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Autore: ONLYKORINE    23/12/2020    3 recensioni
Lisa torna a Springfield dopo la laurea in veterinaria, non è contentissima, perché non le piace tanto la sua città. Avrebbe preferito passare l'estate, come tutte le altre, a Cambridge, dove ha frequentato il college.
Tornando a casa incontra vecchie conoscenti, nuovi amici, ex fidanzati e si rende conto di non aver un gran rapporto con i suoi fratelli. Per fortuna sarà solo un'estate.
(LisaxNelson)
Prometto di cambiare la trama con una migliore. Prometto prometto.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bart Simpson, Lisa Simpson, Nelson Muntz, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Problemi

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Lisa appoggiò il vassoio sul ripiano e iniziò a sistemare i piatti sporchi nel retro del diner. Non era il lavoro dei suoi sogni di sicuro, ma era un buon posto e le mance non erano male.
Verso le undici il campanello suonò e lei finì velocemente per andare ad accogliere i clienti. Si pulì le mani prima di tornare nel locale e poi si bloccò: la nuova postina stava consegnando a Ellie qualcosa, dicendole che forse avrebbe preferito vederla subito. La ragazza sorrise e annuì, ringraziandola.
Lisa osservò la scena e poi, all’arrivo di un nuovo cliente, disse a Ellie di prendersi una pausa e lo accompagnò lei al tavolo, prendendo al volo la caraffa del caffè e servendolo.
Appena ebbe un attimo libero, Lisa andò a cercarla e la trovò nel piccolo locale dove si cambiavano. La ragazza stava leggendo una lettera e aveva le lacrime agli occhi.
“Tutto bene, Ellie?”
Ellie si tirò su e, come se fosse appena tornata al presente, annuì, asciugandosi il viso.
“Cattive notizie?” le chiese, quando la vide così scossa. Forse la postina avrebbe dovuto portarle la posta a casa, invece di consegnargliela lì, sul posto di lavoro.
“No, no, sono bellissime” mormorò, con la voce roca. Lisa si avvicinò a lei e le mise un braccio sulla spalla. Lei sembrava contenta davvero, solo molto emozionata. Forse la postina ci aveva visto giusto.
“Lui è Seth” le disse, facendole vedere una foto: un bambino di quattro o cinque anni, biondo, sorrideva alla macchina fotografica. Lisa annuì e, non sapendo bene cosa dire, disse: “È molto carino”.
Il viso di Ellie si illuminò. “È anche molto intelligente, sai?” Lisa, non rispose niente, perché la domanda non era veramente rivolta a lei, visto che la ragazza continuava a guardare la foto. “È mio figlio e ha già quattro anni…”
Lisa sbatté forte gli occhi. Chi era? Guardò ancora la foto e, effettivamente, notò qualche somiglianza nelle linee del viso con Ellie. Aveva la sua stessa attaccatura di capelli, che sembravano dello stesso colore e gli occhi chiari sembrano possedere la stessa luminosità. “Tuo figlio?”
Lei sospirò. “Sono rimasta incinta il mio primo anno di liceo… Il mio ragazzo… vabbè... Non ho abortito e abbiamo preferito darlo in adozione. Un’adozione aperta. Sai come funziona?”
Lisa sbatté di nuovo gli occhi. Come, come, come? Scosse la testa e tornò a guardare ciò che la ragazza aveva in mano oltre alla foto: una lettera con una grafia elegante e fitta, un disegno fatto con i pastelli e altre immagini del bambino non in primo piano.
“Ho qualche vaga idea…” ammise, senza esserne del tutto convinta.
“I suoi genitori sono meravigliosi, sai? Sono persone dolcissime che hanno deciso di aiutarmi in un momento difficile. Hanno una bambina di otto anni adottata anche lei...” Ellie iniziò a raccontare e, dalla velocità con cui spiegava le cose, Lisa capì che lo raccontava più per se stessa che a lei. Adozione aperta voleva dire che quando il bambino viene dato in adozione, la madre naturale può chiedere sue notizie e informarsi. Ma Ellie non aveva mai dovuto fare niente di tutto ciò, perché i genitori che avevano adottato Seth le spedivano foto e lettere regolarmente e lei poteva seguire la crescita del bambino. E lui stava crescendo benissimo. Quando arrivò in fondo alla storia, Lisa le sorrise.
“Sei stata molto brava anche tu. Hai fatto una scelta consapevole. Hai bisogno che ti copra per il resto del turno? Vuoi andare dal padre del bambino?”
Ellie spalancò gli occhi e scosse la testa. “Assolutamente no! Lui neanche sa di Seth!”
Lisa sentì le guance scaldarsi: che gaffe!
“Scusami, quando hai detto ‘abbiamo preferito’ pensavo che aveste preso la decisione insieme. Non avevo capito.”
“Abbiamo preferito noi. Io e la mia famiglia. Mio padre e la mamma di Nelson. Mary mi è stata vicina, mi ha aiutato tantissimo, io…” La voce della ragazza si incrinò e Lisa si sentì ancora più colpevole.
“Scusami ancora, non volevo essere invadente…”
“Sei stata molto gentile, invece. Grazie. E comunque non lo vedo da quando gli ho detto che ero incinta. Fra noi… sì, insomma, lui era ciò che mia nonna definiva ‘un mascalzone’.”
Lisa annuì, comprendendo ciò che intendeva.
“Ti copro per un po’, prenditi il tempo che ci vuole.”
Lisa tornò nel salone e si apprestò a tornare in servizio.

 

***

“Nelson, sei venuto a prendermi?”
Lisa si voltò verso Ellie e guardò nella direzione in cui stava guardando lei: Nelson era appena entrato nel diner e aveva uno zainetto sulla spalla. Annuì alla sorella e poi lanciò un cenno di saluto a Lisa. Lei si sentì arrossire e non capì bene perché. Ricambiò il suo saluto, mentre Ellie diceva ad alta voce: “Ma sei in anticipo. Perché non ti siedi? Ti porto qualcosa?”
Nelson annuì e si guardò intorno. Lisa lo osservò scegliere un tavolo in fondo, uno di quelli davanti alla vetrina da cui si vedeva la strada e dirigersi lì. Era uno dei suoi tavoli. Uscì da dietro al bancone e andò a pulire il tavolino vicino a quello del ragazzo, stupendosi ancora del proprio atteggiamento scostante. Perché si sentiva nervosa?
Osservò Nelson tirare fuori una carpetta dallo zainetto, una calcolatrice, un blocco e una penna. Quando lui alzò lo sguardo verso di lei, gli chiese: “Che fai?”
“Controllo i conti. È la parte più noiosa di tutte, ma bisogna farla. Come i compiti a scuola…” Lisa sorrise e annuì.
“Ti porto una birra?”
Lui guardò l’orologio in alto sulla parete e annuì. Lisa immaginò che lo avesse fatto per controllare che non fosse troppo presto per bere. Ma poi ci ripensò: Nelson non sembrava il tipo che stava attento a certe cose.
“Una Duff, allora?”
Nelson fece un cenno con il capo e portò l’attenzione sui fogli che aveva tirato fuori dalla carpetta.
Lisa scrisse la comanda sul foglietto e lasciò una copia sul tavolo, ma prima di girarsi per tornare al bancone, però, il suo sguardo corse fuori dalla vetrina e la sua bocca imprecò sottovoce.

 

Nelson alzò lo sguardo verso Lisa quando la sentì indistintamente dire: “Merda!”. Lei stava guardando fuori dalla vetrata e il ragazzo si girò per capire cosa avesse visto.
L’auto sportiva di Milhouse, appena oltre al marciapiede, si muoveva avanti e indietro, in maniera scomposta e mal funzionale. Probabilmente quell’idiota non riusciva a parcheggiare.
Tornò a guardare verso la ragazza che aveva lo sguardo incollato fuori e vide i suoi occhi spalancati. La sua tasca del grembiule vibrò e lei prese il telefono abbassando lo sguardo sullo schermo.
“Non riesco a venirti a prendere. Ti mando Miloser” mormorò, leggendo il messaggio. “No, Bart, non puoi farmi questo. Miloser no…”
Nelson non riuscì a trattenere una risatina sciocca. Lei non voleva andare via con lo sfigato. E sembrava che Bart gli avesse dato un soprannome adatto.
Miloser? Carino. E quella è la stessa macchina che c’era a PineHill la sera che ti ho…” Nelson stava per dire ‘rimorchiato’ perché era la parola che avrebbe usato normalmente per via del carro attrezzi, ma si interruppe, perché in quel momento gli sembrava la parola sbagliata e lo metteva stranamente in imbarazzo.
“Sì, lascia stare va…” rispose lei, iniziando a digitare sul telefono. “Bart? No, no, ascoltami tu! Richiamalo subito. Non torno a casa con quel troglodita, ok? Vengo a piedi, piuttosto. No. No…” La voce di Lisa si affievolì, mentre si dirigeva verso il bancone e abbassava la voce per non farsi sentire.
Nelson la vide varcare la soglia della cucina, così tornò a guardare il ragazzo che stava ancora tentando di parcheggiare.
Si mosse avanti e indietro altre due volte, ma poi dovette rinunciarci perché scese dalla macchina, nonostante fosse tutta storta e la ruota posteriore fosse un bel po’ fuori dal parcheggio.
Nelson continuò a guardarlo e, quando il ragazzino scese dall’auto, lo osservò mentre rispondeva al telefono. Milhouse non era troppo lontano dalla vetrina e Nelson riuscì a sentire tranquillamente quello che diceva. “Bart! Sì, sono arrivato”. Lo sfigato guardò verso l’entrata del diner ma non lo vide in vetrina. “Perché devo venire via? No, no, dai… Ah, ok. Non… Lisa ha un altro passaggio? Ah, va bene…”
In quel momento Nelson si sentì carico e picchiettò sul vetro per attirare l’attenzione del ragazzo. Quando Milhouse lo vide, Nelson gli sorrise e lo salutò con la mano. Il suo sorriso si fece ancora più ampio quando lui lo riconobbe e rimase a bocca aperta. Mosse le sopracciglia su e giù al gesto di saluto che lui gli fece in risposta: sembrava che il braccio del ragazzo si muovesse di volontà propria e in modo scoordinato.
Lo osservò salire in macchina e ripartire. Ridacchiò quando il paraurti dell’auto sportiva strusciò contro la corteccia dell’albero del viale.

 

Lisa portò la birra a Nelson e lanciò un’occhiata fuori. Sospirò: lui se n’era andato.
“Andrai a casa a piedi, quindi?” gli chiese il ragazzo, pagando la consumazione. Lei alzò le spalle.
“Me la sarei fatta a piedi comunque. Come l’altra sera.”
“L’altra sera ti ho portato a casa io, non sei andata a piedi.”
“Vero. Ma avevo già scelto.”
Lisa si chiese se lui le avrebbe offerto un passaggio anche quel pomeriggio o se l’avrebbe obbligata a chiederglielo. Non aveva problemi a camminare, ma qualcosa dentro di lei suggeriva che le sarebbe piaciuto molto di più farsi accompagnare da lui.
Lo guardò, ma lui ghignò e non disse niente, guardandola di proposito. Lisa si morse il labbro. Ecco dov’era finito il vero Nelson. Aveva ragione: non era cambiato per niente.
“Immagino che chiederti…”
“Va bene, accompagno anche te” disse, senza lasciarla finire.
Lisa si infastidì e sbuffò, mentre si girava e andava alla cassa a depositare i soldi: lui aveva spettato che lei glielo chiedesse. No, non era cambiato per niente.

 

***

“Salutami Maggie” esclamò Ellie quando Lisa scese dal carro attrezzi una volta arrivata a casa. Un po’ la ragazza si stranì: conosceva sua sorella? Beh, erano andate allo stesso liceo, quell’anno.
Ellie le aveva confidato di aver perso un anno di scuola e di aver cambiato liceo quando era rimasta incinta, così aveva frequentato l’istituto vicino a casa di Lisa invece che quello dove avrebbe dovuto andare per stradario. Per un caso del destino non avevano frequentato il liceo insieme.
“Lo farò senz’altro” le disse, sorridendo.
“E dille che mi mancherà fare le lezioni del coro insieme!”
Il coro? Maggie era nel coro scolastico? Maggie sua sorella? Scosse le spalle un po’ confusa e ringraziò Nelson che le fece un cenno con il capo.
Entrò in casa, salutò i genitori e salì le scale per andare al piano superiore. Stava per aprire la porta della sua camera, quando ci ripensò e ci passò davanti, per andare verso la stanza di Maggie.
Bussò, ma non ricevette risposta. Eppure sentiva dei rumori, era sicura che Maggie fosse dentro. Bussò ancora. “Maggie? Ci sei?” Quando non ricevette risposta, abbassò la maniglia ed entrò. “Maggie?” la chiamò ancora.
Sua sorella era sdraiata sul letto a leggere una rivista, quando l’abbassò vide che aveva gli auricolari delle cuffie nelle orecchie e quindi non poteva sentirla. Maggie si tolse una cuffietta per prestarle attenzione e Lisa buttò lì: “Ti va di fare una chiacchierata?”
La ragazza scosse le spalle e indicò le cuffie, rigirandosi verso la finestra. Oh. Lisa ci rimase malissimo, ma chiuse la porta e tornò in camera sua.
Una volta entrata guardò il sax nell’angolo e si avvicinò. Lo guardò per quella che le sembrò un’eternità, poi il suo pc, posato sulla scrivania, iniziò a suonare.
Si voltò e osservò lo schermo che si stava illuminando: Kristen la stava video chiamando su skype. Per fortuna qualcosa di buono esisteva ancora, pensò accettando la chiamata.
“Ciao Kristen, come stai?”
“Non sai cosa mi è successo oggi, Lisa!”

 

***

 

“Cosa sta succedendo con mia sorella?”
Nelson mancò il colpo successivo e la faccia di Bart divenne strana.
“Con Lisa? Niente, perché?”
Bart riprese posizione e Nelson continuò ad allenarsi. Ma fece più fatica.
“E l’altra sera?”
Nelson sospirò e colpì ancora i paracolpi che il ragazzo reggeva su ogni mano. Non aveva voglia di giocare, voleva sfiancarsi di pugni e stancarsi fisicamente, non mentalmente.
“L’altra sera sono andato a PineHill a togliere dal fango il nipote del sindaco e l’ho vista sulla strada che tornava a piedi.”
Si trattenne dal chiedere se e cosa gli avesse raccontato Lisa, su quella sera.
“Ah! Bene!”
“Bene?” Nelson si fermò e rimase con i pugni puntati verso il soffitto. Bart ghignò e gli fece cenno di continuare.
“Era uscita con Milhouse, ma la cosa non mi piace. Se lei era da sola allora hanno litigato subito e vuol dire che non torneranno insieme di sicuro.”

 

Nelson annuì meccanicamente, e riprese a picchiare, ma i suoi colpi persero un po’ di intensità e Bart lo notò con facilità; ghignò un pochino, ma il pugile non se ne accorse.
“Lisa e Milhouse sono stati insieme?” gli chiese Nelson, con quella che a Bart sembrò una finta noncuranza.
“Sì, al liceo. Penso che siano stati a letto insieme.”
Bart, che aveva voluto provocare Nelson apposta, per studiarne la reazione, non calcolò che effettivamente era riuscito nel suo intento e abbassò la guardia senza prestare attenzione ai colpi del ragazzo, così un pugno non fermato dal paracolpi lo colpì in pieno viso.

 

“Merda!” gridò Bart, lasciando cadere i paracolpi.
“Cazzo! Perché ti sei spostato?” esclamò invece Nelson, sbarrando gli occhi e cercando, con lo sguardo, aiuto intorno a lui.
Uno di quei vecchi che non avevano niente da fare e giravano per la palestra a curiosare, si avvicinò a loro per aiutarli ma Bart si agitò. “Non mi sono spostato! Mi hai colpito tu!”
“Ti sei spostato, sì!” sostenne Nelson, ma capì lui stesso di non esserne convinto del tutto. Possibile che lo avesse colpito apposta? Per quello che aveva detto?
Ma poi, cosa gli interessava se Lisa e Miloser erano stati a letto insieme o no? Niente. A lui non interessava niente.
“Ti vado a prendere del ghiaccio” disse il vecchio, prima di allontanarsi.
Bart lo guardò male. “Se mi viene un occhio nero mi offri una Duff”. L’altro annuì distrattamente. “Adesso?” chiese, contento di scroccargli una birra.
Nelson lo guardò alzando un sopracciglio. “Finito l’allenamento” ordinò e Bart annuì, andandosi a sedere.
Nelson fece un cenno a uno degli aiutanti per farsi tenere il sacco e decise di pensare ad altro altrimenti avrebbe pestato anche il nuovo ragazzo e dopo non avrebbe avuto più nessuno sano con cui allenarsi.

 

***

“Puzzi come una puttana.”
Bart aveva ancora il sacchetto del ghiaccio premuto contro il viso, anche se, secondo Nelson non c’era più bisogno: ormai ciò che era fatto era fatto.
“Si chiama lavarsi con il sapone, in verità. Dovresti provare” rispose Nelson, facendo cenno a una delle cameriere del pub, mentre si sedevano a un tavolino con due divanetti.
La ragazza si avvicinò sorridendo, ma quando vide Bart il suo viso si dipinse di preoccupazione. “Ma cosa hai fatto, Bart?”
Bart fece un sorriso tirato e Nelson capì che lo stava facendo apposta, visto che stava bene fino a poco prima. “Sono stato aggredito da un bandito” spiegò.
La bocca della ragazza di allargò in un cerchio perfetto. “Un bandito?”
“Sì, una vecc… signora è stata aggredita da uno scippatore e io l’ho salvata” sussurrò Bart, all’indirizzo della ragazza che, per sentire cosa stesse dicendo, si era chinata su di lui. “Ma non dirlo a nessuno, sai, non mi piace vantarmi…”
“Oh, Bart, ma che bella cosa! Sei stato molto coraggioso!” Quando la ragazza fece il gesto di alzarsi per rivolgersi a Nelson, Bart, con un gesto calcolato, abbassò il ghiaccio sintetico e lei si trovò di nuovo sorpresa. “Mamma mia, hai tutta la guancia viola! Deve farti malissimo”.
Nelson sbuffò quando vide Bart fare gli occhi dolci alla cameriera. “Ci puoi portare due Duff?” chiese quindi, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
Lei annuì nella sua direzione e tornò a guardare Bart; allungò una mano verso il viso del ragazzo e lui appoggiò la guancia alle sue dita, facendo una smorfia di dolore.
“Mi aiuteresti a tenerci su il ghiaccio, dopo? Io sono così stanco… Sai tutto quel trambusto…”
“Bart…” Nelson ne aveva abbastanza di quella scenetta.
“Ma c’eri anche tu, Nelson?” gli chiese la ragazza, voltandosi verso di lui. Non si stupì che lei lo avesse chiamato per nome, visto che lui e Bart andavano in quel pub spesso dopo gli allenamenti e quindi li conoscevano.
“Sì, io ero lo scippatore.”
La ragazza ora era confusa. Nelson gettò un occhio alla targhetta appuntata sul suo petto: Stacy, la cameriera si chiamava Stacy. A giudicare dal suo sguardo, non doveva essere molto più intelligente di Stacy la bambola di plastica con cui sua sorella giocava quando era piccola.
“Stacy, in cucina!” gridò una voce dal retro.
“Solo due Duff, allora?” chiese la ragazza, prima di fare un passo indietro per obbedire all’ordine.
“Anche una porzione di chips & chicken!” gridò Bart e Stacy annuì con il capo.

 

Bart ridacchiò, gettando il ghiaccio sintetico sul sedile accanto a lui.
“Sei un idiota” lo accusò l’amico. Bart rise più forte. “Avrà diciotto anni…”
Bart alzò le spalle. “Li ha di sicuro, se lavora qui. E questa è l’unica cosa importante. Hai visto che lato b?” Bart vide Nelson lanciare un’occhiata verso la porta della cucina e scuotere la testa.
“Idiota.”
“Parliamo dell’incontro” esordì.
Nelson sbuffò.
“Ti ho detto che non mi interessa.”
“Neanche se ti dicessi che so chi è il tuo avversario?” Bart notò il guizzo negli occhi di Nelson. Lo aveva incuriosito. “Neanche se ti dicessi che ti piacerebbe pestarlo per bene?”

 

Ora Nelson era incuriosito davvero. Chi era il suo avversario? Per un attimo, il viso di Miloser apparve nei suoi pensieri, ma scosse il capo per scacciarlo.
Bart dovette interpretare male il suo gesto, perché alzò le spalle. “Ok. Anche se sarebbe un’occasione perfetta”.
“Tutti quelli che voglio pestare non li voglio affrontare sul ring. Preferisco prenderli a pugni in vicoli bui e maleodoranti.”
Bart sorrise e gli puntò contro l’indice, guardandolo fisso. “Ma non puoi. Soprattutto questo qui”.
Come? Nelson si mosse sul divanetto: di chi parlava? Guardò l’amico ma lui, capendo di aver avuto la sua attenzione, ghignò e guardò verso il locale.
Nelson sbuffò e cercò di fare finta di niente, ma Bart dovette intuire il suo gesto e sorrise ancora.
Dopo dieci minuti Bart, a bruciapelo, gli fece un nome. Quel nome. Nelson digrignò i denti: aveva ragione, lo avrebbe pestato volentieri. Ma, come aveva detto poco prima, avrebbe preferito farlo a mani nude e senza spettatori. Però non poteva.
Arrivarono le birre e si alzò anche la musica.
“Potresti pensarci” disse Bart, prendendo un lungo sorso e poi iniziando a muovere le braccia come se fosse in pista a ballare.
“Potrei” rispose Nelson, con sguardo serio.

 

***

Lisa guardò il sax, sul suo piedistallo nell’angolo della camera, vicino alla vecchia scrivania che aveva usato in tutti gli anni scolastici, e sospirò. Non riusciva a suonare. Al liceo suonare la calmava e la riempiva di serenità e adrenalina, ma poi… niente. Non le faceva più effetto. Era convinta di non riuscire più a suonare decentemente. Per i quattro anni passati al college non era riuscita a tenersi in allenamento tanto quanto avrebbe voluto, ma lì aveva dato la colpa a svariate cose: lo studio impegnativo, la sua compagna di stanza, il dormitorio… Ogni scusa era buona. Ogni scusa per non dover dire che non riusciva più a suonare. O che suonare non le riusciva più bene perché non era in grado di farlo.
Avrebbe voluto liberare la mente e suonare un po’ di blues con il sax l’avrebbe aiutata. Di sicuro quattro anni prima lo avrebbe fatto.
Ora era impegnata a tenere i pensieri sotto controllo. Il pensiero di Maggie, che sembrava così distante, anche se Lisa aveva pensato che la passione per la musica avrebbe potuto unirle e invece non era successo, e il fatto che quella sera era uscita con dei ragazzi più grandi per andare a una festa e non era ancora tornata.
I suoi genitori erano usciti, ma lei era sicura che non avrebbero comunque controllato Maggie come Lisa si aspettava che facessero dei genitori. Doveva essere perché lei era la terza dei figli e quindi le concedevano più libertà. Sì, sua madre aveva detto una cosa del genere. È che Lisa non riusciva a togliersi dalla mente il bambino di Ellie e il fatto che lo avesse avuto proprio all’età di Maggie…
Il pensiero di Ellie, poi, le faceva venire in mente Nelson e lei si sentiva ancora confusa pensando a lui.
Doveva pensare ad altro. Doveva fare assolutamente qualcosa per non pensare a niente.
Camminò lungo il corridoio e quando sorpassò la camera di Bart, si fermò: il giorno prima aveva beccato suo fratello che fumava in camera. E non una sigaretta!
Aprì la porta ed entrò nella tana di Bart. Il letto disfatto e il disordine per terra facevano pensare alla stanza di un adolescente. Lisa storse il naso e andò dritta verso il comodino: fondamentalmente suo fratello era banalmente prevedibile.
Non dovette neanche cercare tanto: una busta trasparente e un pacchetto di sigarette si fecero trovare subito. Guardò il sacchetto, trattenuto da un elastico, da cui le verdi foglie si notavano a occhio nudo. Aprì il pacchetto sperando di non dover fare molto e fu subito ricompensata: sorrise mentre tirava fuori una canna già rollata infilata insieme a due sigarette. Rimise tutto a posto, afferrò un accendino con il testimonial della Duff dalla mensola sopra il letto e si avviò verso la finestra, ma poi ci ripensò: meglio andare fuori.
Scese le scale e uscì dalla porta principale di casa: se doveva controllare quando sua sorella fosse tornata, non poteva stare nel giardino sul retro.
Il vialetto e la poca erba del prato non nascondevano la strada, ma Lisa andò dritta verso la finestra squadrata del bovindo e si sedette sopra l’asse di legno che suo padre aveva adagiato su quattro mattoni chiamandola ‘panchina’, e tirò fuori il suo peccato. Ridacchiò come una bambina scema e poi si calmò, accendendo la canna come se fosse stata un’esperta in materia. Aspirò e dovette trattenere due colpi di tosse: non c’era abituata, ma poi la seconda volta, fu molto meglio.
Quando il carro attrezzi si fermò davanti a casa sua, strabuzzò gli occhi e per la sorpresa fece cadere la canna per terra. Quando Nelson scese e la guardò con uno sguardo strano, divenne rossa, come se fosse stata scoperta a rubare al supermercato.
“Lisa!” esclamò Bart, scendendo dal lato del passeggero.
“Bart! Ma cosa…” Lisa spalancò la bocca quando vide suo fratello scendere dall’automezzo in modo poco stabile: doveva essere ubriaco.
“Lisa, la mia cara sorellina!” Si avvicinò verso di lei e Lisa gli andò incontro. Quando furono vicini, lui le mise un braccio sulle spalle e l’attirò a sé. “Nelson! Sai che Lisa preferisce andare al polo nord a guardare il cielo piuttosto che stare qui a Springfield con la sua famiglia? Non odia solo questo posto, odia proprio tutti noi!” Poi il ragazzo inciampò e cadde per terra, trascinandosi dietro la sorella.

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