12.
Maledetti DVD. Maledetto Yamazu.
Maledetta quella puttana di C-18. Maledetto quel coglionazzo
matricolato di suo marito. Maledetti a due a due finché non arrivano a dispari, pensò, battendo
ripetutamente i pugni sul volante a ogni maledizione che gli veniva in mente.
Inoltre, a forza di stare seduto al freddo della casa, un leggero mal
di testa stava iniziando a fare la sua comparsa.
Si massaggiò l’attaccatura del naso con l’indice e il pollice,
chiudendo forte gli occhi.
- Calma – si disse – Calma. Respira, adesso. Respira.
–
Fece almeno cinque bei respiri profondi, a cui per buona misura ci aggiunse
un paio di mormorii gutturali con la bocca, esercizio insegnatogli da un
commilitone quand’era un giovane soldato di leva.
Una volta che fu rilassato abbastanza, aprì lo sportello e scese
dall’auto.
*****
- Amore? – chiamò, togliendosi il giubbotto – Sono a casa!
–
- Ciao tesoro – lo salutò Bulma dal salotto, dove lui la raggiunse. Stava apportando
le ultime correzioni a dei fogli, forse la bozza di un manoscritto.
- Hai fame? –
- No, non ho fame. Dov’è Trunks? Trunks! –
- E’ di là, in cucina… mi sta dando una mano perché Gilda non è venuta.
–
- Dov’è? Dov’è il mio cucciolo? – disse, andando verso la cucina.
Suo figlio era lì ai fornelli, che mescolava del sugo in una
casseruola. Vegeta riconobbe che il figlio aveva di nuovo indossato la sua
giacca da camera.
Gli andò dietro e lo prese dolcemente, abbracciandolo.
- Bello di papà! – esclamò, posandogli uno, due,
tre baci sulle guance.
- Ma… papà… che fai? – ridacchiò il ragazzo, mentre con la mano
destra cercava di non far gocciolare il sugo dal cucchiaio.
- Che succede? –
- Niente, che dovrebbe succedere? È normale quando un padre vuole bene
al proprio bambino. –
- Papà, ho diciotto anni. Non sono più un bambino. –
- Figlio mio, vedi – esordì Vegeta, tirando una sedia e
accomodandosi al tavolo – Io volevo dirti che so tutto di quello che hai
passato – poi alzò lo sguardo. Suo figlio stava in piedi, appoggiato con
una mano al mobile della cucina.
- So che hai avuto problemi con la droga. E so anche che stai con un
ragazzo. –
- Cosa…? Ma…? Chi… chi te l’ha detto? – Trunks
lo guardò, poi il suo sguardo si spostò verso la porta
laterale, dove si era affacciata Bulma, a braccia
incrociate.
- Nessuno. Non me l’ha detto mamma, come tu
forse avrai pensato. Lo sapevo già. –
- E come mai non hai mai detto nulla? -
Vegeta sospirò – Eh… perché osservavo e soffrivo in silenzio, per
non doverti caricare anche di quel peso. –
- Oh, papà – disse Trunks –
Sapere che tu mi accetti anche se ho avuto quel
problema, mi fa sentire meglio con me stesso, lo sai? –
- Certo che lo so, figlio mio. Tu sappi solo
che quando hai dei problemi, vieni anche da papà. Io ho fatto le mie
esperienze, posso consigliarti bene.
Trunks non disse nulla,
quindi Vegeta continuò.
- Vedi… anche questo fatto della droga… non è niente. Se papà la sera
si accende uno spinello, o se mamma e papà a Capodanno tirano un po’ di
cocaina… - si chinò sul tavolo turandosi una narice, mimando una sniffata -
…non è la fine del mondo! –
- Ma che stai dicendo?! – lo interruppe Bulma. In quel momento, suonò il campanello.
- Papà, tu non sai cosa dici – disse Trunks, andando verso la porta che comunicava con il
corridoio – La droga è una cosa pericolosissima. E
io col buco, ho visto gente morire. –
Quelle ultime parole risuonarono come un macigno in Vegeta, che rimase
fisso a osservare il figlio che andava ad aprire la porta, finché non si voltò
verso Bulma, che lo guardava a braccia incrociate,
con un’espressione di rimprovero dipinta sul volto.
- Che c’è? Non dovevo dirlo? –
- Eh no. Non dovevi dirlo proprio. –
- Buonasera – salutò una voce, che Vegeta riconobbe subito. Si
alzò, quindi andò verso il corridoio.
- Oh, ciao Goten, che piacere rivederti!
– disse, tendendogli la mano.
- Buonasera a lei – lo salutò
timidamente il ragazzo, stringendogli la mano.
- Papà, ma come fai a conoscerlo, scusa?
–
- Eh… già – si voltò verso Bulma,
sopraggiunta in quel momento - …come faccio a conoscerlo? –
- E io che ne so? – poi si rivolse a Goten – Come sta la mamma, Goten? –
- Sta bene, grazie. Sempre in casa ad aspettare papà. –
- Ah, bene, bene. –
- Mi cambio e usciamo subito – annunciò Trunks
– Se mi aspetti… -
- Sì, sì, tranquillo. Fai con calma. –
- Ah, non restate più a cena? – domandò Bulma.
- Penso di no, mamma – rispose Trunks
dalla sua stanza.
- Beh, bene. Siete giovani, dovrete divertirvi – disse Vegeta,
strizzando l’occhio all’amico di suo figlio, che arrossì violentemente.
- Amore, dai. Così lo fai arrossire. –
- Non si preoccupi, signora – rispose Goten – Grazie, comunque. –
Poco dopo, Trunks uscì dalla sua stanza con
una felpa e dei jeans al posto della tenuta casalinga.
- Be’, è stato un piacere conoscerti – disse Vegeta,
stringendogli di nuovo la mano – Torna presto a casa nostra, mi
raccomando. –
- Non mancherò. Arrivederla, dottor Vegeta. Dottoressa Bulma. –
- Divertitevi, mi raccomando – li salutò
lei, allontanandosi con il marito verso il salotto, chiudendo la porta.
Rimasti soli in corridoio, Goten guardò Trunks con sguardo di sorpresa e contemporaneamente alzò le
spalle, come a dirgli non ho capito bene cosa sia
successo.
Per tutta risposta, Trunks gli
si avvicinò chiudendo gli occhi e gli posò un tenero bacio sulle labbra.
- Ma… cosa stai facendo? – sussurrò Goten
– Non avevi detto che non avremmo mai dovuto
baciarci qui in casa tua…? –
- Sento di poterlo fare. Ho la sensazione che da stasera, le cose
cambieranno. – rispose Trunks sorridendogli, e
poi lo baciò nuovamente, questa volta tenendogli
guance con le mani per impedire che si ritraesse.
Goten rispose al suo bacio,
quindi lo guardò negli occhi.
- Ti amo – disse, poi.
- Io di più – rispose Trunks,
allungando la mano a prendere il borsalino di suo padre appeso
all’attaccapanni.
Goten glielo prese dalla
mano e glielo calò dolcemente sulla testa, sistemandoglielo a mo’ di gangster.
- Mi piaci tantissimo con quel cappello, lo sai? –
- Lo so. Andiamo? –
- Andiamo. –
E uscirono diretti verso la loro serata, chiudendosi delicatamente la
porta alle spalle.
*****
Bulma tornò alla sua
scrivania, quindi Vegeta si sedette sulla sedia che c’era lì di fronte. Si
guardarono per un lungo istante, finché Vegeta non disse: - Senti, ma… come te
lo spieghi che Trunks si mette sempre i miei vestiti?
–
- Non l’hai ancora capito? –
Vegeta scosse la testa.
- Mancanza d’affetto. Sensazione di distanza. Si mette
i tuoi vestiti perché vuole sentirti vicino. Per lui è un modo di comunicare
con te. –
Fece per difendersi dicendo che suo figlio poteva parlare con lui
quando voleva, ma ci ripensò immediatamente.
- Capisco – disse soltanto. Poi aggiunse: - Mi dispiace per
prima. Cioè, del discorso sulla droga… Io non ne so niente, non sono preparato…
mi capisci? –
- Eccome, se ti capisco – disse sua moglie sospirando – Io
l’ho dovuto imparare a mie spese, quando nostro figlio ha cominciato. –
- Ma io te l’ho sempre detto…! Non farlo andare con quei ragazzini
della sua scuola, quelli erano tutti dei delinquenti! –
Bulma scosse la testa –
Trunks non ha scoperto la droga a causa dei ragazzini
della sua età. La prima dose gliel’ha fatta provare un
adulto. E quello sì che era un delinquente. –
- Come…? Di che stai parlando? –
Sua moglie lo guardò con un’espressione
stanca, a metà tra la sufficienza e la sconsolatezza – Devi sapere che
un’estate di cinque anni fa, tu lo mandasti in vacanza da un tuo amico, perché
non ti fidavi dei suoi amici. Cominciò tutto con qualche spinello, mentre la
moglie non c’era… poi la cosa si allargò, e quando nostro figlio tornò, era già
dipendente dall’eroina, e insieme ad altri due ragazzi della sua età aveva
iniziato a spacciare. –
Vegeta rimase in silenzio per un attimo – Ma… quale amico? Di chi
stai parlando? –
- Del tuo migliore amico – rispose solo Bulma,
guardandolo.
- Chi è, l’avvocato Junior? –
Per tutta risposta, Bulma annuì.
Vegeta allora strinse gli occhi, guardando fissa la moglie. Quindi
dalla fondina ascellare tirò fuori la pistola, tirando il carrello per armarla.
Quindi si alzò e andò verso la porta.
- No, con la pistola no…! Dai! Potrebbe partire un colpo…! –
- E deve partire un colpo! – urlò Vegeta con la mano sulla
maniglia – Io vado in clinica e gli sparo in
fronte, a quel grandissimo bastardo! -
- No, ti prego, no! –
- Lasciami, cazzo! –
- Non serve! Ho già fatto io! –
A quel punto, Vegeta si calmò. Chiuse la porta e sua moglie gli prese
di mano la pistola, dolcemente.
- L’ho già punito io – disse di nuovo lei, mentre lui la guardava
portarsi la pistola al seno e inserire la sicura – Una sera l’ho
aspettato fuori dal suo studio in macchina… ho ingranato la marcia… e CIAFF!
L’ho spiaccicato… poi ho fatto retromarcia e gli sono passata addosso una… due… tre! Cinque…! Otto volte! L’ho rotto
tutto… -
- Ma… Bulma…! Allora… allora sei tu il pirata
della strada! –
- Sì. Sono io. È stato lì che ho sfasciato la
206 – disse lei, allontanandosi verso la cucina, lasciando Vegeta con un
palmo di naso.
A quel punto, gli tornarono in mente le parole dell’avvocato: Tu
pensa, io ho riconosciuto il pirata della strada che mi ha ridotto così, ma non
lo voglio denunciare, e sai perché? Perché nessuno di noi… è veramente pulito.