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Autore: Kaiyoko Hyorin    26/12/2020    3 recensioni
Quando Kat si sveglia in mezzo a un boschetto rigoglioso, preda della nausea e di un forte mal di testa, non ha idea di ciò che l'aspetta.
Come questa ce ne sono altre di storie, imprese memorabili capitate per fortuna o per volere del destino a persone apparentemente ordinarie. Eppure ve ne propongo un'altra, sperando possiate trovarla una lettura piacevole.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bilbo, Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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“Straying from the path (we will dare)
Will bring one to face the unknown (will break the fear)
Can lead to struggle alone
But I will not regret (until I will stand).”
[ Skull and Crossbones, Wind Rose ]




Il sole stava già calando, ormai prossimo all'orizzonte, e la distesa del lago alle spalle della Compagnia rifletteva i suoi raggi come tanti filamenti ondeggianti d'oro rosso.
Bilbo saltò giù dalla modesta barca per primo, aiutato da uno degli uomini che li avevano accompagnati sin lì. Il piccolo molo che li accolse uno dopo l'altro era largo e corto, ed oltre questo lo hobbit scorse distintamente i pony che il Governatore aveva loro concesso per arrivare a destinazione.
– Ci accamperemo per la notte e riprenderemo il viaggio all'alba di domani.
La voce di Thorin si levò al di sopra delle altre, dei tonfi emessi dai nani che a loro volta stavano sbarcando e dei cigolii del legno, ed il giovane scassinatore si voltò ad osservarlo. Il capo della Compagnia era già sull'assito e stava muovendosi verso la terra ferma, cosa che rese più facile a Bilbo, dopo un istante d’incertezza, farsi avanti ad affiancarlo.
– Thorin – lo chiamò, pur nel suo consueto modo da hobbit educato e per bene – vorrei parlarti, se posso.
Il nano lo osservò e quei suoi occhi chiari si lasciarono sfuggire una nota di perplessità, prima che la sua espressione si schiarisse d'un sorriso comprensivo e gli posasse una mano sulla spalla sinistra.
– Certo che puoi, Mastro Baggins, – gli rispose, amichevolmente – ma prima faremo bene a toglierci da qui o saremo d'intralcio.
Bilbo non si sorprese dei modi affabili e gentili del nano, giacché era da tempo ormai che Thorin pareva aver cambiato radicalmente opinione su di lui. In particolare, da quando erano usciti dalle prigioni degli Elfi, l'erede di Durin sembrava considerarlo non solo un compagno degno di stima e fiducia, ma finanche un buon amico, e lo hobbit aveva già capito che il sentimento era reciproco.
Si allontanarono di qualche passo dalla banchina in legno, finché i loro stivali non calcarono la terra erbosa della riva, e soltanto allora si fermarono a parlare. Eppure, ancor prima che Bilbo potesse aprir bocca, fu il nano ad iniziare quel discorso che tanto aveva fatto arrovellare la mente dello scassinatore.
– Penso di sapere cosa ti turba – esordì pacatamente, con fare accomodante – ..e ti assicuro, mio caro amico, che la nostra Katla sarà più al sicuro fra le genti del suo Popolo.
Lo hobbit, pur un poco sorpreso di esser stato letto così facilmente dal nano di fronte a lui, non poté evitare di tradire nell'espressione il proprio tormento interiore riguardo la faccenda.
– Ma, Thorin... perdonami, ma non mi sembra giusto nei suoi confronti, non dopo aver fatto tanta strada ed aver affrontato tanti pericoli insieme – ribatté, quasi in modo confidenziale, cercando di far breccia nell'orgoglio nanico con il buon senso e la gentilezza – E ti ricordo che in più di un'occasione è stata proprio lei a tirarcene fuori.
– È così – ammise – ma affrontare un drago è tutta un'altra cosa, credimi.
– Non lo metto in dubbio, ma non ci sono forse io per questo? – gli chiese, avendo ben presente ormai il suo ruolo in quella storia – Non sappiamo cosa troveremo una volta aperta la Porta Nascosta ed entrati nella Montagna. Non è detto che si arrivi ad affrontare quella bestia.
– Su questo hai ragione e non dubito delle tue doti di scassinatore: ce ne hai dato prova più d'una volta e, ti assicuro, ancora mi chiedo come tu sia riuscito a fare ciò che hai fatto – affermò Thorin guardandolo negli occhi, prima che il suo sorriso infine sfumasse in favore di una nuova serietà – ..ma, in tutta onestà, non voglio che ella corra un simile pericolo e non sono l'unico a pensarla in questo modo. Ogni membro della nostra Compagnia ha finito per affezionarsi a lei, ed io per primo non potrei mai perdonarmelo, se le accadesse qualcosa.
Di fronte a quella confessione a cuore aperto, Bilbo non trovò nulla da controbattere, perché aveva perfettamente compreso il punto di vista del figlio di Thrain e si scoprì a condividerlo, pur in minima parte. Per la prima volta, lo hobbit scorse in fondo agli occhi chiarissimi del nano di fronte a lui una parte dei veri sentimenti che nutriva per la loro giovane amica e rimase ammutolito da quella consapevolezza, tanto che l'altro ne interpretò il silenzio come un’approvazione e tornò a rivolgergli un pacato sorriso soddisfatto.
– Sarà al sicuro fra i membri del suo Popolo, non hai nulla da temere, Mastro Baggins – concluse, prima di battergli una nuova pacca sulla spalla.
Ancora spiazzato, Bilbo non riuscì a trovar nulla da dire per trattenere il Principe di Erebor e, boccheggiando come un pesce, ne fissò la schiena mentre quello si allontanava con passo deciso per tornare dagli altri membri della Compagnia.


Kat aveva ripreso ad aggirarsi nella piccola cella al pari d'un leone in gabbia, mentre cercava di pensare ad una soluzione. In teoria, doveva esser già passato abbastanza tempo perché riuscisse a sfogare la propria rabbia e per pensare a mente lucida: dalla luce che filtrava dalla finestrella a due metri d'altezza dal pavimento aveva contato esser trascorsi almeno tre giorni da quando l'avevano rinchiusa.
Tre lunghissimi giorni in cui le avevano portato da mangiare e nient'altro e durante i quali ella aveva avuto modo di riflettere su molte cose, prima fra tutte la necessità di uscire da quella maledetta prigione prima dell'arrivo del drago.
Thorin l'aveva lasciata indietro con la certezza che sarebbe stata al sicuro dall'ira del malvagio Sputafuoco, non potendo certo immaginare che il luogo in cui essa si sarebbe abbattuta con più violenza era proprio la città degli Uomini del Lago.
Kat si lasciò sfuggire una risata amara a quel pensiero.
Doveva andarsene ed al più presto.
E come lei, anche la brava gente di Pontelagolungo.
La sua mente tornò automaticamente al ricordo di come, nel momento del bisogno, nessuno dei suoi compagni si era pronunciato in suo favore e il dolore tornò a sfiorarle il petto. Persino Fili e Kili si erano voltati dall'altra parte, quando aveva cercato il loro sguardo. Il tradimento dei suoi due autoproclamati fratelli maggiori le fece serrare i pugni sino a far sbiancare le nocche. 
Ora sì, che si spiegava perfettamente l'insolito comportamento che avevano avuto nei giorni precedenti alla partenza. Che ingenua era stata, a non darci peso! 
Avrebbe dovuto cogliere i segni!
Avrebbe dovuto non abbassare la guardia ed indagare, anziché fidarsi ciecamente!
Nuove lacrime di rabbia le salirono agli occhi e lei, con un gesto brusco, le spazzò via, riprendendo ad aggirarsi per la stanza adorna di sbarre.
E quel dannato, pomposo Governatore? Come osava trattarla a quel modo, quel vile opportunista?
Ancora una volta era costretta ad espletare i suoi bisogni in un buco!
Non era mai stata così furiosa e frustrata, e pervasa di tensione, in tutta al sua vita ed era qualcosa che non riusciva a dominare. Aveva caldo, in quello spazio chiuso, e la sensazione di essere in trappola non voleva saperne di attenuarsi, tenendola sempre sul chi vive ed impedendole persino di dormire adeguatamente durante la notte. Non si era mai sentita così, nemmeno nelle prigioni di Reame Boscoso.
Se soltanto Gandalf fosse stato con loro, non l'avrebbe mai permesso!
Doveva calmarsi, doveva tornare a pensare a mente lucida o non ne avrebbe ricavato nulla.
Tornò nei pressi della porta, cercando di esaminare la serratura che in ferro battuto la teneva chiusa. Aveva già provato ad evocare la propria magia per manipolarla, ma non era valso a nulla, era stata troppo agitata per concentrarsi a dovere e, anche riprovandoci, il suo umore era tale da impedirle l'affiorare delle giuste emozioni.
Si costrinse a sedere sul pavimento, lo sporco e la polvere ormai smossi da quel suo girovagare per tutto l'ambiente. Le avevano dato coperte in quantità per la notte ed erano stati più o meno regolari coi pasti, che tuttavia erano risultati subito insufficienti per placare la sua fame. Non che ne avesse molta in realtà, dato il suo stato di agitazione altalenante.
Inspirò, poggiando ambo le mani sulle gambe incrociate, ed espirò sonoramente per tentare di calmarsi. Appena sentì che vari muscoli del suo intero corpo rispondevano al suo comando e si rilassavano, chiuse gli occhi e si immerse ancora una volta nei propri pensieri.
Quanto tempo mancava al Dì di Durin?
Se i suoi calcoli erano corretti, sarebbe stato domani.
In quella dannata cella il tempo sembrava dilatarsi e contrarsi continuamente, non ne poteva proprio più di rimanervi rinchiusa.
Semmai fosse sopravvissuta, parola sua, avrebbe fatto passare un terribile quarto d'ora ad ogni nano della Compagnia, per non parlare di Thorin.
Respirò ancora una volta, accantonando le invettive verso i suoi compagni ormai lontani.
Voleva farsi un bagno. Voleva dormire in un vero letto e mangiare carne arrostita sul fuoco, e non quella brodaglia grigia che le propinavano con la scusa che la città intera viveva tempi difficili. Il cibo per i nani nei giorni precedenti lo avevano trovato, dopotutto. Quell'avaro panzone del Governatore stava tenendo le sue prelibatezze sotto chiave, ci avrebbe scommesso.
Il suo stomaco si contrasse, strappandole una smorfia.
Cosa non avrebbe fatto pur di avere una succosa bistecca al sangue, in quel momento!
Un lieve tonfo, quasi impercettibile, le giunse alle orecchie e Katla balzò meccanicamente in piedi, voltandosi nella direzione dalla quale quel rumore era giunto. Si ritrovò così a fissare il soffitto, prima di far un passo indietro e puntare lo sguardo verso la finestrella che dava sul canale sottostante.
La sua mente le proiettò l'immagine di una banda di orchi sui tetti della città degli Uomini ancor prima che la sua razionalità potesse far qualcosa per impedirlo, e cercò istintivamente la spada al proprio fianco mancino, andando inevitabilmente a stringere il nulla.
Stava già cercando una scappatoia ad un eventuale assalto a sorpresa quando, dal riquadro della finestrella, si affacciò il volto di un elfo dalla chioma del colore del sole d’inverno.
– Legolas!
Katla spalancò gli occhi chiari e rimase a bocca aperta per una manciata di secondi, il tempo necessario all'inatteso visitatore per inarcare un sopracciglio e rivolgerle un sorrisetto di scherno dalla sua posizione palesemente appesa al bordo del tetto.
– Non pensavo di ritrovarti come ti ho lasciato – le disse, ironico – ..hai già provato a stringere un accordo con gli Uomini del Lago?
– Smetti di prendermi in giro e tirami fuori da qui – ribatté offesa, la punta del naso arricciata da una smorfietta caratteristica.
Legolas però, al contrario di quanto si era aspettata la ragazza, inarcò un sopracciglio, ricambiando il suo sguardo penetrante con controllato distacco.
– Perché dovrei? – le chiese candidamente – Mio padre ci ha mandati a verificare che non gli avessi mentito e nient'altro.
– Come sarebbe?! – esclamò la ragazza, prima di frenarsi e reclinare il capo verso la spalla sinistra – Aspetta.. hai detto “ci”? – domandò ancora, per poi illuminarsi in volto – Tauriel è con te?
Di fronte all'entusiasmo della giovane prigioniera, il Principe degli Elfi Silvani si lasciò sfuggire un nuovo fremito delle sopracciglia ed il suo sguardo sospettoso si altalenò da lei a sopra di sé, verso chiunque lo avesse accompagnato sino a lì.
– Come mai ti interessa di Tauriel?
Kat allora, di fronte a tanta diffidenza, sospirò.
– Non sono interessata, ma sarei contenta di rivederla per porgerle i miei ringraziamenti per ciò che ha fatto per me durante la permanenza mia e dei miei compagni nelle prigioni di tuo padre. – gli rispose senza troppi preamboli, ponendo poi ambo le braccia incrociate dinanzi al petto ed assumendo un'aria corrucciata – E se proprio vuoi un valido motivo per aiutarmi ad uscire da qui, te la faccio semplice: ho vinto la scommessa con tuo padre e quindi abbiamo un accordo. Per rispettare la mia parte però devo arrivare alla Montagna Solitaria e non posso farlo se mi lasciate chiusa qua dentro. Se non mi libererete, Thranduil non avrà mai le gemme che desidera e potrebbe aversene a male, non credi? Ora, – scandì, con rinnovata fermezza – dato che il tuo Re è Elfo d'Onore, posso sperare che tu abbia portato con te la mia spada? Sarebbe un bel passo avanti per me.
Legolas strinse gli occhi azzurrissimi da oltre le sbarre della finestra alle sue parole, ma un attimo dopo una voce familiare, dal timbro femminile, attirò la sua attenzione ed i due si scambiarono qualche breve frase in elfico, prima che il principe tornasse a rivolgersi alla giovane donna in cella.
– Dove sono i tuoi compagni?
Quell'unica domanda ebbe il potere di far perdere ogni luce sul volto di Kat, che incupendosi abbassò lo sguardo verso l'estremità opposta della stanza.
– Non sono qui – mormorò, con un'amarezza che trasparì comunque.
Non diede altre spiegazioni e Legolas tornò a rivolgere lo sguardo in alto, prima di issarsi nuovamente sul tetto e liberare la strada alla luce dell’esterno. Katla allora, tornando a guardare verso l'apertura, tese le orecchie e le parve di udire ancora una volta la sommessa voce dell'elfo, prima che calasse nuovamente il silenzio. Immobile, la ragazza dovette contenere la crescente agitazione mentre il pensiero di esser stata nuovamente abbandonata le serrava la bocca dello stomaco, tanto da indurla ad attraversare di getto la piccola cella.
– Ehi!
Usò la branda come perno per darsi lo slancio e saltò verso la finestrella, arrivando ad aggrapparsi alle sbarre in ferro con ambo le mani. Con uno sforzo quindi si sollevò abbastanza da riuscire ad affacciarsi e, con un ansito, cercando di resistere quanto più poteva, premette il volto fra le fredde aste di ferro.
Quando, dopo una manciata di secondi, i suoi occhi non colsero alcun movimento contro la volta del cielo tinta delle sfumature del tramonto, Kat dovette darsi per vinta. Atterrò con un saltello e meccanicamente tornò a volger lo sguardo verso l'alto, già avvertendo la stretta di una nuova disperazione serrarle la gola, prima che un fruscio alle sue spalle la facesse voltare di scatto.
Dalla porta pervenne il rumore della serratura che scattava e, un secondo dopo, l'anta venne sospinta verso l'interno, rivelando le figure del Principe e del Capitano della Guardia di Reame Boscoso in piedi nel corridoio.
Dopo un battito di ciglia, Katla non poté evitare alle proprie labbra di aprirsi in un ampio sorriso da un orecchio all'altro, di fronte alle espressioni austere dei due.
– Ho sempre adorato gli Elfi – gongolò, non riuscendo a smettere di sorridere.
Uscita dalla propria cella, Kat si arrestò in mezzo al corridoio, giacché Tauriel le rivolse la parola.
– Questa apparteneva a te – le disse senza alcuna inflessione particolare nella voce, porgendole la spada di Gondolin che diversi mesi prima aveva sottratto dalla caverna dei troll.
La ragazza annuì, prendendo in consegna l’arma di pregiata fattura e lasciandosi pervadere da un'ondata di sollievo non appena ne avvertì il peso nel palmo della mano. Dopo un rapido esame delle condizioni della lama, se la legò in cintura senza indugio e volse lo sguardo verso le scale che l'avrebbero portata di sotto, alla porta che dava sulla banchina. 
Dovevano esservi sicuramente delle guardie, lì appostate.
– Per di qua – intervenne Legolas, attirando la sua attenzione.
Kat si voltò ad osservarlo, notandolo già diretto nella direzione opposta a quella che ella si sarebbe aspettata, ma non le occorse più d’un istante per individuare la finestra aperta oltre l'elfo, all'estremità del corridoio.
Non se lo fece ripetere e, con passo più rapido e leggero possibile, si mosse, e Tauriel con lei, restandole alle spalle. Con l'aiuto di entrambi riuscì a raggiungere il tetto, facendosi quasi tirare su di peso da Legolas, che l'aveva anticipata con una delle sue acrobazie agili da Elfo dei boschi. Una volta che tutti e tre furono all'aria aperta, Kat non poté evitarsi di esternare un nuovo sospiro di sollievo.
Era fuori.
Era libera.
Sostando sulla sommità delle due falde spioventi, la ragazza allora volse lo sguardo verso occidente, osservando il sole ormai prossimo a scomparire oltre l'orizzonte, socchiudendo gli occhi chiari alla gelida brezza di fine autunno.
– Vi ringrazio, davvero – disse ai due, senza guardarli direttamente.
– Perché i nani che ti accompagnavano non sono con te? – le domandò allora Tauriel, senza preamboli.
Voltandosi per donarle uno sguardo da sopra la spalla, Kat la ritrovò al proprio fianco intenta ad osservarla con un'espressione seria che tradiva una certa tensione. Sembrava quasi che l'interesse che provava per la sua risposta fosse di carattere personale e, con una punta di sorpresa, la giovane si chiese se non dipendesse dall’incontro fra lei e Kili.
– Perché mi hanno sottovalutata. Di nuovo. – le rispose, facendo spallucce e frenando il fastidio che provava dentro di sé – Hanno pensato che fossi più al sicuro qui che con loro e per questo mi hanno lasciata indietro.
I due elfi di Bosco Atro si scambiarono un breve sguardo.
– Ora cosa intendi fare? – era stato Legolas a parlare.
– Non posso più raggiungerli, ormai – rispose lei, volgendo lo sguardo verso Nord e la sagoma della Montagna Solitaria. Alla vista dell'ammasso roccioso illuminato dalle ultime luci del tramonto, il cuore le si strinse ancora una volta, a tal punto che ella sollevò una mano per stringere il bordo della camiciola bianca fra le dita – Domani sorgerà l'ultima luna d'autunno: devo assicurarmi che gli abitanti di questa città siano pronti a fuggire, nel caso il drago si desti dal suo sonno e decida di vendicarsi dell'aiuto che gli Uomini hanno dato alla Compagnia di Thorin Scudodiquercia.
Nel silenzio che seguì, con la coda dell'occhio, Katla si accorse dell'occhiata interdetta che gli elfi si scambiarono l'un l'altro e la cosa la insospettì e la incuriosì abbastanza da rivolgere loro uno sguardo perplesso e corrucciato.
– Be'? Cosa c'è? – li interpellò, diretta.
Fu Tauriel, questa volta, a risponderle.
– Era oggi il primo giorno dell'ultima luna d'autunno.
Di fronte alla pacata affermazione d’ella, Kat si sentì mancare e strabuzzò gli occhi.
– Cosa?!
– Domani sarà il secondo giorno – le confermò Legolas, allo stesso modo.
La ragazza sentì il proprio sangue defluire verso il basso, impallidendo alla prospettiva di essersi confusa a tal punto da sbagliare il conto dei giorni. Si tappò la bocca con ambo le mani, lo sguardo perso nel vuoto mentre la sua mente prendeva atto della realtà dei fatti e la elaborava febbrilmente.
Un attimo dopo, spinta dalla fretta che le salì in corpo, tornò a guardarsi intorno alla ricerca della direzione giusta.
– Dobbiamo andare – affermò, in preda ad una nuova urgenza.
– Dove?
– A casa di Bard – rispose senza neanche voltarsi a guardarli ma prendendo a muoversi sul tetto obliquo, avendo individuato il percorso che da sopra i tetti delle case l'avrebbe condotta dove voleva.
In cuor suo non si aspettava davvero che i due la seguissero, ma quando Legolas la superò con la consueta agilità, ella sentì l'animo venirne rinfrancato. Forse, con il loro aiuto, sarebbe riuscita a portare Bain e le sue sorelle fuori città prima dell'arrivo del drago.


Il sole stava calando rapido dietro l'orlo delle alture ad Ovest, troppo rapido perché Thorin ed i suoi compagni nani non iniziassero a farsi prendere dall'agitazione, mentre cercavano il buco della serratura sulla parete rocciosa.
– Trovatelo! – ordinò con impeto – Trovate quel dannato buco, presto!
Eppure, malgrado si sforzassero di aguzzare al vista e persino procedere al tatto, quella dannata fessura non voleva farsi vedere e il figlio di Thrain avvertiva il peso del suo retaggio e delle aspettative del suo intero Popolo gravargli addosso sempre più.
Quando anche l'ultimo raggio di sole scivolò via dalla roccia di fronte a loro, sempre più in alto lungo il fianco della montagna, il silenzio che calò fra i nani fu pesante e denso come melassa, tanto da sigillare il momento di cupa, cocente delusione.
– Ormai è tardi – mormorò, pragmatico eppure altrettanto adombrato Balin, al suo fianco.
Thorin, ad un passo da dove doveva esservi la porta che suo padre e suo nonno avevano usato molto tempo prima per fuggire dal caduto Regno di Erebor, abbassò lo sguardo sulla propria mano destra e sulla chiave che gli era stata tramandata da Thrain, faticando a capacitarsi di aver infine fallito l'unica impresa che doveva assolutamente compiere nella sua sfortunata, lunga vita.
Assalito da un'ondata di disgusto per sé stesso, smarrito come un bambino, guardò i suoi compagni e poi cercò per ultimo lo hobbit.
– Dove abbiamo sbagliato? – si fece sfuggire, prima di far un passo proprio verso il mezz'uomo che infine era divenuto per lui un amico prezioso e leale.
Questi gli consegnò la mappa e l'erede di Durin lesse nuovamente, per l'ennesima volta, le rune lunari che vi erano trascritte. Nulla era cambiato in quei versi che ormai sapeva a memoria, nemmeno una virgola, e non v'era altro a giustificare il fallimento a cui era corso incontro con tanta facilità.
– Balin, – chiamò, cercando il supporto del nano che fra tutti i suoi familiari teneva in maggior considerazione per sapienza e acume, ripetendo quell'unica domanda che con ostinazione tornava ad affiorargli alla mente – dove abbiamo sbagliato?
L'amico dalla barba bianca scosse il capo con aria mesta.
– Non so dirlo Thorin, – gli rispose lui, prima di rivolgergli uno sguardo carico dei suoi stessi sentimenti – abbiamo fatto il possibile... non è bastato. Ci siamo persi la luce.
E, a quelle poche e semplici parole, il capo della Compagnia sentì scemare anche l'ultima speranza.
– Kat avrebbe saputo cosa fare... – mormorò cupa una voce, infrangendo il silenzio.
– Sì... Gandalf lo aveva detto che sarebbe stata indispensabile – si unì qualcun altro, forse Ori.
La voce scontrosa di Dwalin si levò a dissentire, ma altri concordarono con i primi due nani che avevano parlato e Thorin, di fronte a quell'attacco indiretto alla sua autorità, per quanto inutile ed indegno dei suoi padri si sentisse in quel momento, serrò la mascella.
– Rimpiangere ora la mia decisione non riavvolgerà il tempo per nessuno di noi! – affermò, e la sua voce era di nuovo dura e perentoria mentre sondava i volti dei suoi compagni – Andiamocene... è finita.
Ed i nani presero a sfilare dinanzi a lui ed a Bilbo, che aveva assistito senza dire una sola parola allo sconforto generale, imboccando il sentiero che li aveva portati lassù, sul fianco occidentale della Montagna Solitaria.
– Un momento – squittì il mezz'uomo – ..dove andate? Un momento!
– È finita – ripeté Dwalin dal mezzo della fila che stava già scendendo con passi pesanti la montagna.
Il piccolo hobbit allora guardò lui e Thorin, di fronte ai suoi occhi blu ancora pervasi d'una tenacia latente, scosse il capo e gli restituì la mappa. Quindi, dopo un ultimo sguardo alla chiave che ancor teneva in mano, la lasciò ricadere a terra con un sommesso tintinnio di metallo contro pietra e si avviò dietro ai suoi compagni senza aggiungere altra parola, ignorando la fiacca protesta che tentò Bilbo.
Era finita.
Queste erano le parole che continuavano a riempirgli la mente con un senso di ineluttabilità schiacciante, mentre calcava la pietra polverosa con i pesanti stivali. Il crepuscolo si portò via anche gli ultimi sprazzi del giorno ormai finito, il Dì di Durin ormai trascorso, ed i raggi della luna fecero capolino dalle nubi che nel cielo si rincorrevano veloci, illuminando loro la via.
Fu pochi secondi dopo che la voce di Bilbo si fece strada nel cupo sudario dei suoi pensieri, riportandolo alla realtà.
– ..tornate! È la luce della luna! L'ultima luna d'autunno!!
E, al pari di un raggio di luce argentata, la risata vittoriosa dello scassinatore scacciò l'ombra d'avvilimento che era calata sul suo animo.


– E tu cosa fai qui?
Kat, appena entrata dalla finestra, si spazzò i pantaloni con un paio di rapidi gesti delle mani, prima di raddrizzarsi ed affrontare il chiattaiolo con uno dei suoi franchi e rapidi sorrisi.
– Siamo qui per aiutarvi – affermò, parlando al plurale.
Neanche ebbe finito di pronunciare quelle parole che i due elfi che l'avevano seguita sin lì comparvero alle sue spalle, dalla stessa finestra da cui ella era entrata. Aveva dovuto spalancarla con un calcio mentre si faceva dondolare dal bordo del tetto, e questo probabilmente aveva rotto l'esiguo gancio che l'aveva tenuta chiusa sino a un attimo prima, ma non se ne preoccupò affatto mentre spaziava con lo sguardo l'ambiente.
In fin dei conti, quella città sarebbe presto stata data alle fiamme da un drago, un gancetto rotto era il meno.
– Dove sono i ragazzi?
– Ho mandato Bain e le sue sorelle fuori città.. – le rispose, palesemente controvoglia, l'Uomo del Lago.
Fu a quel punto che la ragazza si rese conto della presenza delle rozze armi di fortuna sopra il tavolo, ancora avvolte nella tela incerata umida d'acqua. Allora, tornando a scoccare un'occhiata a Bard, nel leggerne l'espressione tesa e determinata, capì.
– Vuoi dare vita ad una rivolta? – esclamò sorpresa, non riuscendo a celare il proprio stato d'animo.
L'altro, pur riluttante, annuì con un debole cenno del capo.
– Avevamo intenzione di venire a liberarti, – ammise, scoccando un'occhiata sospettosa all'indirizzo di Legolas e Tauriel – ma vedo che mio figlio s'è preoccupato fin troppo per te. A quanto pare, hai parecchi amici al di fuori del Popolo a cui appartieni.
A Katla non sfuggì il tono di biasimo dell'uomo, cosicché si ritrovò ad inarcare un sopracciglio mentre andava a puntellarsi il fianco sinistro con la medesima mano, scostando inconsapevolmente il lembo del mantello che le drappeggiava dalle spalle e mostrando la spada elfica di nuovo in suo possesso. Era lo stesso che le era stato donato da Elladan ed Elrohir a Gran Burrone, unico capo d'abbigliamento da cui, malgrado lo stato non più perfetto, aveva categoricamente rifiutato di separarsi.
– Sì, certo che ne ho – ribatté – e non capisco perché questo dovrebbe essere un male.
– Non ho detto questo.
– Ma lo hai certamente pensato.
In quel momento un suono di passi per le scale interne della casa li interruppe e il giovane Bain fece capolino dal vano nel pavimento.
– Pa', sono... – esordì, ma si interruppe non appena mise piede sul pianerottolo e si rese conto delle presenze all'interno della stanza. Allora i suoi occhi scuri si spalancarono e la sua espressione contornata di ricci tradì tutta la sua sorpresa.
– Bain! – esclamò di getto Kat – Cosa ci fai qui? Non dovevi essere con le tue sorelle??
Seppur ancora un po' confuso e forse in soggezione per le presenze dei due elfi sotto il suo tetto, il ragazzo scosse il capo.
– Voglio combattere anche io al fianco di mio padre e degli altri, – ribatté – sono un uomo ormai.
La giovane Katla si ritrovò allibita a tornare a voltarsi verso il padre del ragazzo e non riuscì più a tacere.
– Ma siete diventati matti? – esplose, cercando di non alzar troppo la voce – Proprio per stanotte dovevate organizzare una rivolta armata?
Si morse la lingua per evitare di dar di matto un'altra volta e sfogare su di loro la propria rabbia per tutto quanto le era capitato negli ultimi giorni ad opera dei suoi compagni, evitando per un soffio di parlare del drago e del mare di fuoco che si sarebbe scatenato su quella che era stata la città di Esgaroth. Non poteva rivelare nulla di ciò che sapeva, perché non aveva prove e soprattutto avrebbe rischiato di farsi prendere per pazza, così serrò i pugni lungo i fianchi e strinse i denti.
Doveva riflettere.
Mancavano ancora diverse ore al disastro, aveva tempo per convincere Bard a desistere dai suoi propositi e per andare a presidiare la Lancia del Vento insieme a lei in difesa della città. Nemmeno se ne rese conto, quando iniziò ad andare su e giù per la piccola sala, ma ci pensò Tauriel a farla tornare al presente con una secca domanda.
– Cos'è che non ci stai dicendo?
Bloccandosi a metà d'un passo, Katla sollevò allora lo sguardo sull'elfa dai capelli rossi, spalancando i propri occhi grigio-verdi nell'incrociare quelli carichi di severità di lei. Non erano stupidi, da tempo sapevano che nascondeva qualcosa e questo non avrebbe mai permesso loro di fidarsi di lei.
Serrò le labbra in una smorfia tesa, cercando di capire cosa fare, ma volgendo lo sguardo su Legolas vide sul suo volto la stessa esortazione a parlare. Dopo un'ultima occhiata a Bard ed a suo figlio, la ragazza finì allora per capitolare.
– La profezia del ritorno del Re sotto la Montagna si avvererà questa notte – affermò, drizzando le spalle e affrontando i presenti con tutta la fermezza di cui era capace.
– Come puoi esserne certa? – intervenne l'erede di Girion, altrettanto serio.
– Lo so, perché l'ho visto. – gli rispose, ignorando la contrazione che le serrò la bocca dello stomaco, mentre spostava lo sguardo dal padrone di casa agli altri presenti – Io non sono originaria di queste terre. Non ho idea di come abbia fatto ad arrivare nella Terra di Mezzo, ma quando è accaduto Gandalf, lo Stregone Grigio, mi ha trovata e mi ha coinvolta in tutto questo. Non mi ha spiegato il motivo, ma aveva ragione nell'affermare che le mie capacità potevano fare la differenza.
– Stai parlando del tuo potere? – intervenne ancora una volta il Capitano della Guardia degli Elfi.
Kat annuì con un cenno del capo.
– Non so se sono abbastanza forte per affrontare il drago, ma farò del mio meglio per essere di un qualche aiuto... ma l'unico che in questa città può mettere fine alla Bestia è l'uomo qui presente. – indicando Bard e rivolgendosi poi direttamente a lui – Solo tu, discendente di Girion, sei in possesso dell'unica freccia che può trapassare la spessa pelle di una di quelle creature e sei l'unico che abbia abbastanza forza ed abilità da fare buon uso della Lancia del Vento. Devi far evacuare la città e devi mandare Bain a raccogliere quanti più viveri e coperte possibile di casa in casa, perché i sopravvissuti ne avranno bisogno.
– Hai visto anche questo? – le domandò, con tono greve, l'uomo.
Lei annuì nuovamente senza mutare la propria espressione, cercando di trasmettergli tutta la serietà e l'urgenza delle proprie parole, e quando Bard infine spostò lo sguardo su suo figlio Bain, ella incrociò istintivamente lo sguardo con Legolas e Tauriel. Il Principe di Reame Boscoso la guardava con mal trattenuto stupore e persino l'elfa al suo fianco sembrava esser stata colta da una qualche personale rivelazione.
Al suono tintinnante di metallo che sfrega contro altro metallo, Kat si voltò appena in tempo per vedere Bard sganciare la robusta Freccia Nera dal suo supporto appeso ad una trave del soffitto. Non fece in tempo nemmeno a respirare di sollievo però, che d'improvviso un profondo tremore scosse la casa e fece cadere la polvere dalle travi di legno che ne erano la struttura portante, facendola sussultare.
– Cos'era? – domandò il giovane Bain, infrangendo il silenzio che era tornato a calare sui presenti.
Katla e Bard allora si guardarono negli occhi, ritrovandovi la stessa risposta che già conoscevano.
– Il drago – mormorò cupamente Bard, contraendo l'espressione del volto con rinnovata fermezza.
La giovane donna scambiò uno sguardo allarmato verso gli elfi di Bosco Atro, non trovando altro che una ferrea determinazione sui loro volti ed un cenno d'assenso a lei rivolto. L'avrebbero aiutata nei limiti del possibile, giacché era vero che, se mai le fosse capitato qualcosa, l'accordo con Re Thranduil sarebbe saltato ed egli non avrebbe avuto alcuna possibilità di entrare in possesso delle gemme di Lasgalen.
Forte del loro sostegno, le venne spontaneo prendere il comando.
– Legolas, Tauriel, per favore, assicuratevi che Bain riesca nel suo compito e che non gli accada nulla di male, quindi fate ritorno dal vostro Re ed informatelo dell'accaduto. Io e Bard andremo a caricare la Lancia del Vento e...
Non finì mai la propria frase, perché d'improvviso un pesante suono di passi in avvicinamento dalle banchine della città giunse al fine udito degli Elfi ed in contemporanea anche a quello della ragazza, che si bloccò per ascoltare quel rumore cadenzato farsi più distinto e vicino. Neanche si chiese come fece a coglierlo, né si curò della facilità con cui lo identificò come il rumore provocato dalla marcia di diversi uomini in arme, semplicemente cercò ancora una volta lo sguardo di Tauriel.
Un attimo dopo entrambi gli elfi avevano già i loro archi in mano e Kat s'era spostata dietro la porta d'ingresso, spada in pugno.
– Che succede? – chiese Bard.
Eppure, nessuno di loro ebbe il tempo di rispondere, giacché finalmente il rumore di passi che prendevano a salire le scale giunse anche all'udito dell'Uomo del Lago.
– Vi copriremo le spalle, o non ce la farete – affermò Legolas, in un tono pacato che non ammetteva repliche.
E Kat non ne sollevò, limitandosi ad un cenno d'assenso in sua direzione, per poi a scoccare un'occhiata all'Uomo del Lago ancora al centro della stanza. Il tempo di ordinare al figlio di andare alla barca e far come la giovane donna lì con loro aveva detto, che i pesanti colpi che si riversarono sul legno della massiccia porta d'ingresso segnarono la fine del tempo loro concesso.
– Aprite! In nome del Governatore!
Kat quasi gemette, piegando le labbra in una smorfia.
Questa proprio non ci voleva.


Quando le profondità della montagna tremarono, minacciando di far perdere l'equilibrio a coloro che erano poggiati in posizioni precarie alla parete rocciosa, i nani si guardarono l'un l'altro con apprensione.
– Che cos'era? – domandò ansioso Fili.
– Quello, ragazzo mio, – gli rispose greve Balin, voltandosi a guardarlo – era un drago.
Thorin, senza una parola, si accostò alla porta aperta e scrutò le tenebre oltre questa, come se grazie alla sua sola volontà potesse mirare ciò che nelle profondità del Regno di Erebor stava accadendo. Da tempo ormai il loro intrepido scassinatore si era addentrato nelle sale del perduto Settimo Regno dei Nani e, malgrado l'alta considerazione che aveva per le sue fini capacità, l'erede di Durin iniziò a provare una strisciante inquietudine.
Se, malgrado tutto, non fosse riuscito a recuperare l'Arkengemma...
– Che ne sarà di Bilbo? – chiese Ori, traendolo dal filo dei suoi pensieri. 
Si scostò allora dal varco nella roccia, passando lo sguardo sui nani a lui più vicini.
– Diamogli altro tempo..
– Tempo per cosa? – lo interruppe Balin, con voce insolitamente dura – Per essere mangiato??
Thorin lo guardò allora con occhi nuovi, sorpreso che il suo diplomatico amico gli si fosse rivolto a quel modo, e capì.
– Tu hai paura...
Ed il nano con la barba bianca a quelle parole lo guardò con cipiglio severo.
– Sì – annuì infine, dopo una breve pausa – Sì, ho paura. Ho paura per te. – affermò senza indugio, puntandogli un dito sul petto, prendendosi una libertà che Thorin avrebbe concesso a pochissimi altri, mentre continuava – Una malattia grava su quel tesoro... una malattia che portò tuo nonno alla pazzia.
– Io non sono come mio nonno.
– Non sei te stesso. – ribatté fermamente Balin, ignorando il suo diniego – Il Thorin che conosco non esiterebbe un istante nell'entrare..
– Non metterò a rischio la nostra impresa per uno scassinatore – l'interruppe, e quelle parole gli uscirono dalle labbra ancor prima che le pensasse, con uno sdegno di cui non si rese totalmente conto, giacché il pensiero dell'Arkengemma non voleva abbandonare la sua mente.
Ma Balin lo perforò con uno sguardo colmo di biasimo.
– Bilbo – scandì – ..il suo nome è Bilbo.
Fu a quel punto che Thorin tornò a voltarsi verso la porta di pietra e scorse una vaga luminescenza in fondo al buio cunicolo scavato nella roccia, e d'improvviso una frase del suo passato tornò a balenargli in mente, pronunciata da una voce di donna carica d'impeto: 
Bilbo è mio amico!! Così come è tuo amico!
E Thorin avvertì la stretta morsa della cupidigia allentarsi sulla sua mente.


Kat colpì in pieno petto il Capitano della Guardia cittadina con i piedi uniti, tenendosi alla trave della porta e mandandolo dritto a tuffarsi nelle fredde acque del Lago Lungo. Quindi, balzando di nuovo sul pavimento, scivolò di lato, permettendo a Legolas di sgusciare come un'ombra fra i soldati rimasti attoniti sulle scale e far fare loro la stessa fine del loro comandante.
Dal pianerottolo, Tauriel approfittò della confusione per salire agilmente sul tetto e coprire le spalle del suo Principe con una serie di frecce ben piazzate che stordirono o intralciarono i soldati rimasti sulla banchina.
– Andate! – esclamò, dando il segnale, una volta che la via fu libera.
Katla e Bard non se lo fecero ripetere e con un ultimo sguardo di ringraziamento ai due elfi di Bosco Atro si lanciarono giù per le scale, superando Legolas che aveva appena finito di mettere fuori combattimento l'ultimo uomo al servizio del Governatore.
Una volta guadagnata la banchina che era la via che conduceva verso il centro della città, non fecero molta strada prima che Bard deviasse in uno dei vicoletti adiacenti, prendendo alla sprovvista la ragazza, che quasi inciampò a quel cambio repentino di direzione. Confusa, Kat si ritrovò ad andare a sbattere contro la schiena del chiattaiolo e quasi cadde all'indietro, mentre quello a malapena faceva un mezzo passo avanti per il contraccolpo.
Ouff!
– Bard, – una voce a lei ignota risuonò bassa e concitata – cos'è accaduto?
Ancora massaggiandosi il naso arrossato, Kat scoccò un'occhiata in tralice all'erede di Girion e poi all'uomo brizzolato che s'era posto sul loro cammino. Aveva un'aria familiare e soltanto quando Bard ne pronunciò il nome, ella realizzò trattarsi di Persi, l'uomo che li aveva fatti passare al cancello il giorno in cui la Compagnia di Thorin s'era introdotta illegalmente in città.
– ...dobbiamo agire adesso. Gli uomini del Governatore si sono presentati a casa mia poco fa. – stava dicendo Bard, serio in volto – Occupati tu di radunare gli altri e procedete come da piano. Ci vediamo davanti al palazzo del Governatore.
Cosa?! – sbottò Katla in un sussurro strozzato, non riuscendo a trattenersi e spalancando gli occhi grigio-verdi.
Persi per un attimo parve avere un'esitazione a causa di lei, ma poi annuì con un rapido cenno e dopo una solenne pacca sulla spalla si avviò rapido per le viuzze ombrose. Non era ancora sparito che Bard, ancor prima che Kat potesse anche solo pensare di protestare per quella follia, si mosse a propria volta e, accostandosi ad una delle porte che affacciavano sulla strada, vi bussò un paio di rapidi colpi.
Pochi secondi e quella si aprì, permettendo al chiattaiolo di entrare. Kat lo seguì, perfettamente cosciente di non poterlo perdere di vista e determinata a ribellarsi a ciò che s'era inaspettatamente messo in moto, finendo per ritrovarsi all'interno di una modesta stanza di legno scuro, con un tavolo e un paio di sedie come unico arredo. Delle scale conducevano al piano superiore, mentre l'unica luce dell'ambiente proveniva da una fioca lanterna posata sulla mobilia.
Bard era fermo a parlare con l'uomo che aveva aperto loro la porta poco prima, il quale nel notarla le scoccò un'occhiata fuggevole, fermandosi a metà di una frase. Non si aspettava la sua presenza, anzi, probabilmente neanche si fidava di lei.
Riscuotendosi e cogliendo quella pausa come un'opportunità, Katla si fece avanti, agguantando per un braccio Bard e costringendolo a voltarsi abbastanza da incrociare il suo sguardo penetrante e corrucciato.
– Che stai facendo? – gli sibilò, contrariata ed accusatoria – Non mi hai ascoltata, forse? Dobbiamo prepararci per..
– Ciò che è stato messo in moto non può più essere fermato. – la interruppe bruscamente lui, puntandole addosso uno sguardo affilato – Ora, se hai ancora intenzione di aiutare le persone di questa città, c'è solo un modo per farlo ed è quello di combattere con noi. Con un po' di fortuna, quando quella Bestia arriverà, la nostra battaglia si sarà già conclusa e saremo pronti a riceverla.
Kat quasi sussultò alla veemenza del tono dell'Uomo del Lago e serrò le labbra in una smorfia di tensione, mentre la sua mente elaborava in fretta ciò che le era appena stato detto. Vide negli occhi dell'altro una scintilla di sdegno ed una determinazione che lasciarono trapelare chiaramente ciò che pensava e questo le serrò la bocca dello stomaco in una morsa.
Se davvero appartieni al Popolo degli Uomini dimostralo qui e adesso, questo le stava dicendo Bard con quello sguardo intransigente.
E, in risposta, l'animo orgoglioso di Katla si risvegliò.
– E va bene! – sbuffò bruscamente, quasi ringhiando il suo consenso – Vi aiuterò.
Non poteva permettere che accadesse qualcosa all'erede di Girion, giacché era lui l'unico a poter affrontare il drago quando sarebbe giunto a portare devastazione su ciò che rimaneva della fulgida Esgaroth. Avrebbe combattuto al suo fianco le guardie del Governatore e poi, quando fosse giunto il momento, l'avrebbe aiutato ancora una volta.
E forse, con un po' di fortuna, avrebbero superato la notte.


– Scappa, Bilbo!
Lo hobbit non se lo fece ripetere due volte che, con le sue gambette corte, si precipitò fuori dalle grandi Fornaci dei Nani, passando sotto lo spesso arco in pietra ed addentrandosi nell'immensa sala adiacente. Le volte del soffitto erano talmente alte da farlo sentire ancor più piccolo di quel che era, come era per la maggior parte degli ambienti del Regno di Erebor, scolpiti nella pietra con maestosa precisione. Arazzi polverosi ed altrettanto colossali, un tempo dai colori vividi, pendevano fra una colonna e l'altra, donando al salone l'apparenza di un ambiente chiuso e separato dalle forge, ora riaccese dal fuoco del drago.
Per un breve lasso di tempo, alle orecchie di Bilbo giunse soltanto il sommesso scalpiccio dei suoi piedi in corsa ed il proprio stesso respiro, cosa che, per un solo maledetto istante, gli fece credere di avere una qualche possibilità di scampo, ma il fato fu lesto a farlo ricredere. L'attimo seguente l'immensa e scagliosa mole di Smaug si gettò fra le immense colonne portanti ed il suo muso irto di zanne e spine scostò e strattonò i pesanti arazzi, tanto che le aste di metallo si sganciarono dai loro supporti e si riversarono sul pavimento della sala con un gran fragore.
Il piccolo scassinatore finì per venire sommerso dalla spessa stoffa ricamata e cadde, mentre la Bestia, provocando l'apertura di una nuova serie di crepe nel solido marmo con gran fracasso, si gettava nell'ampio salone alla sua ricerca, sibilando furibondo.
Tu! – la sua voce cavernosa e crepitante del fuoco che gli bruciava nelle sacche all'interno del torace riempì senza fatica l'ambiente, rimbalzando sulla volta e vibrando sulla roccia – Credi di potermi ingannare, Cavalcabarili?!
Il mezz'uomo, strisciando, arrivò sino al bordo dell'arazzo che gli era caduto addosso, per poi osservare sgomento la gigantesca e terribile creatura che, superatolo, piegava il collo indietro, i suoi cupi occhi rosso fuoco che saettavano per l'ambiente alla sua ricerca. Aveva già raggiunto l'altro capo del salone e le sue dimensioni erano tali che, voltandosi parzialmente, la sua lunga coda irta di cresta dorsale sfregò sinuosa il pavimento a pochi metro da lui.
Tremò, non riuscendo a impedirselo, quando lo sguardo della Bestia si piantò su di lui e le sue fauci tornarono a schiudersi.
– Siete giunti da Pontelagolungo! – soffiò, e dopo averlo affermato, mosso da un nuovo pensiero malvagio, volse il muso e lo sguardo colmo di perfidia verso destra, in direzione dell’ampio ingresso – Questo è uno squallido complotto ordito da questi luridi Nani e quei miserabili Uomini del Lago! Quei piagnucolosi codardi, con i loro lunghi archi e le Frecce Nere... – inveì, preda di un ricordo ed un antico rancore mai sopito, che Bilbo poté soltanto indovinare esser rivolto alle azioni passate di Girion per tentare di difendere Dale – Forse è il momento che io faccia loro una visita.
Fu a quelle ultime parole, mentre il grosso muso del drago si volgeva malevolo verso le porte di Erebor, che Bilbo smise di tremare. Ogni suo muscolo s’immobilizzò e si tese nel suo piccolo corpo, mentre il respiro gli restava impigliato in gola, ed un solo pensiero gli balenò alla mente: Katla.
Si mosse automaticamente ancor prima di rendersene conto, agendo d'impulso e rimettendosi lesto in piedi, rapido come un topolino che sfreccia fuori dalla sua tana.
– No.. – la sua vocetta da piccola creatura del mondo suonò a malapena udibile alle sue stesse orecchie ed egli, rendendosene subito conto, diede adito a tutto il poco fiato che aveva – Fermo! Non puoi andare a Pontelagolungo!
La paura per la sorte della sua amica soppiantò nettamente quella provata per sé stesso sino a pochi istanti prima, così si ritrovò a sgambettare dietro al drago, incurante del basso suono gorgogliante che uscì dalle sue fauci mentre tornava ad abbassare gli occhi adorni di pupille a cuspide su lui.
– Oh, tu tieni a loro, non è così? – suggerì, divertito, riempiendo nuovamente le sale del Regno di Erebor del suono della sua voce – ...Bene. Allora puoi guardarli morire!
Dopodiché, senza più indugio, Smaug il Terribile si diresse verso l'alto arco delle Porte dei Nani che si aprivano sul versante meridionale della montagna ed ogni suo passo sui solidi pavimenti in marmo produsse cupe vibrazioni in tutto il regno. Bilbo si sentì piccolo ed impotente, e già tentava di escogitare un modo per trattenere la Bestia, quando una voce si levò ad infrangere il momento.
QUI! Inutile, stupido Verme!
Thorin, in piedi sulla sommità di un alto blocco di pietra, si rivelò con orgoglio e fermezza al drago, che al suo insulto arrestò la sua avanzata per voltarsi a guardare il suo sfidante. Allora sibilò, infastidito e rancoroso, eppure quasi divertito dello sciocco, arrogante modo di fare del nano, e deviò dal suo percorso per ripercorrere senza fretta la navata centrale del salone, adiacente a quella del piccolo hobbit.
Mentre Smaug cambiava obiettivo, Bilbo si affacciò sorpreso all'ampia sala in cui il Principe di Erebor ed il suo più odiato nemico stavano per fronteggiarsi, restando al riparo di una delle immense colonne che reggevano la volta del soffitto.
– Adesso mi riprendo ciò che hai rubato. – continuò il capo della Compagnia, indomito e audace come solo un vero Signore dei Nani poteva essere.
– Tu.. – ribatté Smaug, per nulla impressionato, mentre la sua lingua saettava fuori dalle sue fauci incandescenti – ..non ti riprenderai niente da me, nano. Io ho annientato i tuoi guerrieri, tempo fa... io ho instillato il terrore, nel cuore degli Uomini! Io sono il Re sotto la Montagna!
Ma Thorin non fece una piega, continuò a fissare con seria determinazione la Bestia, tenendo una mano stretta intorno ad una delle catene che pendevano dal soffitto.
– Questo non è il tuo Regno, – ribatté invece, la voce arrochita dalla rabbia e dallo sdegno – è il territorio dei Nani.. l'oro dei Nani! E noi avremo la nostra vendetta. – ormai Smaug gli era arrivato di fronte ed il suo possente muso da rettile si fermò alla stessa altezza del nano, che a quel punto esclamò: – Imrîd ur-sùl! [1]
Fu quello il segnale per i nani della Compagnia, giacché alle orecchie del piccolo Bilbo giunsero una serie di scatti metallici e lo stesso Thorin Scudodiquercia, dopo aver dato uno strattone ad una delle catene che gli pendevano accanto, si appese a quella che aveva tenuto stretta sino a quel momento, lanciandosi nel vuoto.
Immediatamente il blocco di pietra perse compattezza e la serie di cinture di metallo che lo tenevano insieme si aprirono una dopo l'altra, facendo crollare quello che era un semplice involucro. Smaug, sorpreso, non riuscì a reagire, giacché davanti ai suoi occhi di brace si rivelò l'immensa statua dell'ormai defunto Re Thror, d'oro massiccio e rovente. La superficie di questa per pochi, interminabili secondi, parve reggere lo schiacciante peso del fuso al suo interno, ma poi, quando ormai lo hobbit credeva che il piano di Thorin fosse fallito, il primo cedimento esplose sul volto del sovrano.
Con un suono ribollente, la statua si riversò in un'onda di piena verso il drago che di scatto tentò di ritrarsi, ma era troppo vicino per riuscire a sottrarsi a quell'assalto dorato. Mentre annaspava, l'enorme corpo scaglioso della malvagia creatura venne investito e sommerso da un mare di quel prezioso metallo, che si spanse a macchia d'olio sul pavimento, colmando tutto il salone.
Anche Bilbo sarebbe stato sommerso a morte se non fosse stato lesto ad arrampicarsi sulla colonna da dietro la quale aveva osservato, riparato, l'intero svolgersi degli eventi. Il calore che si disperse era tale da ricoprire in un istante la pelle dello hobbit di nuovo copioso sudore, e fumi e vapori lo accecarono, mentre il mare d'oro colmava il dislivello fra l’immensa navata centrale e quelle adiacenti, al pari d'una gigantesca piscina scintillante.
Eppure, malgrado le profonde speranze di ogni membro della Compagnia, l’altrettanto enorme mole del drago non ne fu sommersa completamente e, creando una nuova serie di onde nel metallo fuso, la bestia ne riemerse con un ruggito ed un urlo d'offesa tali da assordare il povero Bilbo e fargli quasi perdere la presa sulla pietra dalla paura. Ogni scaglia di Smaug mentre si lanciava fuori da quella che, al suo confronto, appariva come una misera pozza, rifletté giallo-oro la fioca luce dell'ambiente, mentre si allontanava dagli effetti della trappola orchestrata dall'erede di Durin, vibrando e soffiando.
– Vendetta? VENDETTA?! – tutta la montagna tremò sotto gli artigli della Bestia – Ora ve la do' io, la vendetta...
E senza più indugio, preda di un'ira profonda quanto inarrestabile, il drago si avventò verso le porte del Regno di Erebor e, in pochi secondi, le raggiunse e si lanciò oltre l’arcata scolpita provocando il crollo di una parte della cornice e scardinando ciò che restava delle massicce ante metalliche.
Col cuore in gola, Bilbo riuscì in ritardo a trovare il modo di scendere dal suo rifugio e quando arrivò trafelato ad affacciarsi alla vallata ai piedi della Montagna Solitaria, vide la sagoma della Bestia stagliarsi alta contro la volta celeste, le ali spiegate e già gonfiate dal vento notturno, diretto alla città degli Uomini.
E, a quella vista, lo sconforto lo assalì ed il sangue si fece ghiaccio nelle sue vene.
– ...cosa abbiamo fatto...?


continua...




~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).

» Note:
1. "Imrîd ur-sùl!" = "Muori tra le fiamme!" , da imrid (muori; ogg.: "amrad", morte) e ursu/ur-su (sing.; fuoco, fiamma) in lingua khuzdul.

   
 
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