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Autore: Jane P Noire    18/12/2020    1 recensioni
Rowan Monroe ha sempre fatto di tutto per passare inosservata. Non vuole fare nulla che possa attirare l'attenzione sulle persone che l'hanno cresciuta, i Vigilanti, angeli caduti dal Paradiso e costretti a restare sulla Terra per proteggere la razza umana, e soprattutto su se stessa. La sua vera identità deve restare un segreto perché il sangue che le scorre nelle vene la rende una creatura pericolosa e imprevedibile.
Liam Sterling è l'ultimo ragazzo per cui dovrebbe provare attrazione per una serie infinita di ragioni: perché è un umano, perché a scuola è popolare, perché l'ha sempre ignorata, e soprattutto perché suo fratello è appena stato ucciso in maniera misteriosa e orribile da un demone. Ma quando lui la implorare di aiutarla a scoprire la verità e dare giustizia al fratello, Rowan accetta anche se è consapevole che questa scelta potrebbe essere la fine di tutto ciò per cui ha lavorato negli ultimi diciotto anni della sua vita.
Genere: Horror, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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.23.
 
 
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto e mi tirai a sedere con uno scatto. Il sudore mi imperlava la pelle e l’aria non riusciva ad entrare correttamente nei miei polmoni, mentre il sapore acido della bile e della paura mi salivano nella bocca.
Stavo per vomitare.
Sentii le coperte frusciare al mio fianco e, quando abbassai gli occhi, notai la figura snella e slanciata di Liam che dormiva ancora. Le palpebre erano abbassate sugli occhi e i capelli erano un groviglio di riccioli castano chiaro sul cuscino. Il petto nudo e liscio si muoveva in modo regolare ad ogni suo respiro profondo. Le mani che fino a qualche istante avvolgevano il mio corpo erano abbandonate sul materasso.
Ci misi un istante di troppo per ricordare cosa era successo tra di noi solo qualche ora prima.
Le lacrime cominciarono a pungermi gli occhi, protestando contro di me affinché potessero riversarsi e bagnarmi il viso. Ma non mi meritavo nemmeno di poter piangere.
Cazzo, cosa avevo fatto? Liam dormiva, ignaro che la ragazza al suo fianco sarebbe stata la sua condanna. Ignaro che l’affetto e il desiderio che aveva provato per il mostro con cui ora condivideva il letto lo avrebbe portato alla morte.
Dovevo andarmene.
Dovevo lasciarlo.
Gettai subito le gambe fuori dal letto e comincia a vestirmi più in fretta che potevo. Mi stavo infilando la canottiera, quando sentii Liam svegliarsi. Evitavo accuratamente di guardarlo, ma con la coda dell’occhio vidi che si stava mettendo a sedere e mi osservava con le sopracciglia aggrottate verso il centro della fronte.
«Che succede?»
«Devo andare a casa.» La mia voce era più fredda di un vento gelido.
E lui se ne accorse. Irrigidì le spalle. «Perché?»
Che palle, non trovavo le mie mutandine. Decisi che ne avrei fatto a meno, dal momento che dovevo andarmene di lì il prima possibile e non avevo tempo di andarmi ad avventurare per la stanza alla ricerca di un indumento che lui stesso mi aveva tolto qualche ora prima. Agguantai i leggings e li infilai senza biancheria intima. «Perché devo andare a casa. Non posso più stare qui.»
«Non capisco.»
Saltellai sul posto mentre mi infilavo gli anfibi, senza nemmeno preoccuparmi di allacciarmeli perché avrei perso troppo tempo. «Non devi capire. Devo andare via di qui adesso
«Okay.» Liam inspirò a fondo e si alzò in piedi. Cercai di ignorare il fatto che fosse ancora nudo e che camminava dritto verso di me. Indietreggiai con uno scatto e andai a sbattere contro lo stipite della porta. Lui aggrottò le sopracciglia. «Rowan, che succede?»
«Te l’ho appena detto. Devo andarmene.»
«Questo l’ho capito. Quello che non capisco è il perché.» Cercò ancora una volta di avvicinarsi, ma si bloccò di scatto quando mi vide arretrare così tanto da spalmarmi contro alla porta chiusa. «Che cosa ho fatto?»
Serrai le palpebre, perché non sopportavo il dolore nella sua voce e lo sguardo ferito che aveva negli occhi. «Niente. Tu non hai fatto niente.»
«Non ci credo. Qualche ora fa mi chiedevi di stare insieme nel modo più intimo possibile, e ora nemmeno mi guardi in faccia.» Si passò una mano fra i riccioli spettinati. «Devi dirmi cosa ho fatto, così che possa rimediare.»
«Non hai fatto niente», ripetei. Quella era l’unica cosa vera che potevo dirgli.
«Abbiamo corso troppo? Ti ho fatto del male?»
Mi passai una mano nei capelli. Erano un groviglio di nodi. «No, no. Tu non mi hai fatto male, ma io… Io devo andare a casa.»
«Va bene.» Sospirò. Si piegò per recuperare i boxer da sotto le coperte e li infilò con fluidità. «Dammi un secondo per vestirmi. Ti accompagno con la macchina.»
«No!»
«Rowan», spostò lo sguardo sulla radio sveglia, «sono le tre di mattina. Non puoi andare in giro in questo modo…»
«Non ho bisogno del tuo aiuto!»
Lui barcollò sul posto, mentre io ingoiavo le lacrime e il dolore, e mi infilavo il cardigan di lana sopra le spalle nude. Una parte di me si sentiva morire per il modo in cui lo stavo trattando, ma il lato più ragionevole della mia mente sapeva che stavo finalmente facendo la cosa giusta. La prima cosa giusta da quel giorno nel parcheggio.
«So benissimo che sai come badare a te stessa, ma…»
«Liam, io ho commesso un errore.»
Si bloccò. «Un errore?»
«Questo», indicai il letto sfatto, «è stato un errore. Io non avrei mai dovuto…»
«Non è stato un errore, Rowan.» Mi fissò dritto negli occhi e io non riuscii a distogliere l’attenzione. I suoi erano color caramello, non dorati e infuocati come quelli che avevo visto nel mio sogno. Era ancora il mio Liam, vivo e vegeto. «Questa notte è stato maledettamente giusto. È stata la cosa più bella della mia vita.»
Oddio.
Sentii fisicamente il rumore del mio cuore che andava in mille pezzi, tanto che per non crollare in terra fui costretta a tenermi al muro. Eppure mi feci coraggio; sollevai il mento e ingoiai il dolore delle parole che stavo per pronunciare, ma che dovevo dire se volevo salvargli la vita.
«Rowan, io ti…»
«Forse non lo è stato per te», lo interruppi, «ma per me è stato un errore. Un errore che non ho più intenzione di ripetere.»
Allora uscii e mi fiondai fuori dalla villa. Come una stupida, mi voltai più volte prima di gettarmi in strada per controllare se lui mi seguiva. Ma Liam non mi seguì.
Santo cielo, avevo fatto un vero e proprio casino.
 
 §

Camminai per le strade buie e umide della città senza avere una meta precisa. Non sapevo dove andare, e non riuscii a trovare una risposta nemmeno quando un tuono scoppiò sopra alla mia testa e la pioggia cominciò a cadermi addosso.
Una parte di me desiderava poter tornare indietro e gettarmi tra le braccia di Liam, confessargli che mi ero innamorata di lui e che non credevo nemmeno ad una delle parole che avevo appena pronunciato. Un’altra parte voleva correre a cercare Hawke, dirgli che in realtà amavo anche lui e che avevo bisogno che lui mi dicesse che le mie oscurità e i miei difetti non fossero cose da cui fuggire, ma aspetti da accettare e accogliere. Un’altra ancora voleva correre a casa mia e buttare giù Seth dal letto per confessargli tutte le bugie che gli avevo raccontato e chiedere il suo aiuto per sistemare quel casino.
Ma non potevo fare nessuna di quelle cose, così continuai a camminare fino a che la pioggia non mi incollò i vestiti al corpo e i capelli alla faccia, fino a che non cominciai a tremare come se avessi le convulsioni, fino a che i piedi non riuscirono più sopportare il mio peso e le ginocchia cedettero a causa del dolore e della stanchezza.
Non seppi come, mi ritrovai accovacciata su me stessa in un vicolo stretto e buio nel quartiere di Pearl District. La stradina era delimitata da due grandi palazzi in mattoni rosso scuro, di cui uno dei due doveva per forza essere un ristorante indiano perché sentivo la puzza delle spezie che mi entrava nel naso e mi sconquassava lo stomaco. Ma ero troppo stanca persino per alzarmi in piedi. Vomitai in un angolo.
Mentre la pioggia mi penetrava nelle ossa e mi entrava nella bocca, inspirai lentamente e brevemente per placare i crampi alla pancia. Sollevai le ginocchia e le avvolsi con le braccia, nascondendo il viso tra di esse.
Non alzai la testa nemmeno quando sentii un fruscio di ali e il suono di un paio di scarponi che camminava verso il punto in cui mi ero rannicchiata contro il muro.
«Rowan.»
«Vattene via, Seth!»
Alzai lo sguardo in tempo per vederlo nascondere e ritirare le ali dietro le scapole, e togliersi dalla testa il cappuccio della giacca per lasciare che i suoi capelli si bagnassero sotto il getto violento della pioggia. L’altra mano era agganciata alla cintura delle armi, vicinissima alla spada cinese – un dao per la precisione – che pendeva lungo il suo fianco. Anche se non potevo vederle, sapevo che teneva nascoste altre armi sotto la giacca della tenuta e dietro l’orlo dei pantaloni.
Lui ignorò ciò che gli avevo detto e si accovacciò di fronte a me, posando una mano sulla mia gamba. Era calda e ruvida contro il mio polpaccio, dove i leggings si erano incollati alla pelle e mi avevano gelato le ossa. «Dobbiamo toglierci dalla strada. È troppo pericoloso.»
Non dissi nulla.
Lui avvicinò il viso al mio e mi afferrò il mento, costringendomi a sollevare gli occhi sul tuo viso. «È tutta la notte che ti cerco.»
«Perché?»
«Fai sul serio, cazzo?» Sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Ho sentito l’odore del tuo sangue davanti ad un ristorante di Richmond e me la sono fatta nei pantaloni dalla paura che ti fosse successo qualcosa, quando invece mi avevi detto che saresti solo stata a casa di Adeline. Quindi adesso…» Si bloccò, osservandomi con le palpebre leggermente abbassate sugli occhi e le gocce di pioggia che gli imperlavano le lunghe ciglia bionde. «Stai piangendo?»
Non so come avesse fatto ad accorgersene, dal momento che ero talmente zuppa che le lacrime si erano mischiate all’acqua piovana, e non mi importava nemmeno. Inoltre, avevo il cuore troppo a pezzi per potermi mettere a controbattere e fare l’orgogliosa. Mi limitai a tirare su con il naso e mordermi il labbro.
Lui sospirò forte e mi scostò dalla fronte una ciocca di capelli che si era incollata contro la mia tempia.
«Non toccarmi», scattai, incollando sempre di più la schiena al muro.
Fece subito ricadere la mano. «Che cosa è successo?»
«Demoni arpia. Ora sono morte, ma una mi ha graffiata sulla scapola mentre lottavamo.»
«Adeline sta bene?»
Annuii. «L’ho mandata via non appena le ho sentite arrivare.»
«Dobbiamo levarci dalla strada, Roe. Io non sono l’unico che ti sta cercando. Tutti i demoni della città sono sulle tue tracce.»
Strinsi i pugni sulle ginocchia e strinsi forte le palpebre. «Non ce la faccio.»
«La ferita è così grave?» Le sue mani si spostarono sulle mie spalle. «Fammi vedere la schiena. Stai ancora sanguinando?»
Scossi la testa. «Liam ha medicato la mia ferita e bruciato i miei vestiti.»
«Liam?» Seth inarcò un sopracciglio.
Mi passai una mano sul viso bagnato. Annuii.
«E tu che cazzo ci facevi con Liam Sterling? Avevi detto che…»
«Lo so, maledizione! So che cosa ho detto e – come hai già capito – era una bugia.»
«Perché mentire?»
«Perché…»
«Non ti fidi più di me?»
A quel punto crollai in mille pezzi.
Aprii la bocca e le parole cominciarono a sgorgarmi fuori come l’acqua scivolava via da un rubinetto rotto. «Ho fatto un casino, Seth.»
Seth sospirò profondamente, mentre si passava una mano fra i capelli biondissimi e grondanti di acqua. I suoi occhi dorati luccicavano anche nel buio della notte e del vicolo in cui trovavamo. «Capisco che tu abbia voglia di essere una normale adolescente. Lo capisco davvero, Roe, e vorrei poterti dare una vita normale. Ma non sei normale. Non siamo normali.»
«Lo so. Sono un mostro!»
Chiuse gli occhi, inspirando profondamente. L’acqua grondava via dai suoi capelli e percorreva i contorni delle sue ossa che sporgevano contro la pelle del suo viso. «Dopo che te ne sei andata ho parlato con mio padre: mi ha detto perché avete litigato e so perché pensi queste cose su te stessa.»
«Anche tu pensi lo stesso…»
«No, Roe, io non credo affatto che tu sia un mostro. Non l’ho mai creduto.»
Le lacrime mi inondarono gli occhi, tanto che fu difficile mettere a fuoco i lineamenti del suo viso che si trovava a pochi centimetri di distanza dal mio. «Volevo soltanto… Volevo fare la cosa giusta. Mostrarmi degna. Ho pensato che se davvero non ho alcuna possibilità di vivere dopo il mio diciottesimo compleanno, almeno potevo usare il tempo che mi restava per trovare il demone che sta uccidendo le benedizioni e sistemare questo casino prima che arrivassero gli Arcangeli.»
«Tu sai che…» Assottigliò le palpebre sugli occhi, poi capì perché nessuno mi conosceva bene quanto lui. Annuì con un cenno secco del mento. «Eri nella biblioteca, quella notte. Ho visto il libro sul tavolo, ma credevo che ti fossi dimenticata di metterlo a posto. Avrei dovuto capirlo.»
«Sapevo che se te ne avessi parlato tu mi avresti detto di lasciar perdere. Ma questo è il mondo di Liam e Adeline: non posso lasciar perdere. Se le mie uniche possibilità sono morire o trasformarmi in un gigante, voglio che succeda mentre cerco di salvare il mondo in cui loro dovranno vivere per il resto delle loro vite.» Tirai su con il naso. «Ma ho fatto un casino.»
«Ascoltami», mi strinse le mani attorno ai fianchi e mi sollevò in piedi con la forza delle sue braccia, «verremo a capo di questa situazione insieme, te lo prometto, ma non qui e non adesso.»
Abbandonai la schiena contro il muro, mentre Seth continuava a cingermi la vita con le braccia.
«Lui morirà per colpa mia», dissi, mentre il pianto mi spezzava la voce e le lacrime mi bruciavano la faccia e la gola.
«Cosa?»
«Mi trasformerò in un gigante e lo ucciderò. L’ho visto
«Rowan…»
Scossi la testa, mentre la mia voce si alzava sempre di più: «Io sono innamorata di lui, ma lo ucciderò lo stesso. Questa è la mia punizione per aver creduto di avere una scelta.»
«Non puoi saperlo.»
«L’ho sognato
«Cosa hai visto?»
«Liam…» Soffocai il pianto e strinsi forte le palpebre, «lui era ricoperto di sangue. Non ne ho mai visto così tanto in vita mia. E il fuoco celeste lo avvolgeva e lo bruciava. Lui stava morendo proprio di fronte ai miei occhi e io non facevo niente per salvarlo.»
Le mani ruvide e piene di calli di Seth mi incorniciarono il viso e mi costrinsero a non distogliere lo sguardo dal suo. «Diversamente da quello che pensi tu, Roe, io so che tu sei sempre stata più forte della maledizione dei Nephilim. Non ucciderai nessuno. E non morirai nemmeno tu.»
Sconfitta dal dolore che mi aveva provocato separarmi da Liam e stanca come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, mi accasciai contro la spalla di Seth. La giacca della sua tenuta da combattimento era bagnata e il materiale resistente di cui era fatta era duro e ruvido contro la mia guancia.
Lui mi accarezzò alla base della nuca, mentre mi avvolgeva il busto con un braccio solo. «Te lo giuro, troveremo una soluzione insieme. Però adesso andiamo via.»
«Non posso andare alla villa. Ho bruciato il tappeto…»
«‘Fanculo il tappeto! Era vecchio e nessuno lo spolverava da almeno un decennio. Hai fatto un favore a tutti: stavamo solo aspettando una scusa per sbarazzarcene.»
Un debole sorriso riuscì a incurvarmi le labbra.
Il suo si ampliò, mentre mi scostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Andiamo a casa, okay?»
Alla fine annuii.
Lasciai che mi stringesse al suo petto, mentre gli avvolgevo le braccia attorno al collo e mi aggrappavo ai suoi muscoli. Sentii il fruscio delle piume e, quando alzai lo sguardo, non mi stupii nello scoprire che le sue ali bianche e immense erano spiegate in tutta la loro ampiezza dietro la sua schiena.
Poi cominciò ad agitarle e spiccammo il volo.
   
 
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