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Autore: ___Page    20/12/2020    1 recensioni
C'era un buco nel muro. E con il lockdown, nessuno sarebbe potuto andare a ripararlo.
«Beh che dire, ragazzi. Sarà un piacere condividere le feste con voi»
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*Questa fanfiction partecipa alla challenge "Christmas Lokcdown" indetta dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
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Starring: Izou, Koala, Ishley, Killer, Trafalgar Law, Penguin, Sabo.
Con la partecipazione di: Bepo e Lindbergh
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Izou, Koala, Penguin, Sabo, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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CANDLE

Giorno: 20 dicembre
Stanza: Bagno
Prompt: “Una candela di Natale è una bella cosa: non fa rumore ma dolcemente offre se stessa" [Eva Logue] / Euforia





 
14 dicembre 2020
venticinquesimo giorno di lockdown - terza ondata



 

Ishley e Sabo si erano incontrati per caso. Chi crede nel fato penserà che ci fosse il suo zampino. 
Ma in un racconto in cui il fato non può smentire o confermare si può soltanto dire che Ishley e Sabo si erano incontrati per caso. 
Lui era salito sul tram dalla porta giusta e lei aveva alzato gli occhi al momento giusto. Incastrato tra una sciarpa e un cappello il sorriso più dolce del mondo, due occhi enormi e profondi e lentiggini come cacao su una torta. L'aveva guardata lasciare il posto a un gioviale vecchino e quando Ishley si era girata verso di lui, per caso appunto o perché si era sentita osservata, i polmoni di Sabo avevano smesso per un attimo di funzionare e il sorriso di Ishley si era fatto più caldo, più dolce, più tutto, solo e apposta per lui. 
Non le aveva mai chiesto perché gli avesse sorriso così e mai, quando le cose erano precipitate, si era pentito tanto di qualcosa prima. 
Certo quando Ishley era scesa dal tram e lo aveva salutato agitando le dita, come una fata intenta a spargere polvere di stelle, dietro di sé aveva lasciato un messaggio nella condensa del finestrino, che filtrava le luci di Natale. 
Il suo numero di telefono e la scritta "Chiamami" e a Sabo era venuto il dubbio di aver capito il perché di quel sorriso. 
E anche di essersi innamorato. 
Si era lanciato sul vetro e aveva cancellato il numero dopo averlo salvato e poi l'aveva chiamata. Ovviamente Ishley aveva risposto, ovviamente si era fatta trovare, perché lei era così.
Si buttava testa avanti, rischiava, viveva e si faceva vivere. E Sabo l'aveva vissuta per undici idilliaci mesi.
Reclinò la testa all'indietro sul bordo della vasca, occhiando alle decorazioni che avevano trasformato il bagno. Nel giro di un paio di settimane, Izou era riuscito a penetrare fino a lì e le uniche stanze che ancora resistevano alla colonizzazione natalizia erano le loro camere da letto, una battaglia che Izou non aveva intenzione di perdere senza lottare, soprattutto se si trattava della stanza di Pen. 
Non era neanche così male e Sabo gradiva particolarmente le candele elettriche sul bordo largo della vasca. Dopo la pesante giornata di smartworking che aveva avuto, farsi un bagno caldo immerso nella penombra era un balsamo per l'anima. Se solo Sabo fosse riuscito a smettere di pensare e ripensare incessantemente alla stessa cosa forse sarebbe stato anche riposante. 
Avrebbe dovuto leggere o fare un cruciverba per provare a distrarsi ma Sabo sapeva già che non sarebbe servito a niente. Niente, all'infuori del lavoro, riusciva a distrarlo dal pensiero che Ishley era lì a pochi metri, vera, concreta, tangibile. 
Si erano scambiati appena pochi convenevoli e trattenuti sorrisi, là dove Sabo avrebbe voluto dirle che era pentito della scelta presa e che i quattordici mesi dopo la loro rottura erano stati i peggiori della sua vita e, dopo quindici giorni, cominciava a essere al limite. 
Forse, se l'avesse avuta lì in quel momento, non si sarebbe trattenuto più anche se Ishley non dava segni di aver vissuto altrettanto male la fine della loro storia o di pensare ancora a lui. 
E andava bene così. Se Sabo fosse riuscito a dirle cosa pensava e come si sentiva, se lo sarebbe fatto bastare. Non aveva mai preteso, in fondo, che lei lo aspettasse né ci aveva sperato. 
Girò appena il capo verso la porta. Non fosse stato così perso nei propri pensieri, così tanto da fare bastare un rumore anche impercettibile per risvegliarlo, non si sarebbe neanche accorto della porta che si apriva. Ma a Sabo venne il dubbio di non essersi affatto risvegliato ma di stare proprio  sognando in piena fase REM, quando vide Ishley scivolare attraverso la porta socchiusa. 
Silenziosa come un fiocco di neve, il maxi maglione a coprirle appena le cosce, gli occhi incantenati ai suoi. 
Sabo sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa. Avrebbe dovuto ma Ishley, senza fare alcun rumore, chiuse a chiave la porta, sfilò il maglione, lasciò cadere gli slip e si avvicinò sicura, fino a immergersi nell'acqua bollente di fronte a lui. 
Era così bella. I capelli tirati su in fretta e furia, il viso un po' imperlato di sudore per l'umidità del bagno, le labbra schiuse a raccogliere più ossigeno. 
Era così bella e gli si stava offrendo così dolcemente. 
La scarica lo attraversò micidiale quando le sue mani trovarono la pelle già bagnata di Ishley, che tremava come le fiammelle accese alle sue spalle. Ishley tremava e anche lui tremava, dentro, di un tremito che sapeva tanto di euforia e di una felicità che non si sarebbe azzardato ancora a provare. 
Ma non poteva più fermarsi ormai e Ishley non voleva che lo facesse. Si allungò su di lui, verso le sue labbra, cercando con il proprio corpo tutto il contatto che poteva.
Lo voleva. 
Da quindici interminabili giorni, Ishley lottava con la voglia di lui e, alla fine, si era arresa. 
Ne aveva bisogno. Aveva bisogno delle sue labbra sulla gola, della sua voce nelle orecchie, delle sue dita su di lei, dentro di lei, ad accenderla e farla bruciare senza mai consumarla. 
Come in quegli undici idilliaci mesi. Ishley non era mai stata più felice. E nei quattordici che erano seguiti, Ishley non era mai stata più malinconica e certa che le mancasse un pezzo. 
Avevano scelto insieme. Una scelta obbligata, certo, ma insieme. La promozione di Sabo era arrivata nel momento più sbagliato ma forse la cosa più sbagliata l'avevano fatta loro. 
Sabo sfilò le dita da lei e posò i palmi sui suoi fianchi, l'acqua calda non faceva che accentuare l'impressione che Ishley si stesse sciogliendo come cera tra le sue mani. 
Non ci credevano alle storie a distanza ma di distanza in quel momento non c'era neanche l'ombra. 
Sabo era lì, Ishley era lì. Così stretti e legati insieme dai gemiti sincronizzati che riempivano l'aria satura del bagno. La sola voce con cui potevano osare in quell'attimo rubato. 
Sabo era caldo, era solido. Era suo. Almeno in quel momento, Sabo era suo.
Con un gesto fluido come un'onda, Ishley alzò la mano a sfilare lo spillone incastrato nei ricci mori, che come rivoli d'acqua si srotolorano verso di lui, ad avvolgerlo con il loro profumo e il loro calore. A nasconderlo da occhi indiscreti, a tenerlo al sicuro. A farlo solo suo. 
I movimenti si fecero sempre più sconnessi ma a Sabo quella di Ishley su di lui sembrava una danza, che lo guidava. Come una fiamma che si agita nel buio e, anche se senza un senso, disegna il movimento più bello del mondo, rischiarando le tenebre. 
Ne voleva ancora. Ne voleva di più. Ne voleva sempre. 
Di Ishley, dei suoi baci, dei suoi ansiti, del suo calore. 
Avrebbe voluto dirglielo ma niente usciva dalla sua bocca che non fossero suoni sconnessi. Non riusciva a dire nemmeno il suo nome. Forse era la paura di spezzare l'incantesimo, forse ad avergli tolto la voce era proprio quell'incantesimo in cui voleva sprofondare ancora di più, come ancora di più stava sprofondando in lei. 
Avrebbe voluto dilatare l'attimo, non farlo finire mai ma Sabo non aveva più nessun controllo su di sé, sugli affondi del suo bacino che la cercavano, insaziabili come la sua lingua che non aveva ancora smesso di assaporarla nonostante mancasse il fiato a entrambi. 
Ishley si puntellò con le braccia al bordo della vasca mentre Sabo la stringeva con tutta la forza che aveva. Non voleva smettere, non voleva. 
Voleva sentire solo Ishley soffocare il piacere contro di lui, non anche se stesso. Ma Sabo non aveva più nessun controllo su di sé e anche senza voce, il corpo della meraviglia tra le sue braccia gli stava indicando la via e lui poteva solo seguirla. 
L'oblio lo avvolse un momento dopo di lei, mentre già Ishley si cominciava ad abbandonare a lui anche con il corpo e non più solo con la mente. 
Per troppo poco. 
Sabo fece appena in tempo a riprendere coscienza di sé, di dove si trovava, dell'acqua in cui erano immersi, delle candele sul bordo della vasca. Di Ishley sul suo petto e di quello che era appena accaduto. 
Fece appena in tempo a sollevare le mani per accarezzarla, ad aprire la bocca per chiamarla, che Ishley si sollevò con uno scroscio da lui. Uscì dalla vasca, infilò gli slip e il maglione e, fradicia e silenziosa, se ne andò com'era arrivata. 
Lasciandolo lì, interdetto e solo, con una manciata di candele elettriche a fargli compagnia. 
 
 
 
 
 
 

***





A Ishley era sembrato di essere tornata ai tempi della scuola e della squadra di atletica mentre attraversava il disimpegno che, dalla loro parte, portava al loro bagno. 
La pelle ancora umida e non solo di acqua, il maglione appiccicato addosso, fastidioso e pesante, come i pensieri che le affollavano la testa.
Sembrava impossibile che pochi istanti prima si fosse sentita leggera e libera come una goccia d'acqua. Le gocce d'acqua che ora grondavano dai suoi capelli e dal bordo del maglione, sulle sue gambe e giù sul pavimento, di leggero e libero non avevano niente. 
Aveva fatto un disastro e lasciato la scia ma fermarsi prima non sarebbe comunque stata una soluzione. Doveva arrivare al loro bagno per potersi asciugare e fare finta che non fosse successo assolutamente niente, da qualche parte dentro di sé davvero convinta che fosse possibile. 
D'altra parte, non sapeva neppure cosa le fosse preso, attraversare il buco per andare a cercarlo, né aveva messo in conto di trovarlo in quella situazione. 
Appogiò la fronte alla porta chiusa a doppia mandata, decisa ad almeno provare a dimenticare l'accaduto. 
«Sirenetta?» 
Ishley si girò di scatto, gli occhi grandi e il respiro affannato, verso Kira che la guardava nel riflesso dello specchio con il rasoio in mano. 
Ishley sapeva di non avere speranze. Fuori non pioveva e lei era fradicia e non vedeva come giustificare una condizione del genere senza dire la verità. Ma soprattutto, era inutile cercare di mentire a Kira che la conosceva come le proprie tasche e a cui era sicuramente bastata una sola occhiata nello specchio per sapere che qualcosa non andava. 
«Kira» la voce rauca non sembrava neanche la sua. «Ho fatto un casino» 
 
 
 
 
 
 
  
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