13.
Il terzo giorno, i DVD erano quasi finiti, senza che Vegeta avesse
trovato altro di compromettente rispetto a sua moglie.
Gli ultimi filmati visionati gli avevano mostrato i soliti spostamenti
di routine: Bulma che andava a fare la spesa o che consegnava
i suoi lavori di traduzione; nulla di sconvolgente.
Seduto in poltrona con la sigaretta in mano, stava pensando di dare
forfait all’ultimo DVD rimasto, quando, a un certo punto cambiò idea.
A fargli cambiare idea fu l’incontro di sua moglie con un giovane
ragazzo: capelli lunghi arruffati, vestito casual e occhiali. La sua
particolarità, oltre a quella di indossare un lungo camice medico (segno che
era un laureando in medicina, come Vegeta avrebbe scoperto più tardi), era una
vistosa cicatrice che gli attraversava perpendicolarmente l’occhio destro e
un’altra, a forma di croce, a decorargli la guancia sinistra.
E questo chi è…? Pensò Vegeta spegnendo la
sigaretta nel posacenere sul tavolino.
Si erano dati appuntamento in un parco che
riconobbe essere quello nei pressi della zona universitaria.
- Salve, Yamcha – lo
salutò sua moglie dal video - Come sta? Ho qui il lavoro che mi aveva
commissionato, la traduzione di quella ricerca. –
- Ah, ottimo, ottimo! La ringrazio moltissimo. Quanto le
devo? –
- Sarebbero cento euro. Però, come le dicevo al telefono,
potrei farle uno sconto se mi aiutasse. –
Sorridendo, il giovane annuì: -
Certamente, sarà un piacere. Vengo a casa sua? –
- Oh, no, no... meglio di no. C’è mio marito che è geloso. Se
venissi io a casa sua, invece? –
- A casa mia? – il giovane rise. - Vivo allo
studentato, siamo in sette in una stanza… non riusciremmo mai a lavorare
tranquilli. -
- Già, è vero… - ribatté sua moglie, roteando gli
occhi. Poco dopo, levò la mano e spalancò gli occhi, come se avesse avuto
un’idea.
- Ho trovato! – esclamò - So dove potremmo
andare. Lei è libero domani? –
- Certamente, sono libero tutto il
giorno. –
- Bene, allora. Vediamoci qui domani alle tre, d’accordo? –
- Non mancherò. –
- Benissimo. Ora vado, che devo consegnare altri lavori. A
domani! –
- A domani, Bulma! –
E così, si salutarono, mentre Vegeta si
chiedeva dove mai sua moglie avrebbe voluto portare quel giovane medico.
*****
Nel filmato successivo, Bulma usciva dal
portone della casa di campagna, reggendo un cestino da pic-nic e una giacca. Canticchiava
una vecchia canzone popolare.
Doveva essere una giornata ventosa e fredda, a giudicare dai soffi che
si avvertivano in sottofondo, e anche lei era vestita con il suo cappotto
pesante. Girò l’angolo, portandosi verso il retro della casa, dove c’era il
piccolo molo in legno eretto da alcuni pescatori del luogo, che ogni tanto si posizionavano lì per le loro battute di pesca di fiume.
L’obiettivo della videocamera la seguì, fermandosi poi nei pressi di un
albero, da dove si poteva vedere tutto senza essere visti,
continuandola a riprendere.
In piedi sul molo, con una canna da pesca tra le mani, c’era di nuovo
quel ragazzo.
- Eccomi, Yamcha. Hai pescato
qualcosa? –
- Non me ne parlare… sono qui da un’ora e ho solo preso
freddo. Brrr! –
- Beh, per forza, ti vesti sempre con quel maglioncino…
mettiti questo – disse lei, porgendogli la giacca che reggeva sul braccio.
- Ma… Bulma, quella è la mia giacca! –
- Questa sì che tiene caldo! –
- Eh sì, è un montone. È di mio marito, ma tanto lui non se
la mette più. –
- Come sarebbe a dire “non me la metto più?!” Bulma! – esclamò, allargando le braccia.
- Sediamoci qui, ti va? – disse lei,
accomodandosi sulla panchina che c’era lì sul molo.
- E va bene, allora ditelo che mi volete spogliare proprio di tutto… -
mormorò Vegeta, rimettendo le mani sui braccioli della poltrona.
- Sì, va bene. Hai portato qualcosa da mangiare, vedo. –
- Due cosine, sì. Giusto per lavorare meglio. –
Per un po’, nessuno dei due disse nulla, mentre Yamcha
leggeva il dattiloscritto che Bulma doveva tradurre.
- Riesci a leggere? –
- Sì, sì. Praticamente dice: “La condizione patologica è da
ricercarsi in un eccessivo bisogno di attenzioni del soggetto, che… a causa… di
traumi, aperta parentesi, infantili o di altra natura, chiusa parentesi,
risulta avvertire come un peso la sua stessa
esistenza…” –
- Ah, ecco cos’era quella frase – ribatté lei, mentre
con l’indice della mano destra andava a picchiettare sulla frase, evidenziata
di rosa - Non riuscivo proprio a capire. Grazie. –
Vegeta scosse la testa, ridacchiando: - E io
che mi ero creduto che… Bah. Su una cosa aveva ragione Junior: di tutte le
donne su questa Terra posso avere qualche dubbio, ma non su Bulma.
Beh… Meglio così. – sentenziò, anche se mancava
ancora poco alla fine del DVD.
Si avvicinò al tavolino dove c’era il portatile, premendo “pausa”. Tuttavia,
il suo lato curioso gli disse che forse non sarebbe stata una buona idea.
Finisco di vederlo oppure stacco tutto e me ne vado? Pensò.
Guardò l’orologio: le quattro e mezza. Ce
n’era di tempo, ancora.
- E va bene. Finiamo di guardare questa roba – disse, e cliccò
nuovamente sul tasto “play”.
*****
Nel filmato successivo, l’ambientazione era un’esterna notte, con una
fortissima pioggia che tempestava le macchine ed i
palazzi. La videocamera inquadrò prima la Punto della signora C-18 dove sua
moglie era rintanata, poi il cancello di un giardino, che recava sull’arcata
l’insegna Casa dello Studente.
- Casa dello studente – lesse Vegeta sottovoce. Poi, nel video
apparve Yamcha con il suo cappotto tirato su a
proteggersi la testa, che si guardava intorno, cercando qualcuno (ovviamente Bulma). La trovò grazie a lei che incominciò a suonare il
clacson.
Yamcha allora aprì lo
sportello ed entrò nell’abitacolo.
- Anche di notte lo incontra… - commentò, salvo poi tacitarsi quando
gli attori inconsapevoli iniziarono a parlare.
Bulma piangeva.
- Non devi sentirti così, Bulma
– esordì il ragazzo - Devi pensare al futuro. –
- Come faccio a pensare al futuro, sapendo che lui non ci
sarà più?! –
- Guarda al lato positivo, mia cara: hai la possibilità di
sistemare le cose. –
- No, no. Tu non capisci – piagnucolò Bulma, gli occhi pieni di lacrime - Io non posso vivere
senza di lui, non posso… non posso! –
- Ma di chi stanno parlando? – mormorò Vegeta, con gli occhi
spalancati da una curiosità mista a un senso di paura.
A un certo punto, Bulma si allungò verso i
sedili posteriori e tirò fuori una grande busta gialla che porse a Yamcha, che iniziò a esaminarla.
- Un referto medico…? Ma che…? –
Improvvisamente, si ricordò di quella visita fatta circa tre mesi
prima: tra una cosa e l’altra, si era dimenticato di andare a ritirare il
referto, incombenza di cui per fortuna si era ricordata sua moglie.
- L’ho fatto vedere oggi al nostro dottore. Mi ha detto che
Vegeta ha al massimo tre mesi di vita! –
A quelle parole, si sentì mancare il fiato.
- Non devi preoccuparti, Bulma. Quando tuo marito non ci sarà più, prenderai la
liquidazione della banca, venderai la casa in campagna… e poi, potrai sempre
contare su di me. –
- Ma cosa me ne frega dei soldi, della liquidazione… io la
casa di campagna non la venderò mai! Lì ci sono tutti i nostri ricordi, il suo
trenino elettrico, le canne da pesca, i suoi vestiti… lui è come un bambino…! Io
non posso vivere senza di lui, lo capisci? Non posso! Non posso! – e giù un’altra
scarica di lacrime.
A quel punto, Yamcha non se la sentì di
ribattere, preferendo piuttosto prenderla sottobraccio e abbracciarla
fraternamente.
- Aiutalo – mormorò poi Bulma,
mentre ancora piangeva - Aiutalo, ti prego. –
Aiutalo…
Quando il filmato terminò, lasciando solo lo schermo blu
dell’interfaccia del portatile, Vegeta si alzò lentamente dalla poltrona,
camminando come se le sue gambe, anzi l’intero scheletro pesassero una
tonnellata.
Uscì dalla sala e si ritrovò nell’ingresso, dove si appoggiò contro un
mobile con annessa specchiera. Si guardò: il suo volto era pallido, non sapeva
se fosse per via della malattia che aveva appreso di avere, o per aver appena
appreso la notizia della sua imminente dipartita.
Sempre lentamente, si trascinò verso il portone e uscì all’aria aperta.
*****
Fuori, l’aria era fredda e la luce diafana. Il sole, non ancora
tramontato, era schermato dalla foschia campagnola.
Vegeta guardò il paesaggio circostante con occhi tristi. La sua
attenzione fu attirata da un miagolio alla sua destra. Si voltò. Era Balzhar, il micio bianco della fattoria poco lontana, che
ogni tanto si aggirava per il loro giardino.
- Ciao, Balzhar – lo
salutò, chinandosi a dargli due grattini. Il micio gli
si accoccolò contro la gamba facendo le fusa.
- Beato te – disse Vegeta, alzandosi e allontanandosi lentamente
– Tu sei gatto, ma appartieni al mondo dei vivi. Io invece… con la mia
intelligenza, i miei progetti, i miei sogni… appartengo al mondo dei morti
– mentre camminava, tracciò un arco ideale con la mano, ricomprendendovi
la casa, la sua macchina parcheggiata lì davanti, il giardino… - Tutto questo,
è come se non fosse mai esistito… se solo avessi il coraggio di buttarmi nel
fiume… - mormorò infine, allontanandosi verso il retro della casa.
La campagna era sonnacchiosa e tranquilla. In lontananza, un pastore
passò con il suo gregge di pecore e cane al seguito. Sul molo dove prima aveva
visto sua moglie e il suo giovane amico, adesso c’erano tre pescatori, che
peraltro conosceva. Li vide di sfuggita, troppo preso
dalla tristezza. Ormai al limite, incominciò a piangere.
- Vegeta! – lo chiamò uno dei pescatori
– Con ‘sto tempo cos’è meglio, il cucchiaio o la piuma? –
Lui alzò lo sguardo, pieno di lacrime – Eh?!
–
- Vegeta, è meglio il cucchiaio? –
- Il cucchiaio… Ma che cazzo me ne frega… - mormorò, quindi si girò e
se ne andò, lasciando i pescatori ai loro dubbi.
Rientrato nel casale, si disse che tanto valeva vedere gli ultimi
filmati, prima di…
Tornare a casa? ...Morire?
…prima di cosa?
Non lo sapeva più nemmeno lui.