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Autore: BabaYagaIsBack    18/12/2020    0 recensioni
Vol. 2
In un corridoio d'ospedale, con il cuore incapace di placarsi, Jay si rende conto di come sia facile incasinare tutto. Mentre si aggrappa con ferocia alla speranza comprende che a Jace è bastato partire, a Seth confessarle il suo amore e a lei lasciare un messaggio in segreteria. Nulla più. I sensi di colpa allora iniziano a lambirle le caviglie, ancorandosi nella carne dei polpacci, e d'improvviso si scopre incapace d'affrontare ciò che le si prospetta davanti.
Impaurita e confusa, Jay arranca tra i rapporti logorati dalle sciocchezze tenute segrete. Fugge senza meta da coloro che fino a quel momento aveva creduto di non poter perdere, obbligandoli infine a levarsi le maschere - da quelle più sottili a quelle più pesanti.
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Chapter Two

§ Relief §

 

"I am finding out that maybe I was wrong
That I've fallen down and I can't do this alone
Stay with meThis is what I need, please"

- My Heart, Paramore

 

Thomas mi fissa, sembra non capire. Ha una sigaretta ormai corrosa sino al filtro stretta tra le dita e gli occhi rossi di chi ha pianto smodatamente. Le rughe sul viso sembrano più profonde del solito e la stanchezza, quella che ci ha temprati tutti stanotte, trapela da ogni dettaglio.
Tiene una mano in tasca, mentre con l'altra, in una posa un po' effeminata, sorregge il mozzicone giallo. Chissà da quanto tempo la combustione si è interrotta; chissà se ha realmente fumato - non credo lo abbia mai fatto prima di questo giorno.

D'improvviso esclama un "Oh!" quasi si sia ridestato da una trance. Involontariamente gli rispondo con un sorriso, ignara di come sia più opportuno comportarsi in una situazione come questa. Per un momento restiamo immobili, poi nuovamente lo vedo spostare lo sguardo umido verso il cielo. Le prime luci dell'alba gli accarezzano la piega dei capelli, la fronte, il naso così simile a quello di Charlie. Gli sfiorano i baffi e poi le labbra, lì dove d'un tratto, seppur impercettibilmente, mi sembra di scorgere un movimento. L'impressione dura poco, mi fa quasi pensare di averlo immaginato perché, subito, Thomas vi passa sopra la lingua. Vorrei dire di capire cosa prova in questo momento, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è la pressione nauseante che sento schiacciarmi lo stomaco. Credo di dover vomitare, eppure ancora non ci riesco.
L'ansia non mi abbandona, ma certamente posso dire essersi allentata. Non mi sento più un boia, però non posso nemmeno dire di essere innocente.

Il signor Benton sfila la mano dai pantaloni e senza guardarmi, riportandomi con la mente al presente, mi porge un pacchetto di Marlboro a metà. 
Esito. 
Per qualche strana ragione accettare questa sua offerta mi destabilizza, mi trasforma in un Giuda che siede al tavolo di colui che ha mandato a morire, eppure dopo qualche istante, esattamente come lui, allungo un braccio e afferro una sigaretta, poggiandomela tra le labbra. 
Tasto i jeans certa di avere l'accendino, ma alla fine è ancora lui a venirmi in aiuto. 
«E' sveglio?» Mi chiede subito dopo avermi vista fare un tiro. 
«I- io...in realtà non lo so.» Non ho avuto né tempo né modo di chiederlo, anche se avrei potuto. 

Thomas annuisce. «Non è importante» aggiunge dopo qualche secondo. 
Finalmente butta il mozzicone che tiene tra le dita, poi si passa la mano in viso quasi volesse togliersi dagli occhi la stanchezza e il dolore che ora non hanno più motivo di starsene lì. Resta in quella posizione per un po', forse abbandonandosi a qualche pensiero, e infine torna a fissarmi. E' commosso. Felice, oserei dire. Osservandolo capisco quanto male avrebbe causato la morte di Charlie; non solo a me, ma a tutti - e inevitabilmente i singhiozzi hanno la meglio sulla volontà, sulla compostezza che dovrei tenere. Non ho il diritto di piangere e disperarmi, non ho il permesso di sentirmi sollevata. Sono colpevole, sono d'accusare e additare dopo ciò che gli ho fatto. Eppure, uno dopo l'altro, i singulti si fanno sempre più sommessi. Scossoni inarrestabili mi costringono a piegarmi su me stessa pur di non andare in mille pezzi e a quel punto, inaspettatamente, il signor Benton mi abbraccia. E' il primo a farlo, stasera. Per un attimo, prima, ho pensato che sarebbe stato il petto di Morgenstern quello a cui mi sarei aggrappata, cercando sollievo e rifugio, invece eccomi tra le braccia di un uomo che non ho mai pensato potesse essere così comprensivo. Con le sue mani ruvide mi accarezza la testa, lo fa con una dolcezza che non mi sarei mai aspettata. Mi stringe e mi dondola come fossi una bambina, soffiando tra le labbra nel tentativo di calmarmi.
 «Va bene così, Jane» sussurra ogni tanto, quasi mi stesse confessando un segreto: «Va bene, sta bene». La sua voce è rotta, provata dalle emozioni, ma nonostante questo continua a cullarmi. Forse non sta cercando di consolare me, forse lo sta facendo per se stesso - abbiamo entrambi bisogno di buttare fuori gli ultimi rimasugli di paura, di liberarci dalla tenaglia che ci ha serrato la gola. In qualche maniera condividiamo lo stesso dolore, anche se è diverso. Entrambi saremmo stati schiacciati, soffocati dal vuoto che ci avrebbe assaliti, ma in modo differente. Il mio male ha una forma non uguale dalla sua, eppure porta il medesimo nome.

Restiamo fermi a piangere per un tempo che non riesco a calcolare, poi l'urgenza lo richiama a sé: c'è una moglie che lo aspetta e un figlio da cui correre - lo stesso ragazzo che vorrei poter raggiungere anche io, ma che al contempo temo.
«Molly è andata da lui?»
Tiro su con il naso, allontanando la testa: «C-credo... il dottore... lui-» Thomas mi stringe un'ultima volta, interrompe il mio blaterare inconcludente. Credo riesca a comprendere la mia fatica, lo stato di torpore mentale in cui l'estenuante attesa mi ha portata a cadere.
«Grazie» sussurra dal nulla, senza darmi alcun preavviso. Il suo è poco più di un fiato, scivola nell'aria e non prova nemmeno a combattere i rumori circostanti - eppure lo sento, vedo quella parola piegargli le labbra e involontariamente mi irrigidisco, tentando di trattenere una risata nervosa. 
Perché mi ringrazia? In fin dei conti non c'è alcun motivo per cui farlo, in particolare se il destinatario di una simile gratitudine sono io. Dopotutto non ho fatto nulla di utile. Non sono stata in grado di fare nemmeno la più piccola delle cose giuste; ad essere onesti io sono semplicemente il motivo per cui Charlie è qui. Sono il guardrail contro cui è andato a sbattere, l'airbag esploso con troppa forza. Sono i cocci del parabrezza che gli sono ricaduti addosso e la cintura che gli ha sfregiato la pelle. Non dovrebbe ringraziarmi: dovrebbe punirmi.


Mi scanso malamente, passando frenetica i dorsi delle mani sugli occhi brucianti. Fingo di asciugarmi le lacrime, ma in realtà nascondo la colpa è la nausea che stanno avendo la meglio. Ho la necessità impellente di nascondermi, di allontanarmi da ogni persona e vomitare lo schifo che ho dentro, il peccato che ho ingoiato, il ribrezzo che provo per me stessa.

Sciocca.
Egoista.
Assassina.

Thomas mi passa accanto, l'aria si sposta al suo avanzare. Si allontana, rientra, mi lascia sola.

Cosa ho combinato?
 

 
   
 
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