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Autore: ONLYKORINE    19/12/2020    1 recensioni
A Maple Town, dopo tanti anni ricompare la targa che premiava il paese come migliore produttore di sciroppo d'acero e che era scomparsa anni prima. Gli abitanti della cittadina pensavano che l'avessero rubata 130 anni prima i loro vicini, quelli di SapVille, e invece...
E ora? Ora si vedrà. Intanto si potrebbe fare una gara di cucina...
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 10 -Jason Duvrè e Nonna Jo

 Capitolo scritto da Cometa1975 

Aaron camminava nervoso nel salotto di casa propria, erano trascorsi già diversi giorni da quando Jason era stato dimesso dallʼospedale e lui ancora non aveva avuto modo di parlarci da solo. Girò per la stanza osservando i mobili che erano appartenuti a sua nonna. Solo il divano in pelle bianca era nuovo, così come il televisore a schermo piatto che era stato appeso sopra il camino.

Quando bussarono alla porta si riscosse per la sorpresa, quasi da rovesciare la lampada del tavolino sul parquet di acero.

Rimise lʼoggetto a posto e si diresse alla porta dʼingresso che aprì senza chiedere chi fosse: di solito a Maple Town non cʼerano forestieri, anche se gli eventi degli ultimi giorni suggerivano il contrario.

Aaron si passò una mano fra i capelli ricci, gesto che faceva sempre quando era agitato. Di fronte a lui cʼera  Mark, il suo migliore amico, con una cassetta di birre in mano, fresche di frigo.

«Posso entrare, straniero?» chiese lʼaltro facendosi comunque strada in casa del meccanico.

«Sì, certo scusa, fai come fossi a casa tua» rispose il ragazzone biondo, ma il suo tono era incerto.

Mark si guardò intorno come a cercare una conferma dei suoi sospetti. «Sei solo?» chiese dopo aver appoggiato le birre sul tavolino basso di fronte al televisore.
Aaron non gli rispose e per prendere tempo andò in cucina per recuperare un cavatappi.

«Vivo da solo, non ti ricordi?» disse Aaron dalla cucina.

 

«Questo non significa che tu debba essere solo sempre, lo sai vero?» rispose enigmatico Mark.

Dopo aver preso il cavatappi e aver stappato due bottiglie ne porse una al ragazzo di fronte a lui e si mise a sedere sul divano allungando le gambe sulla sceslong.

«Ti ho cercato in officina, ma il tuo apprendista mi ha detto che oggi non sei andato al lavoro.»

«Ho altre cose per la testa» rispose secco.

«Senti, ci conosciamo fin da quando andavamo alla scuola dellʼinfanzia e penso anche prima, ma non ne ho ricordo...» iniziò col dire lʼamico «ho aspettato per molto tempo che tu ti confidassi con me, ma ormai ho rinunciato e quindi...»

«Quindi?» disse Aaron visibilmente scocciato appoggiando la birra sul tavolino e muovendosi nervoso verso la finestra.

«È inutile che ci giriamo intorno, tu sei preoccupato per quel giornalista, Jason Duvrè, se non mi sbaglio. Tutti in città sanno che lo hanno trovato tramortito in casa tua.» 
Aaron sospirò abbassando le spalle come sconfitto, il suo segreto non era più tale e sembrava quasi che un macigno gli si fosse spostato dal petto, forse confidarsi con Mark poteva essere la soluzione ai suoi problemi.

Trovare Jason disteso a terra in casa sua era stato un colpo terribile e sapere così su due piedi che era stato licenziato e che gli aveva mentito era stato ancora più scioccante. La sera precedente allʼaggressione, dopo il ritrovamento del luogo della targa, lui e Jason si erano chiariti. Avevano passato la notte insieme e si erano promessi di dirsi sempre la verità, ma così non era stato: lui gli aveva mentito e Aaron non aveva avuto modo di parlarci nuovamente. Infatti il compagno, una volta dimesso dallʼospedale, era andato chissà dove insieme a sua nonna Jo.

«Aaron» lo richiamò al presente Mark avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla, «non devi affrontare tutto da solo, okay? Lo so a volte, sono un poʼ rozzo e mi comporto da stupido, ma veramente non ha importanza... Dai non farmelo dire. Tu credi sul serio che possa cambiare qualcosa il fatto che tu preferisca un ragazzo a una ragazza?»

La mano dellʼamico era ancora sopra la sua spalla e lʼunica sua reazione fu quella di appoggiare la testa contro il vetro della finestra che dava sulla veranda e sul giardino del retro della casa. La sua fidata moto era parcheggiata sotto il pergolato in attesa che si raffreddasse il motore dopo lʼuscita che aveva fatto poco prima.

«Tu non capisci Mark, nessuno potrebbe capire, io non sono come voi ragazzi!»

«E ci credi così stupidi da non compreso quello che sei? Nessuno ti ha fatto pressione, Aaron. Non sei attratto dalle donne e allora? Persino mia cugina Kora si è rassegnata al fatto che tu non la consideri in quel senso.»

Aron si voltò di scatto e fissò gli occhi azzurri in quelli nocciola dellʼamico. «Davvero sei convinto che non avrebbe fatto differenza? Ma se al liceo ci sfottevamo per cose molto più stupide.»

«Adesso non siamo più al liceo, siamo adulti: ognuno ha la propria vita e può farne ciò che vuole. Io la penso così.»

«I ragazzi, lʼaltra sera al bar, quando Jason è entrato lʼhanno sfottuto solo per il suo modo di porsi, e nemmeno sapevano se fosse realmente gay! Io non voglio tutto questo per me, per noi.»

«Senti, sai che a volte esagerano, soprattutto se bevono e poi nessuno può giudicare gli altri. Tu sei la persona più forte che conosco, un combattente: hai perso i genitori da piccolo e sei sopravvissuto al generale, quindi credo che tu abbia tutto il diritto di essere felice!»


Aaron non sapeva se piangere, ridere oppure dare qualche capocciata contro il vetro della finestra. Il generale, era così che tutti i suoi amici chiamavano nonno Alan, anche se in realtà aveva avuto solo il grado di capitano.

«Non devi dare dimostrazioni eclatanti a nessuno in paese, oppure andare a un gay pride, devi solamente vivere la tua vita. E se ti fa bene stare con questo Jason, allora fallo. Lui e sua nonna sono alloggiati alla locanda di Kora, lo sai?»

 

***

 

La Locanda di Kora Jones si trovava appena fuori dalla cittadina di Mapple Town, immersa nel verde in una delle più antiche piantagioni di acero della Contea. Le famiglie di Kora e Mark erano da sempre produttori di sciroppo dʼacero e la tradizione familiare adesso era portata avanti dai suoi genitori e da quelli di Mark, mentre lei e la cugina Lottie avevano ristrutturato i vecchi locali di stoccaggio dello sciroppo e ci avevano creato una Locanda in cui gli ospiti potevano partecipare alla produzione e alla raccolta del pregiato succo se avessero voluto.

 

Kora era di turno alla reception quando sentì il rumore della moto di Aaron: lo conosceva molto bene, quel suono per tanti anni aveva stuzzicato la sua fantasia. Per molto tempo aveva sperato di poter viaggiare su quel mezzo insieme al suo proprietario. Però Aaron, benché fosse gentile e molto disponibile con tutti in paese, non faceva salire nessuno sulla sua moto. Il ragazzo entrò nella Locanda con il casco in mano, dopo aver parcheggiato la fidata Indy  proprio di fronte allʼingresso. Se poteva non la perdeva mai di vista, come se quella moto forse un pezzo della famiglia del ragazzo ed era normale dal momento che lui una famiglia non ce lʼaveva più.

«Ciao Kora, scusa il disturbo» iniziò col dire il biondo in evidente imbarazzo, dopo essere entrato allʼinterno del locale.

«Dimmi Aaron, è successo qualcosa? Cosa ci fai da queste parti?» chiese la ragazza con tono curioso.

«Beh, io... in realtà vorrei sapere... non so se tu me lo vuoi dire...» farfugliò passandosi una mano tra i capelli riccioluti sempre più nervoso.

«Kora, tesoro, sai mica se è rientrato mio nipote Jason?» disse la voce ancora energica di Josephine Duvrè scendendo le scale che portavano alle camere del primo piano.

Aaron colto di sorpresa nel sentire il nome del compagno si voltò di scatto, sbattendo il casco contro il bancone della reception.

«Signora Duvrè» disse con un filo di voce.

«Kora, chi è questo bel giovanotto che conosce il mio nome?» chiese con tono furbo la donna, ben sapendo chi si trovava di fronte. Suo nipote Jason, dopo essere stato dimesso dallʼospedale della contea, aveva vuotato il sacco e le aveva raccontato le sue vicissitudini dʼamore.

Lei aveva provato più e più volte in quei giorni a convincerlo ad andare da Aaron e raccontargli tutta la verità. Cʼerano già troppe bugie che erano state dette in quella città e forse era lʼora di cominciare a dire le cose come stavano. Jason non era stato licenziato dal giornale per via del della sua inchiesta sugli appalti illeciti di Portal, bensì perché non aveva voluto cedere alle avance del suo diretto superiore che, oltre ad avergli fatto perdere il lavoro, avendo paura che il ragazzo lo denunciasse, lo aveva colpito e mandato in ospedale. Josephine voleva che Jason raccontasse tutto al suo ragazzo. Sì, perché lei era sicura che poteva considerarlo ancora tale. Inoltre quel ragazzone biondo che si trovava di fronte a lei era veramente un bel partito, come si diceva ai suoi tempi.

Aveva convinto però Jason a sporgere denuncia contro lʼaggressore, sia per quello che aveva fatto lì a Maple Town sia per quello che gli aveva fatto a Portland. Inoltre i coniugi Smith, Candice e Tom, lʼavevano visto ancora in giro e quindi era stato facile ripercorrere le sue tracce e trovare testimonianze che lo collocassero in città al momento dellʼaggressione di suo nipote.

Jason comunque era cocciuto come ogni Duvrè che si rispetti e siccome aveva mentito ad Aaron sulla questione del licenziamento e sul vero motivo perché era successo, non voleva parlare con lui e dirgli la verità.

Josephine sorrideva al pensiero di quanto fosse sciocco quello che stavano facendo, erano due somari, però adesso sembrava che uno dei due avesse messo del sale in zucca.

«Salve, signora Josephine, io sono Aaron» disse infine il ragazzo. Kora, che stava osservando la scena molto interessata, capì ben presto che forse era il momento di andare a controllare se le camere fossero a posto.

Quando furono soli la donna disse: «È andato in città per delle questioni urgenti, ma tornerà presto».

Aaron annuì.

«Se ti va puoi aspettarlo con me sotto il portico. Prendiamo un tè, visto che è proprio lʼora giusta.»

Aaron seguì in maniera impacciata la vecchietta fino a sotto il porticato di edera della locanda, dove erano sistemati alcuni tavolini con delle poltroncine e sedie, offrendosi di aiutarla ad accomodarsi. Il pomeriggio era tiepido e un vento leggero scuoteva le foglie delle piante di acero presenti nella piantagione.

«Sai, ti immaginavo esattamente così!» disse tutto a un tratto nonna Jo. Aaron non seppe cosa rispondere, appoggiò solo il casco su una delle sedie libere e si lasciò cadere sopra unʼaltra in modo pesante.

«Conoscevo tuo nonno, il generale, era un tipo molto... inquadrato, sì, lo definirei così. Meno male che conobbe tua nonna che mise un poʼ di pepe nella sua vita. Dopo la disgrazia avvenuta in guerra lui, però, la voleva lasciare... ma tua nonna era una donna tosta e aveva fatto un giuramento, soprattutto era innamorata persa di quel burbero di Alan» disse al ragazzo Josephine, come se ricordasse bene quei tempi ormai lontani.

«Lei sa di noi?» chiese quindi a bruciapelo Aaron non resistendo più.

«Oh certo che sì, caro mio. Io so tutto di mio nipote, per me è come un secondo figlio, sono stata io a consigliargli di venire qui a parlare con te, ma lui è cocciuto peggio di suo nonno e certe volte credo che sia anche un poʼ sciocco... Lʼho convinto a venire qui con la scusa del ritrovamento della targa...»

«Ma la targa è stata ritrovata veramente, e prima che Jason venisse in città» disse Aaron. La questione di quella fantomatica targa non gli era mai passata dalla mente. Eppure doveva entrarci qualcosa il fatto che Jason sapesse dove poteva essere stata rinvenuta, anche se sua nonna era arrivata, da Miami per giunta, solo dopo lʼaggressione del nipote, avvisata da Patty. Stava per aggiungere qualcosa quando a un tratto sentì una voce ben conosciuta chiedere: «Nonna, sei qui?», e vide Jason fermarsi al limitare del pergolato, osservando sua nonna seduta di fronte al suo ragazzo.

«Cookie!»

«Sunflower, io...» iniziò col dire Aaron alzandosi.

«Ragazzi, vado a prepararmi per la cena, spero proprio tu voglia rimanere con noi, Aaron. Nel caso avviso Kora che saremo uno in più al nostro tavolo.»

«Nonna, non credo proprio...»

«Grazie Signora Duvrè, accetto volentieri» rispose il biondo alzandosi per accompagnare la nonna di Jason fino alla porta e poi tornare a sedere.

«Ma Aaron, non è necessario, io...» si lamento Jason, ancora timoroso del fatto che il compagno non si fosse ancora dichiarato.

«Preferisci accomodarti o resti lì in piedi? Ti vorrei parlare prima di andare a cena con tua nonna.»

Jason sospirò ma fece come gli aveva chiesto il ragazzo accomodandosi di fronte a lui.

«Non hai paura che qualcuno lo possa scoprire?»

«Naaaa, le persone che contano lo sanno, in realtà solo Mark che lo ha sempre saputo, il resto si fotta!» esclamò Aaron, prendendo di scatto le mani del moretto, che erano nervosamente appoggiate sul tavolino.

Jason a quellʼaffermazione sgranò gli occhi e cercò di svicolare le mani dal calore di quelle di Aaron.

«Sanflower, mi dici cosa ti spaventa? Non è questo che hai sempre voluto?» gli chiese allora il biondo cercando il contatto visivo col compagno che nel frattempo aveva abbassato lo sguardo nervoso.

«Sì, certo... È che tu non sai tutta la verità... Io... Quello che mi ha aggredito in casa tua  era il mio ex capodirettore. Beh, ci flirtavo un poʼ in redazione, ma non sono mai andato oltre; lo sai mi piace essere al centro dellʼattenzione...» disse Jason tutto dʼun fiato. «Quando noi ci siamo lasciati ha pensato che fosse il momento giusto per provarci sul serio, ma io gli ho detto di no e lui ha insistito fisicamente. Lʼho bloccato in malo modo e gli ho detto che erano molestie e che lʼavrei detto allʼeditore e lui il giorno dopo mi ha fatto licenziare. Poi nonna mi ha convinto a venire qui con la scusa del ritrovamento della targa e credo che lui si sia spaventato pensando che ti volessi dire tutto e mi ha aggredito a casa tua.»

Il meccanico lo guardava sbalordito senza proferire parola, troppe informazioni.

«Scusa se non ti ho detto subito la verità, io... Mi vergognavo e avevo paura del tuo giudizio. Poi noi non ci parlavamo... Io, Cookie...»

A quel punto Aaron si alzò e si inginocchiò di fronte a Jason che ormai aveva le lacrime agli occhi. «Ehi, tesoro, non importa. Non ho intenzione di perderti, okay? Solo non mentirmi di nuovo. Io ti amo e non ho più paura, tutto si risolve. Se persino una targa perduta quasi un secolo fa è stata ritrovata, il resto cosa vuoi che sia.»


 

   
 
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