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Autore: Red Owl    20/12/2020    1 recensioni
Quando il suo convento viene saccheggiato, la giovane Neve, figlia dei Conti di Nevelunga, si ritrova nelle mani di briganti senza scrupoli. Quando scoprono la sua identità, i suoi rapitori decidono di chiedere un riscatto a suo fratello, l'attuale Conte, e di riconsegnarla alle sue amorevoli cure.
Falco e Neve non si vedono da più di dieci anni, ma la ragazza non ha dubbi: sarebbe meglio vivere da schiava, piuttosto che tornare da lui. Ma l'accordo è ormai fatto e Neve non vi si può sottrarre. E allora è forse giunto il momento di fare ciò che sua madre le ha raccomandato prima di scomparire per sempre dalla sua vita: smettere di avere paura e avviarsi lungo la Strada del Lupo già percorsa dai suoi antenati.
C'è solo un problema: Neve ha capito ormai da molti anni di essere tutt'altro tipo di animale.
Storia di un viaggio solitario (o forse no), prologo di un vecchio racconto che forse prima o poi pubblicherò, ma che può esistere benissimo anche da sola.
AVVERTIMENTI: contiene scene di violenza, sesso e dinamiche famigliari tutt'altro che idilliache.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Il materasso da campo che le avevano dato era vecchio e consunto, troppo sottile per proteggerla davvero dalle asperità del terreno sul quale si apprestava a distendersi. All’interno del convento le comodità erano state un lusso riservato a poche e Neve era ormai abituata a uno stile di vita spartano, ma quella era la prima volta che si trovava a dormire all’aperto e l’esperienza non era di suo gradimento.

Sistemandosi attorno alle spalle la coperta che Gert le aveva offerto, un manufatto di lana grezza e che tratteneva in sé l’acre odore del fumo, la giovane si tolse gli stivaletti per far riposare i piedi doloranti e si apprestò a passare una notte all’addiaccio. 

A meno di un paio di metri da lei, Lisi e Clara giacevano distese sui loro materassi: li avevano avvicinati fino a formare un unico giaciglio e si erano avvolte nelle coperte, abbracciandosi per trattenere il calore corporeo e per farsi coraggio. La giovane le osservò con una punta di invidia: le sarebbe piaciuto stringersi a loro, farsi confortare dalla loro vicinanza e dai loro corpi tiepidi, ma sapeva di non poterlo fare. Era ancora troppo turbata e temeva di non essere perfettamente in grado di mantenere il controllo su se stessa e sulla cosa che si agitava in lei.

Da quando si erano fermati per la notte e lei aveva avuto modo di riflettere sugli eventi della giornata, la creatura che viveva nel suo petto aveva preso a vibrare in preda a un tremito inquieto. Neve si sentiva insoddisfatta, nervosa, e fremeva per tornare da Yorik: avvertiva come il bisogno di affrontarlo o, se non altro, di capire da che parte stava e di accertarsi che non fosse un pericolo peggiore di quello della banda di farabutti che l’aveva portata via dal convento.

Da che parte vuoi che stia, si disse con una smorfia sarcastica mentre si sistemava meglio la coperta attorno alle spalle. Ovviamente sta dalla parte di questi disgraziati. Mikel lo pagherà profumatamente o, se non altro, gli darà vitto e alloggio: è più di quanto possa offrirgli io.

Ma era vero? Colpita da un pensiero improvviso, Neve si figurò a Nevelunga e si immaginò non più sola di fronte a Falco, ma in compagnia di quell’uomo dal volto cupo e dalle spalle larghe. Se fossero stati in due, forse sarebbero riusciti ad avere la meglio su Falco. Forse sarebbero riusciti a farlo ragionare; e allora lei avrebbe avuto qualcosa da dare a Yorik in cambio dei suoi servigi: una casa e del cibo, soldi e ricchezze e forse anche un pezzo di terra da lavorare.

La giovane lanciò un’occhiata di soppiatto alle sagome dei banditi accampati a una decina di metri da lei. Ora che il fuoco che li aveva riscaldati fino a poco tempo prima era stato spento per non attirare attenzioni indesiderate, gli uomini non erano altro che forme indistinte tra le ombre della notte e Neve sentì le proprie speranze sparire. Non essere stupida, si rimproverò. Si era forse scordata dei cavalieri che accompagnavano suo fratello, feroci quasi quanto lui? Se anche Yorik avesse deciso di aiutarla - e non l’avrebbe fatto, pensare il contrario era pura follia - non sarebbero comunque stati in grado di sopraffarli tutti. Era inutile perdere tempo con quelle illusioni: se voleva sperare di sopravvivere all’incontro con il Conte di Nevelunga, doveva trovare un modo realistico per prepararsi a esso.

È più facile a dirsi, che a farsi, si disse; e lo stomaco le si strinse in una morsa d’angoscia. Quando il suo petto vibrò come in risposta sotto la spinta di un ringhio silenzioso, Neve si costrinse a chiudere gli occhi e a espirare lentamente dal naso. Dormi, si disse. È notte; e a queste cose ci puoi pensare anche domani.

Prima che potesse sdraiarsi, però, un’ombra più piccola e più discreta delle altre le si avvicinò e si sistemò accanto a lei sul materasso. “Non ti sciogli la treccia per dormire?” le chiese sottovoce Ciela. I suoi grandi occhi neri parevano brillare sotto la flebile luce del primo quarto di luna.

Neve sbatté un paio di volte le palpebre, sorpresa dalla domanda dalla ragazzina e dalla sua stessa presenza. “No” ammise, stringendosi istintivamente la treccia nel pugno destro.

Dovresti” ribatté Ciela. “E dovresti anche spazzolarti i capelli: aiuta a rilassarsi.”

La giovane corrugò la fronte. Anche se in quel momento era troppo buio per scorgere i dettagli della pettinatura della ragazza, ricordava chiaramente che i suoi capelli erano raccolti in decine e decine di strane treccioline che le correvano lungo il cuoio capelluto e che scendevano poi a sfiorarle le spalle in corrispondenza con la nuca: non poteva dirlo con assoluta sicurezza, ma era abbastanza certa che Ciela non le disfasse ogni sera per poi ricomporle ogni giorno all’alba.

Non ce n’è bisogno” disse allora, sperando che tanto bastasse per allontanare la ragazzina. “Nemmeno tu ti pettini i capelli tutti i giorni.”

Cosa c’entra?” ribatté lei. “Io non sono una signora.”

Neve inarcò le sopracciglia. “E quindi?” insistette: non perché la conversazione fosse di suo interesse, ma perché era abituata ad avere l’ultima parola.

I denti bianchi di Ciela balenarono alla luce lunare. “Sono meno delicata di te. Ho bisogno di meno cure.”

La giovane bionda esalò con forza dal naso, dimenticandosi per un istante della presenza dei banditi che, ne era certa, stavano tendendo le orecchie per carpire qualche particolare di quella conversazione. Neve dubitava che la ragazzina le si fosse avvicinata di sua iniziativa. “Non sono delicata” le assicurò con lo spettro di una risata che le gorgogliava in gola.

Uhm” mormorò Ciela. Prima che Neve potesse rendersi conto di quello che stava facendo, la mano dell’altra ragazza si posò sulla sua treccia e la seguì fino a quando le sue dita piccole e già ruvide non le sfiorarono il punto in cui l’orecchio si univa alla curva della mascella.

I suoi polpastrelli premettero con più forza sulla sua pelle e Neve sussultò. “Non toccarmi!” ringhiò, stringendo in un pugno il polso sottile della ragazzina. La sua presa era probabilmente troppo salda, ma Ciela non dette segno di esserne infastidita.

E va bene” sospirò stringendosi nelle spalle. “Volevo solo fare una cosa gentile. Voglio essere una buona ancella, ma non so nemmeno da che parte iniziare!”

Neve la guardò con gli occhi ridotti a due fessure, ma era troppo buio perché lei potesse scorgere l’espressione della ragazzina. “Per essere una buona ancella devi fare una sola cosa” disse, cercando di assumere un tono sprezzante. “Devi ascoltare quello che ti dico e obbedirmi.”

Ciela rimase in silenzio per qualche istante. “Sei sicura che sia proprio così?” indagò poi.

Sì” tagliò corto la giovane, incapace di capire se nel tono della ragazzina ci fosse della malizia o meno. “E quello che voglio in questo momento è dormire. Da sola. Sono stanca e ho bisogno di riposarmi.”

Ciela sospirò teatralmente e si mise a carponi sul materasso. Solo in quel momento Neve si accorse che aveva in mano un pettine e si sentì un po’ in colpa per il trattamento brusco che aveva riservato all’altra ragazza. Forse aveva davvero intenzione di spazzolarle i capelli per aiutarla a rilassarsi: erano dieci anni che nessuno faceva per lei una cosa del genere.

D’accordo” gemette la ragazzina alzandosi in piedi. “Ti lascio dormire, allora.”

Bene” mormorò di rimando Neve, soffocando tra i denti il grazie che rischiò di sfuggirle di bocca: non aveva nessun motivo per ringraziare Ciela. Era femmina e giovane, ma non tanto giovane da non poter essere ritenuta responsabile delle proprie azioni. Sembrava perfettamente a proprio agio con quella gentaglia tra la quale era con ogni probabilità nata e cresciuta, il che la rendeva a tutti gli effetti una loro complice. Distrattamente Neve si chiese dove fosse sua madre, se fosse ancora viva e se avesse accettato a cuor leggero di mandare sua figlia dall’altra parte del regno, dove sarebbe stata alla mercè di un estraneo che si diceva essere più bestia che uomo.

Neve scrollò il capo come per allontanare quei pensieri e poi si rannicchiò sul materasso, cercando di frapporre fra sé e il freddo della notte l’esile barriera della coperta che le era stata consegnata. Quando riuscì a scivolare in un sonno agitato, si trovò però immersa in un sogno bizzarro. 

Era a Nevelunga e le sale del palazzo erano quelle immense conservate nei suoi ricordi infantili. Si trovava nella Stanza degli Arazzi, una delle sue preferite, e con la coda dell’occhio poteva vedere le scene di caccia e le rappresentazioni dei miti che tanto l’avevano affascinata quand’era bambina. In piedi davanti a lei c’era Falco e il suo volto le era al tempo stesso familiare e sconosciuto: era quello insanguinato del ragazzo che l’aveva guardata con gli occhi pieni di terrore, ma era anche quello del giovane signore che sedeva sullo scranno che era stato di suo padre. In esso c’erano anche dei tratti sconosciuti, che appartenevano ad altri volti: la mascella di quello stesso padre che Falco aveva ucciso, il sorriso di Mikel, l’ombra di altri uomini di cui Neve aveva ormai dimenticato il nome. E dietro di lui c’erano altre persone, gente la cui identità era celata da maschere di legno e osso: la ragazza le aveva già viste da qualche parte, ma non riusciva a ricordare dove.

Nel sogno, Neve si scopriva immobile, incapace di avanzare tanto quanto di retrocedere. Era Falco ad avvicinarsi a lei, ad allargare le braccia e dirle “Bentornata, sorella” con una voce che non era mai stata la sua. Nella mano stringeva qualcosa che sulle prime a Neve sembrava un coltello, ma che in realtà era qualcos'altro. 

Falco la stringeva a sé e le posava il capo sulla spalla e Neve si sentiva soffocare e allora cercava di urlare, ma le parole che le lasciavano la gola non erano parole umane. Ed era in quel momento che si accorgeva di non essere sola: sentiva dietro di sé un respiro caldo, odore di foresta e di terra asciutta, avvertiva delle dita sottili scivolarle lungo la schiena e su per il collo.

C’era qualcosa di grande e scuro che si muoveva ai margini del suo campo visivo e qualcosa di più piccolo che fluttuava alle sue spalle. Neve non poteva voltare la testa, ma sapeva che era Ciela, perché avvertiva le sue dita tra i capelli sciolti.

A un certo punto Falco sollevava la testa dalla sua spalla e incontrava gli occhi di Ciela e le diceva “Filo di lana”, il che non aveva davvero alcun senso. E allora la ragazzina si allontanava da Neve, sfilava le dita dai suoi capelli e tutto diventava nero e grigio: a quel punto Neve si svegliava di soprassalto, con il cuore che le martellava in gola e la sensazione di aver dimenticato qualcosa di importante.

Prima dell’arrivo dell’alba la ragazza fece per altre tre volte lo stesso sogno, con poche varianti: cambiava l’ambientazione, cambiavano un poco le maschere degli uomini, il volto di Falco sembrava più vecchio o più giovane, ma il resto rimaneva uguale.

Filo di lana” disse Neve quando si svegliò per la quarta volta, e quelle parole le procurarono un crampo doloroso alla bocca dello stomaco.

Come dici?” le chiese Gert, che si trovava a pochi passi da lei.

Neve sbatté più volte le palpebre e poi scrollò il capo, spaesata. “Niente” mormorò. “Era solo un sogno.”

Il bandito la guardò con un’espressione perplessa. “Forza, recupera le tue cose” le disse poi, indicando con un cenno del capo il materasso sul quale la giovane aveva dormito. “Tra poco partiamo.”

Mettendosi a sedere, la ragazza vide che Lisi e Clara si stavano già infilando le scarpe e si affrettò a imitarle; non perché desiderasse mettersi nuovamente in viaggio verso Nevelunga, ma perché sperava che l’attività fisica la aiutasse a scacciare il senso di malessere che il sogno le aveva lasciato addosso.

L’oppressione che le gravava sul petto però non scomparve e più tardi, mentre attraversavano un bosco di larici profumato di resina e legno, Gert dovette accorgersi del suo umore particolarmente cupo. “Cosa c’è?” le chiese, stringendole il costato con una mano come per sollecitarla a rispondergli.

Neve sollevò le spalle. “Ho dormito male” mormorò tra i denti. E comunque non ho motivo di essere di buon umore, aggiunse nella propria mente. Gert si era forse dimenticato che lei e le altre ragazze erano lì perché loro le avevano rapite e portate via dal convento? Quello non era un viaggio di piacere, e il sogno che si era ripetuto più e più volte durante la notte le aveva portato via la voglia di fare conversazione.

Yorik ha fatto qualcosa?”

La domanda era talmente inaspettata che Neve si riscosse un poco. “Come? No.” Non volontariamente, almeno, pensò ancora la ragazza. Il problema, almeno fino a quel momento, non era quello che Yorik faceva, ma quello che era.

Sicura?” insistette Gert.

Neve si contorse su dorso di Piuma finché non riuscì a guardare in faccia l’uomo che cavalcava alle sue spalle. “Perché me lo chiedi?” lo interrogò, improvvisamente sospettosa. “Ieri mi hai detto che non dovevo avere paura di lui e oggi insisti a chiedermi se ha fatto qualcosa: com’è questa storia?”

Gert lanciò un’occhiata verso il fondo della piccola carovana. A differenza di quello che aveva fatto la mattina precedente, Yorik non cavalcava a pochi metri di distanza da loro, ma si era attardato a parlare con Eitan e sua figlia. Anche quando si fu assicurato che l’altro uomo era fuori portata d’orecchio, Gert esitò a rispondere. “Non c’è nessuna storia” disse poi. “Ha un carattere difficile, è uno che parla poco e che ogni tanto dà anche brutte risposte, e tu mi sembri una che se la prende facilmente.”

Tutto qui?” replicò Neve, scettica.

Il bandito annuì con apparente decisione, ma Neve notò che evitò di incontrare i suoi occhi. “Quel ragazzo è con noi ormai da diversi anni e non mi risulta che abbia mai fatto cose strane. Però ieri sembrava che non avessi proprio voglia di cavalcare con lui e mi chiedevo se tra di voi fosse successo qualcosa.”

La ragazza sbuffò rumorosamente dal naso. “Sei consapevole del fatto che non l’avevo mai visto prima, vero?”

Davanti a quell’osservazione, gli occhi scuri dell’uomo incontrarono finalmente i suoi. “Certo. Però pensavo…”

Il bandito non terminò la frase e Neve aggrottò la fronte. “Cos’è che pensavi, esattamente?”

Gert le afferrò una spalla in una mano e la costrinse a girarsi nuovamente verso il senso di marcia. “Niente. Ho sentito dire cose strane sul conto di tuo fratello e immaginavo che pure tu avessi ereditato un po’ delle sue stranezze.”

Non era la prima volta che il brigante cercava di spingerla a rivelare qualcosa sul conto di Falco e Neve si morse le labbra per costringersi a non rispondere e a lasciare cadere il discorso: rimaneva convinta che quegli uomini sapessero più cose sul conto di suo fratello di quante non ne sapesse lei, e non capiva il motivo di quel loro continuo pungolarla.

Peccato non poterne approfittare per scoprire qualcosa di più sul conto di Yorik, però, pensò la giovane, tenendo gli occhi fissi sulle orecchie bianche di Piuma: se c’era qualcuno che poteva rivelarle qualcosa di interessante sul conto dell’altro bandito, quello era Gert. E forse Ciela, rifletté la ragazza. Loro sono gli unici con cui posso dire di avere un minimo di confidenza.

Tuttavia Neve non trovò il modo né il coraggio per intavolare quella discussione senza riportare la conversazione su se stessa e Falco, e così la giovane si rassegnò a viaggiare in silenzio per il secondo giorno di fila. Gli strascichi del sogno le rimasero addosso per l’intera giornata e quando, nel pomeriggio, Neve si trovò di nuovo in sella sul robusto cavallo di Yorik, il suo umore era poco meno che burrascoso.

L’uomo parve cogliere la tensione che le irrigidiva le membra ed evitò di rivolgerle la parola, comportandosi come se la giovane fosse un oggetto inanimato, un bagaglio da trasportare da un luogo a un altro: come già aveva fatto il giorno precedente, la sollevò in sella e la sistemò davanti a sé come preferiva; e le sue mani la maneggiavano senza alcuna delicatezza, serrandosi dolorosamente sulle sue braccia e attorno alla sua vita.

Il sole iniziava ad abbassarsi oltre la chioma degli alberi quando Mikel, che come di consueto guidava la piccola carovana, si fermò all’improvviso. Gert gli si avvicinò con un’espressione cauta disegnata sul volto e Neve sentì che Yorik si irrigidiva contro la sua schiena.

Con un gesto della mano, Mikel indicò ai suoi uomini di virare verso destra, inoltrandosi nella macchia di ontani che crescevano lungo le rive del torrente che stavano costeggiando da qualche ora. Quando si trovarono tra la protezione degli arbusti, l’uomo coprì con una mano la bocca di Lisi e indicò qualcosa con un cenno del capo. “Siamo rimasti per troppo tempo sulla riva orientale del fiume” mormorò con una voce bassa e tesa.

È la Via dei Laghi?” chiese sottovoce Eitan, che si era affrettato a raggiungere il suo comandante.

Aguzzando la vista, Neve si accorse che l’area grigiastra che aveva scorto tra la vegetazione alla sua sinistra e alla quale non aveva prestato attenzione non era un ghiaione come quelli che avevano più volte attraversato da quando si erano lasciati alle spalle la vallata di Forrascura, ma una strada abbastanza ampia da consentire il passaggio di due carri.

La Via dei Laghi! Comprese, mentre il cuore le balzava in gola. Era il primo segno di civiltà che incontrava da quando era stata portata via dal convento e nella sua mente presero immediatamente forma alcuni vaghi propositi. 

Quasi come se fosse in grado di leggerle nella mente, Yorik le afferrò più saldamente la vita e Neve si costrinse a rilassarsi contro il petto dell’uomo. Fa’ attenzione, adesso, si raccomandò la ragazza. La Via dei Laghi era una via commerciale di grande importanza che attraversava il regno da nord a sud: la giovane non sapeva con esattezza quali villaggi e quali città toccasse, ma sapeva che era molto trafficata. Se fosse riuscita a raggiungerla, non sarebbe stato difficile incrociare qualcuno a cui chiedere aiuto.

Stiamo andando a ovest, calcolò. Tra meno di due ore sarà buio e dovremo fermarci per la notte. Cercando di calmare i nervi, si apprestò a memorizzare quanto più possibile il percorso.

Vuoi davvero scappare? Si chiese, prendendo mentalmente nota della posizione di un masso brunastro. L’hanno vista tutti, la strada: questa notte saranno tutti sul chi va là. Si aspetteranno certamente un tentativo di fuga. 

Ed era vero, era innegabile, ma non era sufficiente per farle abbandonare la speranza di riacquistare la propria libertà. Non subito, se non altro: del resto, lei aveva un vantaggio sui propri carcerieri.

   
 
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