Problemi
Lisa
appoggiò il vassoio
sul ripiano e iniziò a sistemare i piatti sporchi nel retro
del diner. Non era
il lavoro dei suoi sogni di sicuro, ma era un buon posto e le mance non
erano
male.
Verso le undici il
campanello suonò e lei finì velocemente per
andare ad accogliere i clienti. Si
pulì le mani prima di tornare nel locale e poi si
bloccò: la nuova postina
stava consegnando a Ellie qualcosa, dicendole che forse avrebbe
preferito
vederla subito. La ragazza sorrise e annuì, ringraziandola.
Lisa osservò la scena e poi,
all’arrivo di un nuovo cliente, disse a Ellie di prendersi
una pausa e lo
accompagnò lei al tavolo, prendendo al volo la caraffa del
caffè e servendolo.
Appena ebbe un attimo
libero, Lisa andò a cercarla e la trovò nel
piccolo locale dove si cambiavano.
La ragazza stava leggendo una lettera e aveva le lacrime agli occhi.
“Tutto bene, Ellie?”
Ellie si tirò su e, come
se fosse appena tornata al presente, annuì, asciugandosi il
viso.
“Cattive notizie?” le
chiese, quando la vide così scossa. Forse la postina avrebbe
dovuto portarle la
posta a casa, invece di consegnargliela lì, sul posto di
lavoro.
“No, no, sono bellissime”
mormorò, con la voce roca. Lisa si avvicinò a lei
e le mise un braccio sulla
spalla. Lei sembrava contenta davvero, solo molto emozionata. Forse la
postina
ci aveva visto giusto.
“Lui è Seth” le disse,
facendole vedere una foto: un bambino di quattro o cinque anni, biondo,
sorrideva alla macchina fotografica. Lisa annuì e, non
sapendo bene cosa dire,
disse: “È molto carino”.
Il viso di Ellie si
illuminò. “È anche molto intelligente,
sai?” Lisa, non rispose niente, perché
la domanda non era veramente rivolta a lei, visto che la ragazza
continuava a
guardare la foto. “È mio figlio e ha
già quattro anni…”
Lisa sbatté forte gli
occhi. Chi era? Guardò ancora la foto e, effettivamente,
notò qualche
somiglianza nelle linee del viso con Ellie. Aveva la sua stessa
attaccatura di
capelli, che sembravano dello stesso colore e gli occhi chiari sembrano
possedere la stessa luminosità. “Tuo
figlio?”
Lei sospirò. “Sono rimasta
incinta il mio primo anno di liceo… Il mio
ragazzo… vabbè... Non ho abortito e
abbiamo preferito darlo in adozione. Un’adozione aperta. Sai
come funziona?”
Lisa sbatté di nuovo gli
occhi. Come, come, come? Scosse la testa e tornò a guardare
ciò che la ragazza
aveva in mano oltre alla foto: una lettera con una grafia elegante e
fitta, un
disegno fatto con i pastelli e altre immagini del bambino non in primo
piano.
“Ho qualche vaga idea…”
ammise, senza esserne del tutto convinta.
“I suoi genitori sono
meravigliosi, sai? Sono persone dolcissime che hanno deciso di aiutarmi
in un
momento difficile. Hanno una bambina di otto anni adottata anche
lei...” Ellie
iniziò a raccontare e, dalla velocità con cui
spiegava le cose, Lisa capì che
lo raccontava più per se stessa che a lei. Adozione aperta
voleva dire che
quando il bambino viene dato in adozione, la madre naturale
può chiedere sue
notizie e informarsi. Ma Ellie non aveva mai dovuto fare niente di
tutto ciò,
perché i genitori che avevano adottato Seth le spedivano
foto e lettere
regolarmente e lei poteva seguire la crescita del bambino. E lui stava
crescendo benissimo. Quando arrivò in fondo alla storia,
Lisa le sorrise.
“Sei stata molto brava
anche tu. Hai fatto una scelta consapevole. Hai bisogno che ti copra
per il
resto del turno? Vuoi andare dal padre del bambino?”
Ellie spalancò gli occhi e
scosse la testa. “Assolutamente no! Lui neanche sa di
Seth!”
Lisa sentì le guance
scaldarsi: che gaffe!
“Scusami, quando hai detto
‘abbiamo preferito’ pensavo che aveste preso la
decisione insieme. Non avevo
capito.”
“Abbiamo preferito noi.
Io e la mia famiglia. Mio padre e
la mamma di Nelson. Mary mi è stata vicina, mi ha aiutato
tantissimo, io…” La
voce della ragazza si incrinò e Lisa si sentì
ancora più colpevole.
“Scusami ancora, non
volevo essere invadente…”
“Sei stata molto gentile,
invece. Grazie. E comunque non lo vedo da quando gli ho detto che ero
incinta.
Fra noi… sì, insomma, lui era ciò che
mia nonna definiva ‘un mascalzone’.”
Lisa annuì, comprendendo
ciò che intendeva.
“Ti copro per un po’,
prenditi il tempo che ci vuole.”
Lisa tornò nel salone e si
apprestò a tornare in servizio.
***
“Nelson,
sei venuto a
prendermi?”
Lisa si voltò verso Ellie
e guardò nella direzione in cui stava guardando lei: Nelson
era appena entrato
nel diner e aveva uno zainetto sulla spalla. Annuì alla
sorella e poi lanciò un
cenno di saluto a Lisa. Lei si sentì arrossire e non
capì bene perché. Ricambiò
il suo saluto, mentre Ellie diceva ad alta voce: “Ma sei in
anticipo. Perché
non ti siedi? Ti porto qualcosa?”
Nelson annuì e si guardò
intorno. Lisa lo osservò scegliere un tavolo in fondo, uno
di quelli davanti
alla vetrina da cui si vedeva la strada e dirigersi lì. Era
uno dei suoi
tavoli. Uscì da dietro al bancone e andò a pulire
il tavolino vicino a quello
del ragazzo, stupendosi ancora del proprio atteggiamento scostante.
Perché si
sentiva nervosa?
Osservò Nelson tirare
fuori una carpetta dallo zainetto, una calcolatrice, un blocco e una
penna.
Quando lui alzò lo sguardo verso di lei, gli chiese:
“Che fai?”
“Controllo i conti. È la
parte più noiosa di tutte, ma bisogna farla. Come i compiti
a scuola…” Lisa
sorrise e annuì.
“Ti porto una birra?”
Lui guardò l’orologio in
alto sulla parete e annuì. Lisa immaginò che lo
avesse fatto per controllare
che non fosse troppo presto per bere. Ma poi ci ripensò:
Nelson non sembrava il
tipo che stava attento a certe cose.
“Una Duff, allora?”
Nelson fece un cenno con
il capo e portò l’attenzione sui fogli che aveva
tirato fuori dalla carpetta.
Lisa scrisse la comanda
sul foglietto e lasciò una copia sul tavolo, ma prima di
girarsi per tornare al
bancone, però, il suo sguardo corse fuori dalla vetrina e la
sua bocca imprecò
sottovoce.
Nelson
alzò lo sguardo
verso Lisa quando la sentì indistintamente dire:
“Merda!”. Lei stava guardando
fuori dalla vetrata e il ragazzo si girò per capire cosa
avesse visto.
L’auto sportiva di Milhouse,
appena oltre al marciapiede, si muoveva avanti e indietro, in maniera
scomposta
e mal funzionale. Probabilmente quell’idiota non riusciva a
parcheggiare.
Tornò a guardare verso la
ragazza che aveva lo sguardo incollato fuori e vide i suoi occhi
spalancati. La
sua tasca del grembiule vibrò e lei prese il telefono
abbassando lo sguardo
sullo schermo.
“Non riesco a venirti a prendere.
Ti mando Miloser”
mormorò, leggendo
il messaggio. “No, Bart, non puoi farmi questo. Miloser
no…”
Nelson non riuscì a
trattenere una risatina sciocca. Lei non voleva andare via con lo
sfigato. E
sembrava che Bart gli avesse dato un soprannome adatto.
“Miloser? Carino. E quella
è la stessa macchina che c’era a PineHill
la sera che ti ho…” Nelson stava per dire
‘rimorchiato’ perché era la parola
che avrebbe usato normalmente per via del carro attrezzi, ma si
interruppe,
perché in quel momento gli sembrava la parola sbagliata e lo
metteva
stranamente in imbarazzo.
“Sì, lascia stare va…”
rispose
lei, iniziando a digitare sul telefono. “Bart? No, no,
ascoltami tu! Richiamalo
subito. Non torno a casa con quel troglodita, ok? Vengo a piedi,
piuttosto. No.
No…” La voce di Lisa si affievolì,
mentre si dirigeva verso il bancone e
abbassava la voce per non farsi sentire.
Nelson la vide varcare la
soglia della cucina, così tornò a guardare il
ragazzo che stava ancora tentando
di parcheggiare.
Si mosse avanti e indietro
altre due volte, ma poi dovette rinunciarci perché scese
dalla macchina,
nonostante fosse tutta storta e la ruota posteriore fosse un bel
po’ fuori dal
parcheggio.
Nelson continuò a
guardarlo e, quando il ragazzino scese dall’auto, lo
osservò mentre rispondeva
al telefono. Milhouse non era troppo lontano dalla vetrina e Nelson
riuscì a
sentire tranquillamente quello che diceva. “Bart!
Sì, sono arrivato”. Lo
sfigato guardò verso l’entrata del diner ma non lo
vide in vetrina. “Perché
devo venire via? No, no, dai… Ah, ok. Non… Lisa
ha un altro passaggio? Ah, va
bene…”
In quel momento Nelson si
sentì carico e picchiettò sul vetro per attirare
l’attenzione del ragazzo.
Quando Milhouse lo vide, Nelson gli sorrise e lo salutò con
la mano. Il suo
sorriso si fece ancora più ampio quando lui lo riconobbe e
rimase a bocca
aperta. Mosse le sopracciglia su e giù al gesto di saluto
che lui gli fece in
risposta: sembrava che il braccio del ragazzo si muovesse di
volontà propria e
in modo scoordinato.
Lo osservò salire in macchina
e ripartire. Ridacchiò quando il paraurti
dell’auto sportiva strusciò contro la
corteccia dell’albero del viale.
Lisa
portò la birra a Nelson
e lanciò un’occhiata fuori. Sospirò:
lui se n’era andato.
“Andrai a casa a piedi,
quindi?” gli chiese il ragazzo, pagando la consumazione. Lei
alzò le spalle.
“Me la sarei fatta a piedi
comunque. Come l’altra sera.”
“L’altra sera ti ho
portato a casa io, non sei andata a piedi.”
“Vero. Ma avevo già
scelto.”
Lisa si chiese se lui le
avrebbe offerto un passaggio anche quel pomeriggio o se
l’avrebbe obbligata a
chiederglielo. Non aveva problemi a camminare, ma qualcosa dentro di
lei
suggeriva che le sarebbe piaciuto molto di più farsi
accompagnare da lui.
Lo guardò, ma lui ghignò e
non disse niente, guardandola di proposito. Lisa si morse il labbro.
Ecco
dov’era finito il vero Nelson. Aveva ragione: non era
cambiato per niente.
“Immagino che chiederti…”
“Va bene, accompagno anche
te” disse, senza lasciarla finire.
Lisa si infastidì e
sbuffò, mentre si girava e andava alla cassa a depositare i
soldi: lui aveva
spettato che lei glielo chiedesse. No, non era cambiato per niente.
***
“Salutami
Maggie” esclamò
Ellie quando Lisa scese dal carro attrezzi una volta arrivata a casa.
Un po’ la
ragazza si stranì: conosceva sua sorella? Beh, erano andate
allo stesso liceo,
quell’anno.
Ellie le aveva confidato
di aver perso un anno di scuola e di aver cambiato liceo quando era
rimasta
incinta, così aveva frequentato l’istituto vicino
a casa di Lisa invece che
quello dove avrebbe dovuto andare per stradario. Per un caso del
destino non
avevano frequentato il liceo insieme.
“Lo farò senz’altro” le
disse, sorridendo.
“E dille che mi mancherà
fare le lezioni del coro insieme!”
Il coro? Maggie era nel
coro scolastico? Maggie sua sorella? Scosse le spalle un po’
confusa e
ringraziò Nelson che le fece un cenno con il capo.
Entrò in casa, salutò i
genitori e salì le scale per andare al piano superiore.
Stava per aprire la
porta della sua camera, quando ci ripensò e ci
passò davanti, per andare verso
la stanza di Maggie.
Bussò, ma non ricevette
risposta. Eppure sentiva dei rumori, era sicura che Maggie fosse
dentro. Bussò
ancora. “Maggie? Ci sei?” Quando non ricevette
risposta, abbassò la maniglia ed
entrò. “Maggie?” la chiamò
ancora.
Sua sorella era sdraiata sul
letto a leggere una rivista, quando l’abbassò vide
che aveva gli auricolari
delle cuffie nelle orecchie e quindi non poteva sentirla. Maggie si
tolse una
cuffietta per prestarle attenzione e Lisa buttò
lì: “Ti va di fare una
chiacchierata?”
La ragazza scosse le
spalle e indicò le cuffie, rigirandosi verso la finestra.
Oh. Lisa ci rimase
malissimo, ma chiuse la porta e tornò in camera sua.
Una volta entrata guardò
il sax nell’angolo e si avvicinò. Lo
guardò per quella che le sembrò
un’eternità,
poi il suo pc, posato sulla scrivania, iniziò a suonare.
Si voltò e osservò lo
schermo che si stava illuminando: Kristen la stava video chiamando su
skype.
Per fortuna qualcosa di buono esisteva ancora, pensò
accettando la chiamata.
“Ciao Kristen, come stai?”
“Non sai cosa mi è
successo oggi, Lisa!”
***
“Cosa
sta succedendo con
mia sorella?”
Nelson mancò il colpo
successivo e la faccia di Bart divenne strana.
“Con Lisa? Niente,
perché?”
Bart riprese posizione e
Nelson continuò ad allenarsi. Ma fece più fatica.
“E l’altra sera?”
Nelson sospirò e colpì
ancora i paracolpi che il ragazzo reggeva su ogni mano. Non aveva
voglia di
giocare, voleva sfiancarsi di pugni e stancarsi fisicamente, non
mentalmente.
“L’altra sera sono andato
a PineHill a togliere dal fango il nipote del sindaco e l’ho
vista sulla strada
che tornava a piedi.”
Si trattenne dal chiedere
se e cosa gli avesse raccontato Lisa, su quella sera.
“Ah! Bene!”
“Bene?” Nelson si fermò e
rimase con i pugni puntati verso il soffitto. Bart ghignò e
gli fece cenno di
continuare.
“Era uscita con Milhouse,
ma la cosa non mi piace. Se lei era da sola allora hanno litigato
subito e vuol
dire che non torneranno insieme di sicuro.”
Nelson
annuì
meccanicamente, e riprese a picchiare, ma i suoi colpi persero un
po’ di
intensità e Bart lo notò con facilità;
ghignò un pochino, ma il pugile non se
ne accorse.
“Lisa e Milhouse sono
stati insieme?” gli chiese Nelson, con quella che a Bart
sembrò una finta
noncuranza.
“Sì, al liceo. Penso che
siano stati a letto insieme.”
Bart, che aveva voluto
provocare Nelson apposta, per studiarne la reazione, non
calcolò che
effettivamente era riuscito nel suo intento e abbassò la
guardia senza prestare
attenzione ai colpi del ragazzo, così un pugno non fermato
dal paracolpi lo
colpì in pieno viso.
“Merda!”
gridò Bart,
lasciando cadere i paracolpi.
“Cazzo! Perché ti sei
spostato?” esclamò invece Nelson, sbarrando gli
occhi e cercando, con lo
sguardo, aiuto intorno a lui.
Uno di quei vecchi che non
avevano niente da fare e giravano per la palestra a curiosare, si
avvicinò a
loro per aiutarli ma Bart si agitò. “Non mi sono
spostato! Mi hai colpito tu!”
“Ti sei spostato, sì!”
sostenne Nelson, ma capì lui stesso di non esserne convinto
del tutto.
Possibile che lo avesse colpito apposta? Per quello che aveva detto?
Ma poi, cosa gli
interessava se Lisa e Miloser erano stati a letto insieme o no? Niente.
A lui
non interessava niente.
“Ti vado a prendere del
ghiaccio” disse il vecchio, prima di allontanarsi.
Bart lo guardò male. “Se
mi viene un occhio nero mi offri una Duff”. L’altro
annuì distrattamente.
“Adesso?” chiese, contento di scroccargli una birra.
Nelson lo guardò alzando
un sopracciglio. “Finito l’allenamento”
ordinò e Bart annuì, andandosi a sedere.
Nelson fece un cenno a uno
degli aiutanti per farsi tenere il sacco e decise di pensare ad altro
altrimenti
avrebbe pestato anche il nuovo ragazzo e dopo non avrebbe avuto
più nessuno
sano con cui allenarsi.
***
“Puzzi
come una puttana.”
Bart aveva ancora il
sacchetto del ghiaccio premuto contro il viso, anche se, secondo Nelson
non
c’era più bisogno: ormai ciò che era
fatto era fatto.
“Si chiama lavarsi con il sapone,
in verità.
Dovresti provare” rispose Nelson, facendo cenno a una delle
cameriere del pub,
mentre si sedevano a un tavolino con due divanetti.
La ragazza si avvicinò
sorridendo, ma quando vide Bart il suo viso si dipinse di
preoccupazione. “Ma
cosa hai fatto, Bart?”
Bart fece un sorriso
tirato e Nelson capì che lo stava facendo apposta, visto che
stava bene fino a
poco prima. “Sono stato aggredito da un bandito”
spiegò.
La bocca della ragazza di
allargò in un cerchio perfetto. “Un
bandito?”
“Sì, una vecc… signora è
stata aggredita da uno scippatore e io l’ho
salvata” sussurrò Bart,
all’indirizzo della ragazza che, per sentire cosa stesse
dicendo, si era
chinata su di lui. “Ma non dirlo a nessuno, sai, non mi piace
vantarmi…”
“Oh, Bart, ma che bella
cosa! Sei stato molto coraggioso!” Quando la ragazza fece il
gesto di alzarsi
per rivolgersi a Nelson, Bart, con un gesto calcolato,
abbassò il ghiaccio
sintetico e lei si trovò di nuovo sorpresa. “Mamma
mia, hai tutta la guancia
viola! Deve farti malissimo”.
Nelson sbuffò quando vide
Bart fare gli occhi dolci alla cameriera. “Ci puoi portare
due Duff?” chiese
quindi, cercando di attirare l’attenzione della ragazza.
Lei annuì nella sua
direzione e tornò a guardare Bart; allungò una
mano verso il viso del ragazzo e
lui appoggiò la guancia alle sue dita, facendo una smorfia
di dolore.
“Mi aiuteresti a tenerci
su il ghiaccio, dopo? Io sono così stanco… Sai
tutto quel trambusto…”
“Bart…” Nelson ne aveva
abbastanza di quella scenetta.
“Ma c’eri anche tu,
Nelson?” gli chiese la ragazza, voltandosi verso di lui. Non
si stupì che lei
lo avesse chiamato per nome, visto che lui e Bart andavano in quel pub
spesso
dopo gli allenamenti e quindi li conoscevano.
“Sì, io ero lo
scippatore.”
La ragazza ora era
confusa. Nelson gettò un occhio alla targhetta appuntata sul
suo petto: Stacy,
la cameriera si chiamava Stacy. A giudicare dal suo sguardo, non doveva
essere
molto più intelligente di Stacy la bambola di plastica con
cui sua sorella
giocava quando era piccola.
“Stacy, in cucina!” gridò
una voce dal retro.
“Solo due Duff, allora?”
chiese la ragazza, prima di fare un passo indietro per obbedire
all’ordine.
“Anche una porzione di chips
& chicken!” gridò Bart e Stacy
annuì con il capo.
Bart
ridacchiò, gettando
il ghiaccio sintetico sul sedile accanto a lui.
“Sei un idiota” lo accusò
l’amico. Bart rise più forte.
“Avrà diciotto anni…”
Bart alzò le spalle. “Li
ha di sicuro, se lavora qui. E questa è l’unica
cosa importante. Hai visto che
lato b?” Bart vide Nelson lanciare un’occhiata
verso la porta della cucina e
scuotere la testa.
“Idiota.”
“Parliamo dell’incontro”
esordì.
Nelson sbuffò.
“Ti ho detto che non mi
interessa.”
“Neanche se ti dicessi che
so chi è il tuo avversario?” Bart notò
il guizzo negli occhi di Nelson. Lo
aveva incuriosito. “Neanche se ti dicessi che ti piacerebbe
pestarlo per bene?”
Ora
Nelson era incuriosito
davvero. Chi era il suo avversario? Per un attimo, il viso di Miloser
apparve
nei suoi pensieri, ma scosse il capo per scacciarlo.
Bart dovette interpretare
male il suo gesto, perché alzò le spalle.
“Ok. Anche se sarebbe un’occasione
perfetta”.
“Tutti quelli che voglio
pestare non li voglio affrontare sul ring. Preferisco prenderli a pugni
in
vicoli bui e maleodoranti.”
Bart sorrise e gli puntò
contro l’indice, guardandolo fisso. “Ma non puoi.
Soprattutto questo qui”.
Come? Nelson si mosse sul
divanetto: di chi parlava? Guardò l’amico ma lui,
capendo di aver avuto la sua
attenzione, ghignò e guardò verso il locale.
Nelson sbuffò e cercò di
fare finta di niente, ma Bart dovette intuire il suo gesto e sorrise
ancora.
Dopo dieci minuti Bart, a
bruciapelo, gli fece un nome. Quel nome. Nelson digrignò i
denti: aveva
ragione, lo avrebbe pestato volentieri. Ma, come aveva detto poco
prima,
avrebbe preferito farlo a mani nude e senza spettatori. Però
non poteva.
Arrivarono le birre e si
alzò anche la musica.
“Potresti pensarci” disse
Bart, prendendo un lungo sorso e poi iniziando a muovere le braccia
come se
fosse in pista a ballare.
“Potrei” rispose Nelson,
con sguardo serio.
***
Lisa
guardò il sax, sul
suo piedistallo nell’angolo della camera, vicino alla vecchia
scrivania che
aveva usato in tutti gli anni scolastici, e sospirò. Non
riusciva a suonare. Al
liceo suonare la calmava e la riempiva di serenità e
adrenalina, ma poi…
niente. Non le faceva più effetto. Era convinta di non
riuscire più a suonare
decentemente. Per i quattro anni passati al college non era riuscita a
tenersi
in allenamento tanto quanto avrebbe voluto, ma lì aveva dato
la colpa a
svariate cose: lo studio impegnativo, la sua compagna di stanza, il
dormitorio…
Ogni scusa era buona. Ogni scusa per non dover dire che non riusciva
più a
suonare. O che suonare non le riusciva più bene
perché non era in grado di
farlo.
Avrebbe voluto liberare la
mente e suonare un po’ di blues con il sax
l’avrebbe aiutata. Di sicuro quattro
anni prima lo avrebbe fatto.
Ora era impegnata a tenere
i pensieri sotto controllo. Il pensiero di Maggie, che sembrava
così distante,
anche se Lisa aveva pensato che la passione per la musica avrebbe
potuto unirle
e invece non era successo, e il fatto che quella sera era uscita con
dei
ragazzi più grandi per andare a una festa e non era ancora
tornata.
I suoi genitori erano
usciti, ma lei era sicura che non avrebbero comunque controllato Maggie
come
Lisa si aspettava che facessero dei genitori. Doveva essere
perché lei era la
terza dei figli e quindi le concedevano più
libertà. Sì, sua madre aveva detto
una cosa del genere. È che Lisa non riusciva a togliersi
dalla mente il bambino
di Ellie e il fatto che lo avesse avuto proprio
all’età di Maggie…
Il pensiero di Ellie, poi,
le faceva venire in mente Nelson e lei si sentiva ancora confusa
pensando a
lui.
Doveva pensare ad altro.
Doveva fare assolutamente qualcosa per non pensare a niente.
Camminò lungo il corridoio
e quando sorpassò la camera di Bart, si fermò: il
giorno prima aveva beccato
suo fratello che fumava in camera. E non una sigaretta!
Aprì la porta ed entrò
nella tana di Bart. Il letto disfatto e il disordine per terra facevano
pensare
alla stanza di un adolescente. Lisa storse il naso e andò
dritta verso il
comodino: fondamentalmente suo fratello era banalmente prevedibile.
Non dovette neanche
cercare tanto: una busta trasparente e un pacchetto di sigarette si
fecero
trovare subito. Guardò il sacchetto, trattenuto da un
elastico, da cui le verdi
foglie si notavano a occhio nudo. Aprì il pacchetto sperando
di non dover fare
molto e fu subito ricompensata: sorrise mentre tirava fuori una canna
già
rollata infilata insieme a due sigarette. Rimise tutto a posto,
afferrò un
accendino con il testimonial della Duff dalla mensola sopra il letto e
si avviò
verso la finestra, ma poi ci ripensò: meglio andare fuori.
Scese le scale e uscì
dalla porta principale di casa: se doveva controllare quando sua
sorella fosse
tornata, non poteva stare nel giardino sul retro.
Il vialetto e la poca erba
del prato non nascondevano la strada, ma Lisa andò dritta
verso la finestra
squadrata del bovindo e si sedette sopra l’asse di legno che
suo padre aveva
adagiato su quattro mattoni chiamandola ‘panchina’,
e tirò fuori il suo
peccato. Ridacchiò come una bambina scema e poi si
calmò, accendendo la canna
come se fosse stata un’esperta in materia. Aspirò
e dovette trattenere due
colpi di tosse: non c’era abituata, ma poi la seconda volta,
fu molto meglio.
Quando il carro attrezzi
si fermò davanti a casa sua, strabuzzò gli occhi
e per la sorpresa fece cadere
la canna per terra. Quando Nelson scese e la guardò con uno
sguardo strano,
divenne rossa, come se fosse stata scoperta a rubare al supermercato.
“Lisa!” esclamò Bart,
scendendo dal lato del passeggero.
“Bart! Ma cosa…” Lisa
spalancò la bocca quando vide suo fratello scendere
dall’automezzo in modo poco
stabile: doveva essere ubriaco.
“Lisa, la mia cara
sorellina!” Si avvicinò verso di lei e Lisa gli
andò incontro. Quando furono
vicini, lui le mise un braccio sulle spalle e
l’attirò a sé. “Nelson! Sai
che
Lisa preferisce andare al polo nord a guardare il cielo piuttosto che
stare qui
a Springfield con la sua famiglia? Non odia solo questo posto, odia
proprio
tutti noi!” Poi il ragazzo inciampò e cadde per
terra, trascinandosi dietro la
sorella.
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