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Autore: Soe Mame    23/12/2020    3 recensioni
Il momento arriverà.
Continua ad aspettare, continua ad aspettare che arrivi.
Continua a sperare, continua a sperare che arrivi.
[1649-1738: È bastato meno di un secolo per cambiare tante cose tra il Sud Italia e la Spagna.]
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Belgio, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Come stabilito dal Tratado de Rastatt, firmato in data Sette Marzo dell'anno corrente, il Reino de España cede all'Archiducado de Austria i territori dei Países Bajos Españoles, del Reino de Nápoles e del Reino de Cerdeña.»
Il mondo era finito in modo molto semplice.

1714

Spagna aveva perso. Il resto d'Europa era venuto ad infierire sul suo cadavere.
Savoia si era preso la sua Sicilia, solo un anno prima. Fare il voltafaccia conveniva, e lui ne stava diventando un artista. Inghilterra si era preso Gibilterra, sorella di Spagna, ora sua sottoposta. Portogallo gli aveva strappato Uruguay e Brasile, due delle sconosciute colonie che aveva nelle Americhe. Paesi Bassi, forse per pietà, più probabile per interessi più grandi, era stato l'unico a rimanere nazione e non trasformarsi in avvoltoio.
Poi erano arrivate le richieste di Sacro Romano Impero e Austria. Era vero, dunque, che il Sacro Romano Impero fosse una costante nelle disgrazie.
«La vostra partenza è prevista per la mattina di dopodomani. La vostra destinazione sarà Rastatt, nel Margraviate de Baden-Baden. Da quel momento, assumerete un altro nome.»
Era logico che non ci fosse alcuna emozione diversa dalla rabbia, nella voce del nuovo sovrano. Lui era solo un re che si vedeva strappare tutti i suoi domini in Europa, non aveva mai davvero parlato con quegli stessi domini.
La rabbia non era un'emozione solo negativa. In quei tredici anni, Spagna era sopravvissuto aggrappandovisi. Non che Lovino l'avesse visto granché - Rifiutava di farsi vedere, passava troppo tempo con Francia. Quando riusciva ad incontrarlo, gli diceva di essere stanco, e di non vederci bene. Poi andava in battaglia. Non c'era nessun sovrano a cui appellarsi per farlo smettere, solo gente che pretendeva una grossa sedia, generali e soldati che parlavano spagnolo ma non era detto fossero dalla loro parte.
Spagna veniva dilaniato da mani bramose di una corona, lui veniva spaccato dall'interno dalla sua stessa terra. Lui voleva fare qualcosa, Spagna lo evitava.
Non era un idiota. Lovino, non Antonio. Antonio era un idiota. Lovino l'aveva capito che il bastardo non volesse farsi vedere in quello stato. Non quello di un moribondo, ma quello di qualcuno che non aveva più il controllo di sé. E lui era rimasto lì, in una Madrid caotica, rumorosa in modo negativo, dove la gente andava e veniva, li ignorava, li nascondeva, li costringeva ad andare nel Palazzo Reale, li faceva tornare - li trattava come gli oggetti che, per loro, erano.
Il suo unico ruolo, in quei tredici anni, era racchiuso in quella frase: la portata principale del banchetto funebre indetto dal precedente marito del defunto. Savoia era stato un maleducato, e ne aveva piluccato un po' prima del dovuto.
Era perfettamente conscio del fatto che, per chiunque ci fosse ora nella classe politica, il colpo più duro era stata la perdita dei Paesi Bassi spagnoli. Ma, proprio perché era inutile, strappargli anche il Sud Italia era stato un gesto di puro sfregio. Interessante che a farlo fosse stato proprio Austria. Dovevano davvero odiarsi, gli sposi.
«Lovi.» Manon gli prese le mani. La preoccupazione nella sua voce e nel suo volto erano solo per lui, e gliene fu grato - Gli sguardi che poco prima si erano scambiati lei e Lucilin non avevano nulla di triste. «Andrà tutto bene.» Era una frase fatta e poco adatta al momento, ma Lovino apprezzò l'interesse.
Erano tornati nel loro palazzo in periferia. Lui non aveva detto una sola parola.
«Non vedo perché non debba.» Tolse le mani dalle sue. «So che non ti è successo spesso, ma è una cosa naturale. Prima appartieni ad uno, poi appartieni ad un altro. È la vita delle nazioni.» E lui aveva avuto pure la faccia tosta di credere che non sarebbe più successo.
«Non-»
«Dobbiamo fare i bagagli.» le ricordò: «Partiremo la mattina presto.»
Belgio non rispose. Romano le fu grato anche di questo. Senza dire altro, andò nella sua camera. Doveva fare i bagagli, era vero. Non voleva ridursi a farli la sera prima, ché poi finiva con lo scordarsi le cose più stupide. Anche se forse non avrebbe avuto troppe cose da portare via, viste quante ne avevano vendute - Ad un certo punto, il rivendere vestiti e oggetti non era più stato una scelta.
Gli sarebbe un po' mancata, la sua stanza. Non era stato centocinquantacinque anni in un'unica camera, era un modo di dire. Forse gli sarebbero mancati gli esterni. Ecco, gli esterni. Quelli gli sarebbero mancati. Il Sacro Romano Impero faceva schifo anche perché faceva freddo. Aveva anche sentito che cucinavano male e senza pomodori. Di certo erano antipatici.
Si ricominciava ad essere passati di mano in mano, ad essere guardati con disprezzo e derisione, a cercare di essere educati secondo l'idea di educazione dell'impero di turno. Come aveva fatto a dimenticarselo? Tutta quell'atmosfera di morte era stata davvero distraente.
Per prima cosa, doveva svuotare gli armadi. Sì, era un buon piano. E avrebbe messo tutto il contenuto sul letto - i vestiti - e sul pavimento - gli oggetti. E poi si sarebbe fatto un'idea di quanti bauli servissero. Avrebbe dovuto richiederli, perché lui ne aveva solo due. Gli altri li aveva rivenduti. Sperò non gli chiedessero di rivendere la roba che non entrava nei suoi due bauli - Anche perché, se l'avesse lasciata lì, di certo non sarebbe rimasta nel palazzo, quindi tanto valeva. Dato il rischio, doveva aver ben chiare le sue priorità. Ci pensò. Avrebbe potuto lasciare tutto, in realtà. Non è che gli servisse, quella roba. In Austria doveva fare freddo.
La porta sbattè. Una presa su una spalla, e poi il freddo del muro contro la schiena. Delle braccia che conosceva bene, e una bocca che dopo più di cinquant'anni era ancora convinta che sbranare la compagna fosse piacevole. Dovevano essere state le sue reazioni a farglielo credere. Non poteva accusarla in alcun modo. Non quando non era in torto.
Strano a dirsi, c'era anche un bastardo. Un bastardo che, in centocinquantacinque anni, non era mai riuscito nel suo palese intento di divelgere una porta che fosse una, e che era sparito per così tanto tempo che Romano avrebbe voluto riaccoglierlo spezzandogli un osso a scelta. Non potendo farlo, gli tirò i capelli e, prima che potesse scostarsi, lo ricatturò in quel bacio. Se fosse soffocato, pazienza. Voleva dire che era troppo stupido per ricordarsi che si respirava anche e soprattutto dal naso. Antonio, non lui. Lui se lo ricordava. Anche se poteva non sembrare.
Lo lasciò fare, quando sentì le mani sui bottoni dei suoi vestiti. Lui fece altrettanto. Appena ci fu un momento per respirare, alla distanza di un soffio, l'idiota disse solo due parole. Ma doveva avere qualche problema alla memoria, perché le disse tante volte, tra labbra e denti, approfittando anche dei sospiri.
«Continua a dirlo.»
Aveva realizzato come il mondo fosse finito. Voleva marchiare a fuoco quelle parole nella sua mente, per portarle con sé nel prossimo mondo. A volte, il cretino sapeva rendersi utile. Nessuno gli aveva mai dato qualcosa che non dovesse trasportare in un baule.

«Quindi rimarrai qui.»
«Sì.»
«Sarà un ministro o Francia a portarci da Austria?»
«Francis.» Vista l'altra fazione, una risposta tanto sgradevole diventava quasi accettabile.
«Scoppio di aspettativa.»
Avevano chiuso la porta a chiave. Lovino ci aveva anche messo una sedia davanti. Quanto alla cena, probabilmente sarebbero scesi a rubare qualcosa nelle cucine, a tarda notte. Era già capitato, qualche volta.
«Il nuovo sovrano è di discendenza francese. Deve fidarsi più della sua vecchia nazione che di quella nuova.»
«Avrei preferito non ricordarmelo.»
«Lo siento.» Sarebbe bastato questo. Non c'era bisogno di baciare le finte cicatrici sulla sua schiena. Dato che il profilo dello stivale non era di piccole dimensioni, ci sarebbe voluto un po' a seguire tutta la linea. Magnanimamente, Lovino lo lasciò fare.
«Adesso dovrò pensare di essere i Domini Austriaci nel Sud Italia.» Scosse la testa. «Fa più schifo del nome che mi hai rifilato tu.»
«Vero. È orribile.» Sentì una mano accarezzargli la gamba. Poi il metallo ormai caldo della croce contro la schiena, e la voce di Spagna all'orecchio. «Rodrigo non ti farà incontrare Felì. Sappilo.»
«Oh. Giusto. Feliciano.» Non ci aveva pensato. Davvero, non ci aveva pensato. Non doveva essere cattiveria o menefreghismo: era rassegnato ancor prima che Antonio glielo dicesse. «Sarebbe stato troppo buono, da parte sua.» Accennò un sorriso, ma era piuttosto sicuro sembrasse più un ghigno. «Ti saresti consolato del fatto che, almeno, mi sarei riunito a mio fratello.»
«Sei davvero perspicace, Lovi.»
«Sì, lo sono. Ma in questo caso non c'entra. È ovvio che mi stia usando per farti più male possibile.» Gettò indietro la testa e posò la nuca sulla sua spalla. «Che cazzo gli hai fatto, per renderlo così stronzo? Ho capito che sei il suo precedente marito, ma tutto questo astio è quasi difficile da credere.»
«Ho palesemente cercato di spezzare gli equilibri europei, a sentire lui.» Quasi stava ridendo. «Non gli piaceva l'idea di un sovrano francese a casa mia, e hanno deciso che un impero in meno sarebbe stato meglio per tutti.»
«Questo è vero.» si affrettò a dire Lovino: «Ma io avrei scelto Sacro Romano Impero. Voglio dire, è così ingombrante, e poi chi cazzo gli ha dato il permesso di rubare il nome di mio nonno? E ha pure la faccia di culo di corteggiare Feliciano!»
Quella funesta notizia gli era giunta proprio per voce di Spagna. A Spagna l'aveva detto Francia, a cui l'aveva detto Prussia, che aveva sentito Ungheria parlarne con Austria. Assistere ad uno spettacolo del genere doveva essere stato davvero ributtante, povera Ungheria, era comprensibile fosse traumatizzata.
«Sono stati davvero crudeli.» Spagna annuì. «Ma non durerà per molto.»
Romano si mise seduto, senza distogliere lo sguardo da lui. L'aveva detto in modo allegro, ma c'era un sottinteso strano. «Ohi.»
«Sì, Lovi?»
«... Non fare cose strane.» Non sapeva neanche lui cosa dire. «Sei sopravvissuto per miracolo. Vedi di stare buono per un po'.»
«Promesso!» Un gran sorriso, uno che sarebbe sembrato dei suoi soliti, ma che continuava ad avere qualcosa di sbagliato. «Tu, invece, promettimi che non avrai paura.»
«Paura?» Romano inarcò un sopracciglio. «Guarda che non è la prima volta che cambio capo.»
«Infatti, Lovi.» Continuava a sorridere. «Non è un addio.»
«Guarda che lo so.» Portò le ginocchia al petto e vi posò la guancia. «Tuttavia temo che, se Austria ti vedesse nei miei territori, potrebbe non prenderla bene.»
«Temo che, al momento, Austria non prenderebbe bene neppure il vedermi.» Si sedette anche lui. «Ma lo sai, le cose cambiano in fretta. Era mio alleato, fino ad una decina di anni fa, e guarda ora!»
«È una delle cose che più mi disgusta di voi imperi.»
«Quindi, Lovi...» Lo trasse a sè, e Romano dovette sciogliere la posizione in cui si trovava. Almeno Antonio non era scomodo. «Fai il bravo e non avere paura! Ci reincontreremo presto!»
«Ma chi cazzo ha paura, brutto coglione.» Lo cinse in un abbraccio forse un po' troppo serrato. Non aveva paura. Era solo rassegnato. E poteva aggiungere al suo lungo elenco di motivi per odiare il prossimo anche l'essere usato per fare del male a qualcun altro. Però non aveva paura. Non aveva paura di Austria. «Giurami che non farai nulla di strano.»
«Lo juro, se è questo che vuoi.»
Sentiva le sue dita percorrere il profilo delle finte cicatrici sulla schiena.
«Lo sai. Io voglio che tu sia felice.»
Romano non disse nulla. Avrebbe potuto fargli giurare qualcosa di molto specifico. E una parte di lui urlava di parlare, di quasi ordinargli di giurare. Ma un'altra parte, più forte, gli aveva tolto la voce per impedirgli di dire qualsiasi cosa.
Non aveva paura di Austria. Non aveva paura.
Lo odiava. Così come odiava tutti.
Non poteva dar voce ai suoi pensieri. Spagna li avrebbe interpretati in un unico modo - quello corretto. E non poteva permetterlo.
Oltre alla sua terra, ora era anche la sua mente a spaccarlo a metà. Quindi non disse nulla. Gli aveva chiesto di non fare niente di strano, andava già bene così. Se avesse aperto bocca, avrebbe detto le cose più sbagliate che avrebbe mai potuto dire.

Quel giorno incastrato tra la notizia della partenza e la partenza effettiva fu pieno in modo quasi ridicolo. Riempire i bauli - Antonio si era premurato di fargliene avere quanti ne servissero -, riempire scartoffie, riempire la testa di frasi semplici allungate a dismisura con giri di parole forbite, riempire altre scartoffie, partecipare ad una noiosissima riunione con il re e i ministri, riempire ancora scartoffie-
«E che cazzo, ma perché minchia devo firmare tutta 'sta roba?»
«Lo sai...» aveva risposto Manon, con un sorriso tiratissimo: «Sono coinvolte più nazioni, ciascuna deve avere una sua copia nella propria lingua e una in latino, arrivano in momenti diversi e-»
«Solo ora avrò firmato trenta fogli, quante cazzo di nazioni ci sono?»
«Ehm, il Sacro Romano Impero...»
«...»
Era stata una giornata orribile. Sperava davvero che venisse cancellata dalla sua mente.
La sua camera era stata svuotata, quindi quella sera andò a dormire dal bastardo.
Non dovevano dirsi addio. Non c'era nulla che non si fossero già detti. Anche se Lovino riuscì ad addormentarsi solo quando il bastardo lo accolse nella sua metà di letto. Strano. Avrebbe giurato, stanco com'era, che sarebbe crollato appena raggiunta la posizione orizzontale. Doveva essere difettoso, quel letto.

Il giustacuore di broccato era bianco, riccamente decorato con ghirigori rossi - Di certo avevano un significato, ma a lui sembravano solo riccioli intrecciati a caso. I pantaloni al ginocchio erano rossi, in perfetta accoppiata con la giacca lunga fino alle caviglie. Sembrava stesse andando di moda stringere la giacca sui fianchi in modo da arrotondarla, ma Lovino aveva preteso una giacca da uomo e non da fiorellino dei campi, per quanto il pizzo del colletto avrebbe potuto far pensare il contrario - ma necessitava di un abito a collo alto, quei segni voleva vederli solo lui. A completare il tutto, calze bianche e scarpe nere dalla punta arrotondata, fibbia quadrata e leggero tacco.
L'immagine nello specchio era soddisfacente. Non vedeva tanto lusso da decenni. Non aveva il coraggio di chiedere quanto Antonio avesse sborsato per quei due vestiti - perché ce n'era un altro, praticamente identico, che avrebbe dovuto indossare a Rastatt. Secondo l'idiota, era simbolico. Secondo lui, era un coglione.
«Si sentiranno lusingati, nel vedermi arrivare con i loro colori.» Era ironico. Persino Feliciano avrebbe capito che il rosso e il bianco non erano per lo stemma austriaco.
«Non si dica che il Reino de España non sia onorevole.» Antonio indossava i suoi vestiti quotidiani. Si era rifiutato di vestirsi elegante come per una festa.
Gli ultimi accessori giacevano sul letto e Lovino si affrettò ad indossarli, prima di dimenticarli: allacciò al fianco sinistro la spada infoderata e la pistola, a destra il fodero con il pugnale. Non gli dispiacevano, i pugnali. Non avessero implicato una distanza ravvicinata con il nemico, li avrebbe preferiti alle spade - meno spazio di manovra per l'avversario, più controllo sull'intera lama.
I bauli erano già stati portati alle diligenze, e forse Manon e Lucilin erano già sul posto. Era ora di andare.
«Ti accompagno.»
«Ci mancherebbe.»
Antonio non si avviò verso le diligenze. Si chinò su di lui e lo baciò, un'ultima volta prima di chissà quanto. Uno sfiorare di labbra, senza neppure schiuderle. Quando si scostò, sorrise, un sorriso malinconico. «Il rosso e il bianco ti si addicono.»
Lovino sospirò. «Bene. Mi piacciono il rosso e il bianco.» Distolse lo sguardo dal suo, verde come pomodori acerbi. Gli piacevano, il rosso, il bianco e il verde.

C'erano tre diligenze. Erano rosse e nere, con enormi ruote gialle, con davanti quattro cavalli cadauna. La prima era per loro, la seconda era per... Era il ministro di che? Vabbè, un politico con il suo seguito che si sarebbe dovuto accertare del loro passaggio in terra francese - E da lì, via con Dio, non sarebbero stati più affari spagnoli. La terza, e ultima, era per i bagagli. Qualcosa gli diceva che la maggior parte dei bauli non fossero di Manon. E neppure di Lucilin.
I due diretti interessati erano davanti alla prima diligenza, in sua attesa. Era sempre un po' strano vederli in abiti nobiliari, piuttosto che con umili abiti da servitori. Lussemburgo riusciva nell'impresa di essere sgargiante e poco vistoso allo stesso tempo: il rosso e il celeste del suo abbigliamento erano chiari e delicati, ulteriormente ammorbiti dal bianco; l'avere un giustacuore rosso con una giacca e dei pantaloni celesti avrebbe fatto risaltare chiunque, ma lui rimaneva in disparte, quasi a non volersi far notare. Belgio, invece, era bellissima nel suo mantua rosso; con le braccia piegate, scoperte fino al gomito, sosteneva la lunga sopravveste dello stesso colore, che spazzava il terreno dietro di lei per un metro abbondante. Il suo sorriso era incorniciato dal velo che, dallo chignon, le ricadeva sulle spalle.
Qualcuno borbottò qualcosa. Non era per il suo ritardo, ma per la sfacciataggine di Spagna di presentarsi in abiti semplici, quasi da contadino. A vederlo, tuttavia, risaltava come la persona più onesta tra tutti i presenti - Non c'era niente da festeggiare, niente da sorridere, niente discorsi da declamare. Neppure ascoltò le parole del re - Che aveva dire? Erano perfetti sconosciuti, e stavano tutti facendo qualcosa che nessuno voleva. O almeno, che quasi nessuno voleva - Belgio e Lussemburgo non mostravano troppo turbamento.
Infine, salirono sulla loro diligenza. La porta fu richiusa e Madrid venne incastrata in un finestrino. Poi le ruote iniziarono a girare, e Madrid cominciò a scorrere davanti ai loro occhi.
Aveva già salutato Antonio, quindi non l'avrebbe fatto di nuovo, con parole inutili. Con un rapido sguardo, però, si era reso conto che era stato Antonio stesso a liberarlo da quel quasi obbligo sociale, dileguandosi poco dopo la chiusura della porta. Lovino chiuse gli occhi, e affondò con la nuca nella testiera del sedile. Dopo centocinquantacinque anni, doveva ammetterlo: il bastardo era capace di rendersi utile.



L'itinerario era semplice: per gentile concessione di Catalogna, avrebbero raggiunto Barcellona e da lì avrebbero percorso la costa, fino al confine francese; una volta sul luogo, si sarebbero liberati di una diligenza e avrebbero continuato a percorrere la costa, per poi tornare nell'entroterra all'altezza di Montpellier; saliti a Lione, avrebbero poi percorso la strada al confine con la Svizzera, quindi il Reno, fino ad arrivare all'attesissima meta. In teoria, ci sarebbero voluti quattordici giorni - In pratica, sarebbe dipeso dalla volontà divina.
Una nota positiva era il fatto che Francia fosse già a Rastatt, e che quindi non se lo sarebbe dovuto sorbire per tre quarti del viaggio. Saperlo era rassicurante, per quanto fosse scontato: Parigi era esattamente davanti a Rastatt - trecentoventi miglia esattamente davanti a Rastatt -, non avrebbe avuto senso scendere fino alla costa e risalire. Romano, però, sapeva che non era sempre il buonsenso ad avere la meglio.
Una nota negativa era il fatto che sarebbero tornati nell'entroterra prima di raggiungere il confine con il Nord Italia. Avrebbe voluto vederlo, anche se da lontano. Ma non lo disse a nessuno. Non è che ci tenesse particolarmente, a rivedere dal vivo un piccolo scorcio della terra di Feliciano, e ad illudersi che lui potesse, in qualche strano modo mistico, accorgersi del suo passaggio. Sarebbe stato ridicolo, infantile e privo di buonsenso. E Romano sapeva che il buonsenso avrebbe sempre dovuto avere la meglio.

La prima ora di viaggio trascorse nel silenzio assoluto. Tutti e tre erano immersi nei propri pensieri, lo sguardo di ciascuno perso oltre il finestrino. Poi, Manon si era messa a parlare e la discussione era per qualche motivo arrivata alle fantastiche avventure di due secoli prima - Lovino non aveva argomenti con cui protestare, a Lucilin era bastata un'occhiataccia per far capire che, qualora si fosse arrivati a parlare di lui infante, avrebbe scaraventato la sorella giù dalla diligenza in corsa. Essendo Marzo, le ore di luce erano poche, e questo parve stimolare Manon a raccontare storie particolari: a sentire lei, casa sua era infestata di giganti - Nominò tali Druon Antigoon e Lange Wapper - e si vociferava dell'esistenza di un uomo dalla pelle nera come il carbone e gli occhi rossi come braci, alto due metri, capace di trasformarsi in un cane e con la tendenza a mangiarsi i bambini. Il Belgio sembrava un luogo piuttosto pericoloso. A casa di Lucilin, invece, esisteva uno spirito che viveva nei fiumi, il Kropemann, che trascinava sott'acqua gli incauti viandanti grazie al suo bastone uncinato - Una volta laggiù, o li avrebbe schiavizzati, o se li sarebbe mangiati. Anche il Lussemburgo sembrava un luogo inquietante. Ma Lovino non si era fatto (troppo) spaventare, e aveva contrattaccato con marrabbecche e pettenedde, vecchie che vivevano nei pozzi e rapivano i bambini che osavano andare a curiosare, con la contrapposizione casalinga della bella 'mbriana e del muniaciello, con i dispetti dello scazzamurrieddhru e con chimere mostruose come la manticora.
Poi, ad una qualche sosta - non ci stavano facendo troppo caso -, un valletto aveva portato delle carte gioco e risate e scherzi erano finiti. Le carte erano una cosa seria.

Giunsero a Rastatt la sera del quattordicesimo giorno. La Divina Provvidenza aveva concesso loro un viaggio tranquillo, pieno di chiacchiere pagane e scontri all'ultima carta. Lovino era riuscito a strappare a Manon il punto del sorpasso, grazie ad una distrazione della ragazza - più propensa, al contrario di lui, al lavoro manuale che al gioco di carte. Il punteggio, quindi, era a venticinque per Lovino, ventiquattro per Manon e settantadue per Lucilin. Romano e Belgio si erano ripromessi di non giocare mai più a carte contro Lussemburgo.
Lovino non si era pronunciato sui paesaggi francesi, svizzeri o germanici. L'unica cosa che l'aveva toccato era il fatto di dover indossare un cappotto o un mantello più pesante ad ogni sosta ad un albergo, o ad ogni partenza la mattina successiva. Nel tragitto da Madrid a Rastatt, si erano persi per strada almeno dieci gradi.
L'albergo in cui avrebbero alloggiato quella notte era un enorme rettangolo color salmone, con un grosso portone rettangolare e un sacco di finestre illuminate. Doveva trattarsi dell'albergo più lussuoso della zona, e sfigurava in maniera imbarazzante di fronte ai raffinati palazzi spagnoli. Era un confronto illogico, ma Lovino si divertiva a comparare qualsiasi cosa germanica con qualsiasi altra cosa spagnola o italiana fosse in grado di farla impallidire - Fosse stata anche una stele per segnalare i chilometri, l'avrebbe messa ad assurdo paragone con il Castel dell'Ovo. Un particolare comico di Rastatt, a quanto sembrava, era il suo essere spalmata sul confine francese: forse c'era il rischio che, facendo una passeggiata, ci si ritrovasse inavvertitamente in Francia - Arrassusia!
Alla fine, dopo tante chiacchiere popolane e battaglie con spade e bastoni disegnati, la parte più brutta di quel viaggio aveva inizio. E iniziò con il gracidante annuncio del loro arrivo, pronunciato con voce ferma e piena in ranese. Ogni cosa, in quell'ingresso, era tinta di francese - Persino le persone erano palesemente francesi, lo si capiva anche solo dalla faccia, senza vedere i loro abiti costosissimi, elegantissimi e di indiscutibile foggia francesissima. Forse Romano avrebbe avuto uno sfogo di orticaria. Francesi in terra germanica. Era difficile fare di peggio. Ci mancava solo Inghilterra che spuntava da dietro una delle poltrone, con un cuscino in testa a mo' di mimetizzazione. Sotto il gigantesco lampadario, più da salone delle feste che da albergo, stava un gruppo di gente sgradita: giustacuore interamente decorato, calze a righe, cravatte più merlettate di un pizzo femminile, parrucconi bianchi e boccolosi, alcuni con baveri di pelliccia scura; al centro stava il più appariscente di quel gruppo di francesi appariscenti: un uomo senza parrucca ma con un tricorno nero bordato d'oro, i capelli biondi per metà coperti dai nastri di un fiocco bianco, appuntato sul cappello con due rose rosse grosse come arance.
Lovino strinse i pugni. Sperò di avere uno sguardo abbastanza omicida.
«Bienvenu!» Francia si tolse il cappello e si esibì in un inchino teatrale. «Mi auguro che il vostro viaggio sia stato privo di inconvenienti.» Come si faceva ad avere un accento tanto marcato parlando la lingua delle nazioni? Lo faceva apposta?
«È stato magnifico.» Belgio sorrise, anche troppo. «Vi ringrazio molto per l'interesse, monsieur Francis
Una pugnalata in pieno stomaco. Manon parlava francese con troppa disinvoltura, e guardava Francia con troppo entusiasmo. Lucilin, al suo fianco, sembrava interessato. Dunque Lovino era rimasto solo e senza alleati.
«Ma chère.» Se già avvicinarsi non fosse stato abbastanza impudente, la rana in celeste osò anche farle il baciamano. Purtroppo, Manon parve gradire.
«Messieurs.» Francia fece un cenno a lui e Lucilin. Almeno non aveva fatto il baciamano anche a loro. Lucilin rispose un cenno del capo, Lovino rispose con una silenziosa preghiera di incenerimento ai suoi danni.
«Per quanto il vostro viaggio sia stato lieto,» continuò il damerino: «immagino siate stanchi. Se desiderate riposare, le vostre stanze sono al primo piano. I miei valletti vi scorteranno.»
I suoi? Quel suo modo di atteggiarsi ad ospite era quasi affascinante. Romano avrebbe anche ghignato di quell'arroganza, ma il fatto che si trattasse di Francis Bonnefoy gli impediva di farlo.
«Accettiamo volentieri.» Belgio continuava a sorridere, Lussemburgo annuiva alle sue parole. Non il quadro che ci si aspetterebbe da un corriere e tre pacchi in terra nemica.
Manon e Lucilin si avviarono insieme ai valletti, Lovino rimase immobile. Francia non fece una piega. Al contrario, si mostrò più perspicace del previsto - Stare con Spagna l'aveva disabituato alle persone con un briciolo di intuito, per questo quasi si sorprese.
«Vuoi parlarmi, Romanò?» L'accento sul suo nome era agghiacciante.
Lovino tacque. Sperò che l'occhiataccia fosse una risposta sufficiente. Dovette esserlo, perché Francia gracidò qualcosa ai suoi accoliti. Quelli chinarono appena la testa e, dopo un altro cra cra, tornarono ai tavoli dove probabilmente erano seduti prima del loro arrivo. Tornato a guardarlo, Francia gli fece segno di seguirlo dall'altro lato della sala, ad un tavolo così isolato da essere perfetto per compiere un omicidio e passarla franca.
«Gradisci qualcosa, Romanò?» chiese Francia, una volta seduti. Lovino rispose con un'espressione disgustata.
«Vino francese, ovviamente.» specificò l'altro, quasi indignato: «Non offrirei mai quell'acqua stagnante che piace tanto da queste parti.»
«Non berrei mai nulla offerto da te.» Qual miglior modo di spezzare quel mutismo se non con un insulto?
«Non penserai che io voglia drogarti?» Francia sgranò gli occhi, falsissimo. «Mon Dieu, Romanò, non sei affatto cambiato. Sempre sospettoso.»
«Neppure tu sei cambiato.» ribattè Lovino: «Sei viscido, arrogante ed appariscente.»
Non era del tutto vero. C'era qualcosa di diverso, nel Francia davanti a lui: nonostante l'atteggiamento sicuro e rilassato, sul suo viso erano visibilissimi i segni della stanchezza, e una leggera ombra gli circondava gli occhi. Non si sarebbe sorpreso di sapere che fosse ricorso a dei cosmetici per nascondere quei dettagli.
Francia aggrottò la fronte. Le sue parole non l'avevano colpito neppure un pochino. Puntò il gomito sul tavolo e posò il viso su una mano, molto meno elegante di come si era mosso fino a quel momento. Per assurdo, poteva essere un buon segno - Almeno avrebbe smesso con i convenevoli.
Poi, un sospiro inaspettato: «Comincio a capire Antoine.»
«Eh?»
«Degli occhi spietati e una lingua intrisa di veleno incastonati nella bellezza del mare e delle montagne. Lo splendore del sole che riscalda il cuore e ustiona la pelle. Una sirena dal fascino misterioso ed ammaliante, che incanta il marinaio per farlo schiantare contro gli scogli, e poi ridere della sua tragedia.»
«... Che cazzo stai dicendo.» Non sentiva neppure del calore sulle guance. Non era strano che Francia delirasse e iniziasse a verseggiare roba imbarazzante, ma quello doveva essere il risultato di un'ubriacatura pesante.
«Antoine parla molto, soprattutto quando è ubriaco.»
Allora era davvero il risultato di un'ubriacatura pesante. "... No, un attimo." «Il bastardo ti ha parlato di me?»
«Credo esistano pochissime nazione in Europa che non l'abbiano mai sentito parlare dell'Italie du Sud.» Un accenno di risata. «Non come tema del discorso, intendo anche solo come borbottio di fondo.»
Lovino usò tutte le sue forze per non affondare il volto tra le mani. Ovvio l'avessero sfregiato togliendogli il Sud Italia. L'avesse sconfitto lui, gliel'avrebbe tolto anche solo per zittirlo.
«Suppongo tu voglia chiedermi di Antoine.» Uno sguardo un po' troppo divertito. «Ma io cosa ne ricevo, in cambio?»
Romano si costrinse a non distogliere lo sguardo dal suo. Era Francia. Era ovvio che sarebbero arrivati a discorsi spiacevoli. «Esci di qui ancora uomo e non eunuco.»
Francia ridacchiò, con la sua risatina inconfondibile e fastidiosissima. «E in che modo si concretizzerebbe, questa minaccia?» Sventolò la mano. «Con tutto il rispetto, Romanò, dubito tu sia in grado di sopraffarmi.» Si stava divertendo anche troppo. «A meno che tu non voglia cogliermi in un momento di debolezza. Visto l'argomento, devo interpretare questa tua minaccia come una tua possibile disponibilità?»
Era impossibile averla vinta con Francia, quando si parlava di certe cose. Sarebbe stato meglio senza quel violento calore sul viso, ma l'irritazione dovette contribuire a caricare d'odio il suo sguardo. Strinse la stoffa dei pantaloni. Doveva aggrapparsi a qualcosa, o avrebbe messo le mani in faccia al damerino - Che, purtroppo, era effettivamente più forte di lui, e non voleva pensare alle ipotesi più orribili.
«Sto scherzando, mon petit cousin, sto scherzando.» Sembrava stesse facendo una conversazione piacevole. Se davvero lo era, lo era solo per lui. «Sei troppo cupo. Ti verranno le rughe, così. E arrabbiarsi in questo modo non fa bene neppure alla pelle.»
«Hai finito con le stronzate?»
Con un gran sospiro, Francia si raddrizzò e si lasciò andare contro lo schienale. «Dieu, Antoine, hai accarezzato per più di un secolo il dorso di uno scorpione.»
Lo lasciò parlare. Non che potesse fare nulla di diverso, a parte azzannarlo alla gola e cercare di cavargli gli occhi.
«Mon cher Romanò.» Il tono di Francia si era fatto più serio, ma aveva esordito con parole raccapriccianti. «Se Antoine non ti ha voluto dire nulla, non sarò io a venire meno al suo desiderio. Ma credo ci siano comunque delle risposte che ti sono dovute.» Intrecciò le dita e vi posò il viso. Quell'espressione seria stonava tantissimo, su di lui. «Cosa ti ha detto Antoine?»
Lovino fece per parlare, ma chiuse subito la bocca. Francia era un impero. Certo, al momento era dalla parte di Spagna. Al momento. Rivelargli le parole di Antonio sarebbe significato rivelargli cosa lui volesse si sapesse e cosa no - rivelargli i punti su cui era più sensibile, i suoi punti deboli. Odiava gli imperi. Persino le domande più casuali potevano nascondere delle trappole.
«Non ha importanza.» sibilò: «Dammi solo le risposte che mi sono dovute.»
Non fosse stato Francia, avrebbe detto che ci fosse una nota di malinconia, nella sua voce. «Sei così sospettoso di me?»
Doveva avere pazienza. Non poteva scoppiare. Francia poteva essere più sagace di Spagna, ma erano pur sempre lontani parenti e qualche problema di mente doveva avercelo pure lui. «Dopo tutto quello che hai fatto a me, Feliciano e Antonio, è già tanto che non ti abbia ancora sputato in faccia.»
«Touché.» Francia scosse appena la testa, un accenno di sorriso.
In quel momento, Lovino realizzò una cosa: Francia sembrava abituato a trattare con persone dal temperamento aggressivo. I suoi modi tranquilli, la sua imperturbabilità, il modo con cui rigirava le frasi e non veniva intaccato dagli insulti... Non erano tipici di qualcuno circondato da nemici, ma dovevano derivare da lunghi discorsi con qualcuno con la tendenza ad una parlata violenta. Si ritrovò a chiedersi di chi potesse trattarsi - Di certo non era quel tonto di Spagna, Prussia più che aggressivo era megalomane, Sacro Romano Impero era simpatico come una spina nel sedere ma non certo violento. Dovette però arrendersi al fatto che non sarebbe mai riuscito a mettere Francia all'angolo in uno scontro verbale - Non per chissà quali capacità oratorie, ma perché l'altro sembrava troppo abituato.
Quando parlò, infatti, la sua voce era pacata. «Immagino che la domanda più pressante sia anche la più ovvia: perché qui ci sono io e non Antoine?»
Lovino non mosse un muscolo. Non poteva far capire che fosse una delle spiegazioni che il bastardo non gli aveva dato - Non che il bastardo gliene avesse date in primo luogo.
«La risposta più diretta è che Rodrigue voglia tutelarsi.» Portò una mano davanti alla bocca, per nascondere - male - la sua riconoscibilissima risatina. «Dubito vorrà incontrarlo per un bel po'.»
«Prima lo umilia...» Romano non riuscì a trattenersi: «E poi lui non vuole incontrarlo? Cos'è, un improvviso moto di rimorso?»
«Tutela, Romanò, tutela.» fece Francia. Il suo sguardo era meno rilassato. Non arrabbiato, era... Continuava a sembrare malinconia. «È stato un brutto giorno per tutti. Quando sono arrivate le richieste di Rodrigue, Antoine ha chiesto al mio generale e al suo sovrano di cedere le sue colonie, al tuo posto.»
Fosse stato in piedi, le gambe non gli avrebbero retto. Ringraziò di essere seduto, perché non sentiva più la forza in nessuna parte del suo corpo. Non riuscì neppure a commentare.
«Ovviamente, la sua richiesta non è neppure stata presa in considerazione. Era ovvio che Antoine fosse fuori di sé.» Francia chiuse gli occhi per un istante, come a rievocare quel momento. Quando li riaprì, la voce si fece più bassa. «Antoine non era nelle condizioni di partecipare all'incontro. È stato devastante vedere quanto un'anarchia prolungata possa distruggere la mente di una nazione.»
Romano sapeva che le parole necessitavano di un tempo materiale per essere pronunciate, ma avrebbe voluto sapere tutto subito, come bere tutto d'un fiato un bicchiere pieno d'acqua. Un sorso e via, tutto entrava nel corpo - Una parola e via, tutta la conoscenza veniva appresa.
«Antoine è una delle nazioni più spaventose che siano mai esistite in Europa.» proseguì Francia: «Ma il momento in cui fa più paura è quando tace.»
"Allora è una fortuna che avvenga di rado." avrebbe voluto commentare Lovino. Ma non aveva abbastanza forza per parlare.
«In quanto nazione, non poteva essere allontanato, quindi è rimasto all'incontro. Non ha più parlato. Non ha fatto altro che guardare Rodrigue.»
«Non devi essere il bastardo per fare paura.» Lovino riuscì a parlare, anche se la voce uscì smorzata: «Chiunque s'inquieterebbe, se qualcuno lo fissasse per ore senza parlare.»
Francia rise appena. «Purtroppo, una volta firmato l'accordo, non l'abbiamo più trovato.»
«Austria?»
«Antoine.»
Non ebbe motivo di non credergli. Antonio era in grado di farsi sentire fino a Napoli, ma era anche capace di arrivare alle spalle di qualcuno senza dare il minimo segno della sua presenza. Non aveva mai capito se fosse premeditato o meno - Pensandoci bene, la risposta doveva essere affermativa.
«L'abbiamo ritrovato dopo un po'. Era con Rodrigue. E la sua alabarda.»
«... Ah.»
«Non credevo che Rodrigue fosse così agile, Gilbert mi dice sempre che è un damerino mollaccione!»
«Credo chiunque diventi agile, se ha un'alabarda che gli fischia nelle orecchie.»
Francia concordò: «Anche se credo abbia anche usato le colonne del porticato come scudo.» Riprese: «Ad ogni modo, quando siamo arrivati, siamo riusciti a fermare Antoine, io e tre bei germanici corpulenti.» Fece una strana faccia, come se avesse addentato un limone. «Il suo stato mentale gli ha evitato l'incidente diplomatico. L'ho preso in custodia io, e ci ho messo giorni per farlo rinsavire.»
«Rinsavire?»
«Convincerlo che torturare Rodrigue tagliandogli un pezzo per volta non sia un comportamento da nazione civile.»
Lovino annuì, piano.
Non era che fosse angosciato dall'idea di Spagna ridotto in quelle condizioni. Non era che fosse gonfio di qualcosa malsanamente simile alla soddisfazione all'idea che Spagna avesse reagito in quel modo. Non era che si sentiva spaccato a metà, tra l'inquietudine e il piacere. No, non era niente di tutto quello. Non lo era.
Forse si sarebbe dovuto spaventare per una delle due metà. Forse anche la sua mente si stava sgretolando. Se avesse saputo prima tutto quanto, avrebbe rivoltato la faccia del bastardo con un ceffone, il più forte che fosse in grado di dare, per poi baciarlo come se gli fosse mancato da anni. Nessuna nazione - persona - normale avrebbe reagito così. Avrebbe dovuto condannare tutte quelle sue azioni, quei suoi pensieri. Si sarebbe fermata al ceffone. Però lui non aveva mai avuto paura di Spagna. Doveva essere quello, il problema.
«L'ho anche convinto a rimanere a casa sua. A riposarsi.» Da quelle parole, Lovino era certo che Francia non gli avrebbe detto altro - Non gli avrebbe detto cosa avesse passato in quei tredici anni. «Mi sono offerto di prendere il suo posto all'incontro, ed eccoci qua.» Tornò a stendersi contro lo schienale della sedia. «Sicuro di non volere nulla, Romanò? Sei pallido.»
«Ti ho già detto che non voglio niente.» Si alzò. La conversazione era decisamente finita. C'era solo un'ultima cosa da fare.
Aggirò il tavolo, arrivò davanti a Francia e lo colpì con uno schiaffo. Quel suono secco e quella sensazione rovente sul palmo della mano erano più piacevoli di quanto avesse mai fantasticato.
Francia, come previsto, non reagì, se non con uno sguardo più freddo. «E questo» disse: «per cos'era?»
«Scegli tu.» Si voltò e se ne andò verso la sua camera. Doveva svuotarsi la vista da quell'incubo biondo e gracidante, e la mente da quei pensieri sinistri.
Sapeva benissimo che, se ci fosse stato anche lui, quel giorno, davanti a quella scena, non avrebbe fatto niente per fermare Spagna. Avrebbe pensato tante cose diverse, ne era sicuro, probabilmente l'avrebbe anche insultato. Però non avrebbe pensato neppure per un istante che fosse spaventoso.



C'era il sole, ma il cielo era grigio e l'aria fredda. Era come trovarsi in una gigantesca sala dalle pareti di pietra a vista, con una finestra enorme che lasciava passare abbastanza luce da illuminare tutto.
Lovino aveva indossato il vestito gemello a quello con cui era partito. L'unica differenza sembrava essere la direzione dei ghirigori. Era poi stato costretto ad indossare un cappello, visto il freddo. Lucilin e Manon avevano fatto altrettanto. Lussemburgo si era presentato con un vestito più sobrio, con una predominanza di azzurro chiarissimo, quasi bianco; solo il cappotto rosso si distaccava dall'insieme. Belgio, al contrario, era impossibile da non notare: al mantua rosso aveva abbinato una sopravveste e un mantello neri, e il velo fissato allo chignon era color oro. Le mani erano nascoste in un manicotto di pelliccia rossa. Lovino non aveva guanti, quindi infilò le mani nelle tasche prima che il freddo gli facesse cadere le dita. Se non altro, non era il gelo di cinque anni prima - Lì a Rastatt doveva essere stato micidiale.
Fu Francia ad accompagnarli al patibolo. Era un incontro riservato alle nazioni, quindi non avrebbero avuto ministri o interpreti. Nella diligenza erano stati solo loro quattro, e Francia era stato tanto sfacciato da sedersi al fianco di Belgio. Lei, ancora una volta, non solo non gli aveva spellato la faccia, ma gli aveva anche sorriso. Lussemburgo, invece di difendere la virtù di sua sorella, aveva guardato fuori dal finestrino, un po' troppo affascinato dal panorama.
Ci erano voluti a stento dieci minuti per arrivare, tanto sarebbe valso andare a piedi - Lovino non l'aveva detto solo per il clima. Una volta sceso dalla diligenza, gettò delle occhiate di sufficienza all'ennesimo rettangolo color salmone, ai colonnati poco ispirati e ai pavimenti in marmo lucido, il minimo per fare una figura decente. All'interno, quadri di gente sconosciuta, scalini larghissimi alti appena una spanna, statue religiose in nicchie fatte solo come riempitivi. Poi, la porta di legno scuro. La porta si aprì, e i tre pacchi furono consegnati.

C'era un tavolo enorme, di legno lucido, con tante sedie. Ma tre sedie con cuscini di velluto rosso erano state posizionate di fronte alla grande finestra della stanza, per sfoggiare i tre premi vinti dalla coalizione. Belgio era seduta al centro, Lussemburgo alla sua destra e Romano alla sua sinistra. Francia era seduto al tavolo. Dall'altro lato, persone se possibile ancora più sgradevoli di lui. La decina di teste bionde e masse di muscoli doveva essere un gruppo di nazioni del Sacro Romano Impero, perché a quanto pareva non si poteva fare qualcosa senza un pubblico. La testa bionda e la massa di muscoli principali era Baden-Baden, l'ospite effettivo, lì solo come presenza: erano altre due le nazioni che avevano il diritto di parola, là dentro.
Aveva già visto sia Austria che Sacro Romano Impero, ma non aveva mai avuto a che fare direttamente con loro. Austria era un damerino effeminato, con dei capelli castani che stonavano in quel mare biondo, occhiali rettangolari e l'espressione di qualcuno che accetta con grande magnanimità di posare il proprio regale piede sulla stessa strada percorsa dalla plebe. Sacro Romano Impero era un moccioso che poco ci mancava non arrivasse al tavolo, con un vestito nero che infossava del tutto la sua terribile combinazione pelle di mozzarella-occhi celesti-capelli biondo chiaro e la faccia da schiaffi di un marmocchio capriccioso.
Quanto aveva voglia di darglieli, gli schiaffi.
Sacro Romano Impero prese la parola. E le sue prime parole non poterono che fargli venire il mal di testa.
«Come stabilito dal Rastatter Friede, firmato in data Sette Marzo dell'anno corrente, il Königreich Spanien cede all'Erzherzogtum Österreich i territori dei Spanische Niederlande, del Königreich Neapel e del Königreich Sardinien.»
Le tempie pulsavano. Sentì una fitta alla nuca, e la gola secca. Strinse i pugni. «Che schifo.» Un sibilo impercettibile. I loro nomi erano stati sporcati.
«Königreich Frankreich è qui presente come garante per Königreich Spanien.»
Distese le dita, conficcò le unghie nel velluto della sedia.
«Belgien, Luxemburg, Süditalien.»
Suonavano in modo orribile. Quello non sarebbe mai stato il suo nome.
«Siete pregati di firmare.»
Con calma e compostezza, Austria fece scivolare dalla loro parte tre fogli. Dato che tra le loro sedie e il tavolo c'erano almeno due metri, furono costretti ad alzarsi e a raggiungerli. Una sfilata della merce. Preferiva quando era piccolo, e non doveva prendere parti a simili cerimonie - Se lo caricavano in spalla e via, verso un tempo indefinito di odio e rancore!
Lesse il suo foglio. Era scritto in tedesco. "Fanculo." Non che saperlo leggere sarebbe servito a molto, dato che l'unica cosa che gli era concesso fare era firmare. Avrebbe dovuto firmare con quel suo nome storpiato, che in bocca a Sacro Romano Impero era ancora più orrendo. Che Feliciano non osasse accettare la sua corte perversa. Piuttosto che averlo come cognato, si sarebbe premurato di rendere suo fratello vedovo.
I suoi nuovi nomi erano stampati al lato della linea su cui avrebbe dovuto firmare, per mostrargli la grafia e informarlo delle decisioni prese da altri sulla sua persona, senza chiedergli nulla.
Süditalien.
Lovin Vangern.

Gli sfuggì un accenno di risata, più simile ad un soffio. Se li era immaginati andare nel panico, guardarsi negli occhi e chiedersi "Che cazzo di nome è, Lovino?", e cercare disperatamente una traduzione che suonasse abbastanza tedesca. E quello era il massimo che erano riusciti a fare.
Gettò uno sguardo ai fogli degli altri: Manon era stata ribattezzata Mareike, Lucilin Lukian. Loro avevano già firmato.
Si chinò sul proprio foglio, prese la penna. Alzò lo sguardo, e incontrò quello di Sacro Romano Impero, dall'altra parte del tavolo.
Era un impero. Era un bambino. Era riuscito a fare davvero tanto, in quei secoli. Tutti i suoi accoliti dovevano essere orgogliosi di lui. Strano non fosse ancora diventato una montagna di muscoli alta due metri. Quel moccioso era tutto ciò che odiava. Era un impero bambino, qualcuno che aveva raggiunto un potere immenso, che aveva orde di gente al proprio servizio e osservava tutti dal centro dell'Europa, fregiandosi del titolo che sarebbe dovuto spettare a lui. Strappa il nome del maggiore, sposa il minore. Gli si rivoltò lo stomaco.
«Sei pregato di firmare, Süditalien.» Sacro Romano Impero spezzò il silenzio.
La penna d'oca schioccò tra le dita di Lovino, e metà ricadde sul tavolo. Romano lasciò cadere la punta. Pensare fosse Sacro Romano Impero era piacevole. Prese la penna che aveva usato Manon e firmò. Non gli importava di quei nomi. Non sarebbero mai stati suoi. Scaraventò la penna sul foglio e tornò alla sua sedia, dove incrociò le braccia e accavallò le gambe. Manon e Lucilin erano già tornati al loro posto, e sentì le loro occhiate su di sé.
«Con la vostra apposizione di queste firme» La vocetta di quel moccioso era irritante. «e la vostra conseguente accettazione,» Come se avessero avuto scelta. «vi dichiaro territorio austriaco.»
"Che culo!" Espirò, con più forza del necessario. Doveva sfogarsi, in qualche modo. Il dolore alla testa iniziava a farsi insopportabile. Ora sentiva fitte anche poco sopra le orecchie.
Sacro Romano Impero continuò a ciarlare per qualche altro minuto, Francia intervenne un paio di volte. Alla fine, finalmente, quello strazio ebbe fine.
Dopo che gli sgraditi ospiti si furono alzati e - orrore! - avvicinati, Belgio fu la prima di loro tre a fare altrettanto. Fece una piccola riverenza e prese la parola, rivolta ad Austria: «Con permesso, signor...?»
Lovino puntò il tallone e allontanò un po' la sedia. Con tutta quella gente sgradevole così vicina, iniziava a sentirsi soffocare.
«Österreich.» La voce di Austria era strana: l'avrebbe definita "soffice", a metà tra il moribondo e la noia.
«Signor Österreich.» Manon fece un piccolo sorriso. Alcuni degli altri Stati del Sacro Romano Impero le rivolsero uno sguardo interessato. Disgustosi pervertiti, bastava un sorriso per illuminarli come davanti ad una lanterna. «Sarebbe possibile sapere quale sarà la nostra condizione, sotto la vostra dominazione?»
Giusto. Come avrebbero dovuto fare gli sguatteri?
«La nostra è una politica di autonomia e aiuto reciproco.» Nonostante il timbro, Austria parlava con tono sicuro. «Solo le nazioni bambine risiedono a Vienna, nel nostro palazzo. Le nazioni adulte risiedono nella loro casa, e amministrano la propria terra secondo le nostre indicazioni.»
Un tuffo al cuore.
Manon battè le mani, il volto luminoso. «Volete forse dire...» La voce era quasi soffocata dall'emozione. «Che risiederemo stabilmente nelle nostre capitali?»
«Mi risulta sia ciò che ho appena detto.»
Manon si voltò verso Lucilin. Lui aveva sgranato gli occhi in un'espressione incredula, di pura gioia. Si stritolarono le mani, ed era palese stessero frenando il loro desiderio di mettersi ad urlare e saltare.
Era bello che fossero così felici. Se lo meritavano. Loro non avevano fatto niente di male.
«Quindi...» Si alzò. Austria gli rivolse lo sguardo. Ed era uno sguardo di sufficienza. Lovino chiuse i pugni. Non avrebbe cercato di cavargli quegli occhi viola, ma non era sicuro non avrebbe cercato di fargli saltare la faccia con un pugno. «Dove dovrò andare, io?»
C'era una strana tensione, la sentiva impregnare l'aria. Belgio e Lussemburgo si erano zittiti. Tutti si erano zittiti, in realtà. L'unico rumore fu quello dei tacchi di Austria, pochi passi nella sua direzione. Avrebbe dovuto alzare la testa per continuare a fissarlo, ma si limitò ad alzare solo lo sguardo.
«Alla malerba non dovrebbe addirsi alcuna città.» Una frusta di seta. Ecco cosa sembrava. «Ma è Neapel stessa a rispecchiare la nazione che la ingloba alle sue sorelle, dunque non vedo perché non concederle tale presenza.» Un'altra frustata. «Tuttavia, per non far torto alla nobile Sardinien, sarà opportuno farti attraversare il Tyrrhenisches, di quando in quando.» La frustata finale. «Ma non crucciarti troppo, Süditalien. Non è a te che sono rivolte le nostre indicazioni. Abbiamo già qualcun altro con cui comunicare.»
Non hai una tua casa. Non sei neanche una nazione vera e propria.
Sei inutile.

«Vaffanculo.»
Qualcuno disse qualcosa, ma lo disse in tedesco, e Lovino capì solo che era furioso. Austria alzò una mano, e il silenzio tornò. Come Francia, non si era scomposto al suo insulto.
«Ingovernabile.» disse, lapidario. E i suoi occhi erano freddi come lapidi. «La diceria è realtà, dunque. Sii pure la malerba velenosa di cui si vocifera in Europa, ma abbi almeno la decenza di rimanere al tuo posto.»
Giusto. La sua fama di terra ingovernabile. Ora che era spaccata, però, dovevano esserci delle possibilità di gestirla.
Per Austria, la conversazione era finita. Lo era anche per Romano. Guardò fuori dalla finestra. Il cielo continuava ad essere grigio, oltre il vetro.
Realizzò tutto. Come bere d'un fiato un bicchiere pieno d'acqua, dopo averlo osservato per minuti interi.
Sarebbe stato abbandonato in un luogo che conosceva solo nei ricordi.
In delle città che di nome non gli appartenevano più.
Vicino a delle nazioni che gli risucchiavano la vita.
Tra gente che non parlava neppure la stessa lingua.
Non c'era Manon, non c'era neanche Lucilin. Non c'era Feliciano. Non c'era nessuno.

Era così vicino, Feliciano.

E l'impero di turno che l'aveva ottenuto non l'aveva schiavizzato, l'aveva strappato a qualcun altro e poi gettato via.
Chissà che non stesse aspettando la sua scomparsa, inutile com'era.

Inutile. Inutile. Era tornato ad essere inutile.

Serrò le labbra. Sentiva gli occhi bruciare. Non avrebbe pianto. Non sarebbe crollato davanti ad Austria, Sacro Romano Impero e Francia.
Non avrebbe implorato attenzioni. Non avrebbe chiesto niente a nessuno.

Non c'era nessuno su cui pesare.

Da quel momento in poi, sarebbe stato solo.
Lui era i Domini Austriaci nel Sud Italia, doveva imprimerlo nella mente.
Per un secolo e mezzo, era rimasto al fianco di qualcuno che lo... che gradiva la sua compagnia. Eppure, era deperito, era stato in punto di morte, non per eventi naturali ma per pura concezione di sé.
Da quel momento in poi, sarebbe stato un territorio di qualcuno che lo disprezzava.
Il suo nuovo Capo gli aveva consentito di essere una malerba velenosa, con un tono così serio e deciso da sembrare quasi un ordine.
Non era vero che fosse ingovernabile.
C'erano ordini a cui obbediva.

.

Note:
* Tra il 1701 e il 1714, l'Europa fu sconvolta da uno dei più grandi conflitti dell'epoca: la Guerra di successione spagnola. Basti sapere che, in tredici anni, ci furono ben ottantasette battaglie.
La Guerra di successione spagnola è un argomento immenso, quindi ora lo ridurrò ai minimi termini: Carlo II, re di Spagna, morì senza eredi, ma nel suo testamento aveva proclamato come tale il suo pronipote Filippo di Borbone - nipote di Luigi XIV, re di Francia, dunque un francese ovviamente filo-francese. L'idea di avere un intero blocco francese/filo-francese non appassionò il resto d'Europa, che vide la cosa come un tentativo di distruggere gli equilibri politici europei - Meglio mettere sul trono di Spagna qualcuno filo-casa-nostra, questo non distruggerà l'equilibrio politico europeo! Alla fine, Filippo fu confermato re di Spagna, a patto di cedere tutti i territori spagnoli rimasti in Europa.
Le fazioni.
Da un lato c'era ovviamente il Sacro Romano Impero (feat. l'Austria), insieme all'Inghiterra, con il Galles e la Scozia al seguito, e ai Paesi Bassi; nel 1702 si unì la Prussia.
Dall'altro lato stava la Francia, con la Baviera (a casissimo, perché sarebbe parte del Sacro Romano Impero) e Mantova (a casissimo parte 2). In questa fazione c'erano anche il Ducato di Savoia e Portogallo che, tuttavia, nel 1703 passarono dalla parte avversaria.
La Spagna era divisa: nella prima fazione figuravano i lealisti degli Asburgo (tedeschi), nella seconda i lealisti di Borbone (francesi) - ossia il Sud Italia. Questo è un punto in cui la faccenda Castiglia/Aragona, se si segue il canon di Hetalia, fa piangere lacrime di dolore: Aragona era lealista Asburgo, Castiglia lealista Borbone. Se si seguisse Hetalia, Antonio sarebbe essenzialmente contro se stesso, e alleato di coloro che poi gli distruggeranno l'impero in Europa. Okay la tonturia, ma-
"Ma Soe, in questa storia-"
In questa storia noi faremo finta di nulla: c'erano generali e soldati spagnoli in fazioni diverse, basta sapere questo. [ 1 ]
La Guerra di successione spagnola si concluse con il Trattato di Utrecht, un Trattato così lungo da doverlo fare a rate. No, non è un modo di dire: furono firmate diverse "parti" del Trattato nell'arco di tre anni (1713-1715) tra le varie potenze coinvolte, ad incrocio - Sì, un pezzo di trattato per Spagna e Inghilterra, un altro per Spagna e Paesi Bassi, un altro ancora per Spagna e Portogallo e così via, sia da parte della Spagna che da parte della Francia.
La Pace di Rastatt è la rata Spagna-Austria (Difatti si può trovare anche come "Trattato di Utrecht-Rastatt"), su cui non credo di dovervi illuminare circa la data e il contenuto. No, non ho capito perché sia la rata Spagna-Austria e la Spagna non ci sia, lasciando il posto alla Francia.
Una curiosità: il firmatario tedesco, Eugenio di Savoia, era lì a nome dell'Austria, ma non del Sacro Romano Impero; per questo, a Maggio, fu firmato il Trattato di Baden, ossia la Pace di Rastatt con "Sacro Romano Impero" aggiunto nell'angolo a penna. Qui ho preferito mettere tutto insieme. [ 1, 2, 3 ]
* Purtroppo ci furono terremoti anche nei primi anni del '700.
Il 14 Marzo 1702 ci fu il terremoto dell'Irpinia e di Benevento, di entità più lieve (magnitudo 4,9); nel 1703 ci fu una serie di terremoti nell'Appennino, con epicentri Norcia (14 Gennaio, magnitudo 6,7), Montereale (16 Gennaio, magnitudo 6,2) e l'Aquila (2 Febbraio, magnitudo 6,7); il 3 Novembre 1706 ci fu il terremoto della Maiella, di magnitudo 6,6, che fu uno dei più disastrosi in Italia.
* Nel caso qualcuno già lo sapesse e avesse storto il naso: nel 1707, l'Inghilterra, il Galles e la Scozia si unirono nella "Gran Bretagna". Dato che alla Guerra di successione spagnola hanno partecipato tutti e tre, sarebbe più opportuno riferirsi alla Gran Bretagna, ma ho volontariamente dato più risalto ad Inghilterra, in quanto uno dei principali nemici di Spagna.
* Come già detto, trovare qualcosa sulla moda maschile antica è difficile, trovare qualcosa sulla moda maschile non inglese o francese rasenta l'impossibile. Per fortuna, si trova qualcosa per la prima metà del '700. Per la descrizione degli abiti, ho largamente preso a piene mani dalla Kiwipedia, e poco ci manca non abbia copia-incollato tradotte alcune frasi.
Quanto ai colori, si può argutamente dedurre che Belgio e Lussemburgo sono abbigliati con quelli che saranno i loro colori nazionali.
* Grazie a GwenChan per avermi fatto notare un errore assurdo circa le tempistiche di viaggio da Madrid a Rastatt!
* Per l'ondata di citazioni folkloristiche, faccio prima a mettervi direttamente i link alla Kiwipedia: [ Duon Antigoon, Lange Wapper (inglese), Oude Rode Ogen (inglese) ] [ Kropemann (tedesco), Kropemann su un altro sito (inglese) ] [ Marrabbecca, Pettenedda, Munaciello, Bella 'mbriana, Scazzamurrieddhru, Manticora ]
* "Le carte erano una cosa seria.": Vengo pur sempre dal fandom di Yu-Gi-Oh!.
* "Arrassusia!": Scongiuro napoletano, equivalente a "Non sia mai!".
* Nel Gennaio 1709, un'ondata di freddo anomalo colpì l'intera Europa, e durò fino ad Aprile dello stesso anno. [ 1 ]
* Il cognome tedesco di Lovino, "Vangern", è una storpiatura del termine antico "vangr", che significa "pendio erboso", "prato". [ 1 ]
* Il riferimento alla malerba è meno stronzo di come potrebbe sembrare: "Noxias herbas", "Le male erbe", era infatti il motto del Regno di Napoli. (Ecco perché il riferimento a Napoli.)
In realtà, le "malerbe" erano gli svevi, simbolicamente scacciati dal Regno di Napoli con il rastrello rappresentato nello stemma. Sì, è un collegamento un po' contorto, ma capisco che avere come motto "Il rastrello" non sarebbe stato troppo altisonante.


E qui si conclude la prima parte di Electronic Stability Control Extra Sensory Perception Esp~☆

La prima versione di questo capitolo era... alquanto diversa. Molto diversa, ecco. E io ero lì che sudavo freddo, tremavo all'idea di un capitolo di duecento kilobyte da dover dividere in quindici, temevo potesse espandersi fino a prendere metà storia (... Sì, mi è successo con una fanfiction in un altro fandom.), rabbrividivo- No, alla fine è venuto un capitolo normale. *sospiro di sollievo collettivo*
La parte iniziale sarebbe dovuta essere molto più traGGGica e melodrammatica, un addio pieno di pathos e lacrime e DDDDoloreH e- Poi mi sono detta "No, aspe', mica si stanno dicendo addio, per quanto ne sanno loro potrebbero pure rivedersi il mese dopo!" e tutto è diventato molto più sensato e molto meno strappalacrime. Probabilmente, l'avevo pianificato così estremo perché ci stavo pensando con la piacevole sensazione che qualcuno mi stesse piantando un chiodo nel timpano. È una fortuna che poi sia tornata in me!
(A parte ciò, spero si capisca che comunque Lovino passa tre quarti del capitolo in uno stato di semirincoglionimento.)
Per quanto riguarda la seconda parte, questo è anche il fantomatico capitolo in cui sarebbero dovuti apparire Catalogna, Portogallo e una fracca e mezza di altre nazioni, ma non avevo considerato il fatto che quello di Utrecht fosse UN TRATTATO DI PACE A RATE! *Sai, il fatto che fosse spalmato in tre anni diversi avrebbe potuto farti venire il dub-* SssSSShhhHHHh.
Quando poi sono andata a documentarmi meglio e ho scoperto la cosa incredibile di cui sopra, sono stata un po' triste (Soprattutto perché avrei voluto che la scena tra Lovino e Roderich avesse un pubblico più vasto) ma... La verità è che ho fatto i salti di gioia, perché la presenza dei soli Francia&GermaniciVari mi toglieva un sacco di problemi! 。゚✶ฺ.ヽ(*´∀`*)ノ.✶゚ฺ。 *inserire gif di Seychelles trottola che urla che i reali inglesi andranno in viaggio di nozze da lei*
Come detto, ci sarebbero dovute essere tante nazioni. Tra cui Spagna. Quindi sì, la scena di Spagna e Austria sarebbe stata contemporanea al capitolo - Per quanto Romano non avrebbe assistito, avrei comunque dovuto gestire Spettatori Impanicati, Austria scosso e Spagna on rampage, oltre ovviamente a Belgio, Lussemburgo e iberici vari. E invece no! Grazie, Trattato a Rate! (Tra l'altro, ho ripreso una scena che ci sarebbe dovuta essere qui, l'ho approfondita, un po' modificata ed è diventata la quasi totalità del capitolo sette. Qui non si butta niente! (?) *Lo dice perché è soddisfatta di averla recuperata.*)
L'altro motivo per cui sono stata proprio tantissimo felice che i problemi si fossero risolti da soli (?) è che Lovino avrebbe rischiato di incontrare Gente che invece avrebbe incontrato solo nel capitolo [spoiler!]. Non potevo assolutamente permettere che succedesse una cosa del genere, ero pronta a ricorrere ai sotterfugi più assurdi, a piegare la Storia alla fanficcara volontà (??????) e invece no, è stata la Storia stessa ad aiutarmi! *Soe è in palese delirio, ma magari poi vi spiegherà perché diamine si fosse incartata con una cosa così stupida.*

A proposito di altra gente: Francesco, Roderico e Ludovico Sacro Romano Impero.
Zitto zitto, Francis si aggira un po' in tutte le mie storie su Hetalia - sia come personaggio che come figura sullo sfondo. Non è premeditato, ma lol. (?) È stato strano e divertente scrivere di lui dal punto di vista incazzoso e rancoroso di Lovino, quando nella CanaSey c'è Sesel che lo adora alla follia. ☆ Ah, qualora qualcuno ci avesse fatto caso: sì, il suo cappello è spudoratamente ripreso dalla Pirate!Hetalia.
Quanto a Sacro Romano Impero, ho da dire una cosa sola: ho scritto di lui un paio di volte e sono riuscita a non farlo apparire mai. E ora è apparso giusto per farsi minacciare di morte dallo sguardo di Lovino. Olè! *Lovino sa. Lovino sa.*
Roderich, infine. Non ho nulla contro Austria e nel prossimo capitolo si dovrebbe capire meglio un certo particolare. Vi assicuro che è meno stronzo di quanto possa sembrare! *Indica nota sulla malerba* ... Certo, il resto è "Tanto stai per morire, non ha senso sprecare risorse per te", ma è più un supposto dato di fatto che una precisa volontà di essere stronzi-

Uhm, vediamo se c'è altro da dire... *scorre* Come al solito, non ho nulla contro francesi/germanici/eunuchi/chiunque Lovino abbia insultato, e lo ripeto ogni volta ché non si sa mai. Altra cosa, l'itinerario Madrid-Rastatt è frutto di Google Maps e, se non ha senso, è colpa sua. (???????)

Con la fine di questa prima parte, auguro a tutti un Natale il più possibile sereno. ❄ Riguardatevi, telefonate/videochiamate, mangiate un sacco, strafogatevi di serie/libri/fumetti/laqualunque e non lasciatevi abbattere! (๑•̀ㅂ•́)و
  
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