrime, quanto per stizza. «Credo sia meglio che tu vada via.»

«Tu sei Ladybug.» Luka le sorrise, nella speranza che lei si aprisse, che si sfogasse e non si richiudesse a riccio.

Marinette allargò le braccia. «Perfetto! C’è qualcun altro che lo sa? Domani mettiamo pure i manifesti per tutta Parigi: “Marinette Dupain-Cheng, di giorno studente liceale con seri problemi nelle relazioni sociali e di notte supereroina fallita che ha perso tutto”. Che te ne pare?»

«Un attimo, rallenta. Chi altro lo sa?»

«Te l’ha detto Alessio?» Marinette lo fulminò con lo sguardo. «O sei uno stramaledetto Guardiano anche tu? Ti hanno mandato agli albori perché già all’epoca ritenevano che non fossi in grado?»

Luka l’abbracciò, nonostante lei cercasse di divincolarsi. «Non so di cosa tu stia parlando. Ma adesso devi calmarti Marinette: se c’è un problema possiamo affrontarlo insieme.»

Riprese a singhiozzare. «Non c’è più nessun problema, Luka. Solo io che ho fallito su tutti i fronti.» Tirò su col naso. «Papillon mi ha battuta, Adrien è in coma, Alessio se n’è andato e non tornerà mai più.»

«Perché non mi racconti tutto dall’inizio?»

Marinette gli raccontò dei Guardiani, di Alessio, portatore anche lui col nome di Tyr, della sua compagna Vaegt, di Gabriel Agreste, del suo piano, di Adrien caduto in coma al posto della madre Emilie. Riportò nei minimi dettagli il suo rapporto con Fu, il suo sacrificio quando passò a lei il ruolo di Guardiana della Miracle Box.

Luka ricordò della donna incrociata giù nella boulangerie. Non aveva collegato l’auto ferma con il Gorilla al volante, ma ora gli era chiaro. «Emilie Agreste è stata qui?»

Marinette annuì. «Mi ha portato il Grimorio», indicò il libro sulla scrivania, «e le traduzioni che ha fatto il maestro Fu. È convinta che io possa trovare un modo per risvegliare Adrien.» Tirò un pugno sul muro. «Ti rendi conto che è stato tutto inutile? Mi ha detto che ha un male ai polmoni e che le restano pochi mesi di vita. La malattia le era stata diagnosticata anni fa; la medicina tradizionale non la poteva aiutare, quindi si rivolse ai santoni, alle credenze mistiche. Finché in Tibet non si è imbattuta in quel libro e nei due Miraculous. Ne ha fatto un uso improprio ed è caduta in coma. Suo marito Gabriel, poi, ha dato il via a questa crociata per conquistare i Miraculous della Creazione e della Distruzione. Avrebbe avuto diritto ad un desiderio, uno solo.»

«I Miraculous gli hanno ridato indietro sua moglie» disse Luka «e gli hanno portato via suo figlio.»

«Adrien era Chat Noir. Ha combattuto suo padre, che a sua volta combatteva per lui. Quell’uomo non ha mai capito nulla di suo figlio e ha finito per portargli via entrambi i genitori, invece di restituire quello che aveva perso. E ora gli ha portato via anche la vita.» Marinette strizzò gli occhi. «Tu come hai saputo di me, di Ladybug?»

Luka si strinse nelle spalle. «Chronosium.»

Marinette abbozzò un leggero sorriso. «Il vortice temporale. In uno dei reset mi hai visto senza i poteri.»

«In cuor mio l’ho sempre saputo.» Le puntò un dito. «Ogni persona che hai incrociato ha sviluppato un senso di fiducia nei tuoi confronti. E adesso è il momento di ripagare questa fiducia, Marinette. Io so che tu puoi trovare un modo per risvegliare Adrien. La Marinette che conosco io lotta fino in fondo finché non ottiene quello che vuole.»

«La Marinette che conosci tu non esiste. È solo l’illusione di quella maschera rossa che mi dava la forza di combattere.»

Luka non voleva sentir ragioni. Perché doveva sminuirsi così? «È Marinette che ha creato Ladybug. Tutte le qualità che possiede Ladybug esistono perché è Marinette che ce l’ha dentro di sé. Al di là dei poteri, la vera eroina è Marinette, Ladybug è solo il suo riflesso.»

Passarono del tempo in silenzio. Marinette aveva bisogno di riordinare i pensieri, di metabolizzare a freddo quello che era successo. Ne aveva passate di tutti i colori nel giro di pochi giorni, a partire dalla caduta di Alessio fino ad arrivare al confronto con Papillon. Sempre pronta ad aiutare tutti quando c’era il bisogno, così sola quando era lei ad essere in difficoltà. Luka provò un moto di stizza. Lui non l’avrebbe lasciata sola.

Marinette si alzò, diretta alla scrivania. «Grazie, Luka. Sei il migliore.» Si infilò gli orecchini. Un esserino rosso, con antenne sulla testa, occhi blu, si manifestò da un bagliore rosso. «Scusami, Tikki. Mi sono lasciata trascinare dalle mie emozioni. Ho sbagliato.» Si voltò verso Luka. «Ti presento Tikki, il mio Kwami.»

«Piacere di conoscerti.» Luka si alzò a sua volta. «Immagino tu mi conosca già.»

Tikki annuì. «E io immagino che tu sia la persona che ha rimesso insieme i pezzi. Non è la prima volta che tu aiuti Marinette.»

«Felice di essere d’aiuto.»

«Io sono ancora qui se ve lo foste dimenticati.» Marinette accese il tablet. Scorse pagine e pagine, ricche di immagini iconografiche, gioielli magici, formule. «Emilie Agreste conosceva a memoria questo libro. Nonostante ciò, non è stata in grado di trovare una soluzione alla condizione di Adrien.»

«Se fosse necessario, io e Plagg siamo disposti a ripetere la magia» disse Tikki.

«È escluso.» Le labbra di Marinette si contorsero. «Basta sfidare la natura. Non possiamo sapere quali saranno le conseguenze.» Chiuse il tablet e lo mise da parte. Guardò Luka. «Forse, c’è una persona che ne sa più di noi.»

Prese il cellulare, scorse i contatti della rubrica e ne chiamò uno. Attese degli istanti, ma nessuno rispose. Provò ancora altre tre volte, senza risultati. «Nulla, Alessio non è raggiungibile.» Sbuffò. «Forse dovrei andare direttamente alla fonte.»

Luka le lesse nella mente. «Vuoi andare in Tibet al Tempio.»

«Credo sia l’unica soluzione.»

«Forse gli Agreste sono disposti a prestarti il loro jet privato. Si tratta sempre di Adrien. Solo che bisognerebbe convincere i tuoi a lasciarti partire. Ci vuole una scusa convincente.»

«Non è necessario.» Il volto di Marinette irradiava di nuovo luce. «Ho raccontato tutto ai miei, era giusto che sapessero. Non meritavano più bugie.» Si avvicinò al baule e lo aprì. Ne estrasse una scatola di metallo; la aprì con la piccola chiave che portava appesa al collo. «Comunque non chiederò nulla agli Agreste. Meno stanno in mezzo, meglio è.» Prese uno strano contenitore, di forma ovale, colore rosso a pois neri. «È la Miracle Box» spiegò anticipando la domanda di Luka. «C’è un Miraculous che consente di creare portali e viaggiare ovunque nel mondo.»

Luka era impressionato. «Non si finisce mai di imparare.» Si protese verso di lei. «Se vuoi ti accompagno.»

«Tikki, trasformami!» Un barlume rosso e bianco ricoprì il corpo di Marinette. La trasformazione in Ladybug era più affascinante di quanto avesse creduto. «Luka… Non ci sono parole per esprimere la mia gratitudine. Ma adesso devo cavarmela da sola. Vorrei che facessi solo una cosa per me.»

«Qualunque cosa.»

«Quando andrai via, dì tutto a mia madre. Non tralasciare alcun dettaglio. Dille che io tornerò quanto prima.»

Luka annuì. Avrebbe voluto accompagnarla, ma non insistette. «Lo farò.»

Ladybug premette uno dei pois della Miracle Box. Infilò la mano nella luce bianca che ne scaturì ed estrasse una scatolina. Dentro c’erano degli occhialini da sole. Ladybug se li mise sul naso.

Un piccolo cavallo si manifestò. «Salve egregi signori. Il mio nome è Kalkk, il Kwami del Cavallo.» Parlava con voce impostata.

«Tikki, Kalkk. Fusione.» Ladybug allargò le mani, poi le giunse. I capelli corvini legati in due codini divennero delle treccine rasta. Il rosso del costume si mischiò ad un marrone scuro. «Portale!» Con due dita disegnò nell’aria un cerchio, che si colorò di verde e si animò. «A presto, Luka.» Si gettò dentro.

«Buona fortuna, Marinette.»

 

 

 

 

   
 
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