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Autore: Picci_picci    20/12/2020    4 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
.
"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Adrien pensò a come era potuto accadere. Come poteva esser tutto scivolato tra le sue mani così facilmente? Ora che era finalmente felice, ora che l’aveva trovata… se esisteva un Dio, gli voleva davvero così male?

“Adrien”, disse sommessamente Plagg, un tono così insolito e strano per un kwami allegro e spensierato come lui.

“Sto bene”, rispose lui seccamente mentre si sistemava il cappotto blu e camminava velocemente.

“Ma-”

“Voglio stare in pace, Plagg, va bene?!”

Si fermò spazientito, passandosi la mano tra i capelli. Fece un respiro profondo e provò a calmarsi; sbraitare contro Plagg non sarebbe servito a nulla, lui non c’entrava niente.

“Mi dispiace.”

L’esserino nero sbucò tra il cappotto e la camicia bianca, “io ci sono per te.”

Plagg si rintanò velocemente nella tasca e lui non capì il perchè, all'inizio.

Poi sentì il rumore dei tacchi sulle mattonelle.

Poteva essere chiunque, tutte in maison portavano i tacchi, era una regola non scritta di Gabriel.

Eppure lui sapeva che non era chiunque.

Si passò le mani sui jeans blu e voltò la testa.

Era Lei.

 

Parigi, 8:30 di mattina

 

Nella sua gonna svasata nera e camicia rosa shocking, Marinette fece il suo ingresso nell’ufficio di Monsieur.

“Sei di ritardo.”

“Bonjour, monsieur”, disse lei posandogli davanti un croissant appena sfornato e il nuovo numero di Vogue.

“Allora, vuoi dirmi perché sei di ritardo o no?”

Marinette pensò a cosa rispondere e alla fine optò per la verità, “mi sono svegliata tardi.”

Gabriel alzò un sopracciglio guardandola male.

“Mi dispiace, sono mortificata.”

“Mi sembra il minimo”, disse lui prendendo la rivista dove spiccava la foto di una Marinette sorridente.

Ancora in piedi, la ragazza dondolò sui suoi tacchi, “è incredibile che sia riuscito ad anticipare la pubblicazione del numero settimanale”, esclamò alludendo al giornale che aveva tra le mani il suo capo.

“L’ho anticipata solo di qualche giorno ed ha avuto un ottimo impatto sulla maison.”

“Ne sono lieta.”

“Visto che non abbiamo risolto ancora alla questione location e ormai mancano poche settimane alla sfilata. Tu ti sei fatta venire un’idea?”

Lei lo guardò dispiaciuta; odiava deludere monsieur, “no.”

“Fammi capire: sei arrivata di ritardo e non hai neppure un’idea?”

Lei scosse la testa non azzardandosi ad abbassare il capo, sennò si sarebbe arrabbiato ancora di più.

La porta si spalancò all'improvviso.

“Nessuno ti ha insegnato a bussare?”, disse Gabriel verso l’idiota che aveva osato interromperlo.

Quando però il suo sguardo lasciò la figura di Marinette, incontrò gli occhi verdi e sorridenti di suo figlio.

“Se non l’hai fatto tu, non vedo chi avrebbe dovuto farlo, papà.” 

Gabriel sospirò esausto, “pensavo di averlo fatto.”

Ma il suo commento venne ignorato bellamente, mentre Adrien si chinava per dare un bacio sulla guancia di Marinette, “di cosa parlavate?”, chiese poi togliendosi il cappotto blu.

“Ti sei messo i jeans?”, chiese invece il padre.

“Sì”, rispose il biondo incerto, “è un problema?”

“Non te li avevo visti più indossare dalla tua adolescenza.”

“Ho pensato che era arrivato il momento di cambiare”, poi si mise a sedere, “comunque, di che parlavate?”

“Di Marinette che è arrivata in ritardo e senza un’idea per la sfilata.”

“Mon amour, non dovresti fare tardi la sera con il tuo fidanzato.”

Lei in tutta risposta sgranò gli occhi e gli dette una manata sul braccio.

“Fuori dal mio ufficio.”

“Ma-”

“Niente ma. Fuori. Ora.”

Marinette annuì e uscì, sedendosi alla sua scrivania.

Poco dopo venne raggiunta anche da Adrien, “a quanto pare siamo tutti e due in punizione.”

“Per colpa tua che mi hai fatto fare tardi ieri sera.”

Lui rise e si sedette sulla sedia davanti alla sua scrivania, “sei tu quella che vuole tenere la relazione segreta. Non lamentarti delle conseguenze.”
“Io non mi sto lamentando delle conseguenze. Io mi sto lamentando di te”, disse piccata incrociando le braccia sulla scrivania.

“Che posso dire, mi mancavi.”

“Ti rendi conto che ci stiamo frequentando da nemmeno una settimana, vero?”

“I miei quattro giorni e tredici ore preferiti”, esclamò lui allungandosi sulla scrivania.

Marinette sorrise di riflesso, ma un colpo di tosse li fece tornare a posizioni più consone.

“Ve ne prego”, disse guardandoli Natalie, alzandosi gli occhiali da vista.

Marinette arrossì, mentre Adrien rise “va bene, Natalie.”

Poi si alzò aggiustandosi i polsini della camicia bianca, “sarà meglio che mi faccia perdonare dal mastino e inizi a lavorare.”

“Oh, perchè, lavori?”

Lui la guardò sorpreso e ridente, mentre si avvicinava a lei, “più di quanto tu pensi”, disse tirandole una ciocca di capelli che aveva lasciato sciolti.

Poi con passo sicuro si diresse verso la porta dell’ufficio di monsieur senza bussare.

“Mi dici cos’hai contro il battere la tua mano sulla porta?”

La porta fu chiusa e Marinette non riuscì più a sentire nulla.

Quando bussarono alla porta dell’ufficio, Natalie e Marinette si scambiarono un’occhiata: monsieur non aspettava nessun visitatore ed era semplicemente strano che qualcuno di non richiesto venisse in quella stanza.

“Avanti”, disse Natalie con il suo solito tono neutro.

La porta fu aperta lentamente, “scusate se vengo  a disturbare ai piani alti, ma dovevo assolutamente parlare con Marinette.”

Il ciuffo castano di Paul si girò nella direzione della ragazza, alzando vittorioso il nuovo numero di Vogue Magazine.

Gli occhi celesti brillavano dall’entusiasmo, “O. Mon. Dieu. Hai visto come sei venuta bene?”

“Sì, Paul”, disse lei imbarazza. Non doveva essere qui, non era mai successo che un dipendente venisse qui senza essere chiamato.

“Merito anche della gonna rosa di tulle che ti ho scovato.”

“Certo, Paul”, disse lei lanciando un’occhiata a natalie.

“E hai visto che la tua faccia tappezza tutta Parigi?”, continuò lui.

“Ovvio, Paul”, rispose lei sempre in trance.

“E questa camicia rosa sgargiante?”

“Sì, Paul.”

Lui sbattè la rivista sulla sua scrivania, “non mi stai ascoltando!”

“Cosa?”, lei saltò per aria, “no, cioè-“

“Non mi stavi ascoltando!”

Cavolo, aveva tirato fuori la parte isterica di Paul.

“No, ascolta”, disse alzandosi dalla scrivania e prendendolo per le spalle, “ne parliamo dopo-“

“Tu non mi stavi ascoltando!”

“Aspetta-“

“Non mi ascoltavi!”

“Hai ragione, hai ragione, okay? Non ti stavo ascoltando e mi dispiace, ma non dovresti stare qui. Ne parliamo dop-“

Uno schiarimento di voce attirò la sua attenzione, “che cosa succede qui? Dopo tutto questo, ora facciamo anche gli show, Marinette?”

La ragazza impallidì, “sono mortificata, monsieur. Paul stava andando.”

“Io..”

Marinette gli strinse forte le spalle, “stavi andando no?”

“Certamente. Buon lavoro.”

Quando Paul uscì, Marinette si preparò al cazziatone che però non arrivò.

Accanto a lui, infatti, c’era Natalie che con il tablet in una mano con l’altra offriva un caffè a monsieur. Il caffè lo calmava sempre.

“A lavoro, Marinette”, esclamò il boss una volta finito il caffè, “non ti pago per guardare il mobilio o me.”

E dopo questa massima, rientrò nel suo ufficio.

Marinette voltò la testa verso Natalie, “grazie”, disse veramente grata alla donna.

Lei scrollò le spalle, “non ho fatto niente e, almeno stavolta, non era colpa tua.”

Marinette fece un mezzo sorriso e si rimise a lavoro.

***

Marinette sospirò; quella giornata sembrava infinita. Paul si era arrabbiato con lei, ma dopo che gli aveva portato uno dei fantastici cappuccini con il caramello che tanto amava, l’aveva perdonata.

Monsieur le teneva ancora il broncio, o meglio una faccia di duro granito che era impossibile da scalfire, e Adrien non lo vedeva dalla mattina. 

Incredibile quanto si era abituata a lui nella sua vita, a come fosse diventato indispensabile per lei così velocemente. 

Se voleva che la loro storia funzionasse, avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori e smetterla di nascondersi agli occhi di tutti.

Quando arrivò la sua pausa caffè del pomeriggio, ringraziò il cielo e comunicò a Natalie che sarebbe scesa nella sala caffetteria della maison.

Era uno dei pochi posti che amava e in cui riusciva ad essere tranquilla. Al piano terra, dietro il pannello della scritta “AGRESTE” e dove si trovava il bancone della reception, si trovava una piccola sala dai vetri oscurati (per evitare i paparazzi) che era accessoria di ogni cosa per godersi una tranquilla pausa.

Appena arrivata, ringraziò ogni kwami che la sala fosse deserta e avviò la macchinetta del caffè. In un piattino mise tre macarons e con la tazzina alla mano si mise a sedere in uno dei bianchi tavolini.

Un bacio improvviso sulla guancia la sorprese.

“My lady”, disse sfiorandole il collo con la punta del naso.

Lei mugugnò soddisfatta, “è da tutto il giorno che non ti vedo.”

“Lo so”, disse lui lasciandole un bacio a stampo, “dovevo lavorare e far sbollire mio padre.”

“È ancora arrabbiato con me?“, Chiese Marinette preoccupata.

“Nah”, rispose lui allontanandosi da lei andando verso il frigorifero, “c’è qualcosa da mangiare? Con tutti quello che dovevo fare non ho mangiato.”

Lei si alzò, “lascia fare a me. Tu siediti e prenditi una pausa.”

Lui annuì e le lasciò il posto, mentre Marinette cercava di arrangiarsi con quello che trovava per fargli un panino.

“Ehy”, esclamò una voce dal taschino della camicia di Adrien, “io vorrei non morire di fame.”

“Quando mai”, esclamò Adrien prendendogli una fetta di camembert.

“Prendimi pure in giro, poi vedremo se continuerai quando ti dovrai trasformare per trovare la tua bella.”

“Va bene”, disse Marinette interrempondoli e posando davanti ad Adrien un piatto in ceramica bianca con il suo panino, “abbiamo capito, Plagg, hai ragione.”

“Oh, qualcuno di intelligente allora esiste!”, poi come se niente fosse, mangiò, o meglio divorò, la fetta di formaggio.

Marinette abbracciò da dietro Adrien, mentre lui, seduto al tavolino, poggiava il capo sul ventre di lei, “non dovresti incoraggiarlo, my lady.”

“Hai ragione”, sussurrò lei, “ma adesso abbiamo un po’ di tempo per noi e, per quanto mi diverta, non vorrei trascorrerlo a vedere te e il tuo kwami che litigate.”

“Più uno scambio di opinioni.”

lei sorrise alzando un sopracciglio, “chiamalo pure come vuoi.”

Poi si abbassò e lo baciò.

“Voglio dirlo.”

“Cosa?”, chiese lui prendendole una mano tra le sue.

Marinette ignorò i brividi e le scosse che il suo tocco le avevano appena causato e cercò di concentrarsi su ciò che voleva dire, “do nii.”

Adrien tirò fuori il ghigno, “riprovaci.”

Lei arrossì resasi conto che aveva sbagliato a parlare, di nuovo, come quando era al collegè.

“Volevo dire”, prese un respiro profondo, “di noi. Voglio dire che stiamo insieme.”

Gli occhi di lui brillarono, “davvero?”

Marinette annuì.

“Ne sei sicura?”, chiese Adrien alzandosi e prendendole il viso tra le mani, “lo vuoi davvero?”

“Sennò non te l'avrei chiesto.”

Lui sorrise e la baciò forte, “mi hai appena rallegrato la giornata.”

“Bene, perché lo dovrò dire a miei genitori e pensavo di farlo stasera.”

“Questa è la mia eroina dalla tuta rossa a pois.”

“Vieni a cena da noi?”

“Certo, chi si perderebbe la cucina di tuo padre?”

Plagg, dietro di lui, annuì, “concordo.”

“Ho il dubbio che tu stia con me solo per aver accesso alla pasticceria dei miei.”

Lui la prese per la vita e la attirò a sé, “fidati, è per ben altri motivi.”

Sulle sue labbra nacque un sorriso spontaneo, “lo spero”, disse prima di baciarlo.

***

Parigi, 18:30 di pomeriggio

 

Marinette finì di sistemare gli ultimi documenti e gli ultimi appunti per monsieur, pronta per tornare prima a casa e dare una mano a sua mamma per la cena con Adrien. In poco tempo era diventato un evento così importante per Sabine, che nemmeno se si fosse presentata la Regina Elisabetta II sarebbe stata così in ansia.

“Mademoiselle.”

“Sì, Natalie?”

“Devo uscire per un compito che mi ha affidato monsieur Agreste”, disse neutra mentre indossava il suo abituale cappotto, senza nessuna decorazione e senza nessun colore, solo nero e semplice come Natalie.

“Capisco.”

“Per favore, rimani in ufficio finché non verrà l’appuntamento per monsieur Agreste, poi sei libera di tornare a casa.”

“Certamente, nessun problema. Per che ore è fissato l’appuntamento?”

“Doveva essere già qui, in realtà.”

“Va bene.”

Natalie stava uscendo ma si fermò sulla porta, “non so se ti può interessare, ma monsieur Adrien è uscito qualche minuto fa per andare a comprare dei fiori.”

Lei sorrise e scosse la testa, ‘gli avevo detto che non ce n’era bisogno’, pensò.

“Grazie mille, Natalie.”

Quando rimase da sola nel suo ufficio, si prese un momento di pausa. Cavolo era così eccitata ed in ansia che non c’erano abbastanza parole per descriverlo! 

Stava con l’uomo che amava da una vita e tra poco lui avrebbe ufficialmente conosciuto i suoi genitori; le sembrava di vivere in un sogno, un sogno che finalmente si realizzava. Forse tutti quegli anni di sofferenza e dolore erano per portarci a questo, a questo lieto fine.

Non sentì bussare alla porta, ma sentì chiaramente la maniglia che si abbassava.

“Bonsoir”, esclamò Marinette alzandosi, ma se ne pentì poco dopo.

“Bonsoir, Dupain-Cheng.”

“Che ci fai qui, Chloe?”

Lei scosse il capo biondo, “ho un appuntamento con Gabriel Agreste”, incredibile come riuscisse a mantenere quel tono di superiorità in territorio nemico.

Marinette indicò l’agenda, “non ti dispiace se controllo.”

“Affatto”, rispose la bionda sistemando la borsa Louis Vuitton al suo braccio.

La mora aprì velocemente l’agenda di monsieur per scoprire che Chloè aveva ragione, lei era l’appuntamento delle 18:30.

“Bene”, continuò mantenendo un comportamento il più professionale possibile, “vado a dirgli che sei arrivata.”

Non riuscì a muovere le sue Louboutin nude che la voce di Chloè la fermò, “prima vorrei parlarti, se possibile.”

Ad enfatizzare di più ciò, appoggiò la borsa sulla sedia posta davanti alla scrivania di Marinette e si tolse il pellicciotto bianco che indossava.

Marinette giurò che odiò dover apprezzare l’outifit della bionda, ma chiunque avrebbe invidiato il tubino sportivo nero firmato Armani jeans abbinato a quel sandalo gioiello tacco quindici centimetri. I suoi piedi, che già stavano soffrendo per il suo tacco dieci, le fecero male un po’ di più al pensiero di stare tutto il giorno su un tacco quindici.

“Certo, dimmi tutto.”

Sinceramente? Non sapeva cosa aspettarsi visto che la sua ultima chiacchierata con la bionda non era stata proprio piacevole.

“Mentre scendevo ho incontrato Adrien, incredibile quanto riesca ad essere sempre più bello.”

“Possiamo sorvolare questi commenti?”

“Come ti dicevo, ho incontrato Adrien e mi ha raccontato un paio di cose e mi ha invitato ad un pranzo con la sua nuova ragazza.”

Non avrebbe mai sopportato un pranzo con Chloè, questo era sicuro, ma per Adrien avrebbe fatto questo e altro.

“E..?”

“Mi ha detto che la ragazza in questione sei tu. Tu, Marinette, sei la sua ragazza.”

“Quindi?”, chiese la mora incrociando le braccia sotto il seno in maniera difensiva, “Problemi? Sei ancora innamorata di lui?”

La bionda portò un piede in avanti in un modo aggraziato così da far brillare gli Swarovski sul sandalo, “non sono innamorata da Adrien da moltissimo tempo, forse non mi è mai realmente piaciuto un quel senso”, disse mettendo le braccia sui fianchi, “ma sono una sua amica, se non la sua migliore amica. E tu, dopo quello che mi hai chiest-“

“Avevi detto che non saresti tornata sull’argomento”, la interruppe Marinette, “hai impedito persino la sfilata di monsieur con questo ricatto.”

“Non mi interessa di una stupida sfilata, a me interessa Adrien.”

Marinette, seppur piena di rabbia verso Chloè e la sua chioma perfetta nella piega ondulata, rimase colpita di quanto la bionda tenesse ad Adrien. Certo in un modo quasi contorto lo dimostrava, però era impressionante.

“Voglio solo che stia bene e che sia felice.”

“Anche io”, disse Marinette per trovare un punto in comune.

“Ah, davvero”, esclamò sarcastica la bionda, “lo pensavi anche quando mi hai chiesto di convincerlo ad accettare il master a Londra?”

La morta si sentì presa in contropiede.

“Io-“

“Mi spiace dirtelo, Marinette Dupain-Cheng, ma in quel caso hai pensato solo a te stessa.”

La ragazza indietreggiò, “non capisci..”

“Fin troppo, hai mai pensato di non essere l’unica con una ferita di cuore? Ho accettato la tua proposta di mandare Adrien a Londra perché ho pensato che fosse la miglior cosa per lui e la sua miglior occasione, ma so anche quanto ha sofferto.”

“Non ha sofferto solo lui”, si sentì di dover precisare Marinette.

“Certo che no”, rispose Chloè ricomponendosi, “le tue occhiaie e il tuo sorriso triste non sono passate inosservate all'elite di Parigi. Ma è successo solo perché hai preso tu questa decisione.”

Marinette stava pensando a come troncare quel discorso, quando la porta lasciata metà aperta, cigolò.

Un Adrien alquanto confuso e con un mazzo di fiori ai suoi piedi, le stava guardando.

Marinette si sentì il cuore stringere in una morsa e lo stomaco si ribaltò sotto sopra; le veniva da vomitare. Possibile che lui avesse sentito?

Quando la guardò negli occhi ebbe la sua risposta e sentì le lacrime iniziare a formarsi.

“Non..non è vero, giusto?”, le domandò il biondo guardandola negli occhi, “quello che ha detto Chloè su Londra, quello che tu le hai chiesto di fare.. Dimmi che non è vero, Marinette.”

La stava supplicando con gli occhi verdi, la stava supplicando di dire che non era vero, che aveva sentito male e che si era sbagliato, ma lei non riusciva ad emettere alcun suono; non davanti ai suoi occhi che le ricordavano l’incontro che ebbe anni fa con Chat Noir sul suo balcone, aveva lo stesso sguardo triste e deluso.

Gli occhi verdi iniziarono a luccicare, “Marinette dì qualcosa!”, esclamò avvicinandosi di un passo, “dimmi qualsiasi cosa!”, gridò con rabbia.

“Io…”

Non riusciva a parlare.

Non poteva deluderlo.

Non voleva deluderlo.

“Io, cosa? Io, cosa, Mari!”

Non poteva mentirgli in faccia spudoratamente. Non lo aveva mai fatto e non avrebbe iniziato ora, non al suo Chaton.

“È...è vero”, rispose con voce tremante mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.

Lui la guardò con la bocca e con gli occhi spalancati, quasi incapace di poter credere alle sue orecchie. 

Sentì gli occhi di tutti puntati su di lei, ma le importavano solo degli occhi verdi che la stavano guardando con rabbia e delusione.

Poi quegli occhi sparirono, Adrien stava uscendo con passo di carica fuori dall’ufficio.

“Che fai qui?”, esclamò Chloè.

Marinette non le importò se si mostrava alla sua peggior nemica, che forse non lo era più così tanto, come un panda con il mascara colato e con gli occhi rossi dal pianto, e si voltò per affrontarla, ma incontrò un paio di occhi grigi.

Monsieur. Alias, Gabriel Agreste.

“La signorina Chloè ha ragione”, e con un cenno indicò la porta.

Non se lo fece ripetere due volte e, incurante dei tacchi a spillo di dieci centimetri, iniziò a correre verso l’amore della sua vita.



Angolo autrice
Lo so, sono pessima: è quasi Natale e dovremmo essere tutti più buoni e io vi pubblico questo. MA, ma, era giunto il momento e non potevo più rimandarlo; per questo ci ho messo più del necessario a scriverlo, a corrggerlo e pubblicarlo, mi sento orribile a rovinare questi due che finalmente si erano messi insieme.
Bene, come sempre ringrazio tutti voi e concludo questo triste capitolo con un motto parigino che praticamente riassume il tutto: C'est la vie.
Un bacio,
Cassie


p.s: chiedo venia se ho commesso qualche errore di scrittura o battitura, ma ho cercato di fare i salti mortali per poterlo pubblicare entre il weekend.
   
 
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