REALTA’ PARALLELA
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Capitolo 9 – Il viaggio della speranza (parte 2°)
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Tibet
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“E così questi miraculos,
hanno il potere di esaudire qualsiasi desiderio”. Esordì Gabriel che a fatica
riusciva a seguire la guida nella tormenta.
Si erano imbarcati al porto, in una nave
rompighiaccio, per arrivare fino alle pendici del monte, dove imperversava una
tormenta.
Lo stilista si chiuse di più la giacca
ed alzò la sciarpa fino sopra il naso, indossò anche gli occhiali che gli
avevano consigliato.
“Solo l’utilizzo di due” Ululò nel
vento, mentre giravano l’angolo.
Si riposarono in un anfratto della
montagna, attendendo che il tempo migliorasse, se conosceva bene quel luogo e
il comportamento del clima, sarebbe bastato un’oretta.
La guida prese dallo zaino un po’ di
legnetti che si era portato dietro, li adagiò attorno al cerchio di sassi che
aveva formato e accese il fuoco, per scaldarsi.
Nell’attesa, aveva anche tirato fuori il
thermos con il tè caldo, ne porse bicchiere allo stilista.
Il calore emanato dalla bevanda, gli
fece appannare gli occhiali da vista.
“Sei sicuro che troveremo qualche
indizio su dove si trovano gli orecchini della coccinella e l’anello del gatto
nero?”.
“Lo spero…come
ti dicevo, il tempio è andato distrutto molto tempo fa e si è scavato a lungo
nelle macerie in cerca di qualche reliquia”. Fece mellifluo.
“Hanno auree malvagie questi kwami di cui mi parlavi in albergo?”.
Scosse il capo “Non sono ne buoni e ne
cattivi, dipende solo come deciderai di utilizzarli”
“Capisco…”
Bevve un altro sorso della bevanda calda “…il prezzo
da pagare di cui accennavi?”.
La guida si sfrego le mani nel vano
tentativo di scaldarsele, dopo averle lasciate qualche secondo accanto al fuoco
“Anche lì dipende dal desiderio espresso. Ad esempio se lo userai, come ho
capito, per aiutare tua moglie a guarire dalla malattia, può darsi che sarai tu
stesso ad ammalarti dello stesso male. Occhio per occhio, è questa la regola”.
“Non mi importa di pagare con la mia
stessa vita, mi importa che Adrien ed Emilie non soffrano più” Scosse il capo.
Era disposto a tutto pur di salvarla,
anche a perdere la sua vita se ne fosse
stato necessario.
L’aveva vista stare male troppe volte,
era arrivato il momento di finirla.
A Nathalie, rimasta a vegliare sul
figlio a Parigi, aveva ordinato di far costruire nella cripta sotterranea,
sistemata di recente, senza che ne sua moglie e ne suo figlio, ne fossero a
conoscenza, una teca, in grado di conservare qualsiasi forma di vita, non
facendoli deteriorare.
Sarebbe divenuta utile nel peggiore dei
casi, se con quel viaggio non fosse riuscito a salvarle la vita, e se Emilie fosse spirata prima di riuscire a trovare una
soluzione al suo problema.
*
La tormenta aveva terminato di soffiare,
come preventivato dalla guida, dopo circa un’ora.
Spensero il fuoco con un cumulo di neve
formatasi all’ingresso del riparo, e ripresero il cammino.
La guida si mise davanti a lui con un
enorme bastone, sondando sempre il terreno.
Di neve ne era caduta abbastanza, e
poteva benissimo mascherare crepacci in quel percorso lungo il dorso della
montagna.
Arrivarono dopo circa mezz’ora, sul
luogo, dove una volta sorgeva il tempio dei Guardiani dei Miraculous.
C’erano macerie ricoperte di neve
fresca.
“E’ questo il luogo?” Chiese lo
stilista.
“Si” Affermò la guida.
“Hai speranza di trovare qualcosa?”
“La neve sa celare bene i misteri”.
“Hai detto che questo posto era già
stato rivoltato come un calzino a suo tempo, cosa ti fa credere che troveremo
tracce di qualcosa appartenuto ai Guardiani?”.
“Chi cerca, trova” Rispose cominciando a
sondare il terreno con il bastone e a spostare i cumuli di neve.
Anche Gabriel, iniziò ad imitare i suoi
movimenti, anche se si stava chiedendo se quell’individuo non gli stesse
mentendo e se era tanto disperato di provare quell’impresa.
Spostò della neve con entrambe le mani,
e pensò di aver trovato dei mattoni, invece, si rivelò essere un libro molto
antico, fatto da una copertina di pelle marrone, usurata, ma conservata bene.
Ci scavò attorno, liberandolo da quella
trappola, e lo tirò su, scrollandogli di dosso il ghiaccio che lo teneva
imprigionato.
Iniziò a sfogliarlo, ma era scritto in
una lingua a lui incomprensibile, c’erano raffigurati dei simboli e dei
guerrieri stilizzati, in una pagina, una donna mascherata di rosso, con in mano
uno yo-yo e il simbolo della coccinella.
“Visto? Che ti avevo detto…chi
cerca trova” La guida si materializzò dietro di lui, ma non si volto quando
sentì il rumore di un grilletto e il freddo del ferro sul collo.
“Non serve arrivare a tanto” Alzò le
mani dopo aver posato il libro a terra “…te lo
restituirò appena lo avrò tradotto”.
“Non funziona così, ora mi dai il libro
e ti leverai dalle palle”.
“Non credo” Più veloce di un felino,
Gabriel estrasse la sua di pistola e colpì la guida, che sanguinante, barcollò
all’indietro, fino a che non affondò i piedi in un cumulo di neve, che si
sgretolò, portandoselo via con se.
Lo stilista rimase qualche minuto
impietrito a guardarsi le mani, non aveva mai fatto una cosa del genere, e
quell’arma, l’aveva acquistata in caso si fosse ritrovato in una situazione del
genere, ma mai avrebbe pensato che un giorno, l’avrebbe usata per fare del
male.
Occhio
per occhio.
Si ripetè nella mente.
*
Il sole, si era fatto strada tra le
nuvole, che si stavano diradando, costringendo Gabriel ad indossare degli
occhiali con le lenti scure, per non venire accecato.
Il libro perduto era stato ritrovato e
il sole annunciava l’arrivo del bel tempo, ma sapeva che in montagna il tempo
cambia repentinamente, pensò che era meglio non sfidare la buona sorte, e di incamminarsi verso l’albergo, recuperare Emilie e tornarsene a Parigi.
Volse un ultimo sguardo verso il
precipizio, dove la sua guida, era appena caduta, tra la neve, vide qualcosa
luccicare.
In un primo momento, pensò si trattasse
di un effetto ottico dovuto all’irraggiamento solare, poi si avvicinò perché
attratto da quella luce, come una falena.
Increspò un labbro, quando tirò una
spilla a forma di farfalla e una a forma di pavone.
Che si trattasse dei Miraculos
perduti?
Sfogliò il libro e in una delle ultime
pagine, erano raffigurate quelle spille, un ghigno soddisfatto si materializzò
sul suo volto.
“Ti salverò, Emilie”
Sussurrò stringendo in petto il Grimorio.
*
Parigi, ai giorni nostri
*
Nathalie entrò nella stanza accessibile
solo da un ascensore, che aveva fatto costruire apposita.
Una decina di farfalle bianche, stavano
fluttuando all’interno.
“Mi ha chiamata, signore?” Chiese
timidamente.
“Emilie è al
sicuro, vero?”
“Si, il corpo è all’interno della teca,
in attesa di essere risvegliato”.
“Bene, vedo anche che le farfalle sono
cresciute”.
“Le ho raccolto e portate personalmente
qui” Disse con voce impostata e servizievole.
“Sei un’ottima alleata, Nathalie, verrai
ricompensata a dovere per i tuoi servigi”.
“Non mi interessa il denaro, signore,
voglio solo che lei riesca nel suo intento”.
*
Era passato una settimana dall’incidente in teatro e
le condizioni di Marinette, non accennavano a migliorare. Era stabile, e questo
era un bene.
Adrien
chiedeva ogni giorno a sua madre Sabine, come stava, anche se conosceva fin
troppo bene la risposta, le avrebbe voluto dire che appena gli fosse stato
possibile, l’avrebbe riportata tra di loro, che era per colpa sua se si trovava
in quella situazione e che solo lui poteva rimediare.
Ma le sue condizioni, non gli permettevano di fare
niente, anche se la gamba era in via di guarigione, il fisioterapista, che lo
seguiva, gli aveva detto che tra una seattimana,
sarebbe stato anche in grado di correre.
Bene, avrebbe usato i poteri dell’anello per recarsi
di nascosto in ospedale e cercare di parlare con lei, per sentire come poterla
riportare alla realtà, alla loro realtà per l’esattezza.
“Papà posso andare a trovare Marinette
oggi?” Gli chiese mentre pranzavano.
Conosceva già la risposta, finchè
non sarebbe guarito, non gli era permesso andare a scuola, per fortuna ci
pensavano Nino ed Alya a passargli gli appunti delle
lezioni giornalmente, gli era permesso di vederli giusto il tempo della
consegna del quaderno, e sotto la supervisione di Nathalie, o come l’aveva
soprannominata Nino, il mastino.
“Ne abbiamo già parlato, la risposta è no”. Disse
con fare severo.
Adrien
abbassò lo sguardo avvilito “E’ una mia amica, e volevo starle vicino”.
Sussurrò.
“Ho detto di no”.
Adrien
si alzò e battè i pugni sulla tavola di legno, si
dovette trattenere perché senza stampelle, gli era difficile mantenere quella
posizione a lungo “Non puoi tenermi rinchiuso in casa per sempre, facendo
ricadere su di me la tua frustrazione. Da quando la mamma è morta, ti sei reso
conto che non sei più uscito di casa?Quanto tempo è passato? Due anni, sono due
anni papà che mi sento in prigione, che esco solo quando vuoi te, che non mi
permetti di vivere la mia vita, di comportarmi come un ragazzo di sedici anni.
Hai una donna fantastica al tuo fianco, che ti segue
in tutto per tutto, se le dicessi di buttarsi dall’ultimo piano di un palazzo
per salvarti lo farebbe.
Comincia a guardarti attorno, papà…iniziaresti
a vivere di nuovo” Gli vomitò addosso tutta la sua rabbia, la frustrazione che
si porta dietro da anni, da quando sua madre Emilie
li aveva lasciati da soli.
“Non parlarmi in quel modo, Adrien”
Alzò anche lui il tono della voce, facendo valere la sua autorità.
“Posso e lo faccio”Era giunto il momento di
affrontarlo, di dirgli tutto quello che teneva dentro, Gabriel doveva capire
che stava sbagliando qualcosa, se suo figlio si sentiva in diritto di dirgli
quelle cose.
“Da quando hai tutta questa spavalderia?”
“Da ora, sono stufo papà di dovermi sempre
comportare come un bravo ragazzo solo per compiacerti, per renderti fiero di
me. Cosa mi ha portato? A niente, a niente papà” La voce del biondo era rotta
dal pianto, gli dispiaceva dirgli quelle cose, ma si sentiva in dovere di
fargli aprire gli occhi, su una situazione, che sicuramente non ne era a
conoscenza “…sembra che tu mi odi”.
“Cerco di proteggerti”
“Non mi proteggi così. Tenendomi sotto una campana
di vetro, mi soffochi, mi stai distruggendo,
lo capisci o no?”
Gabriel abbassò lo sguardo, suo figlio aveva
ragione, inutile anche controbattere.
“Perché non me le hai dette prima queste cose?”
“Non me ne hai dato la possibilità, e come faccio
poi in cinque minuti che mi dedichi alla settimana?”
Ancora una volta aveva ragione, come poteva
pretendere che Adrien gli dicesse quello che provava
se non gli dava il tempo? Tra lavoro e il fatto di impossessarsi dei miraculos di Lady Bug e Chat Noir, gli stanno facendo
perdere la cosa più importante: suo figlio.
Se solo sapesse perché lo sta trascurando, se solo
sapesse perché lo sta facendo, se solo sapesse che si comporta così solo per
ridargli la famiglia che erano prima.
*
continua