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Autore: Slytherin_Divergent    21/12/2020    1 recensioni
Kenjirou non ha mai visto un essere umano. È convinto del fatto che siano creature mostruose e senza scupoli, pronte a sacrificare tutto per dei pezzi di carta e di metallo.
Eita non ha mai visto una sirena. È sempre stato affascinato dalle leggende e ha passato tutta la vita a sognare di volerne incontrare una.
Kenjirou si rende conto del fatto che la sua vita cambia radicalmente quando viene catturato dagli umani durante una tempesta. Mentre si trova sulla nave dove viene tenuto prigioniero non riesce a pensare ad altro che al fatto che sta per morire. Eita, invece, disperso durante la tempesta, non vede l'ora di potergli parlare.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eita Semi, Kenjiro Shirabu, Shiratorizawa
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Eita si svegliò imbavagliato e legato ad un palo, le braccia doloranti per la posizione scomoda. Socchiuse gli occhi e corrucciò le sopracciglia ancora stordito, per poi accasciare la testa sull'altra spalla. Sentì il colo scricchiolare e mugugnò di dolore, decidendosi finalmente ad aprire completamente gli occhi. Ci mise qualche secondo a capire in che situazione si trovava e quando finalmente realizzò di essere legato ad un pilastro di legno in una stiva – e che stiva, con il legno tirato a lucido e le cose disposte in un ordine millimetrico – e di essere imbavagliato iniziò a dare di matto. Mugugnò spaventato e strattonò inutilmente le corde, cercando il sostegno delle persone attorno a sé. Goshiki e Yuu erano nella sua stessa situazione e ancora svenuti, mentre Yuushou teneva la testa a ciondoloni e lo sguardo fisso nel vuoto, pareva quasi che lo avessero stordito con chissà quale sostanza o gli avessero arrecato chissà quale trauma o shock. Reon e Jin non si vedevano da nessuna parte e la stragrande maggioranza del resto dell'equipaggio era rinchiusa dentro a due celle, imbavagliati e con i polsi tirati in alto e stretti alle sbarre di ferro con delle corde. Satori era seduto di fronte ad Eita e aveva i polsi stretti in alto, le caviglie serrate tra loro e il busto fissato alla colonna. Quando alzò il viso fin'ora nascosto dalle ciocche fradice, incuriosito dai mugugni di Eita, il biondo rabbrividì nel vedere il naso sanguinante, il bavaglio macchiato di sangue e le profonde occhiaie alla base dello sguardo stanco.
Qualcuno batté il piede per terra per attirare l'attenzione di Semi e quello si voltò verso sinistra. Taichi era su una sedia, le caviglie legate ai piedi di legno e le braccia bloccate rigide lungo i fianchi e tenute ferme dai polsi all'altezza del sedile. Anche lui aveva un bavaglio e una guancia sanguinante. Sembrava che qualcuno ci avesse infilato dentro un coltello.
La porta venne spalancata di colpo e sia Satori che Taichi abbassarono la testa, chiudendo gli occhi. Per un attimo semi pensò che fossero svenuti e forse era proprio quella l'impressione che volevano dare, perché quando Shigeru fece il suo ingresso in quella stiva tirata a lucido con Kentarou al seguito che si trascinava dietro Hayato nessuno dei due pirati si preoccupò di loro. Mentre il biondo legava ad una colonna il loro compagno stordito, Yahaba concentrò tutta la sua attenzione su Eita che ai suoi occhi sembrava essere l'unico ancora cosciente – e soprattutto l'ultimo dell'equipaggio nemico che ancora non avevano provato a far cantare, se si escludevano Yuu e Tsutomu ancora incoscienti, ma Shigeru era sicuro del fatto che sarebbero stati piuttosto inutili.
«Kyotani...» Kentarou si voltò verso il compagno, lo sguardo ancora fisso su Semi. «Cambio di programma. Lasciamo perdere il rosso, tanto in quelle condizioni non aprirà bocca. Portiamo su questo qui.»
Il sopracciglio di Kyotani scattò verso l'alto, così come quello di Eita. «Ma Iwaizumi ha detto-»
«Lo so cos'ha detto Iwaizumi!» sbottò Shigeru. Aveva già abbastanza problemi a cui pensare anche senza star a sentire le lamentele di Kentarou. Il biondo non rispose e si limitò a slegare i polsi di Eita dal palo. Lo strattonò in piedi e lo trascinò fuori dalla stanza, diretti verso lo stanzino al piano di sopra dove si trovavano Takahiro ed Issei.

Reon era accasciato in un angolo della stanza già da un po'. Avevano provato a farlo parlare per primo, ma lui aveva serrato la bocca e non un lamento di dolore aveva lasciato le sue labbra. Tooru era arrivato alla conclusione del fatto che lui non avrebbe parlato, quindi tanto valeva provare con gli altri. Jin sapeva che mentre gli cacciavano il bambù sotto le unghie al piano di sotto stavano provando a far parlare anche i suoi compagni e non voleva che facessero loro del male, ma non voleva nemmeno tradire il loro capitano – presumibilmente morto.
Hajime gli afferrò i capelli e gli fece alzare la testa verso l'alto con un sospiro. «Senti, non mi piace torturare le persone, quindi vedi di parlare in fretta.»
Soekawa strinse i pugni. «Ma non ti sei fatto problemi a faro con Oohira, vero?» sputò acido. Notò con una certa soddisfazione che una delle palpebre di Iwaizumi ebbe un fremito involontario.
«Senti,» attaccò ancora Hajime, stringendo di più la presa sui capelli del capitano avversario e strappandogli un gemito di dolore soffocato. «O parli ora, o vi facciamo morire di fame.»
Hajime non era quel tipo di persona che si abbassava a minacciare di morte le persone sue prigioniere e non era nemmeno quel tipo di persona che per raggiungere uno scopo torturava gli altri e questo Jin lo sapeva molto bene, ma sapeva altrettanto bene che Tooru Oikawa aveva dichiarato guerra aperta a Wakatoshi un anno prima, dopo aver fatto il suo nome in tribunale, e poi c'era di mezzo la questione di Shirabu – a quanto aveva capito dai lamenti sconnessi del capitano nemico, aveva un conto in sospeso con le sirene.
«Torturami quanto vuoi, non ti dirò nulla!» sbottò Jin in un momento d'improvviso coraggio. Hajime sospirò sconsolato.
«Okay.» esclamò, per poi strattonarlo in ginocchio e mettergli la testa sotto l'acqua nella bacinella di legno. Jin non aveva mai avuto paura di affogare in tutta la sua vita e non aveva mai nemmeno avuto paura di morire ma lì, con la testa premuta verso il basso in una lenta e dolorosa tortura, sentì il panico salire e il suo primo pensiero quando sentì l'assenza dell'ossigeno fu non voglio. Scalciare si rivelò inutile da momento in cui caviglie e polsi erano legati tra loro e l'unica soluzione intelligente su quella di iniziare a contorcersi per sfuggire alla presa ferrea del vicecapitano della Seijoh.
Hajime lo lasciò andare solamente quando la porta della stanza venne aperta e ne entrò Yuutarou. Jin alzò di scatto la testa e prese una grossa boccata d'aria, accasciandosi di lato tremante e con gli occhi sgranati.
«Ha parlato.» esclamò Kindaichi, guardando fisso il suo senpai. «Quello che era nella rete ha parlato.»
Hajime si alzò e prima di andarsene si accertò di legare Soekawa ad una colonna e di imbavagliarlo. «È il tuo giorno fortunato.»
Tuttavia, mentre i due lasciavano la stanza, Jin non poté far a meno di pensare che no, quello era il peggior giorno di tutta la sua vita e non perché tutto il suo equipaggio era stato catturato e torturato, non perché aveva quasi rischiato di morire, ma perché lui aveva parlato. Eita Semi aveva parlato e li aveva traditi.

Eita non voleva veramente rivelare tutto e si era giurato che piuttosto che parlare si sarebbe tranciato la lingua con i denti. A detta sua, in realtà, per i primi minuti era stato piuttosto bravo nel mantenere quel giuramento.
Lo avevano legato ad una sedia in quello che sembrava un ufficio e gli avevano tolto il bavaglio. Avevano incominciato a fare domande, come "dov'è il vostro capitano?" oppure "come avete preso la sirena?", ma Semi non aveva spiccicato parola e aveva malamente mandato al diavolo i suoi avversari. Loro avevano quindi deciso di piantargli un coltello sottopelle e mentre la lama gli martoriava l'avambraccio ed Eita stringeva i denti per il dolore si ritrovò a pensare che tutto quello non era probabilmente nulla in confronto a ciò che avevano fatto a Yuushou, accasciato a terra sotto shock, oppure a Satori, con il viso gonfio di botte e gli occhi vitrei.
Vedendo che il coltello non funzionava avevano provato con il sale sulle ferite, poi a tirargli due pugno ben assestati sul naso e infine a gettargli il sale direttamente negli occhi. Nulla aveva smosso Semi, anche se ormai sentiva le guance consumate dalle lacrime di dolore che non era riuscito a trattenere mentre gli torcevano le braccia dietro la schiena o gli piantavano la lama bollente prima sulla ferita del coltello e poi gliela infilavano nella coscia.
La vera tortura, si era tristemente reso conto, era iniziata veramente quando Shigeru, in tutta la sua cattiveria, aveva sputato un: «La sirena gli ha salvato la vita, quindi devono essere molto legati. Proviamo a torturare lui invece che questo qui.»
Ad Eita non sarebbe dovuto importare di meno di tutto ciò che facevano a Shirabu – dopotutto era sicuro del fatto che sarebbe stato quello che avrebbero fatto lui dopo che lo avessero consegnato alla marina inglese – ma nel vederlo legato a terra mentre gli tagliuzzavano le pinne con un coltello osservando ammirati come dei piccoli fili dorati le ricucissero subito e mentre gli staccavano le scaglie rosate dalla schiena, facendo scendere lunghi rivoli di sangue dalla pelle secca e ipersensibile dalla mancanza d'acqua lo rese cieco e proprio mentre stavano per tranciare del tutto una delle due pinne più piccole, tenendo bloccati naso e bocca del castano steso a terra che si agitava convulsamente per l'assenza d'ossigeno, si ritrovò a gridare con tutto il fato che aveva: «È sparito!»
Takahiro mollò la presa sul viso di Kenjirou ed Issei appoggiò il coltello per terra. Shirabu si accasciò a terra tirando una lunga serie di respiri rantolanti, gli occhi socchiusi dalla stanchezza che era giunta insieme al dolore. Prima di essere portato lì lo avevano lasciato insieme al loro capitano e nessuno aveva potuto risparmiargli la lunga serie di insulti e pugni che Tooru gli aveva concesso. Doveva aver uno zigomo nero e gonfio e le labbra spaccate in più punti. Era certo del fatto che ad un certo punto il naso gli fosse preso a sanguinare ma ora sembrava aver smesso.
«Chi è sparito?» Takahiro si alzò e afferro la sedia libera, portandola di fronte ad Eita e sedendosi con tutta calma. Avevano fatto centro.
Eita si morse il labbro ma alla vista dell'altro ragazzo che sollevava nuovamente il pugnale si costrinse a continuare, provando un improvviso disgusto per se stesso. «Wakatoshi. È sparito. Non... Non sappiamo dove sia. Quando ce ne siamo andati dall'Inghilterra la marina inglese ci seguiva e lui è caduto in mare.»
Takahiro si alzò, rinfilando il pugnale nel fodero. «E l'amuleto che ci avete rubato dopo aver fatto quasi fuori i nostri? Quello che fine ha fatto?»
«Ce l'aveva lui. Non... Noi non abbiamo nulla di vostro.» mormorò Semi mentre un senso di nausea si impossessava di lui. Stava tradendo tutti i suoi compagni, gli stessi compagni che avevano subito torture fino allo sfinimento.
«E noi dovremmo credere a queste balle?» il rosato si sporse verso di lui. «Attento, Eita Semi, il tuo amico è ancora qui. Non ci vuole nulla a tagliargli la gola, di certo faremmo un favore ad Oikawa, ma non posso dire lo stesso di voi. Sembra valere molto per il vostro equipaggio, ma se dovesse arrivare morto alla marina inglese di certo nessuno vi concederebbe la grazia e finireste dritti al patibolo.»
Kenjirou avrebbe voluto prendere a pugni Eita, ma il fatto di essere sulla terra ferma e mezzo stordito glielo impedì. Sapeva che quell'umano mentiva, che tutti mentivano. Avrebbe di certo preferito che Eita stesse zitto e che Issei gli tagliasse la gola con quel maledetto pugnale con cui si era divertito a tagliuzzargli le pinne, ma Semi parlò e Kenjirou non poté far a meno di odiarlo in quel momento.
«È la verità.» Eita deglutì. «il nostro capitano ora è Jin, lo avete visto anche voi, e se avessimo avuto l'amuleto di certo non saremmo stati in mare diretti verso la marina inglese per tentare uno scambio con una sirena per la nostra libertà.»
«E della vostra sirena che mi dici?» domandò Takahiro, piegandosi verso Eita. Il biondo deglutì.
«Lo abbiamo trovato per caso durante la tempesta della settimana scorsa. Credo abbia sbattuto contro la nostra nave e lo abbiamo tirato su pensando fosse un naufrago.» Issei si voltò verso Kenjirou per chiedergli conferma, ma non ebbe bisogno di apri bocca. La smorfia di dolore e delusione che si era andata a formare sul volto del castano e gli occhi lucidi gli confermarono alla perfezione ogni cosa. Eita non aveva mentito.
Takahiro uscì dalla stanza e picchiettò due dita sulla spalla di Yuutarou. «Vai a chiamare Iwaizumi. Digli che quello nella rete ha parlato.»
Issei sorrise allegramente. «Sei stato molto gentile. Sarai stanco, dormi un po'. Buonanotte!»
Batté con forza una mano sul collo di Eita e prima che lui potesse ribattere qualcosa si ritrovò catapultato nell'incoscienza.

   
 
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