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Autore: jinkoria    25/12/2020    5 recensioni
[ BakuDeku; multicharacter, multipairing | Prompt dell’iniziativa #25DaysofBakuDekuChristmas ]
Di come in venticinque giorni Midoriya Izuku si faccia innanzitutto eroe del proprio Natale e di quanto Bakugou Katsuki sia, non poi così sorprendentemente, fondamentale in tutto ciò.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Mina Ashido, Shouto Todoroki
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Bonsoir, per l'ultima sera ufficiale. ❤ 
Del capitolo che segue ho da dire solo tre cosine: 1. ho cercato di mantenermi quanto più IC possibile, penso di aver comunque sforato nell'OOC ma spero non sia fastidioso (io ne sono sensibilissima quindi mi dispiacerebbe skhfskhf); 2. la scritta nel regalo finale è ispirata a uno che ho ricevuto io stessa per questo Natale, che mi ha sinceramente portato alle lacrime per [vedi giù]. Il suo aspetto, insomma, ultimamente sono una piagnona; 3. lo avevo già detto prima ma ribadisco che tutto ciò è ambientato all'inizio del secondo anno, non posso ampliare qua sopra perché direi spoiler per chi non segue il manga ma (a parte una cosa che è di mia invenzione, non è ancora successa nel canon) quanto viene sotto si snoda partendo dal presupposto che una determinata svolta sia già bella che avvenuta, non solo dietro le quinte. Non l'ho esplicitato nel testo appunto per evitare spoiler, lo specifico qui vagamente. Per il resto, mi fa strano vidimare il Completa, non mi succede da anni per quanto riguarda le fanfiction a più capitoli e dico in tutta sincerità, non mi aspettavo né di finire né di riuscire a iniziare di tutto principio questa raccolta, sono contenta però di esserci riuscita, a prescindere dall'insoddisfazione cronica, per me è stato un enorme passo avanti. Non sempre sono riuscita a dare del mio meglio, probabilmente nemmeno oggi, avrei voluto dire altro ma mi sono ritrovata a voler dire troppo e questo angolo qua sotto stava già diventando /troppo/ serio, quindi mi sono fermata così. Ho capito di aver sbloccato una porta durante la scrittura di questa raccolta :') Mi ha tenuto comunque compagnia, anche quando di voglia di mettermi a scrivere non ne avevo affatto (molto spesso) e spero sia stato altrettanto per voi che l'avete seguita e letta, a prescindere dal momento o dalla costanza.
Grazie a chiunque abbia aperto, letto e apprezzato la raccolta, spero abbiate passato un Buon Natale a priori da quanto non proprio buono sia il periodo che stiamo vivendo. Grazie di cuore per il supporto, le mie parole erano nei capitoli ma le vostre mi hanno aiutato a scriverli. 
 Dunque, in conclusione e per l'ultima volta, buona lettura  
❤️(🧡)💚.


 

-25: Christmas Morning and I really hope you like your present(s)
 

A svegliarlo era stata la carezza di Inko tra i capelli, un bacio soffice posato sulla fronte mentre Izuku si stiracchiava sotto le coperte pesanti; nella mano libera, la donna teneva un pacchetto regalo dalla graziosa fantasia, la coccarda variopinta riportava i colori primari con una parte bianca al centro.

Il figlio sorrise, le braccia sgusciarono dal caldo giaciglio per sollevarsi e andare incontro alla madre, cingendola in un abbraccio di buongiorno e grato. A sua volta Inko ricambiò, il palmo scivolava leggero e dolce contro la sua schiena, dopodiché recuperò il piccolo oggetto che Midoriya aveva recuperato qualche giorno addietro, in quel primo dì volto alle compere natalizie insieme a Bakugou: la lanterna decorativa, di minute dimensioni, sembrava ancor più ridotta dopo tutto quel tempo.

«Grazie, tesoro» mormorò con tenerezza la madre, spostandosi un poco quando Izuku fece per scendere dal letto, dunque indicò il pacchetto dato al figlio «È anche da parte di papà, più tardi ti farà una chiamata. Non ti ho avvisato prima, quando era al telefono con me, perché era ancora troppo presto e dormivi così bene…».

Izuku scosse il capo e le sorrise rassicurante «Va benissimo, ieri sera mi sono addormentato un po’ tardi quindi è probabile non mi sarei nemmeno alzato davvero, nel pomeriggio proverò a chiamarlo io».

Inko annuì, diede un’ulteriore carezza alla guancia lentigginosa del figlio, poi si voltò per dirigersi verso il corridoio «La colazione è pronta, ti aspetto di là!» al quale l’altro replicò col medesimo cenno d’assenso.

Quando la madre fu del tutto fuori dalla stanza e lontana abbastanza, l’erede di All Might si abbandonò ancora contro il materasso a braccia aperte, gli occhi chiusi con stanchezza per la notte di fatto passata in bianco, la ragione semplice e chiara, fin troppo forse: il regalo di Katsuki giaceva custodito all’interno del proprio cassetto, sopra i quaderni di appunti accumulati negli anni. Vi rivolse uno sguardo, senza levarsi dalla posizione stesa, un’occhiata un po’ infelice e preoccupata al contempo, sebbene il cuore continuasse a ripetergli quanto in realtà fosse tutt’altro che necessaria quell’onda di ansia c’era il tarlo costante, memore dei trascorsi nel periodo natalizio, la destinazione dei regali non andata mai a buon fine. Alcune volte si era chiesto persino che fine avessero fatto i pacchetti consegnati a casa Bakugou, lasciati sullo zerbino d’ingresso in fretta per poi defilarsi altrettanto rapido, alla stregua di un ladro incapace di portare a termine il crimine. Era certo li avesse gettati o dimenticati fuori, fin quando non fossero diventati un fastidio per l’entrata e il passaggio stesso.

Non c’era nulla di così criminale o sbagliato, Midoriya lo sapeva, così come non era affatto pentito di nessuno di quei regali andati a vuoto, perché erano il modo più innocente e sincero insieme col quale, da bambino fino alla prima adolescenza, aveva cercato di dimostrare il proprio affetto per l’amico d’infanzia. Il ricordo del rifiuto era però tanto vivido quanto doloroso, inevitabile era l’associazione a quanto seguito e permaso fino a pochi mesi prima, a conti fatti; Katsuki aveva dimostrato di essere cambiato, avviato verso un principio di miglioramento personale e, soprattutto aveva notato, nei suoi confronti. A priori dall’evoluzione intima del loro rapporto, suggerì una vocina maliziosa nella sua testa, la quale fu prontamente scacciata da una mano sventolante, il viso di Izuku contrito e sulla via del rossore per l’imbarazzo.

Si rimise a sedere con uno scatto e subito dopo passò all’alzarsi vero e proprio, l’espressione più convinta e determinata mentre si ripeteva quanto dovesse mantenere il controllo sulla situazione e la paranoia di ricadere in un circolo che nessuno dei due, Bakugou primo fra loro, aveva intenzione di riavviare.

Il punto a presentarsi premente, difatti, era: quale intenzione stava alla base di quella relazione? Qual era la direzione l’altro voleva prendessero in quel rapporto ancora impacciato e all’inizio dello stesso accenno? C’era una relazione? Si disse di sì, che non poteva essere altrimenti, ma c’era ancora dell’esitazione, il freno precauzionale del non detto.

Andò a fare colazione, dissimulando il turbine di pensieri molesti davanti a Inko, mangiando la fetta di pane tostato e preparandosi poi come se nulla fosse.

Il telefono squillò, stavolta; nessuna notifica di messaggio – che, tra l’altro, aveva di fatto personalizzato, tanto che Midoriya fraintese per un attimo l’entità del suono essendo il medesimo associato all’applicazione di messaggistica, dunque afferrò lo smartphone e rischiò di farlo cadere un paio di volte quando vide affacciarsi la schermata di chiamata in arrivo.

Il “Kacchan” nero su bianco si fissò sulla parte superiore del telefono, quasi con tracotanza, pensò scioccamente Izuku, nel mentre deglutì un rumoroso boccone di agitazione, infine il dito scorse sull’icona di risposta.

«Pron-».

«Quanto avevi intenzione di farmi aspettare?!» giunse forte il tono irritato di Bakugou dall’altoparlante, per un momento ebbe paura di vederlo uscire dai piccoli fori per urlargli addosso; provò a replicare, rannicchiato su se stesso per la voce alta improvvisa, quando l’altro riprese a parlare, stavolta più pacato «Hai da fare?».

Midoriya guardò l’orologio, l’ora ancora piuttosto mattiniera nonostante si fosse alzato molto più tardi del solito, sicché chiese con fare non poco titubante «No… perché?».

«Vieni qui».

L’erede di All Might sbatté le palpebre, interdetto dal tono perentorio benché tinto di calma e condiscendenza, quasi fosse ben disposto ad accettare una risposta contraria ma comunque non intenzionato a ritrattare. Non che Izuku avesse ragione di tirarsi indietro o rifiutare, gli parve però strano l’invito di tutto punto, senza contare che non si recava a casa Bakugou per Natale da un po’; la fitta di malinconia tornò a pungolare al centro del petto, una smorfia si fece protagonista dei tratti del ragazzo. Poi si pizzicò una guancia con la mano libera, di nuovo si rimproverò tra sé per l’inutile sovrappensiero, così confermò l’invito – suggerimento forzato – e andò a comunicarlo a Inko. Prima ancora di avvicinarsi all’uscio si soffermò però nella propria camera, esitò davanti il comò accanto al letto; il cassetto custodente il regalo di quell’anno, il primo dopo anni di vuoto, sembrava così lontano dalla portata della sua mano.

Schiaffò entrambe le mani sulle guance, dunque allungò il braccio verso il pomello del mobile che scorse morbido e fluido sotto il leggero tirare, rivelando il pacchetto. Respirò a fondo e finalmente lo afferrò e se lo rigirò tra le mani per qualche istante, dopodiché lo ripose nella tasca del parka e si diresse in definitiva verso l’ingresso.

Ho sconfitto il peggior villain della storia, si ripeté per tutto il tragitto, non posso perdere contro un Natale.



Suonare il campanello sembrò terribilmente difficile, lo sforzo di pigiare il polpastrello contro il bottone un’impresa titanica e, una volta premuto, l’acuto campanello suonò come il segnale d’inizio lotta.

All Might mi prenderebbe a schiaffi se fosse nella mia testa.

La porta si aprì quasi nell’immediato, trascinata in dentro da un apparentemente scocciato Bakugou; Midoriya aveva imparato fosse la sua espressione tipica, quanto più neutrale l’altro fosse in grado di assumerne, dunque non si fece trattenere dall’indecisione quando il padrone di casa, salutato l’ospite con un gesto sbrigativo del capo, si spostò per farlo entrare.

Era quell’atteggiamento ancora sporcato da una freddezza incomprensibile, che nutriva i dubbi di Izuku, come se non fosse successo nulla o bastasse davvero poco perché il compagno si stancasse, a rincuorarlo fu la consapevolezza l’invito fosse venuto in via del tutto spontanea dall’altro, o almeno questo era quello che gli era parso nonostante la rapidità un po’ asettica col quale era stato posto.

«Andiamo in camera mia» disse Katsuki una volta chiusa la porta alle sue spalle, superandolo per dirigersi al piano superiore – forse pensava non ricordasse l’ubicazione della sua stanza, in realtà Izuku non lo aveva mai dimenticato, il ricordo rinvigorito negli anni dal fantasticare di farvi ritorno, prima o poi, una volta appianata l’incomprensione venutati a creare un pomeriggio qualsiasi della loro infanzia.

Superarono il soggiorno, la testa bionda e scompigliata di Mitsuki si affacciò dall’arco opposto, cornice della cucina «Midoriya-kun, quanto tempo!».

Midoriya si fermò, le mani congiunte prontamente in basso mentre si inchinava «Buon Natale, Mitsuki-san».

«Ti fermi a pranzo da noi?».

«Non-».

Il braccio fu tirato indietro da una salda presa su di esso, Izuku guardò con sgomento la faccia irritata di Katsuki, il quale era però rivolto alla madre «Non si ferma, devo solo mostrargli una cosa».

Il ragazzo in questione non poté fare a meno di provare una briciola di dispiacere e delusione a quel diniego così rapido, confermato senza il suo consenso o l’aver davvero tenuto in considerazione l’eventuale risposta, perché era vero non sarebbe rimasto, Inko lo aspettava e non voleva lasciarla sola quindi avrebbe declinato da sé, il fatto che Katsuki lo avesse dato per scontato gli aveva tuttavia dato come l’impressione non volesse.

Sto pensando troppo di nuovo, cercò di convincersi.

La signora Bakugou aveva ripreso in qualche modo il figlio, Midoriya si era distratto e non aveva seguito il filo del discorso, difatti riprese il senso della realtà circostante solo quando il ragazzo lo tirò ancora una volta, un po’ più gentilmente ma sempre con fare brusco, su per le scale.

Una volta salito, la stanza di Katsuki si mostrò pressoché come la ricordava, la disposizione dei mobili non aveva subito particolari modifiche se non per la scrivania, situata contro il muro opposto, dove la luce proveniente dal balcone si poggiava con più facilita e conferiva un’illuminazione naturale per più tempo. Midoriya notò un piccolo albero di Natale pressoché sul bordo del mobile, le decorazioni già incollate sul materiale sintetico mentre il filo di una spina lasciava intendere potesse essere usata come una lampada. Il futon era invece messo da parte, dunque il centro della camera risultava spazioso nonostante gli attrezzi coi quali, immaginò, Katsuki si allenasse quando era a casa e i libri riposti ordinati su due librerie ampie e unite.

Alle sue spalle, accanto all’entrata, notò Izuku nel voltarsi, spinto dalla curiosità di rimpossessarsi della confidenza passata con quell’ambiente, un grosso armadio con anta scorrevole era probabilmente fissato alla parete; ricordava anche quello, per tutte le volte in cui vi avevano giocato da piccoli, sfruttato come base segreta o nascondiglio dei nemici.

Il profumo dolce di mandorle tutt’intorno ebbe del confortante, il petto si rasserenò quasi per istinto, circondato dall’odore tipico di Bakugou, immutato e familiare, una certezza che sapeva di rassicurazione.

«Siediti dove vuoi» esordì Katsuki a un certo punto, lanciando un paio di cuscini in terra. Midoriya ne recuperò uno ringraziando a bassa voce, dunque vi si inginocchiò sopra, le mani chiusi in pugni sulle cosce.

Lo sentì trafficare dietro di sé, il fruscio dello scorrevole del guardaroba e un conseguente rimestare lasciarono intendere stesse recuperando qualcosa, tuttavia non si voltò pur incuriosito e tentato, l’agitazione sempre presente come un sottinteso indimenticabile.

Qualche attimo dopo l’anta schioccò contro il bordo dell’armadio, leggera eppure abbastanza improvvisa da far sì Midoriya, teso, sobbalzasse sul posto. Cercò di non dar a vedere nessuna delle emozioni complicate da cui era assillato in quel momento quando Katsuki gli passò accanto, andandosi a sedere di fronte a lui.

Izuku trattenne il fiato nel constatare avesse un pacchetto tra le mani, l’aspetto inequivocabile di un regalo, con carta decorativa e fiocco al centro, non una coccarda prefabbricata ma un nastro lasciato passare per ogni lato della confezione e congiunto in mezzo, nel cuore dell’oggetto rettangolare e apparentemente piatto.

Deglutì ma il battito agitato sembrò rispedire indietro quel sorso d’ansia e aspettativa, formando un groppo mentre la scatolina nella propria tasca pareva all’improvviso divenuta di piombo.

Non può essere per me, asserì convinto, gli occhi tremuli puntati sulle dita di Katsuki e il loro giocherellare con gli spigoli del pacchetto, lo sguardo a prima vista neutrale e ciononostante Izuku riuscì a leggervi dell’apprensione, un pensiero bloccato nelle iridi color carminio, alla stregua di una forte indecisione, quasi non sapesse che fare.

Non… non è per me, vero?

Il nodo in gola si strinse, i bulbi iniziarono a presentare uno scomodo principio di pizzicore.

Rimasero in silenzio per un tempo che nessuno dei due sarebbe riuscito a quantificare, probabilmente per Midoriya ogni secondo pesava come ore.

La voce di Bakugou arrivò roca, come trattenuta da molto più di quanto sembrasse, anche se l’aveva sentita davvero pochi attimi prima, il timbro con la stonatura di una faticosa ma calibrata ammissione.

«Non so come comportarmi».

Izuku aggrottò la fronte, rafforzando la stretta delle mani senza rendersene conto. Parlava del regalo? Non sapeva come darglielo? Se davvero era lui il destinatario, ma perché?

Incapace di dire alcunché, oltre al non volerlo interrompere, aspettò l’altro riprendesse.

«Non so ancora come comportarmi con te» si corresse, l’attenzione degli occhi abbandonò il regalo in basso per sollevargli e concentrarli su quelli del compagno. «Ci sono delle cose che ho detto e altre che devo ancora dire. Cose che prescindono da quello che è successo» puntualizzò e Midoriya si accorse di aver tirato un interno sospiro di sollievo, liberato da quelle parole.

Bakugou tornò a guardare il pacchetto tra le proprie mani, dunque allungò il braccio nel gesto di porgerglielo, non sollevato abbastanza da raggiungerlo, quasi stesse a sua volta ancora esitando; ancora, la conferma di essere davvero lui il ricevente lo scombussolò, i pollici sfregavano contro le dita chiuse nei pugni, irrequiete, in qualche modo però la paura e l’apprensione avevano iniziato a sfumare sotto l’avanzare di quel discorso, che alle sue orecchie diventava sempre meno vago nonostante mancassero ancora delle parole per poterlo considerare concluso.

L’altro posò infine il pacchetto in terra, tra loro, la confusione sul viso di Izuku interrotta dal seguito, un singolo termine «Girati».

Izuku si irrigidì, sperò di poter ridere in un secondo momento di tutta quella tensione, ripensandoci più in là, gli pareva innaturale già così nel viverla; si girò comunque, piano e con le labbra strette, la fronte aggrottata tra l’interesse e il timore. Lento voltò il busto, bloccandosi in una posizione scomoda e tutt’altro che salutare per la propria schiena, congelato in quella torsione da quanto gli si presentava dinanzi.

Un mucchio di pacchetti, incartati goffamente e con carte sdrucite in più punti ma all’apparenza risultavano in ogni caso ben conservate, le fantasie familiari abbastanza da far sì delle lacrime si formassero agli angoli degli occhi senza che riuscisse a impedirselo, sopraffatto.

La voce gli uscì biascicata ma non gli importò «Quelli sono…».

«I tuoi regali per me».

Le spalle di Izuku sussultarono sotto un pesante singhiozzo, le prime gocce scesero lungo le guance arrossate. Le iridi correvano da una scatola all’altra, in una conta silenziosa e nostalgica che gli fece stringere il petto e sbloccò i ricordi del sé bambino intento a impacchettarli nonostante l’incapacità, allora aiutato da sua madre – solo in parte, perché era deciso a pensarci da solo.

Li ha tenuti.

Ne contò qualcuno di troppo, di primo acchito sembravano più nuovi.

Tirò sul col naso «Ce… ce ne sono molti di più…».

«Sono i miei per te».

Si voltò di scatto verso l’altro, gli occhi grandi e la vista sfocata dal pianto, nonostante ciò riuscì a intravedere l’espressione seria di Katsuki, le dita intrecciate tra loro nella stretta nervosa, specchio di quella di Izuku qualche istante prima.

Ancora una volta prese il pacchetto abbandonato in terra, sollevandolo a mezz’aria.

«Kacchan-».

«Se accetti questo» continuò, la voce calma pur avendolo subito interrotto, il bisogno di terminare il discorso piuttosto forte «significa mi darai ancora modo di capirlo, come comportarmi. Se non lo accetti, puoi fare ciò che vuoi di ognuno di quei pacchetti. Miei e tuoi».

Midoriya strinse la bocca tremula, il mento completamente raggrinzito per lo scoppio trattenuto a fatica, altrettanto non era in grado di fare con quanto scatenato al centro del petto, dove il cuore scalpitava, incastrato nella gabbia toracica per il sovraccarico emotivo; la mente affollata dal ripetersi continuo delle immagini dei pacchi alle sue spalle alternate alle parole di Bakugou, il significato del quadro complessivo e la risposta già conosciuta senza alcuna fatica per trovarla.

«Sei… veramente sleale, lo sai? Sì che lo sai, perché…» lo accusò, la bocca sporta in un broncio nonostante le lacrime ancora scendessero, comprenderne la natura adesso fu più difficile, se per il rimpianto dei tempi persi o per la contentezza di quella dichiarazione che non si sarebbe mai aspettato di ricevere, neanche dopo il netto miglioramento avvenuto tra loro nel corso degli ultimi mesi – e degli ultimi giorni, soprattutto. Un altro singhiozzo sfuggì involontario, risultato dell’ormai avviato sfogo, e forse fu per il fiume in piena dal quale si sentiva travolto in quel momento, quell’amore straboccante in ciascuna delle lacrime impossibili da fermare e così arrivò il coraggio di continuare e l’inusuale fiducia nel potersi permettere, adesso, di azzardare a confessare quanto tenuto nascosto fino ad allora, avvinto dalla sensazione di inadeguatezza e dubbiosità.

Piano, con le orecchie a fuoco, la faccia un disastro e la voce nasale, mentre la mano andò ad afferrare il pacchetto per portarlo al petto, disse: «Perché lo sai che mi piaci».

Da sempre rinforzò mentalmente, quello però preferì tenerlo per sé.

Al contrario di quanto si sarebbe aspettato, Katsuki non mostrò particolare sorpresa a quell’affermazione e un po’ Midoriya avrebbe voluto dargli del deficiente perché sembrava proprio stesse non reagendo in quanto già sicuro di ciò, come se gli avesse rivelato un’ovvietà e dunque non c’era ragione di sentirsene scalfito. Si sentì un imbecille lui stesso, mentre scartava il regalo in fretta, preso dal momento.

La copertina di un notebook verde e arancio comparve al di sotto della carta regalo, la scritta Hero Name dove di consueto avrebbe dovuto inserire il proprio nome e cognome, così com’era nei tanti quaderni di analisi ancora conservati o intatti in attesa di essere usati; in mezzo alla copertina svettava il simbolo della maschera di Izuku, il cappuccio con le orecchie da coniglio e la visiera.

Bakugou gli si avvicinò senza che se ne accorgesse, le lacrime scendevano più copiose e rischiarono di inumidire il quaderno sottostante, Katsuki perciò glielo sfilò con delicatezza e lo ripose accanto a loro, sostituendolo con un rametto familiare che strinse tra le mani di Izuku e le proprie.

Sollevandole in alto, la bocca a un soffio da quella bagnata dal pianto di Izuku, vi soffiò sopra «Lo sai anche tu».

Midoriya si lasciò baciare tra un singhiozzo e l’altro, in un incastro goffo ma che impedì venisse interrotto quando districò una mano per circondare il collo di Bakugou col braccio.

 

Seduto tra le gambe di Katsuki, la testa abbandonata contro la spalla del ragazzo, guardò il mucchio di pacchi accatastati davanti a loro, due scatole già vuote più vicine «E adesso?».

Il compagno schioccò la lingua, afferrando ancora Izuku dal mento – la mano circondata dal bracciale, sopra inciso my #1 hero – per girarlo verso di sé.

«Adesso stai zitto e tieni quel vischio in alto, se lo fai cadere non ti faccio più respirare, ai regali pensiamo dopo».

Izuku lo guardò esterrefatto, un po’ deluso, tuttavia sorrise col viso già sporto, gli occhi tiravano appena, secchi e gonfi, fu però un fastidio che passò del tutto in secondo piano.

Soprattutto sentendo un altro battito forte e sincero contro la schiena, in sincrono col proprio.

«Buon Natale, Kacchan».

«Non ti fermare per dirmi questo, idiota di un Deku».

Di tempo, in fondo, ne avrebbero avuto abbastanza.



 

 

 

   
 
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